Jamie Depuis, l’artista che suona “The Sound of Silence” con una chitarra a 18 corde – preparatevi a un momento magico…

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Jamie Depuis, l’artista che suona “The Sound of Silence” con una chitarra a 18 corde – preparatevi a un momento magico…

La musica addolcisce, si dice. Soprattutto quando viene suonata alla perfezione. Conoscete uno strumento chiamato “chitarra-arpa”?

Qualunque sia la vostra risposta, rimarrete affascinati dal video qui a seguire. L’artista si chiama Jamie Depuis. Questo musicista canadese suona uno dei successi piú grandi di Simon & Garfunkel, la mitica “The Sound of Silence.”

Tuttavia, la suona con uno strumento particolare, la chitarra-arpa a 18 corde. Questo strumento è come una chitarra ma possiede corde aggiuntive. Non sono parallele, ma fissate direttamente sul telaio, come vedrete nel video.

Uno strumento assolutamente originale per un’interpretazione ipnotizzante. Jamie Depuis si trova nel cuore della foresta, in un’atmosfera di grande pace e tranquillità, perfetta per questa canzone. Noi siamo affascinati.

‘The Sound of Silence’ è stata composta da Paul Simon e Art Garfunkel, e rilasciata nel 1964. È una delle canzoni preferite di sempre e la versione di Jamie Depuis, esclusivamente strumentale, ne è un tributo favoloso.

L’artista ha suonato molti altri pezzi sul suo canale Youtube, ogni volta lascia senza parole. Ha un talento straordinario, merita di essere conosciuto da tutti!

Il suggestivo test tibetano che svela la tua personalità con sole 3 domande

test

 

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Il suggestivo test tibetano che svela la tua personalità con sole 3 domande

 

Un semplice test della personalità, chiamato test tibetano, rivela in sole 3 domande come ti senti in questo momento della tua vita e come sono le tue relazioni con gli altri. I monaci tibetani sono conosciuti in tutto il mondo per la loro saggezza. Scopri se questo test può svelare qualcosa sulla tua personalità che ancora non sai.

1) Metti in ordine gli animali

La prima richiesta di questo test di personalità è molto semplice. Immagina di avere questi 5 animali di fronte a te e ordinali in base alle tue preferenze, senza pensarci su troppo. Scrivi la tua classifica e tienila da parte.

  • Mucca
  • Tigre
  • Capretto
  • Cavallo
  • Maialino

2) Descrizione con aggettivi

Per ognuno dei seguenti elementi indica gli aggettivi che sceglieresti per descriverli e annotali su un foglio per ricordarli.

  • Cane
  • Gatto
  • Topo
  • Tazzina di caffè
  • Mare

3) Associa colori e persone

A ciascuno dei seguenti colori associa una persona importante della tua vita. Visualizza ciascun colore e assegnalo alla persona che preferisci.

  • Giallo
  • Arancione
  • Rosso
  • Bianco
  • Verde

……………………

Interpreta le tue risposte

Consulta queste liste per interpretare le tue risposte al test tibetano della personalità.

1) L’ordine degli animali rappresenta le tue priorità nella vita

  • Mucca: rappresenta la tua carriera professionale
  • Tigre: rappresenta il tuo ego e l’orgoglio
  • Capretto: rappresenta la persona che ami
  • Cavallo: rappresenta la tua famiglia
  • Maialino: rappresenta il denaro e i beni materiali

2) Gli aggettivi che hai scelto si riferiscono a diversi aspetti della tua vita

  • La descrizione del cane rappresenta la tua personalità
  • La descrizione del gatto corrisponde alla personalità del partner
  • La descrizione del topo corrisponde alla personalità dei tuoi nemici
  • La descrizione della tazzina di caffè è la tua interpretazione del sesso e della passione
  • La descrizione del mare rappresenta ciò che pensi della tua vita

3) Ogni colore indica ciò che quella persona rappresenta per te

  • Giallo: è una persona che ha segnato molto la tua vita
  • Arancione: è un vero amico, una persona di fiducia
  • Rosso: è una persona che desideri o ammiri
  • Bianco: è la tua anima gemella o qualcuno con cui ti identifichi
  • Verde: è una persona che ti dona molta energia o che ti calma quando ne hai bisogno

Siete d’accordo con i risultati del test che avete ottenuto?

Una vergogna per l’intera umanità che non possiamo assolutamente dimenticare: 29 dicembre 1890, il massacro di Wounded Knee, quando il glorioso esercito degli Stati Uniti sterminò 300 indiani disarmati (tra cui 200 donne e bambini)…

 

Wounded Knee

 

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Una vergogna per l’intera umanità che non possiamo assolutamente dimenticare: 29 dicembre 1890, il massacro di Wounded Knee, quando il glorioso esercito degli Stati Uniti sterminò 300 indiani disarmati (tra cui 200 donne e bambini)…

 

Da Wikipedia

Negli ultimi giorni del dicembre 1890, la tribù di Miniconjou guidata da Big Foot (Piede Grosso), alla notizia dell’assassinio di Toro Seduto, partì dall’accampamento sul torrente Cherry per recarsi a Pine Ridge, sperando nella protezione di Nuvola Rossa.

Il 28 dicembre furono intercettati da quattro squadroni di cavalleria Settimo Reggimento guidato dal maggiore Samuel Whitside, che aveva l’ordine di condurli in un accampamento di cavalleria sul Wounded Knee. 120 uomini e 230 tra donne e bambini furono portati sulla riva del torrente, accampati e circondati da due squadroni di cavalleria e sotto tiro di due mitragliatrici.

Il comando delle operazioni fu preso dal colonnello James Forsyth e l’indomani gli uomini di Piede Grosso, ammalato gravemente a causa di una polmonite, furono disarmati. Coyote Nero, un giovane Miniconjou sordo, tardò a deporre la sua carabina Winchester, fu circondato dai soldati e, mentre deponeva l’arma, partì un colpo a cui seguì un massacro indiscriminato. Il campo venne falciato dalle mitragliatrici e i morti accertati furono 153. Secondo una stima successiva, dei 350 Miniconjou presenti ne morirono quasi 300.

Venticinque soldati furono uccisi, alcuni probabilmente vittime accidentali dei loro compagni. Dopo aver messo in salvo i soldati feriti, un distaccamento tornò sul campo dove furono raccolti 51 indiani ancora vivi, 4 uomini e 47 tra donne e bambini. Trasportati a Pine Ridge, furono in seguito ammassati in una chiesetta ove (per gli addobbi natalizi) si poteva leggere la scritta:

« Pace in terra agli uomini di buona volontà. »

A Wounded Knee, sul cartello rosso dove si può leggere la storia del massacro, è riportata la scritta Massacre of Wounded Knee. La scritta massacre venne aggiunta sopra la vecchia scritta Battle in quanto inizialmente venne dato il nome di battaglia di Wounded Knee e, spesso, viene tuttora riportata e ricordata come ultimo scontro armato tra nativi e Governo.[1]

fonte: https://it.wikipedia.org/wiki/Massacro_di_Wounded_Knee

Da Sentierorosso.com:

wounded knee 1890

Era quasi il crepuscolo quando la colonna avanzò lentamente sull’ultima altura e cominciò a scendere il pendio, verso Chankpe Opi Wakpala, il torrente chiamato Wounded Knee. L’oscurità invernale e i minuscoli cristalli di ghiaccio che danzavano nella luce morente davano una nota soprannaturale al paesaggio melanconico. In qualche luogo segreto lungo quel corso d’acqua ghiacciato giaceva il cuore di Cavallo Pazzo e i Danzatori degli Spettri credevano che il suo spinto disincarnato attendesse con impazienza la nuova, terra che sarebbe certamente venuta con la prima erba verde di primavera.
Nell’accampamento della cavalleria sul torrente Wounded Knee, gli indiani furono fermati e contati accuratamente. Vi erano 120 uomini e 230 donne e bambini. A causa della crescente oscurità, il maggiore Whitside decise di attendere il mattino per disarmare i suoi prigionieri. Egli assegnò loro per accamparsi un’area a sud nelle immediate vicinanze del campo militare, distribuì loro razioni e poiché scarseggiavano i rivestimenti dei tepee, fornì loro diverse tende. Whitside ordinò che venisse messa una stufa nella tenda di Piede Grosso e mandò un chirurgo del reggimento a curare il capo malato. Per essere sicuro che nessuno dei prigionieri fuggisse, il maggiore mise di guardia due squadroni di cavalleria intorno ai tepee dei Sioux e poi piazzò i suoi due Hotchkiss in cima a un’altura che dominava l’accampamento. Questi cannoni scanalati, che potevano lanciare cariche esplosive a più di due miglia, furono messi in posizione tale da colpire le tende degli indiani da un capo all’altro dell’accampamento.
Più tardi, in quella notte di dicembre, il resto del 7° reggimento marciò da est e bivaccò a nord degli squadroni di Whitside. Il colonnello James W. Forsyth, comandante dell’ex reggimento di Custer, prese ora il comando delle operazioni» Informò Whitside che aveva ricevuto ordine di mettere la banda di Piede Grosso su un treno della Union Pacific Railroad e di portarla in una prigione militare di Omaha.
Dopo aver piazzato altri due cannoni Hotchkiss sul pendio accanto agli altri, Forsyth e i suoi ufficiali si accinsero a trascorrere la notte con un barilotto di whiskey per festeggiare la cattura di Piede Grosso.
Il capo si trovava nella sua tenda, troppo ammalato per dormire, in grado appena di respirare. Perfino con le loro protettive Camicie degli Spettri e la loro fede nelle profezie del nuovo Messia, i Miniconjou avevano paura dei soldati a cavallo accampati intorno a loro. Quattordici anni prima, sul Little Bighorn, alcuni di questi guerrieri avevano contribuito alla sconfitta di alcuni di questi capi soldati – Moylan, Varnum, Wallace, Godfrey, Edgerly – e gli indiani si domandavano se nei loro cuori vi era ancora un desiderio di vendetta.
«II mattino seguente sentii uno squillo di tromba» disse Wasumaza, uno dei guerrieri di Piede Grosso che alcuni anni dopo cambiò il suo nome con quello di Dewey Beard. «Poi vidi i soldati che montavano a cavallo e ci circondavano. Fu annunciato che tutti gli uomini dovevano venire al centro del campo per un colloquio e che dopo il colloquio dovevano andare nell’agenzia di Pine Ridge. Piede Grosso fu portato fuori dal suo tepee e sedette davanti alla sua tenda e gli uomini più anziani si riunirono intorno a lui e si sedettero proprio vicino a lui al centro.»
Dopo aver distribuito le gallette per la colazione, il colonnello Forsyth informò gli indiani che ora dovevano essere disarmati. «Chiesero i fucili e le armi,» disse Lancia Bianca «così tutti noi consegnammo i fucili e li ammonticchiammo al centro.» I capi dei soldati non erano soddisfatti del numero delle armi consegnate e così mandarono squadroni di soldati a perquisire i tepee. «Entrarono nelle tende e uscirono con fagotti e li strapparono per aprirli» disse Cane Capo. «Presero le scuri, i coltelli e i pali delle tende e li ammonticchiarono vicino ai fucili.»
Non ancora soddisfatti, i capi dei soldati ordinarono ai guerrieri di togliersi le coperte di dosso e di sottoporsi a una perquisizione. I volti degli indiani esprimevano tutta la loro rabbia, ma solo lo stregone, Uccello Giallo, protestò apertamente. Accennò pochi passi della Danza degli Spettri, e intonò un canto sacro, assicurando i guerrieri che le pallottole dei soldati non avrebbero forato i loro indumenti sacri. «Le pallottole non andranno verso di voi» egli cantò in Sioux. «La prateria è grande e le pallottole non andranno verso di voi.»
I soldati di cavalleria trovarono solo due fucili, uno dei quali era un Winchester nuovo che apparteneva a un giovane Miniconjou di nome Coyote Nero. Coyote Nero sollevò il Winchester sopra la testa gridando che aveva pagato molto denaro per il fucile e che apparteneva a lui. Alcuni anni dopo Dewey Beard ricordò che Coyote Nero era sordo. «Se lo avessero lasciato solo egli sarebbe andato a deporre il fucile nel posto indicato. Essi invece lo afferrarono e lo spinsero in direzione est. Egli non si preoccupò nemmeno allora. Il suo fucile non era puntato su nessuno. La sua intenzione era di mettere giù quel fucile. Essi si fecero avanti e afferrarono il fucile che egli si stava accingendo a deporre. Lo avevano appena circondato quando si udì un colpo di fucile abbastanza forte. Non saprei dire se qualcuno fu colpito, ma dopo quel colpo ci fu un gran fracasso.»
« Quel rumore assomigliava molto al suo suono della tela strappata» disse Penna Frusta. Colui-Che-Teme-il-Nemico lo descrisse come lo «scoppio di un fulmine».
Falco Rotante disse che Coyote Nero «era un uomo pazzo, un giovane che aveva una cattiva influenza sugli altri e in realtà era una nullità». Disse che Coyote Nero sparò col suo fucile e «immediatamente i soldati risposero al fuoco e ne seguì un massacro indiscriminato».
All’inizio del tumulto, il fuoco delle carabine era assordante, e l’aria era piena di fumo. Fra i moribondi che giacevano accasciati sulla terra gelata vi era Piede Grosso. Poi il fragore delle armi cessò per un momento, mentre piccoli gruppi di indiani e di soldati combattevano corpo a corpo, usando coltelli, mazze e pistole. Poiché solo pochi indiani avevano armi, dovettero presto fuggire e allora i grandi fucili Hotchkiss sulla collina aprirono il fuoco su di loro, sparando quasi un proiettile al secondo, falciando l’accampamento indiano, facendo a pezzi i tepee con gli shrapnel, uccidendo uomini, donne e bambini.
«Cercammo di fuggire,» disse Louise Orsa Astuta «ma essi ci sparavano addosso come se fossimo bisonti. Io so che vi sono alcune persone bianche buone, ma i soldati che spararono sui bambini e sulle donne furono infami. I soldati indiani non avrebbero fatto una cosa simile ai bambini bianchi.»
«Corsi via da quel luogo e seguii quelli che stavano scappando» disse Hakiktawin, un’altra giovane donna. «Mio nonno, mia nonna e mio fratello furono uccisi quando attraversammo la gola, e poi una pallottola mi trapassò il fianco destro e poi anche il polso destro e lì mi fermai perché non ero in grado di camminare e dopo il soldato mi raccolse e si avvicinò una ragazzina e si nascose sotto la coperta.»
Quando finì l’esplosione di follia. Piede Grosso e più della metà della sua gente erano morti o erano gravemente feriti; i morti accertati furono 153, ma molti dei feriti si allontanarono strisciando e morirono in seguito. Secondo una valutazione, dei 350 Miniconjou che si trovavano lì, i morti, fra uomini, donne e bambini, furono quasi trecento. Fra i soldati vi furono venticinque morti e trentanove feriti, per la maggior parte colpiti dalle loro stesse pallottole o shrapnel.
Dopo che i soldati di cavalleria feriti furono mandati all’agenzia di Pine Ridge, un distaccamento di soldati si recò sul campo di battaglia di Wounded Knee, raccolse gli indiani che erano ancora vivi e li caricò sui carri. Poiché appariva chiaro che prima di sera si sarebbe scatenata una tempesta di neve, gli indiani morti furono lasciati là dove erano caduti. (Dopo la tempesta di neve, quando un gruppo di affossatori tornò a Wounded Knee, trovò i corpi, compreso quello di Piede Grosso, congelati in posizioni grottesche.)
I carri carichi di Sioux feriti (quattro uomini e quarantasette donne e Bambini) raggiunsero Pine Ridge quando era già notte. Poiché tutte le baracche disponibili erano occupate dai soldati, gli indiani furono lasciati sui carri scoperti, esposti al freddo intenso, mentre un inetto ufficiale dell’esercito cercava un riparo. Infine fu aperta la chiesa episcopale, furono tolte le panche, e il pavimento fu ricoperto con uno strato di paglia.
Era il quarto giorno dopo Natale dell’anno del Signore 1890. Quando i primi corpi straziati e sanguinanti furono portati nella chiesa illuminata dalle candele, quelli che non avevano perso la conoscenza poterono vedere gli addobbi natalizi che pendevano dalle travi del soffitto. Da un capo all’altro del presbiterio, sopra il pulpito, era appeso uno striscione con la scritta: PACE IN TERRA AGLI UOMINI DI BUONA VOLONTÀ.
“Non sapevo in quel momento che era la fine di tante cose. Quando guardo indietro, adesso, da questo alto monte della mia vecchiaia, ancora vedo le donne ed i bambini massacrati, ammucchiati e sparsi lungo quel burrone a zig-zag, chiaramente come li vidi coi miei occhi da giovane. E posso vedere che con loro morì un’altra cosa, lassù, sulla neve insanguinata, e rimase sepolta sotto la tormenta. morì il sogno di un popolo. Era un bel sogno… il cerchio della nazione è rotto ed i suoi frammenti sono sparsi. Il cerchio non ha più centro, e l’Albero sacro è morto.”
Alce Nero (Hehaka Sapa)

 

fonte: http://www.sentierorosso.com/storia-dei-nativi-americani/la-storia-degli-indiani-d-america/wounded-knee-1890

Attenzione – nuova data per la fine del mondo, e questa volta la questione potrebbe essere seria: il 19 gennaio 2038 tutti gli Smartphone potrebbero smettere di funzionare, allora sì che sarà l’Apocalisse!

 

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Attenzione – nuova data per la fine del mondo, e questa volta la questione potrebbe essere seria: il 19 gennaio 2038 tutti gli Smartphone potrebbero smettere di funzionare, allora sì che sarà l’Apocalisse!

Smartphone, lo studio: perché nel 2038 non funzioneranno più

dispositivi elettronici avrebbero ancora pochi anni di vita a disposizione. Secondo uno studio effettuato da Mikko Hypponen, un ricercatore dell’azienda F-Secure, i nostri smartphone potrebbero smettere di funzionare a gennaio 2038. La motivazione è molto semplice: sembra che i dispositivi che si basano sullo standard Unix, un sistema operativo, saranno in grado di processare il tempo fino al 19 gennaio 2038. Nel dettaglio fino alle ore 3, minuti 14 e secondi 7 di quel giorno. Stando alle dichiarazioni di Hypponen non si tratterà solo una questione di date. Si pensa che alcuni dispositivi computerizzati, come ad esempio gli smartphone, non saranno in grado di svolgere alcune semplici funzioni, come ad esempio quella di chiamare e ricevere i messaggi. Un nuovo millennium bug?

 

fonte: http://www.liberoquotidiano.it/news/scienze—tech/13262634/smartphone-2038-bug-smetteranno-di-funzionare.html

Il mistero della “Gioconda nuda”. Forse è di Leonardo!

 

Gioconda

 

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Il mistero della “Gioconda nuda“. Forse è di Leonardo!

E se ci fosse la mano di Leonardo Da Vinci (o della sua bottega) dietro “La Gioconda nuda” del Musée Condé del castello francese di Chantilly? Per risolvere il mistero, il piccolo disegno a carboncino con pigmenti bianchi è stato trasferito, in gran segreto, nei laboratori del Centre de Recherche et de Restauration des Musées de France, che occupa un’ala del palazzo del Louvre.

La Monna Lisa ‘senza veli’, raffigurata su un doppio foglio incollato di 72 per 54 cm, si trova nei laboratori parigini da circa un mese, rivela il quotidiano “Le Figaro”, dove è stata sottoposta da un gruppo di ricercatori ed esperti ad una serie di analisi: riflettografia, raggi infrarossi, luce rasente, radiografia, fluorescenza ai raggi X. I risultati sono ancora da ufficializzare, ma confermerebbero “la mano di Leonardo da Vinci, almeno in parte”, sostiene il quotidiano francese.

Il disegno resterà nei laboratori del Louvre ancora un altro mese e sarà esposto nel 2019 in occasione dei 500 anni dalla morte dell’artista-scienziato del Rinascimento. Il disegno appartiene alla collezione donata nel 1897 da Henri d’Orléans, duca d’Aumale e finora non aveva mai lasciato il Musée Condé di Chantilly.

Le prime analisi con il radiocarbonio, riferisce “Le Figaro”, hanno accertato che il disegno sarebbe databile tra il 1485 e il 1638. Sono rilevati una serie dettagli che confermerebbero che si tratta di un originale e non di una copia, come supposto in passato.

I ricercatori del Louvre ritengono plausibile ipotizzare che il disegno di Chantilly sia stato realizzato nella bottega di Leonardo. C’è da accertare se l’opera sia anteriore o posteriore alla “Gioconda” del Louvre e se sulla superficie del carboncino ci sia stata anche la mano del genio toscano.

Nel mondo esistono circa una ventina di versioni della “Gioconda nuda” del secolo XVI, tra cui quella di Gian Giacomo Caprotti (detto il Salai), allievo di Leonardo.

 

L’ira di Dio nucleare nella terra di nessuno

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L’ira di Dio nucleare nella terra di nessuno

 

Scrisse la biologa Rachel Carson decenni addietro a proposito di scorie nucleari smaltite in mare e sottoterra: gli errori che vengono compiuti ora sono compiuti per sempre. Questa è la storia di questi errori in quanto orrori biologici.

Mistero della fede lucana. Sì, ho effettuato attività di gestione di rifiuti nucleari per l’Itrec e avuto rapporti con uno noto esponente politico della zona e dirigenti E.N.E.A. A fare queste dichiarazioni davanti la Polizia Giudiziaria (PG, ndr) che indaga sui traffici illeciti di rifiuti radioattivi in Basilicata è stato un fisico nucleare esperto. Raccontò agli inquirenti il quinquennio ’85 -’90. Anni in cui, aveva riferito pure l’ex vice presidente dell’istituto di vigilanza E.N.E.A, le verifiche erano affidate a istituti privati che eseguivano solo controlli sommari agli automezzi che entravano e uscivano, rendendo possibili traffici non autorizzati. È una storia questa, che non poteva non cominciare come un giallo, e da un mistero in terra lucana a cui si può credere o no, quello delle scorie nucleari di mezza Europa fatte sparire in fondo allo Ionio e sotto la terra. In fondo la Basilicata è sempre stata terra di buchi sfruttati dall’ecomafia. In molti sostengono, accreditati da carte dei Servizi, che ciò sia avvenuto in combutta con un para Stato. Certo la PG relazionò alla D.D.A i presunti traffici di materiale nucleare con l’Iraq, e quei collegamenti tra un amministratore locale un dirigente dell’E.N.E.A e soggetti implicati a vario titolo in traffici di materiali radioattivi. Uno dei magistrati titolari delle indagini, coadiuvato dalla PG, ascoltò una persona che aveva lavorato presso il Centro Trisaia che gli aveva detto perché l’E.N.E.A era terra di nessuno. Era il secondo ad affermare ciò. Chiunque poteva entrare e uscire senza particolari controlli. Non c’era un registro di entrata e uscita di persone e mezzi ma venivano rilasciati permessi i cui originali successivamente erano distrutti. Disse che quando decise di mettere ordine a questo sistema organizzando un archivio per la contabilità dei rifiuti si verificò l’ira di Dio a Rotondella.

Notizie non attendibili e strane circostanze. La PG fornì tutto quello che aveva alla D.D.A, persino notizie considerate non attendibili, o non supportate da elementi oggettivi. Poteva essere importante sapere di quella condotta di scarico a mare usata per smaltire abusivamente reflui contaminati? Poteva importare di quelle strane attività eseguite alla Trisaia da una società con sede a Policoro? E dell’utilizzo da parte di ignoti legati al Centro Trisaia di Rotondella di un fondo di proprietà di una società con sede nella stessa Rotondella quale sito di abbandono di materiale nucleare? Presto questa storia nata come un giallo si trasformò in un noir farcito di enigmi tenebrosi e fuorvianti. Precisamente quando Mario Di Matteo, che del Comune di Rotondella era stato sindaco, cominciò a raccontare alla PG d’aver fondato una società che aveva eseguito bonifiche di rifiuti presenti in una fossa all’interno del Centro Trisaia, e di possedere su una memoria esterna PC una documentazione d’interesse investigativo. L’ex sindaco morì poco dopo in strane circostanze. Fu trovato in una strada vicino casa un’ora dopo il decesso, in pigiama. Per i medici si era trattato di infarto. Evidentemente è una storia importante questa, da batticuore. Forse perché i suoi tratti noir sono direttamente proporzionali al flusso di denaro veicolato dalla gestione di materiali scomodi per tutti, Stato compreso. Intanto la PG riferì alla D.D.A le indagini effettuate per individuare alcuni commercialisti con studio a Matera che, come affermato da un collaboratore di giustizia, si sarebbero messi in contatto con una famiglia della ‘ndrangheta per la gestione del traffico illecito di rifiuti nucleari. E guarda caso prestavano attività presso uno studio dove avevano sede due società che gestivano le aree a Terzo Cavone in agro di Scanzano Jonico dove avrebbe dovuto essere ubicato il deposito unico di stoccaggio delle scorie nucleari.

Carte e fusti spariti. È una storia questa, che passa dal giallo al noir alla spy story. Un magistrato titolare delle indagini verbalizzò il racconto di un noto esponente politico che diceva d’aver presentato ben due esposti alla Procura della Repubblica di Matera. Il primo riguardante la perdita di reflui liquidi provenienti dall’E.N.E.A da una tubazione al mare, il secondo sulla contabilità nucleare nel Centro. Aveva allegato una documentazione non più in suo possesso che era sparita persino dai fascicoli depositati presso la Procura di Matera. Ed è una spy story internazionale. Il nome in codice Billy, un altro dipendente E.N.E.A, aveva consegnato un volume contenente gli allegati di un’audizione alla Commissione parlamentare sulla Banca Nazionale del Lavoro (BNL, ndr) sulla utilizzazione dei finanziamenti concessi all’Iraq dalla filiale di Atlanta della BNL e altri documenti. Billy riferì le irregolarità nella gestione e nello smaltimento dei rifiuti radioattivi, e la superficialità e assenza di controlli alla Trisaia. Ma perché la PG non poté esaminare tale documentazione e confrontarla con gli altri atti d’indagine? Altro mistero della fede lucano. Finalmente a giugno del 2005 L’Espresso pubblicò la testimonianza di Francesco Fonti, ‘ndranghetista collaboratore di giustizia su seppellimenti e affondamenti di rifiuti radioattivi in terra lucana. Spiegò come lo Stato pagava la ‘ndrangheta per farli sparire. “Partimmo con i 40 camion caricati a Rotondella verso le due di notte – raccontò – e un’ora dopo arrivammo con sette o otto di essi al fiume Vella dove era stata predisposta la buca che fu riempita con i bidoni e poi ricoperta. A preparare la fossa erano stati i macchinari messi a disposizione da Y, uomo di Musitano che abitava a Nova Siri, il quale procurò anche i fari per illuminare l’area”.

Servizi di pulizia segreti. Sanno chi è il signor Y, l’imprenditore di Policoro coinvolto anche successivamente in reati che hanno riguardato l’ambiente. E sanno chi sono le società e i commercialisti a Matera che ripulivano. Musitano invece, U’fascista, era uno ‘ndranghetista di Platì mandato in soggiorno obbligato in Basilicata a due passi dall’Itrec a cui un ingegnere dell’ENEA di Rotondella aveva comunicato l’esigenza di far sparire rifiuti che arrivavano da ogni parte d’Europa. Lo stesso ingegnere che aveva relazioni col Di Matteo trovato morto in pigiama per strada che mandava fax all’amministratore delegato e al presidente Sogin per parlare di appalti sui rifiuti all’Itrec. Di una delle operazioni curata in Basilicata nel ‘87 assieme a Musitano, perché di solito ci pensava una rete di imprenditori locali come emerso dalle indagini, Fonti disse di conoscere i luoghi di interramento perché il nipote di Musitano aveva fatto parte della manovalanza per sotterrarli e glieli aveva riferiti. Per la storia nucleare lucana quella del 2005 fu un’estate di fuoco. Entrò in scena il Signor X, soggetto collegato a servizi segreti deviati e organizzazioni criminali sottoposto a programma di protezione a cui era stata attribuita persino una nuova identità. Il Signor X disse che nell’alveo del Fiume Sarmento in agro di San Giorgio Lucano potevano essere stati interrati materiali radioattivi. Ma per dare informazioni più precise voleva la ricompensa e siccome per gli inquirenti già fruiva dei benefici di legge di preciso non si fece nulla. In autunno la PG trasmise all’antimafia una nota del Comando Provinciale C.F.S. di Matera con annotazione e documentazione su uno strano trasporto dall’E.N.E.A di Saluggia di piante dei manufatti presenti nell’E.N.E.A di Rotondella e di cesio e plutonio che a Rotondella non potevano trattare. Sulla copia della bolla di trasporto non era indicata la massa del plutonio trasportato ma solo quella del cesio. Che consegnassero fustini con residui radioattivi si sapeva però, anche da una nota del C.F.S. di Matera e da un permesso che autorizzava un trasportatore. E le rappresentazioni geometriche dei manufatti all’E.N.E.A a che servivano?

La storia infinita. Due anni dopo alla D.D.A il Capo Servizio Impianto Esercizio Itrec aggiunse ulteriori notizie a quanto già dichiarato. Un dirigente E.N.E.A contrario all’ingresso nel Centro di rifiuti provenienti dall’esterno gli aveva svelato che alla Trisaia non era mai stata presente una centrifuga per l’arricchimento dell’uranio, e parlò di attività di collaborazione svolte con tecnici provenienti da Pakistan, Cina, Iraq e Polonia. Se non si arricchiva uranio cosa si arricchiva? Plutonio in segreto? Certo sul mercato nero il valore di tali materiali per la fabbricazione di armi è rimasto a sette zeri. La D.D.A intanto seppe pure che sino al gennaio 2007 per fatti connessi al traffico internazionale di materiale radioattivo avevano indagato o indagavano le procure di Matera, Reggio Calabria, Udine, Torre Annunziata, Livorno, Milano, Roma e Asti. Emerse inoltre che a Rotondella erano stoccati sì ingenti quantitativi di rifiuti nucleari a bassa attività in adempimento alle norme vigenti (biomedicali, parafulmini ecc., ndr), ma che per conferirli i produttori, tra cui numerosi ospedali Siciliani e Campani, pagavano cifre irrisorie, alcune migliaia di lire a fusto, mentre per mettere in sicurezza e bonificare alcune fosse dove erano stoccati l’E.N.E.A, e cioè lo Stato, stava sostenendo ingenti spese. E mentre il direttore dell’impianto Itrec e il titolare della licenza di esercizio erano stati condannati perché non avevano realizzato il sistema di solidificazione dei residui liquidi ad alta attività provenienti dal riprocessamento del combustibile nucleare, finalmente è stato vinto l’appalto di 40 milioni di euro per realizzare l’impianto che dovrà solidificarli. A vincerlo un’associazione temporanea di imprese con un bel curriculum tra mazzette e relazioni criminali. Ma è un’altra storia questa, di quelle classiche, a incasso, una storia infinita. Ai lucani cosa resta?

fonte: http://analizebasilicata.altervista.org/blog/lira-di-dio-nucleare-nella-terra-di-nessuno/

PLATONE: “Ci sono due tipi di medicina: quella degli schiavi e quella degli uomini liberi” …leggi e rifletti.

PLATONE

 

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PLATONE: “Ci sono due tipi di medicina: quella degli schiavi e quella degli uomini liberi” …leggi e rifletti.

“Ci sono due tipi di medicina: quella degli schiavi e quella degli uomini liberi. Quella per gli schiavi, SINTOMATICA, prevede la rapida rimozione del sintomo, perché il soggetto possa tornare al più presto al lavoro. Quella per gli uomini liberi, EZIOPATOGENETICA, prevede la conoscenza e la comprensione del sintomo, il suo significato per la salute complessiva del corpo, per l’equilibrio della persona e per la sua famiglia.”
(Platone, filosofo greco IV secolo a.C.)

Senza parole. Chi direbbe mai che questo è un pensiero di 2400 anni fa? Basta sostituire “schiavi” con “povera gente” o “lavoratori” e il gioco è fatto…

Riflettete gente, riflettete…

by Eles

 

 

Gino Strada: “La guerra non è la medicina giusta. Non cura, uccide. E va abolita”

Gino Strada

 

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Gino Strada: “La guerra non è la medicina giusta. Non cura, uccide. E va abolita”

La guerra non è scritta nel destino dell’umanità. Abolire la guerra non è un’utopia, anzi, è qualcosa di molto realista. E non esiste la guerra giusta». È Gino Strada che parla, con passione, in una intervista esclusiva su Left in uscita il 12 dicembre. Il fondatore di Emergency, testimone diretto della disumanità della guerra che miete vittime tra i civili, lancia un appello alle Nazioni Unite. «Perché non sono mai intervenuti? Devono stabilire che la guerra è come la schiavitù e dobbiamo capire come liberarcene».Il medico chirurgo paragona la guerra al cancro: «Occorre cercare la soluzione. E la violenza non è la medicina giusta: non cura la malattia, uccide il paziente». Nell’ampio sfoglio dedicato al pacifismo di fronte alla violenza dell’Isis, Left pubblica un “Dialogo per pacifisti pieni di dubbi” tra il critico Filippo La Porta e lo storico Alberto Castelli, sul concetto di guerra “giusta”. Abbiamo poi scritto di pacifisti “concreti” che nella storia hanno evitato conflitti armati, quelli che alla crisi del pacifismo hanno risposto con la nonviolenza.  Infine le cifre: l’Italia spende per militari e armamenti 23,6 miliardi di euro all’anno, per la cooperazione allo sviluppo 3 miliardi e per la diplomazia 1,8 miliardi.

Dalla guerra al lavoro, o meglio alle dichiarazioni del ministro del Lavoro Giuliano Poletti che non sono banalità o provocazioni ma parte di un vero manifesto politico che ripete come fosse un mantra: lo studio è inutile, così come il tempo libero e la vita privata, conta solo la dimensione utilitaristica e produttiva. Poi il racconto di un fenomeno tristemente in ascesa e poco contrastato nel nostro Paese: la tratta di esseri umani. Left pubblica la “storia di G.” una ragazza nigeriana venduta da bambina ad una maman e arrivata poi in Italia. Giacomo Russo Spena è entrato in una delle prime Rems (Residenza per le misure di sicurezza detentive) e ci fa capire come vivono i “rei folli” dimessi dagli ex Opg (Ospedali psichiatrici giudiziari).  Infine, un focus sul “mercato” delle fotocopie che un ddl prova a liberalizzare. Negli Esteri l’analisi del manuale del Terrore, La gestione della ferocia; la Spagna che si avvicina alle elezioni del 20 dicembre sempre più frammentata a sinistra e l’intolleranza della destra indiana che arriva a colpire le megastar di Bollywood.

La cultura apre con l’incontro con il premio Nobel Orhan Pamuk, lo scrittore turco racconta a Left il suo Paese martoriato ma svela anche i segreti dell’amore che attraversa il suo ultimo romanzo.  E ancora: Michela Murgia che parla del suo romanzo “politico” Chirù, mentre il regista Gianni Zanasi racconta il senso del suo film La felicità è un sistema complesso. Per la scienza, Pietro Greco ci racconta della ricerca sulle zanzare geneticamente modificate contro la malaria e Left lancia insieme all’associazione Amica un appello al ministro Lorenzin per la demedicalizzaizone dell’interruzione di gravidanza attraverso la corretta procedura della pillola abortiva Ru486.

 

tratto da: https://left.it/2015/12/11/gino-strada-la-guerra-non-e-la-medicina-giusta-non-cura-uccide-e-va-abolita/

Orso seduto tra i rifiuti che cerca cibo: la foto simbolo della natura che grida aiuto!

 

rifiuti

 

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Orso seduto tra i rifiuti che cerca cibo: la foto simbolo della natura che grida aiuto!

Seduto tra i rifiuti in fiamme di una discarica a cielo aperto. E’ un’immagine desolante quella di un orso fotografato in Canada da Troy Moth, che lascia l’amaro in bocca e mostra ancora una volta, il grido d’aiuto della natura distrutta dalla mano dell’uomo.

Una foto che ha fatto il giro del mondo, che fa tenerezza da un lato, rabbia dall’altro. Un orso con aria confusa e spaesata è seduto sopra un letto di immondizia. Una scena quasi surreale, dove bottiglie di plastica, sacchetti e rifiuti di ogni sorta lo circondano.

Alle spalle il bosco che brucia, lui rassegnato rovista in cerca di cibo. La scena è stata immortalata in una discarica a cielo aperto dal fotografo canadese, che si trovava in una comunità dell’Ontario, in Canada, per girare un documentario.

Troy Moth non si aspettava di trovarsi di fronte a una situazione del genere, infatti non è riuscito a scattare subito la sua foto.

“Una volta arrivato in quel luogo incredibile non sono riuscito a scattare. Il giorno dopo son tornato indietro, ero più preparato ad affrontare quella situazione”, scrive su Instagram.

Il fotografo canadese era, come dicevamo, in una comunità dell’Ontario per girare un documentario, ma ciò che l’ha colpito di più è stata un’intera vallata invasa dai rifiuti. Laddove doveva esserci una natura selvaggia c’era la distruzione più totale.

“Ho pianto quando ho scattato la foto, ho pianto quando ci ho lavorato. E di nuovo ho pianto tante volte quando ho ripensato a quel momento. E’ sicuramente la fotografia più straziante che io abbia mai scattato”, continua Moth.

Lo scatto è stato chiamato ‘Invisible Horseman – 2017’, ovvero il cavaliere invisibile, con un chiaro riferimento ai cavalieri dell’apocalisse., il perché lo spiega sempre in un post di Instagram.

“Il tema dell’apocalisse è molto evidente in questa fotografia. L’ho percepito quando ho preso la macchinetta e ho scattato la foto. Mi trovavo in un luogo isolato, non c’era nulla per miglia e miglia, solo rifiuti e natura. In quel momento ho realizzato come tutto quello fosse distante da noi, come tutto quello fosse in realtà invisibile agli occhi umani”.

E questa immagine tristemente ce ne ricorda altre, come quella degli scenari inquietanti del fotografo Nick Pumphrey che durante un viaggio a Nusa Lembongan, al largo della costa di Bali, ha visto da vicino il problema inquinamento da plastica o ancora quello di Justin Hoffman, tra i finalisti del prestigioso concorso Wildlife Photographer of the Year 2017: un cavalluccio marino intento a trascinare un cotton fioc rosa.

Scatti simbolo di un Pianeta che non ce la fa più.

Dominella Trunfio

Foto

Fonte: www.greenme.it

Sei vittima di un Vampiro Affettivo? Le caratteristiche per riconoscerlo e metterti in salvo!

Vampiro Affettivo

 

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Sei vittima di un Vampiro Affettivo? Le caratteristiche per riconoscerlo e metterti in salvo!

Chi e’ il manipolatore affettivo? Il manipolatore affettivo e’ una persona come tante, almeno apparentemente! 

Può essere sia un uomo che una donna, svolgere i lavori piu’ vari e appartenere al proprio ambiente familiare, lavorativo o sociale. Si puo’ facilmente non riconoscere perche’ nella maggior parte dei casi e’ molto abile a confondere il proprio interlocutore con ragionamenti simil logici e nel distorcere le situazioni a proprio vantaggio.

Il suo comportamento critico si innesta su personalità che tendono a colpevolizzarsi facilmente, le sue osservazioni si basano su un perenne bisogno di giustizia, si spaccia per essere vittima e non essere compreso da chi lo circonda, possiede una visione del mondo molto critica in cui lui/ lei sono si sentono sempre sotto accusa e avvertono di essere speciali, migliori degli altri.

Presenta una forte tendenza a vendicarsi poichè si sente vittima di ingiustizie, non e’ capace di costruire relazioni sociali di lungo termine, si lega a partner deboli e remissivi. Utilizza un tipo di comunicazione paradossale definita del “doppio legame” o “double bind” i cui messaggi sono in antitesi tra loro, per cui l’ascoltatore se ubbidisce ad uno contravviene all’altro trovandosi sempre nella posizione di essere svalutato e manipolato.

Perche’ il manipolatore viene definito “vampiro affettivo”?

La definizione vampiro affettivo richiama la leggenda di Dracula a cui puo’ essere assimilata la figura del manipolatore la cui vita dipende dalla facolta’ di “nutrirsi” del disprezzo degli altri.

Piu’ critica e svaluta piu’ si sente meglio e alimenta la sua grandiosita’ a cui corrisponde una latente idea di disistima e autosvalutazione. E’ geloso, invidioso, pur elargendo complimenti, mette sempre un confine perche’ non tollera l’eccessiva vicinanza, ricorre spesso all’autocommiserazione grazie a cui ipervaluta se stesso e disprezza la presunta incapacita’ degli altri. La sua comunicazione non e’ mai chiara, si nasconde dietro ad una comunicazione distorta e all’eccessivo uso della comunicazione virtuale (per es. what’s up) e non tollera il rifiuto e le critiche a cui reagisce in modo vendicativo, sentendosi nel giusto.

Come ‘ possibile riconoscere un manipolatore affettivo?

La terapeuta Isabelle Nazare-Aga ha evidenziato le trenta caratteristiche peculiari del manipolatore affettivo grazie a cui e’ possibile riconoscerlo, se se ne riconoscono almeno 14 su 30 ci si trova di fronte ad un manipolatore affettivo:

  1. Colpevolizza gli altri ricattandoli in nome del legame familiare, amicale, professionale ecc.
  2. Impone agli altri l’idea che bisogna essere perfetti e mai cambiare opinione
  3. Ricorre ai principi morali per soddisfare i propri bisogni
  4. Svaluta e critica chi lo circonda
  5. E’ particolarmente geloso
  6. Ricorre alle lusinghe ed e’ premuroso per gratificarsi
  7. Vuole essere compatito descrivendosi come vittima, esasperando i suoi vissuti
  8. Sfugge alle sue responsabilita’ e le riversa sugli altri
  9. Non esprime mai chiaramente i suoi bisogni
  10. E’ vago nelle risposte
  11. Cambia argomento quando non vuole rispondere
  12. Evita il confronto con piu’ di persone
  13. I suoi messaggi li recapita attraverso intermediari
  14. Ricorre alla logica per supportare le sue ragioni
  15. Intepreta e manomette la realta’ a suo piacere
  16. Non tollera le critiche e nega l’evidenza
  17. Minaccia apertamente o velatamente
  18. Crea situazioni di conflitto per controllare esternamente le persone
  19. Cambia idea a seconda delle situazioni
  20. E’ un gran bugiardo
  21. Vuole convincere gli altri della sua superiorita’ e correttezza
  22. E’ egocentrico
  23. Le sue azioni divergono completamente dai discorsi che fa
  24. Si riduce all’ultimo per chiedere o fare qualcosa per gli altri
  25. Non considera i bisogni e i diritti altrui
  26. Non ascolta le richieste
  27. Produce uno stato di malessere e non libertà
  28. Persegue i suoi obiettivi con efficacia e non si cura se le sue azioni vanno a discapito degli altri
  29. Induce a fare cose che probabilmente non si sarebbero fatte spontaneamente
  30. E’ oggetto di discussione delle persone quando non e’ presente

Cosa fare quando si incontra un manipolatore?

Se si ha la sensazione che qualcosa non va in un rapporto o non e’ chiaro, e’ meglio prendere tempo ed osservare anche se l’altro fa pressioni, per poi chiudere il rapporto prima di cadere nella trappola del ricatto e della manipolazione. Non dimentichiamo che l’unico modo per allontanare e sconfiggere un manipolatore e’ l’amore sano verso se stessi, libero da dipendenze affettive.


Bibliografia
I.Nazare-Aga, La manipolazione affettiva. Castelvecchi editore editore 2008

 

fonte: http://psicoadvisor.com/manipolatore-affettivo-30-caratteristiche-riconoscerlo-4485.html