L’olio di iperico – Il prodotto antirughe più potente che esiste in natura

 

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L’olio di iperico – Il prodotto antirughe più potente che esiste in natura

L’olio di iperico viene estratto dalla macerazione di Hypericum perforatum, piccoli fiorellini dal colore giallo la cui raccolta avviene tradizionalmente il 24 giugno: per questo motivo sono noti anche come “erba di San Giovanni”, il santo celebrato in questa giornata.

Le sostanze contenute in questi fiori dall’aspetto innocuo sono molteplici e tutte molto utili in ambito di rimedi naturali. Alto è infatti il contenuto di carotene e flavonoidi, che fanno della cosiddetta erba di San Giovanni un potente cicatrizzante da utilizzare in caso di ustioni e ferite di varia natura.

Una delle proprietà meno conosciute riguarda invece la sua azione anti-age, resa possibile dalla presenza di ipericina, biflavoni e iperforina. Ciò che in pochi sanno è che l’olio di iperico è uno dei prodotti naturali più efficaci contro le rughe e l’invecchiamento della pelle – ancor di più delle costose creme reperibili sul mercato della cosmesi.

Come usare l’olio di iperico

Preparare l’olio di iperico è semplicissimo, dato che la difficoltà maggiore sta nell’attesa. Per ottenere i suoi benefici dobbiamo mettere a macerare per sei settimane in un contenitore chiuso ermeticamente 70 grammi delle sommità fiorite dell’iperico in 250 ml di olio di mandorle.

Dopo sei settimane esponiamo per un’intera giornata il contenitore al sole. Infine possiamo filtrare e conservare in bottiglie o flaconi di vetro scuro, al fresco e lontano dalla luce.

L’utilizzo dell’olio è esattamente come quello di una crema: massaggiamone una piccola quantità su viso e collo. I primi risultati dovrebbero essere visibili dopo dieci giorni.

È importante però servirsi dell’olio di iperico alla sera, dato che rende la pelle particolarmente fotosensibile (motivo per cui dovremo evitare di esporci direttamente al sole).

 

La mente ci guarisce più dei farmaci

 

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La mente ci guarisce più dei farmaci

Lo scienziato Bruce Lipton milita in ambito medico dagli anni “60 e ha impiegato gran parte delle sue energie per rispondere a una semplice domanda: “chi controlla il destino delle cellule?”. Tutte le cellule sono identiche, come spiega Bruce Lipton “se si prendono cellule sane e si collocano in un ambiente sfavorevole, le cellule si ammalano e muoiono”. Quando una cellula è malata i medici iniziano la loro opera di prescrizione.

Quando ingeriamo un farmaco questo scatena una serie di reazioni biochimiche che coinvolgono tutto il corpo e non solo la sezione anatomica da guarire. Quelli che noi chiamiamo “effetti collaterali” sono degli effetti diretti del farmaco, in farmacologia non esistono “effetti collaterali”, ma solo effetti diretti. Quando prendiamo un farmaco diamo per scontato che la sua efficacia circa il nostro scompenso possa creare più benefici rispetto ai danni che quel farmaco sta causando con gli altri effetti diretti.

Secondo le statistiche, negli USA, i farmaci uccidono oltre 300.000 persone all”anno! La conclusione sorge spontanea: c”è qualcosa di sbagliato nella farmacologia moderna. Se a far ammalare le cellule è l”ambiente, eliminando un ambiente nocivo e spostando le nostre cellule in un ambiente sano e salutare, si arriverebbe a una guarigione spontanea.

Gli esseri umani sono composti da circa 50 trilioni di cellule, per spiegare meglio il concetto, lo scienziato Lipton paragona il corpo umano a una comunità dove ogni cellula rappresenta un individuo e ogni organo una collettività. Da qui ritorniamo alla domanda iniziale: da cosa dipende il destino delle nostre cellule?

A cambiare il destino delle cellule è il nostro flusso sanguigno. Il sangue dipende dal sistema nervoso e il suo modo di interagire con l”ambiente esterno. Come spiega Bruce:

“La medicina cerca di guarire le cellule dalla malattia andando a intaccare i meccanismi biochimici innescati dall”ambiante esterno. La medicina agisce sull”uomo quando il problema è l”ambiente.”

Al ricercatore Bruce Lipton è stata posta questa domanda: allora in un ambiente sano possiamo guarire spontaneamente? Ecco la risposta:

“In teoria sì ma in termini pratici è tutto più complesso perché la nostra mente interpreta l”ambienteesterno a suo modo. Magari noi siamo posti in un ambiente sano ma la nostra mente inizia a leggerlo come un ambiente negativo e dannoso, il nostro sistema nervoso genera così una sostanza chimica che ci renderà ugualmente malati.”

Bruce Lipton, durante le sue ricerche, ha analizzato una grande quantità di dati relativi all”effetto placebo: molti farmaci che assumiamo, con la sperimentazione, si sono dimostrati addirittura meno efficaci del placebo. Gli esperimenti classici consistono nell”individuare un grosso campione di ricerca che lamenta una certa patologia, questo campione viene diviso in due gruppi. Al primo gruppo si somministra un medicinale vero, al secondo gruppo viene dato un placebo, ovvero una “falsa pillola” che non ha più potere di una mentina. Quando l”individuo era predisposto alla guarigione, si sentiva meglio e il corpo reagiva bene anche dopo aver assunto un inerte placebo.

Con questa premessa si arriva a parlare dei principi di guarigione spontanea legati al controllo mentale. Anche in questo caso, per spiegare una marea di saggi complicati, ci rifaremo a un esempio pratico:

se chiudete gli occhi e pensate a una persona amata, il vostro sistema nervoso inizierà a produrre dopamina, serotonina, ossitocina… Questa miscela biochimica coinvolgerà l”intero organismo e voi potrete sentirne i benefici nel vostro corpo, la biochimica porterà un grosso bagaglio di benessere alle vostre cellule. Ecco perché se ci innamoriamo stiamo così bene in compagnia del nostro amato. Al contrario, se pensiamo a qualcosa che ci turba o ci spaventa o affrontiamo la vita frenetica con una continua ansia di sottofondo, questo ci fa ammalare, il nostro sistema nervoso secerne gli ormoni dello stress e alle nostre cellule non arriverà di certo una miscela chimica benigna!

Le persone non sanno che ogni giorno cresciamo. Sì, ogni giorno centinaia e centinaia di cellule muoiono e sono soppiantate da cellule nuove. Il nostro apparato gastrointestinale effettua un turnover di cellule ogni tre giorni. Se il nostro organismo viene “distratto” da farmaci, da “stress” da “pensieri negativi” o da centinaia di altre cose superflue,  nel turnover potrebbe andare storto qualcosa e così potremmo ammalarci. I virus dannosi potrebbero subito attecchire.

A chi è capitato di ammalarsi senza aver preso freddo?
Se vi è successo, probabilmente perché il vostro organismo era distratto da altro e ha concesso l”ingresso di un virus. Discorso analogo anche per il cancro, così come spiega il ricercatore:

Effettuando delle analisi a campione si è scoperto che le cellule tumorali albergano in tutti noi. Queste cellule ci sono sempre, in tutti, solo che il sistema immunitario è funzionante quindi ne impedisce la crescita.” 

La scienza ci dice che il corpo risponde alla fisica quantistica mentre la medicina odierna è basata sulla fisica di Newton. La farmacologia vuole stravolgere la biochimica dell”organismo aggiungendo altra chimica. Secondo la logica dettata dalla fisica dei quanti, più che somministrare altra chimica bisognerebbe innescare un cambiamento dell”energia. Secondo la fisica quantistica è tutto energia, quindi anche i nostri pensieri lo sono.

La mentre è energia. Quando si pensa s”innesca un potenza di trasmissione che si traduce in segnali biochimici che si propagano in armonia con il nostro corpo.

Poiché le aziende farmaceutiche non potrebbero vendere i pensieri, non investono neanche un centesimo per dimostrare la stretta correlazione tra “mente-corpo” in termini di “segnale-risposta”. Il segnale dettato dalla mente potrebbe costantemente essere di benessere così come la risposta.

I pensieri generano un campo di energia che viene convertito in un segnale biochimico capace di curarci in modo del tutto naturale.

Bruce Lipton, ex professore universitario -ha abbandonato la cattedra perché sapeva che ciò che insegnava non corrispondeva a realtà-, ha deciso di concentrare tutte le sue energie nella medicina quantistica. 

Purtroppo non è così facile riuscire a gestire il flusso dei pensieri. Questo perché gran parte del potere risiede nel subconscio. Noi umani usiamo il subconscio per il 95% dei nostri processi mentali, solo il 5% dei nostri processi mentali è dettato dalla mente cosciente.

La trama del subconscio è stata costruita nei primi 6 anni di vita. Cosa è stato appreso in questi primi delicatissimi anni, diventa il punto cardine della nostra vita da adulti fino a condizionare il nostro comportamento e la nostra salute. Purtroppo non possiamo controllare il subconscio ma possiamo “riprogrammarlo”. Come spiega l”ex docente:

“Molti studi mostrano che le malattie degli adulti che hanno, come il cancro, hanno a che fare con la programmazione e l”ambiente in cui viviamo nei primi sei anni di vita.”

In altre parole, da bambini “assorbiamo” gli atteggiamenti negativi che abbiamo intorno e così programmiamo il subconscio predisponendolo a fattori come preoccupazioni, sensi di colpa, ansie…

“E” dimostrato che se un bambino adottato è cresciuto da una famiglia dove uno dei genitori ha un tumore, nella vita adulta il soggetto adottato ha più probabilità di sviluppare un cancro”.

Per gli addetti ai lavori

Chi lavora in ambito medico non sa come approcciarsi a studi del genere, eppure è perfettamente consapevole dei danni alla salute che può causare una mera emozione come lo stress (per approfondire i danni dello stress), sa che molte persone tendono a somatizzare dei sintomi (la dermatite atopica e l”alopecia sono i classici esempi) quindi… perché non potrebbe esserci dell”altro? Nella realtà dei fatti, anche le antologie mediche insegnano che le emozioni sono degli attivatori biochimici.

 

fonte: http://www.tecnologia-ambiente.it/la-mente-ci-guarisce-piu-dei-farmaci

Gino Strada: “L’idea di medicina che non c’è, ma che vorrei”

 

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Gino Strada: “L’idea di medicina che non c’è, ma che vorrei”

Gino Strada, fondatore di Emergency parla del senso e delle ragioni del meeting di Livorno con i 1.200 volontari della sua organizzazione. ” “Alla maggior parte dei cittadini è totalmente sconosciuto il fatto che la sanità è diventato un settore del mercato, dunque un business, come quello degli elettrodomestici, o delle automobili”

C’è un’idea di Medicina che attraversa tutta intera l’esperienza di Emergency, l’idea della gratuità e dell’eccellenza della cura, come requisito fondante di un modello d’assistnza sanitaria. Un’idea, del resto, messa in pratica nelle missioni in Afghanistan, in Iraq, nella Repubblica Centro Africana, in Sierra Leone, in Sudan, in Italia, e ancora con la creazione dell’ANME (African Network of Medical Excellence – Rete sanitaria d’eccellenza in Africa), con l’obiettivo di costruire in Africa centri medici di eccellenza, come il Centro Salam di cardiochirurgia. Ora, proprio in questi giorni, 1.200 volontari dell’organizzazione umanitaria fondata da Gino Strada, provenienti da ogni dove, si trovano a Livorno per diffondere la loro idea di sanità pubblica, animando così dibattiti, confronti con esperti e studiosi della materia.

I guasti prodotti dal concetto di profitto. Gino Strada va dritto al problema e dice: “Alla maggior parte dei cittadini è totalmente sconosciuto il fatto che la sanità è diventato un settore del mercato, dunque un business, come quello degli elettrodomestici, o delle automobili. Senza arrivare ai casi limite degli interventi chirurgici inutili, sui quali indaga la magistratura, l’aver introdotto il concetto di profitto nell’esercizio dell’assistenza medica, ha prodotto una rottura culturale, con conseguenze devastanti per la salute della gente. Si potrebbero ripercorrere le tappe di questo processo degenerativo – ha aggiunto Strada – che ha visto la complicità di tutte le forze politiche del Paese. Tutte, senza eccezione. E comunque a dimostrare con i numeri questo dramma nazionale è il Censis, non io, dal quale apprendiamo che il 15% della popolazione italiana non si cura adeguatamente, cioè circa 9 milioni di persone. Ecco, l’aver creduto che il profitto potesse entrare in questo ambito e che gli ospedali si potessero trasformare in aziende, ha prodotto questi guasti”.

Quei 30 miliardi in tasca a “Qualcuno”.
 Insomma, il cittadino medio – chiamiamolo così – non sa che le prestazioni che riceve dal sistema sanitario spesso non sono quelle di cui ha davvero bisogno. La logica del profitto, appunto, fa sì che la scelta del percorso terapeutico prenda un strada piuttosto che un’altra, proprio per garantire quel margino di guadagno a questo o a quello. “D’altra parte – prosegue Gino Strada – se la spesa sanitaria globale in Italia è di circa 110 miliardi e di tutti quei soldi circa 30 miliardi finiscono nelle tasche di qualcuno, qualcosa vorrà pur dire. Che poi questo “Qualcuno” sia il proprietario di una clinica, oppure quel denaro vada a finire nel fitto labirinto del parassitismo burocratico della sanità pubblica, dove i dirigenti sono tutti, ma proprio tutti, di nomina politica, questo non cambia il quadro della situazione. Insomma – conclude Strada -non ha più senso parlare di sanità pubblica o privata. Sono tutti uguali”.

Quel diritto che non c’è.
  Dunque, il senso di questo dodicesimo appuntamento di Emergency in una città italiana, è appunto quello di far conoscere meglio un’idea di Medicina pubblica, capace di garantire l’accesso alla salute tutti coloro i quali, per ragioni diverse, vengono esclusi o comunque non adeguatamente curati. “Il nostro intento – ha poi aggiunto Gino Strada – è quello di far capire che la gente non può aspettare la riforma sanitaria per essere curata. Se non conoscono i loro diritti, noi cerchiamo di farglieli conoscere. Quelli cioè che la nostra organizzazione afferma da sempre e ovunque, e cioè: nessuno deve essere discriminato. Abbiamo cominciato nel 2006 con il poliambulatorio a Palermo, poi a Marghera, abbiamo proseguito con gli ambulatori mobili e ci apprestiamo a completare i presidi sanitari a Napoli e a Polistena”.

LE TAPPE DI UN LUNGO PERCORSO

1994 – Ristrutturato e riaperto il reparto di chirurgia dell’ospedale di Kigali in Ruanda. Durante una missione di 4 mesi, un team chirurgico ha operato oltre 600 vittime di guerra. Contemporaneamente Emergency ha anche riattivato il reparto di ostetricia e ginecologia dove oltre 2.500 donne hanno ricevuto assistenza medica e chirurgica.

1996-2005 – Costruito un Centro chirurgico a Sulaimaniya, in Nord Iraq, per curare le vittime delle mine antiuomo. La struttura comprende unità per il trattamento delle ustioni e delle lesioni spinali. Nel 2005 il Centro e i 22 Posti di primo soccorso aperti nel Paese sono stati dati in consegna alle autorità sanitarie locali.

1998-2005 – Realizzato un Centro chirurgico a Erbil, in Nord Iraq, per dare cura alle vittime delle mine antiuomo. La struttura comprende un’unità per il trattamento delle ustioni e una per le lesioni spinali. Nel 2005 il Centro è stato affidato alle autorità sanitarie locali.

1998-2012
 – Costruzione e gestione di un Centro chirurgico a Battambang e di 5 Posti di primo soccorso nel distretto di Samlot, in Cambogia.

1999 – Sostenuto l’orfanotrofio Jova Jovanovic Zmaj di Belgrado, in Serbia.

2000 – Inviato, su richiesta della Cooperazione Italiana, un team chirurgico in Eritrea. Il personale di Emergency ha lavorato due mesi nell’ospedale Mekane Hiwet, ad Asmara, curando le vittime del conflitto tra Etiopia ed Eritrea.

2001 – Costruito un Centro di riabilitazione e produzione protesi a Diana, Nord Iraq. Il Centro è stato dato in consegna alle autorità sanitarie locali.

2001 – Realizzato un programma di aiuti alle vedove di guerra con la distribuzione di bestiame per l’allevamento a 400 famiglie della Valle del Panshir, Afghanistan.

2003 – Forniti all’ospedale Al-Kindi di Bagdad, in Iraq, farmaci, materiali di consumo e combustibile per i generatori. Nello stesso periodo farmaci e materiale sanitario sono stati donati all’ospedale di Karbala, a sud di Bagdad.

2003 – Avviato un Centro di riabilitazione e produzione protesi a Medea, in Algeria. Emergency ha ristrutturato ed equipaggiato un edificio all’interno dell’ospedale pubblico, occupandosi anche della formazione del personale nazionale. La gestione del Centro, chiamato Amal, in arabo “speranza”, è stata trasferita alle autorità sanitarie locali nel 2004.

2003 – Costruito un Centro di riabilitazione e produzione protesi a Dohuk, in Nord Iraq. Il Centro è ora gestito dalle autorità sanitarie locali.

2003 – Intervenuti in Angola, nella provincia di Benguela, su invito di una congregazione di suore angolane. Due Centri sanitari sono stati ristrutturati, equipaggiati e gestiti per oltre un anno da Emergency, che ha provveduto anche alla formazione del personale nazionale.

2003-2004 – Inviato un team chirurgico presso l’unità ortopedica dell’ospedale pubblico di Jenin, in Palestina. Oltre allo svolgimento delle attività cliniche e alla formazione del personale sanitario, Emergency ha avviato un nuovo reparto di fisioterapia e una nuova corsia ortopedica.

2003-2004 – Rifornito di farmaci la Casa de la mujer, una rete di dispensari che presta assistenza alle donne malate di tumore e diabete in Nicaragua.

2003-2007 – Avviato un laboratorio di produzione di tappeti per favorire l’autonomia economica di donne, vedove o indigenti, della Valle del Panshir, Afghanistan.

2004 – Sostenuta la popolazione di Falluja, in Iraq, durante l’assedio della città cessato a maggio. Generi di prima necessità, acqua e farmaci sono stati distribuiti ai rappresentanti della comunità e all’ospedale cittadino.

2004-2005 – Ricostruito e allestito il reparto di Chirurgia d’urgenza dell’ospedale di Al Fashir in Nord Darfur, in Sudan. La struttura comprende un blocco chirurgico e una corsia da 20 posti letto. Il reparto è stato trasferito al ministero della Sanità nell’agosto 2005.

2005
 – Fornito all’ospedale generale di Kalutara, in Sri-Lanka, strumentario chirurgico e materiale di consumo per potenziare le attività cliniche dopo lo tsumani che ha colpito il Paese.

2005 – In seguito allo tsunami del 2004, è stato portato a termine il progetto Ritorno al mare che prevedeva la distribuzione di barche a motore, canoe e reti da pesca ai pescatori del villaggio di Punochchimunai in Sri-Lanka. Per favorire la ripresa delle attività quotidiane, inoltre, sono stati consegnati kit scolastici agli studenti.

2005-2007 – Organizzati corsi di igiene, prevenzione e primo soccorso rivolto ai detenuti del carcere di Rebibbia Nuovo Complesso. Presso lo stesso carcere Emergency ha organizzato uno screening della tubercolosi. Emergency ha garantito l’assistenza di medici specialisti in alcuni istituti di pena del Lazio.

2005-2008 – Ricostruite 91 abitazioni in muratura destinate alle famiglie del villaggio Punochchimunai, in Sri-Lanka, rimaste senza casa dopo lo tsunami. La consegna delle abitazioni è avvenuta nel settembre 2008 a causa della ripresa delle ostilità tra governo e separatisti che ha bloccato i lavori per molti mesi.

2011 – Programma di chirurgia di guerra in Libia, nella città di Misurata sotto assedio.

 

 

tratto da:

http://www.repubblica.it/solidarieta/cooperazione/2013/06/27/news/gino_strada-61943258/

Dieci consigli per risparmiare tanto, ma proprio tanto sul riscaldamento

 

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Dieci consigli per risparmiare tanto, ma proprio tanto sul riscaldamento

10 modi per riscaldare casa senza spendere troppo

Non serve pagare salate bollette per riscaldare casa durante l’inverno, basta seguire alcuni facili accorgimenti che vi permetteranno di mantenere l’ambiente caldo anche quando fuori si gela.

Fa freddo e con le temperature che si abbassano inevitabilmente aumenta l’uso di termosifoni e sistemi di riscaldamento che comportano bollette più salate durante il periodo invernale. Riscaldare casa ogni anno non costa poco infatti alle tasche di una famiglia. Ogni inverno gli italiani vedono aumentare, e non di poco, la propria bolletta a causa dei dispendiosi sistemi di riscaldamento. E nonostante sul mercato ormai vengano presentate spesso diverse alternative economiche ed originali ai riscaldamenti tradizionali, a partire dall’uso del legno o dei pellet, il dispendio di energia per il riscaldamento riguarda circa il 70% del consumo energetico totale in casa. Esistono però vari modi per mantenere gli ambienti caldi e risparmiare in bolletta. Forse non tutti sanno che più di un terzo del calore prodotto dai normali sistemi di riscaldamento viene disperso attraverso il pavimento, le pareti, le finestre, i balconi e le porte di casa. Sono vari gli accorgimenti che si possono adottare in casa per tenerla calda ed evitare bollette salate:

1. Valvole termostatiche
Assicuratevi di installare sui radiatori di casa, per chi ha impianti di riscaldamento condominiali, una valvola termostatica. Questa valvola aiuta la regolazione automatica della temperatura in una stanza. Si indica infatti la temperatura che si desidera sulla testa della valvola; quando c’è del calore in eccesso, la valvola limita l’impianto di riscaldamento in modo da farlo funzionare solo quando serve: così si risparmia sui costi in bolletta. Tra l’altro, da giugno 2017, in base alla norma nazionale sulla contabilizzazione individuale del calore e la termoregolazione (d.lgs. 102/2014 e correttivo 141/2016) le valvole termostatiche saranno obbligatorie per tutti i radiatori degli impianti di riscaldamento condominiali.

2. Carta stagnola
Un modo economico per evitare la dispersione di calore in un ambiente, specialmente dove ci sono i termosifoni attaccati alle pareti esterne, è quello di utilizzare un foglio di alluminio riflettente dietro il radiatore. Bisogna posizionare il foglio tra la parete ed il termosifone o fissarlo sulla parte alta dell’elemento in modo da riflettere il calore. Questo impedisce al calore di disperdersi attraverso la parete che assorbe e convoglia le onde verso l’interno della stanza. Esistono anche specifici fogli di alluminio isolanti proprio per radiatori che amplificano l’azione del termosifone con una spesa davvero minima.

3. Tende spesse
Per proteggere la casa dalla perdita di calore attraverso le finestre è consigliabile utilizzare d’inverno delle tende piuttosto doppie che impediscano appunto il passaggio del calore verso l’esterno.Se non potete affrontare la spesa di mettere o cambiare le tende di casa buone, sappiate che le tende con una fodera termica sono un’opzione relativamente a buon mercato per ottenere un risultato soddisfacente. Se poi si vuole spendere ancora di meno si possono creare delle tende fai da te con il pile o con un altro materiale caldo. È anche possibile utilizzare le tende da doccia in PVC. Qualsiasi sarà la vostra scelta noterete subito un risparmio sulla bolletta perché sarà più facile riscaldare casa con le tende chiuse di sera.

4. Luce solare
Mentre quando viene il buio è consigliabile chiudersi bene dentro e accostare le tende davanti alle finestre o ai balconi, di giorno, quando c’è una bella giornata di sole, ricordatevi di aprire le tende e far entrare la luce che riscalderà qualsiasi ambiente naturalmente.

5. Termosifoni liberi
Cercate di evitare di mettere qualsiasi elemento di ostacolo per il calore sul termosifone. Bandite dunque le mensole di legno o marmo sul radiatore perché bloccano il calore; non usate mobili che racchiudono o nascondono il radiatore; togliete eventuali copri-termosifoni di stoffa; non posizionate mobili di grandi dimensioni, come i divani, davanti ai radiatori, almeno in inverno, perché assorbono calore.

6. Paraspifferi
Se ci sono infissi o porte non totalmente ermetici, che lasciano passare un po’ di aria esterna, munitevi di paraspifferi, anche fatti a mano se sapete come si realizzano, in modo da sigillare quello che sono i punti più deboli di una casa, le apertire verso l’esterno.

7. Porte e persiane chiuse
Finestre e balconi sono i punti più delicati di un’abitazione perché è in corrispondenza di questi elementi che sono collocate le aperture verso l’esterno. Conviene dunque, quando inizia a calare il buio o quando fuori è cattivo tempo, chiudere bene persiane e tapparelle in modo da evitare che il calore interno possa essere disperso all’esterno attraverso i serramenti. Inoltre se avete stanze inutilizzate converrebbe mantenere le porte ben chiuse in modo da impedire che l’aria fredda circoli nel resto della casa e contenere il calore generato dal sistema di riscaldamento nell’area della cosa dove si trascorre più tempo.

8. Pavimento coperto
Ben il 10% della dispersione di calore avviene tramite il pavimento, soprattutto se non sono ben isolati. Mettere per terra tappeti e coperte può limitare questo inconveniente e ha il vantaggio di mantenere i piedi più caldi. Se poi ci sono crepe o lacune nel pavimento è opportuno cercare di chiuderle semmai con l’uso di un po’ di stucco e posizionare sopra un bel tappeto che non solo è di arredo ma aiuta anche ad evitare le dispersioni dal pavimento.

9. Timer
Chi ha un riscaldamento autonomo o semiautonomo è importante che inserisca il timer. Tenere il riscaldamento acceso tutto il giorno comporta un consumo di energia notevole e una bolletta davvero alta. Conviene impostare il timer affinché metta in azione il sistema di riscaldamento prima di svegliarsi e di rientrare a casa da lavoro in modo da trovare la casa già un po’ più calda ed evitare di accendere al massimo il termostato fino a riscaldare la casa rapidamente.

10. Infissi ermetici
Se abitate in appartamenti più vecchi o avete notate che i vostri infissi o porte hanno degli spifferi, andrebbero sostituiti. Usare degli infissi a doppi vetri, ad esempio, fa risparmiare il 20-25% sulle spese di riscaldamento. Sicuramente cambiare porte ed infissi esterni ha un costo che si vorrebbe cercare di evitare il più possibile ma tenete presente che si può beneficiare di agevolazioni fiscali e sgravi  (attualmente del 55%) previsti dallo Stato per chi decidere di intervenire. Inoltre bisogna tenere presente anche che il costo di nuovi infissi più funzionali verrà totalmente ammortizzato dalle bollette successive al cambio effettuato.

tratto da: https://design.fanpage.it/come-riscaldare-casa-e-risparmiare-10-modi-per-stare-caldi-senza-spendere-troppo/

 

29 dicembre 1890 – Lo sterminio di Wounded Knee: l’ultima strage di pellirosse – Quando gli indiani del capo Big Foot sventolando, disarmati, bandiera bianca furono MASSACRATI dal glorioso esercito degli Stati Uniti – E parliamo di uomini, donne, bambini e anziani!!

 

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29 dicembre 1890 – Lo sterminio di Wounded Knee: l’ultima strage di pellirosse – Quando gli indiani del capo Big Foot sventolando, disarmati, bandiera bianca furono MASSACRATI dal glorioso esercito degli Stati Uniti – E parliamo di uomini, donne, bambini e anziani!!

Sioux vivevano ormai nelle riserve, affamati e in miseria.

Toro Seduto era appena stato ucciso e per paura il capo Big Foot (Piede Grosso) decise di spostarsi con la sua gente verso sud e di raggiungere la riserva di Pine Ridge per mettersi al sicuro.

Big Foot era ormai vecchio e malato di polmonite e non aveva nessuna intenzione di combattere ancora i bianchi; per questo sventolava una bandiera bianca quando il reggimento del colonnello Sturgis lo raggiunse e costrinse tutta la sua tribù ad accamparsi nella pianura di Wounded Knee completamente circondati dalle giacche blu (così i pellerossa chiamavano i soldati bianchi) e dai cannoni.
Faceva un freddo terribile quel giorno, nevicava ed un vento gelido spazzava la prateria.

Il popolo di Big Foot (uomini, donne, bambini e vecchi) aveva poco per coprirsi e ancor meno da mangiare, mentre le truppe bianche erano perfettamente equipaggiate e rifornite e cominciarono a sequestrare tutte le armi degli indiani.

Pare che per errore sia partito un colpo e la reazione dei soldati fu terribile e spietata.

Fu aperto il fuoco a fucilate e a cannonate contro della gente disarmata, affamata e quasi congelata dal freddo.
Bastarono pochi minuti e 370 Sioux erano stesi a terra morti.

Non contenti i soldati inseguirono le donne e i bambini che fuggivano e non ebbero nessuna pietà neanche dei neonati!

Non contenti i soldati inseguirono le donne e i bambini che fuggivano e non ebbero nessuna pietà neanche dei neonati!

Per finire si avvicinarono ai pochi indiani ancora vivi che si erano arresi e uccisero anche loro.

Il massacro di Wounded Knee, fu una delle pagine più ignobili e vergognose della storia degli Stati Uniti d’America e oggi in quel posto c’è una targa che ricorda quel terribile ed inumano sterminio.

 

fonte: http://curiosity2015.altervista.org/29-12-1890-vogliamo-ricordare-lo-sterminio-wounded-knee-lultimo-massacro-indiani-gli-indiani-del-capo-big-foot-piede-grosso-sventolando-disarmati-bandiera-bianca-fur/

Il carattere per diventare centenari? Ottimismo e un po’ di testa dura…!

Ottimismo

 

 

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Il carattere per diventare centenari? Ottimismo e un po’ di testa dura…!

 

Si è spesso studiato come mangiano, come vivono, che cosa fanno i centenari nelle loro giornate. Di rado però si è valutato il loro carattere o l’atteggiamento verso la vita: a colmare la lacuna arriva ora una ricerca dell’università La Sapienza di Roma in collaborazione con l’università californiana di San Diego, che dimostra come gli over 90 abbiano in comune alcuni tratti di personalità che, quindi, potrebbero predisporre alla longevità. Primo fra tutti l’ottimismo, che parrebbe proprio la chiave giusta per affrontare la vecchiaia.

Lavoro e terra

L’indagine, pubblicata su International Psychogeriatrics, è stata condotta su 29 ultranovantenni che vivono in nove paesini del Cilento; tutti sono stati valutati per la forma fisica e il benessere psicologico, raccogliendo anche interviste in cui i partecipanti raccontavano la propria vita. I loro figli o altri componenti più giovani delle famiglie sono stati anch’essi valutati, in più è stato chiesto loro di dare un giudizio sul carattere dei “nonni”. Dai risultati emergono molti spunti: per una volta infatti non si sono cercati geni della longevità o alimenti in grado di allungare la vita, ma tratti della personalità che potrebbero essere correlati a un invecchiamento di successo. Gli elementi più spesso associati a una vita lunga? La positività, l’etica del lavoro, la testardaggine e anche un legame profondo con la famiglia, la religione, la propria terra.

Tutti un po’ «filosofi»

«L’amore per la terra è una costante negli ultranovantenni e dà loro uno scopo nella vita: la maggior parte degli intervistati tuttora lavora in casa o nei campi – dice Anna Scelzo, coordinatrice dell’indagine –. Pensano “Questa è la mia vita, e io non voglio smettere di viverla”». La saggezza dei nonnini si conferma una realtà: i dati mostrano infatti che i centenari, pur se la salute fisica pian piano li abbandona, sono sicuri di sé e mantengono ottime capacità decisionali; sono insomma un po’ teste dure, a dirla tutta. «Questi anziani hanno tendenza a controllare l’ambiente e dominarlo: si preoccupano poco di quel che pensano gli altri e sono molto fermi nelle loro convinzioni – dice Scelzo –. Studiare queste persone, che non solo vivono a lungo ma “fioriscono” e si realizzano anche nell’età più avanzata, migliora le nostre conoscenze sulle capacità funzionali umane nelle diverse età». E magari ci dà qualche dritta per imparare a vivere meglio, visto che molte delle frasi raccolte sono vere perle di saggezza: c’è infatti chi dice di non sapere che cosa sia lo stress o chi sottolinea che c’è sempre una soluzione alle difficoltà, da affrontare sempre sperando per il meglio. Come pure chi afferma sentirsi più giovane di quando lo era realmente o chi ha trovato nella famiglia la forza di superare lutti e problemi, per poi arrivare a dire «Ho combattuto per tutta la vita e sono sempre pronto ai cambiamenti. I cambiamenti portano vita e danno la possibilità di migliorare». Centenari sì, ma soprattutto filosofi.

fonte: http://www.corriere.it/salute/neuroscienze/17_dicembre_13/carattere-diventare-centenari-ottimismo-testa-dura-33e25830-e00b-11e7-be01-4bf2c9174b4a.shtml

Una fantastica attualissima poesia di TRILUSSA – Doppo l’elezzioni…

 

TRILUSSA

 

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Una fantastica attualissima poesia di TRILUSSA – Doppo l’elezzioni…

TRILUSSA – Doppo l’elezzioni

Nun c’era un muro senza un manifesto,
Roma s’era vestita d’Arlecchino;
ogni passo trovavi un attacchino
c’appiccicava un candidato onesto,
còr programma politico a colori
pè sbarajà la vista a l’elettori.
Promesse in verde,affermazioni in rosso,
convincenti in giallo e in ogni idea
ce se vedeva un pezzo di livrea
ch’er candidato s’era messa addosso
cò la speranza de servì er Paese….
(viaggi pagati e mille lire ar mese.)
Ma ringrazziamo Iddio! ‘Sta vorta puro
la commedia è finita, e in settimana
farà giustizia la Nettezza Urbana
che lesto e presto raschierà dar muro
l’ideali attaccati co’ la colla,
che so’ serviti a ingarbujà la folla.
De tanta carta resterà, se mai,
schiaffato su per aria, Dio sa come,
quarche avviso sbiadito con un nome
d’un candidato che cià speso assai…
Ma eletto o no, finchè l’avviso dura,
sarà er ricordo d’una fregatura.

La casa che si riscalda da sola – Ecco l’edificio che non ha praticamente bisogno di un sistema di riscaldamento. Comodo e soprattutto economico!

 

casa

 

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La casa che si riscalda da sola – Ecco l’edificio che non ha praticamente bisogno di un sistema di riscaldamento. Comodo e soprattutto economico!

 

La Casa Passiva: ambiente e convenienza
Intervista a Wolfgang Feist, uno degli “inventori” del modello di edificio che non ha praticamente bisogno di riscaldamento.

La casa passiva è un edificio che non ha praticamente bisogno di un sistema di riscaldamento. In quanto tale, è probabilmente una delle migliori invenzioni degli ultimi decenni. Basti pensare che, secondo l’Ispra, l’inquinamento atmosferico nelle principali città italiane è causato soprattutto dal riscaldamento domestico. Ma anche al bilancio di una famiglia media, su cui la bolletta del gas grava in maniera importante.

Le Passivhaus sono diffuse soprattutto in Germania, Austria, Olanda e nei Paesi scandinavi, è molto diffusa negli Stati Uniti e il suo mercato ora si sta espandendo anche in Cina. Da qualche anno, però, se ne vedono anche in Italia, dove il trend sembra in costante crescita. L’Ente certificatore a cui più si deve la diffusione di questo tipo di edifici è sicuramente il Passive House Institute di Darmstadt, in Germania. Questo centro di ricerca, il più importante a livello mondiale nel suo genere, è stato fondato dal Prof. Dr. Wolfgang Feist, che tuttora lo dirige.

Siamo andati in Germania, e lì abbiamo potuto fare qualche domanda a questo precursore delle case del futuro. Sì, perché in Paesi come l’Austria, dal 2015, la casa passiva sarà lo standard prescritto per tutti gli edifici. In tutti gli altri, invece, a imporre norme energetiche più efficienti ci penseranno i costi e il buonsenso. E che sia questa la via per sbloccare il moribondo settore edilizio?

Dottor Feist, vuole presentarci brevemente il suo istituto?  

Il Passive House Institute è un centro di ricerca indipendente, specializzato in edifici dall’alta efficienza energetica. Dalla sua fondazione, nel 1996, ha lavorato allo sviluppo di concetti di progettazione e al miglioramento delle componenti edilizie. Per facilitare il processo di pianificazione ad architetti e designer l’Istituto fornisce il PHPP (Passive House Planning Package) e lo strumento 3-D designPH. La ricerca si concentra anche sul’’applicazione dello Standard Passive House a tipi di edifici diversi e a varie zone climatiche, e al monitoraggio dei progetti realizzati.

Come funziona una Passivhaus? Quali sono le sue principali caratteristiche?  

Lo Standard Passive House è un concetto di design sostenibile, caratterizzato da efficienza energetica e convenienza, così come da condizioni di vita confortevoli e salutari. L’edificio è progettato in modo da ottenere una qualità dell’aria interna ottimale e il comfort termico, mentre il fabbisogno energetico rimane trascurabile. Questo risultato è ottenuto soprattutto attraverso cinque principi fondamentali: un livello di isolamento termico dell’’involucro particolarmente buono, infissi migliorati a livello termico con vetri appropriati (per i climi freddi i tripli vetri), la costruzione senza ponti termici, una buona tenuta dell’aria e, infine, una ventilazione confortevole con recupero del calore nei climi freddi e controllo dell’umidità in quelli umidi. La conseguente domanda di picco per il riscaldamento non deve superare i 10 watt per metro quadrato, e un requisito analogo vale per il raffreddamento sensibile. Poiché il fabbisogno energetico durante l’anno si riduce fino al 90 percento, gli investimenti si ripagano con i risparmi sui costi operativi.

Quanti edifici ha già certificato il Vostro Istituto? E dove, in particolare?

Il numero di unità abitative certificate dal Passive House Institute è di circa diecimila. La maggior parte di esse è stata costruita nell’Europa centrale – e di questo non c’è da stupirsi, dal momento che è dove ne è iniziato lo sviluppo, oltre 20 anni fa. Ma la distribuzione geografica sta cambiando. La ricerca ha dimostrato che il concetto di casa passiva funziona in tutte le zone climatiche. E non solo in teoria: oggi ci sono edifici Passive House dalla Cina al Messico e dalla Nuova Zelanda al Canada. Il numero totale di case passive nel mondo può solo essere stimato, ma è senza dubbio molte volte quello degli edifici certificati.

E in Italia? 

Ci sono già molti edifici Passive House anche in Italia, non solo case unifamiliari, ma anche edifici per uffici e scuole. La maggior parte di essi è situata per ora nella parte settentrionale del Paese. Ma ci sono molti esempi di edifici certificati Passive House anche in Sicilia, per esempio.

La gente pensa spesso che una casa passiva è troppo costosa da costruire, che è “roba da ricchi”. È vero?  

No, è un’idea assolutamente sbagliata. La convenienza è fra i principali vantaggi dello standard. In molte città in Germania, Austria e altre nazioni, società di alloggi municipali hanno scelto la Casa Passiva per i loro programmi di edilizia sociale. Ci sono costi aggiuntivi da anticipare, naturalmente: per i prodotti efficienti energeticamente come le finestre o i sistemi di ventilazione, così come per la manodopera qualificata in cantiere. Rispetto a una casa normale i costi potrebbero essere del sei o sette percento superiori. Anche questo sta cambiando, perché più sono i prodotti sul mercato e più sono i costruttori e i designer con esperienza in questo campo, minore è l’investimento in più che si deve affrontare. Nel corso del tempo in cui si utilizza l’edificio si risparmia parecchio, anche con gli attuali prezzi dell’energia. Se questi ultimi dovessero salire, e secondo la maggior parte delle previsioni sarà così, il risparmio sarebbe ancora più alto.

Quali sono i risparmi nel riscaldamento e la riduzione di gas a effetto serra in un edificio come quelli che certificate?  

Dipende sempre dal punto di partenza, naturalmente. Rispetto al patrimonio edilizio esistente nell’Europa occidentale, il risparmio energetico secondo lo standard della Casa Passiva va dall’80 al 90 percento. La domanda rimanente è così piccola che può essere facilmente coperta con le energie rinnovabili. In questo caso le emissioni di gas serra sono sostanzialmente ridotte a zero.

Si può anche ristrutturare un edificio in modo da renderlo passivo, o è solo possibile costruirne di nuovi?  

È del tutto possibile anche ristrutturare un edifico secondo lo Standard Passive House. Nella maggior parte dei casi però non sarebbe la scelta più efficace e non la consigliamo. A seconda del tipo di costruzione, dell’orientamento, della progettazione e di un paio di altri aspetti, consigliamo di sviluppare un piano di ristrutturazione completo, utilizzando misure più idonee – che saranno i componenti della casa passiva nella maggior parte dei casi. L’obiettivo dovrebbe essere quello di raggiungere l’EnerPHit Standard per retrofit (con il retrofit si aggiungono nuove tecnologie o funzionalità ad un sistema vecchio, ndr), che il Passive House Institute ha sviluppato per aiutare gli ingegneri in questo processo. E in molti casi ha davvero senso realizzare i miglioramenti con un approccio step-by-step. In questo modo, l’efficienza energetica può essere notevolmente migliorata in un modo molto conveniente, utilizzando componenti di una casa passiva in ogni passaggio.

Pensa che potremo vedere nei prossimi anni una larga diffusione di questo tipo di edifici, oppure le persone non sono ancora pronte culturalmente a un tale cambiamento (soprattutto nell’Europa meridionale)?  

Il numero di edifici Passive House e retrofit EnerPHit è in costante aumento, soprattutto in Italia, che vede sicuramente uno sviluppo crescente. E sono abbastanza sicuro che questo aumento continuerà. La lotta al cambiamento climatico e la riduzione del consumo di energia stanno diventando sempre più importanti. E la casa passiva è una soluzione, che oltre tutto è economicamente attraente, e che fornisce un clima interno eccezionalmente buono.

 

 fonte: http://www.lastampa.it/2014/10/02/scienza/ambiente/inchiesta/la-casa-passiva-quando-ledilizia-concilia-ambiente-e-convenienza-zCb8C4lH6ZY819sx5EOpgM/pagina.html

Gino Strada: siamo in guerra da 15 anni per “portare pace”. E in questi 15 anni quante volte è cambiato “il mostro”? Eppure il mostro è ancora lì. La guerra è il vero mostro da eliminare!!

 

Gino Strada

 

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Gino Strada: siamo in guerra da 15 anni per “portare pace”. E in questi 15 anni quante volte è cambiato “il mostro”? Eppure il mostro è ancora lì. La guerra è il vero mostro da eliminare!!

 

Mi chiedono: “Ma allora quale è la soluzione? Che cosa fare per sconfiggere l’ISIS?”.

Io non ho “la soluzione”, anzi credo che la soluzione oggi non ci sia, che non esista ancora. Va trovata, in un lungo e difficile processo di maturazione e di crescita che deve coinvolgere milioni di cittadini. Iniziando a capire il presente e il passato, per immaginare e disegnare un futuro possibile. Per ciò che ho letto e sentito, e per quello che ho visto in anni di lavoro in mezzo alle guerre, ogni guerra ha inflitto all’umanità enormi sofferenze e ha posto le basi per le violenze successive.

Il vero problema, credo, è l’uso dello strumento guerra per risolvere le contese: non funziona, è illusorio. Io parto da qui, dal riconoscere che quello strumento non è adatto, che è stupido prima ancora che crudele e immorale.

Lo sforzo a cui tutti siamo chiamati è immaginare soluzioni che non prevedano – anzi, che escludano – l’uso della violenza.

Una enorme dose di violenza è stata usata negli ultimi 15 in molte parti del pianeta, per “portare pace” e “per difenderci”. Regna la pace, quindici anni dopo, in tutti quei Paesi?

E noi, come ci sentiamo: ben protetti, più tranquilli? No, siamo onesti, dopo 15 anni di guerre ci sentiamo più in pericolo, più indifesi e impotenti in questa guerra che non riusciamo a fermare. E abbiamo ragione, perché è così, il pericolo c’è ed è crescente.

Ancora una volta, purtroppo si sta scegliendo e praticando la guerra, la mortale altalena delle bombe e delle autobombe, dei droni e dei kamikaze, delle bombe buone e di quelle cattive. Chi vincerà? Io so soltanto che perderanno i cittadini.

Quante volte è cambiato “il mostro” negli ultimi 15 anni di guerre? Eppure il mostro è ancora lì. Sono convinto che sia la guerra il vero mostro da eliminare, da bandire dalla storia degli umani in quanto dis-umana, distruttiva dell’umanità.

Non sarà certo una impresa facile mettere al bando la guerra, farla diventare un tabù per le nostre coscienze e abolirla per legge, come si è fatto con la schiavitù. Certo, ci sono ancora tante diverse forme di schiavitù nel mondo, ma l’idea di rendere schiavi altri esseri umani è abolita, non ha più – speriamo per sempre – diritto di esistere nel nostro pianeta. Per costruire un percorso di pace è indispensabile prima di tutto rinunciare alla guerra, escluderla dalle opzioni possibili.

E’ un impegno urgente: solo nell’ultima settimana sono oltre 1200 le vittime accertate per atti di guerra. La quasi totalità civili.

Gino Strada – Novembre 2015

 

fonte: https://myrebellion.blog/2017/04/07/gino-strada-guerra/

Co2: in Islanda il primo impianto negative emission…!

 

Islanda

 

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Co2: in Islanda il primo impianto negative emission…!

In Islanda è stato avviato un impianto particolare che sfrutta l’energia geotermica per produrre elettricità. La sua caratteristica? È un impianto “negative emission”.

Che l’Islanda sia una miniera d’oro per l’energia geotermica si sapeva ma quello che è stato realizzato ad Hellisheidi è qualcosa senza precedenti: è un impianto “negative emission“. Si tratta di una centrale che produce energia non solo senza emettere CO2 ma con saldo negativo di emissioni. Una meraviglia tecnologica che dimostra quanto sia importante applicare le tecniche di geoingegneria nella lotta contro i cambiamenti climatici.

 

Cosa significa negative emission?

Produciamo 40 trilioni di Kg di CO2 ogni anno. L’impegno preso dai leader di tutto il mondo durante la Cop21 di Parigi è chiaro: Se vogliamo salvare la terra dagli effetti devastanti dei cambiamenti climatici, è fondamentale mantenere l’aumento di temperatura sotto i 2°C rispetto all’era pre-industrializzata. Se continuiamo a produrre energia nel modo in cui lo stiamo facendo, gli effetti dei cambiamenti climatici non potranno che aumentare. Recenti studi dimostrano che i piani nazionali presentati a Parigi non sono sufficienti a mitigare il global warming, presto raggiungeremo il così detto “carbon budget”, la quota massima di emissioni climalteranti ammissibile per rimanere sotto l’aumento dei due gradi. Oltre quel limite saremo costretti non solo a non emettere più gas serrama dovremo eliminare la CO2 presente in atmosfera. Su questo principio si basa l’impianto islandese: preleva CO2dall’atmosfera e la immette nel sottosuolo realizzando, o meglio contabilizzando, “negative emission”.

Il progetto CarbFix2 applicato alla geotermia

L’impianto geotermico di Hellisheidi ha sposato con successo il progetto CarbFix2, finanziato con fondi dell’Unione europea nell’ambito del programma di ricerca e innovazione Horizon 2020. Il merito di questo successo va a Climeworks, una società che da anni porta avanti ricerche importanti su come catturare e stoccare la CO2 in eccesso in atmosfera. Il loro obiettivo è di catturare l’1% delle emissioni globali entro il 2025 e sicuramente l’impianto islandese, frutto dei loro anni di ricerca, si muove nella direzione giusta. Cuore del progetto è il DAC, Direct Air Capture, un dispositivo particolare in grado di aspirare l’aria circostante e trattenere l’anidride carbonica in essa contenuta grazie ad un particolare filtro. L’impianto di Hellisheidi ha una parete intera composta da questi “aspiratori” che filtrano aria e nel momento in cui i filtri sono saturi di CO2, vengono riscaldati dagli scarichi della centrale. Il calore raggiunge temperature tali che l’anidride carbonica si stacca dal filtro, viene mescolata con acqua e successivamente iniettata nel sottosuolo. Grazie all’azione combinati di questi due sistemi la centrale di Hellisheidi può vantarsi di essere “negative emission”.

Lo stoccaggio della CO2 nel sottosuolo

Il mix di acqua e CO2 raggiunge una profondità di circa 700 metri dove incontra uno strato di roccia basaltica e, per mezzo di una reazione chimica, reagisce trasformandosi in minerali carbonati. Fino a qualche tempo fa si pensava che il processo di mineralizzazione avesse una durata lunghissima, tra centinaia e migliaia di anni, ma il team di ricerca CarbFix2 con enorme sorpresa ha scoperto che questo processo dura meno di due anni. Juerg Matter, capo del progetto afferma: “I nostri risultati dimostrano che una percentuale tra il 95 e il 98% della CO2 iniettata nel sottosuolo mineralizza in un periodo di tempo inferiore a due anni, un processo velocissimo rispetto alle stime precedenti”.

Il processo di stoccaggio della CO2 nel sottosuolo è stata fonte di pareri contrastanti negli ultimi anni; nel 2015 uno studio del MIT ha affermato che le tecniche di allora non solo erano molto costose, ma rappresentavano un rischio per l’ambiente. Senza un posto ben preciso dove stoccare il biossido di carbonio e senza un metodo sicuro quale utilità potevano avere le tecniche di cattura della CO2? Il rischio è che il gas poteva disperdersi in atmosfera. Fortunatamente la centrale “negative emission” di Hellisheidi smentisce queste ipotesi e dimostra che le tecniche sono ormai mature, oltre che ecologicamente sicure, per essere adottate su larga scala. Christoph Gebald, CEO di Climeworks afferma entusiasta: “Le potenzialità della nostra tecnologia combinata con lo stoccaggio della CO2, sono enormi. Non solo in Islanda ma in moltissime altre regioni del mondo dove nel sottosuolo ci sono conformazioni rocciose simili”.

La tecniche di geoingegneria possono risolvere il problema dei cambiamenti climatici?

Le tecniche di geoingegneria ed in particolare quelle che possono creare “negative emission” hanno dimostrato nel tempo che possono contribuire concretamente alla lotta ai cambiamenti climatici. Secondo lo studio del National Center for Atmospheric Research (NCAR) tra il 2080 e il 2090 dovremo iniziare a rimuovere una quantità di CO2 dall’atmosfera variabile fra 5 e 10 miliardi di tonnellate/annue per stoccarle nel sottosuolo, negli oceani o sul terreno. Il limite delle attuali tecnologie è rappresentato dai costi; nella centrale di Hellisheidi stoccare la CO2 nel sottosuolo ha un costo di circa 30 $ a tonnellata, quello che pesa ancora molto è il processo di aspirazione dell’aria che, se dovesse scendere sotto i 100 $ per ciclo (obiettivo dichiarato dai creatori della tecnologia), la renderebbe adottabile su larga scala. La centrale islandese è l’esempio di come la tecnologia e la ricerca continuano a fare passi da gigante e la diminuzione dei costi di queste tecniche innovative ne aumenterà la diffusione su larga scala, contribuendo finalmente ad abbattere i livelli di CO2 in atmosfera.

fonte: http://www.green.it/co2-islanda-primo-impianto-negative-emission/