Il Fiuto dei cani per “annusare” e scoprire i tumori

 

Fiuto dei cani

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Il Fiuto dei cani per “annusare” e scoprire i tumori

 

Fiuto di cane per annusare i tumori

In Giappone un ampio test di valutazione dell’affidabilità dei cani nel diagnosticare il cancro dello stomaco.

In una piccola cittadina in Giappone, a diagnosticare i tumori con il fiuto saranno i cani. Kaneyama è un villaggio di seimila abitanti nella prefettura di Yagamata con il triste primato di essere il posto con i più alti tassi di mortalità per tumore dello stomaco in Giappone. La malattia, che dà pochi sintomi nelle sue fasi iniziali, quando sarebbe curabile con l’intervento chirurgico, ha invece bassi tassi di sopravvivenza nelle fasi più avanzate. Per questo, i ricercatori cercando di scoprire se i cani, che in varie altre occasioni hanno dimostrato di essere in grado di riconoscere malattie – tra cui i tumori, possano essere d’aiuto per una diagnosi tempestiva.

QUASI INFALLIBILI. L’intera città prenderà parte al programma di ricerca: i residenti invieranno i loro campioni di urina, congelati, alla Nippon Medical School, nei pressi di Tokyo, dove alcuni cani sono stati addestrati come diagnosti. «Nel nostro studio, finora i cani sono stati in grado di identificare tracce di tumore con un’accuratezza di quasi il 100 per cento», ha dichiarato Masao Miyashita, che dirige il programma.

FIUTO PER LE MALATTIE. Ma non è l’unico studio in corso per testare la fattibilità della diagnosi canina. In Gran Bretagna, la Medical Detection Dogs, fondata da uno dei primi ricercatori a notare la capacità dei cani di riconoscere malattie, valuta l’affidabilità degli animali nell’identificare il tumore della prostata.

In altre ricerche già concluse, per riconoscere il cancro della vescica, del colon, dell’ovaio e della prostata, i cani hanno avuto percentuali di successo dal 90 a quasi il 100 per cento.

 

fonte: http://www.focus.it/scienza/salute/fiuto-di-cane-per-annusare-i-tumori

Il succo di mela è un potente antitumorale, uno studio del CNR spiega il perché.

 

succo di mela

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Il succo di mela è un potente antitumorale, uno studio del CNR spiega il perché.

Uno studio condotto dal Cnr spiega per la prima volta quali sono, nello specifico, le proprietà antitumorali del succo di mela.

Secondo uno studio condotto dall’Istituto di scienze dell’alimentazione del Consiglio nazionale delle ricerche (Isa-Cnr) in collaborazione con l’Università di Salerno, il #succo di mela ha proprietà antitumorali ed è ricco di antiossidanti utili alla salute. Grazie a questa ricerca ora si potrà conoscere il modo in cui le cellule malate vengono contrastate, in particolare per il tumore del colon retto.

Succo di mela: spiegato il motivo per cui ha effetti antitumorali

Angelo Facchiano, ricercatore presso il Cnr, ha dichiarato che, per la prima volta, è stato analizzato in maniera specifica il modo in cui i polifenoli contenuti nel succo di mela operano come agenti antitumorali.

In sostanza, i ricercatori hanno analizzato, quantificato e identificato i principali composti antiossidanti di tre tipi di mela: Annurca, Red Delicious, Golden Delicious ed hanno scoperto che i polifenoli contenuti nel suo succo ostacolano “la replicazione ed espressione del DNA nelle cellule cancerose del colon” impedendo loro di far aumentare la massa tumorale, dichiara Facchiano. Questa scoperta è molto importante, ma non ancora sufficiente per mettere a punto terapie mirate, continua il ricercatore del Cnr. Sarà quindi necessario effettuare altri studi per capire i meccanismi molecolari e le proteine coinvolte.

Succo di mela: gli altri vantaggi di questo frutto

Ma ci sono molti altri vantaggi nel bere succo di mela eccoli elencati:

  • E’ carico di sostanze nutritive grazie all’alto contenuto di antiossidanti che sono cruciali per prevenire l’invecchiamento precoce e combattere i radicali liberi associati alle malattie croniche.
  • E’ ricco di potassio, un nutriente che controlla l’attività elettrica del cuore e regola l’acidità del corpo. Inoltre è utile per la costruzione della massa muscolare, nel processo di assimilazione dei carboidrati e la loro successiva trasformazione in energia.
  • Salute del fegato: per le sue proprietà alcaline che aiutano il corpo ad eliminare le tossine.
  • Protezione del cuore: in quanto il succo di mela riduce le probabilità di attacchi di cuore, diminuendo l’accumulo di colesterolo nelle arterie.
  • Migliora la digestione: le mele contengono l’acido malico che contribuisce alla corretta funzione del fegato e aiuta la digestione.

Dopo aver letto i vantaggi di bere succo di mela, capirete perché le mele sono il frutto più popolare nel mondo.

Si chiama AMLA. È il frutto più ANTIOSSIDANTE in assoluto, è in grado di disintossicare il fegato e, pensate, ha 20 volte più vitamina C del succo d’arancia.

AMLA

 

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Si chiama AMLA. È il frutto più ANTIOSSIDANTE in assoluto, è in grado di rigenera il fegato e, pensate, ha 20 volte più vitamina C del succo d’arancia.

 

Nell’ayurveda si fa spesso riferimento ad un piccolo frutto chiamato amla (nome scientifico Phyllanthus Emblica Linn). Questo frutto viene usato da più di 5000 anni in India, col fine di ringiovanire il corpo e rinforzare il sistema immunitario.

Di colore giallo e verde, l’amla è molto diffusa in Asia ma poco conosciuta in Italia. Possiede antiossidanti come polifenoli e vitamina C, che proteggono da malattie croniche come cancro, malattie cardiache e diabete.

100 grammi di amla possono apportare al nostro corpo circa 450 milligrammi di vitamina C. Di seguito tutti i benefici di questo frutto:

  1. Cura il mal di stomaco. Tanti problemi addominali si possono risolvere con l’amla: diarrea, vomito, coliche, infezioni e altri problemi digestivi.
  2. Previene il diabete. L’amla migliora la funzione del fegato, aiuta a curare la pancreatite, il gonfiore e il dolore del pancreas. Il suo consumo regolare riduce il livello di zucchero nelle persone con diabete di tipo 2.
  3. Disintossica il fegato. E’ stato dimostrato scientificamente che l’amla è ottima nella pulizia del fegato in quanto aiuta ad espellere le tossine.
  4. Combatte il cancro. Gli antiossidanti contenuti nell’amla possono giocare un ruolo importante nel trattamento contro il cancro.
  5. Rigenera la pelle. Questo incredibile frutto viene usato contro eruzioni cutanee, brufoli e altri problemi della pelle.
  6. Stimola la crescita dei capelli. Mescola della polvere di amla con dell’acqua calda, poi applica sul cuoio capelluto effettuando massaggi. Dopo 30 minuti i tuoi capelli saranno più idratati, protetti e luminosi.

E’ possibile acquistare l’amla in erboristeria, spesso viene venduta sotto forma di frutto, ma sono diffusi anche polveri ed estratti di amla.

Fonte: rimedio-naturale.it

Vergogna – La Cassazione conferma maxi sequestro (un milione di chili) di spaghetti di un notissimo marchio per violazione delle norme sul “made in Italy” …ingannavano la Gente, ma il prodotto era 100% Turco!!

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Vergogna – La Cassazione conferma maxi sequestro (un milione di chili) di spaghetti di un notissimo marchio per violazione delle norme sul “made in Italy” …ingannavano la Gente, ma il prodotto era 100% Turco!!

Violazione Made in Italy: Cassazione conferma maxi sequestro spaghetti

Confermato dalla Cassazione, per violazione delle norme sul ‘made in Italy’, il maxi sequestro nel porto di Genova di circa un milione di chili di spaghetti prodotti in Turchia per il pastificio campano ‘L. Garofalo’ di Gragnano, noto marchio in vendita anche sugli scaffali della grande distribuzione.

Ad avviso della Cassazione, in maniera “argomentata e logica”, il Tribunale del riesame nel congelare l’ingente carico “ha ritenuto fallaci le indicazioni apposte sulla pasta, tali da ingannare il consumatore sulla provenienza della merce e da integrare l’ipotesi penale”. La scritta ‘made in Turkey’ era poco vedibile e facilmente cancellabile, mentre era in bella vista il richiamo all’Italia e a Gragnano.

In particolare, con riferimento alla dicitura sulle confezioni, la Suprema Corte – nella sentenza 25030 che inaugura una linea molto severa in tema di tutela dei brand nazionali – rileva che “mentre i caratteri relativi all’area geografica (‘Napoli Italia‘) e alla ditta produttrice (‘prodotta e confezionata for pastificio l.Garofalo spa Via Pastai 42 Gragnano NA Italy‘) erano ben evidenti sulla confezione, la dicitura ‘made in Turkey‘, sulla base di un esame diretto ad opera degli stessi giudici liguri, era confinata sotto la data di scadenza, poco leggibile e apposta con inchiostro diverso, facilmente rimuovibile”.

Non regge la sosta tecnica durante transito verso il mercato africano

L’amministratore delegato della ‘Garofalo’, Massimo Menna, in Cassazione ha contestato senza successo la sussistenza delle accuse di vendita di prodotti industriali con segni contraffatti, frode contro le industrie nazionali, e violazione del ‘made in Italy’, spiegando che i 2700 colli di pasta della linea ‘Santa Lucia’ erano destinati al mercato africano, al Benin Mali, e la sosta ligure era solo tecnica per l’imbarco delle merci verso l’Atlantico. Secondo la difesa di Menna, non era stato commesso alcun illecito penale perchè la pasta non era per il mercato italiano nè europeo, erano spaghetti in transito da un paese straniero ad altro paese, entrambi extracomunitari, “non era stata posta in essere alcuna attività di sdoganamento funzionale a una commercializzazione in Italia della pasta, solo temporaneamente depositata in area doganale“.

Il Fob non conta, ha valore la fattura e il territorio italiano per integrare l’importazione

Quale invece il percorso logico seguito dai giudici di Cassazione? Secondo gli ‘ermellini’, invece, correttamente i giudici liguri hanno ritenuto “esservi stata introduzione almeno temporanea nel territorio italiano e risultando la commercializzazione da parte del pastificio Garofalo con sede a Gragnano proprio dalla fattura emessa in favore della ditta francese ‘Franco Africanine del Negoce sas’ con sede a Parigi”.

L’emissione della fattura in Italia rileva come “parte del processo di messa in circolazione della merce” e non importa se “nella fattura è indicata la clausola FOB, ossia l’indicazione del porto di imbarco in Turchia”. Inoltre “il magazzino dove era temporaneamente custodita la merce sequestrata si trova nell’area doganale e quindi in territorio italiano” pertanto – afferma la Cassazione – “anche la presenza temporanea della merce, ancorchè destinata all’estero, appare condotta idonea a integrare l’importazione, nel senso di introduzione, della stessa nel territorio italiano”.

E’ la seconda volta che il maxi sequestro, emesso nell’ottobre 2015, approda in Cassazione che nel giugno 2016 lo aveva annullato con rinvio. Ora il riesame bis dello scorso settembre, è stato convalidato. Nel frattempo la pasta sarà quasi scaduta.

Fonte:http://www.ansa.it/canale_terraegusto/notizie/istituzioni/2017/05/24/cassazione-conferma-maxisequestro-spaghetti-made-in-turkey_f94cd755-9255-43ae-bfe2-e23cc120f4f1.html

tramite: http://zapping2017.myblog.it/2017/05/26/vergogna-la-cassazione-conferma-maxi-sequestro-un-milione-di-chili-di-spaghetti-di-un-notissimo-marchio-per-violazione-delle-norme-sul-made-in-italy-ingannavano-la-gente-ma-il-prodotto-era/

La Cannabis per la cura dei tumori? Una ricerca italiana fa sperare.

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La Cannabis per la cura dei tumori? Una ricerca italiana fa sperare.

 

Cannabis e cura dei tumori: la ricerca (italiana) che fa sperare

Nonostante i pregiudizi, sono centinaia gli studi sulle cure a base di cannabinoidi. E i risultati sono molto importanti. Intervista al Prof. Massimo Nabissi

C’è chi pensa che la pianta della cannabis sia usata esclusivamente per produrre prodotti “di svago”. E c’è chi invece su questa pianta ci ha scommesso molto: non solo agricoltori e imprenditori ma anche ricercatori e medici. Se l’uso della cannabis per alleviare le sofferenze dei pazienti è ormai una realtà, non sempre accettata, ma conosciuta, molto meno conosciuto è il campo della ricerca nel ridurre la crescita, o indurre la morte, delle cellule tumorali.

Sono centinaia gli studi in questo senso, svolti in silenzio nei laboratori di tutto il mondo fin dagli anni ’90, che hanno l’obiettivo di ampliare le conoscenze attuali sui farmaci antitumorali e dare nuove speranze ai malati.

Come nel laboratorio di Camerino, dove il Dr.Massimo Nabissi, ricercatore del gruppo di Patologia ed Immunologia della Scuola del Farmaco e dei Prodotti della Salute, lavora fin dal 2008 allo studio sul ruolo anti-tumorale dei cannabinoidi sia nel GBM (tumore del cervello) sia nel mieloma multiplo. E i risultati sono davvero importanti.

“L’idea dello studio nel mieloma è nata – ci racconta Nabissi – da una collaborazione con il Dipartimento di Ematologia degli Ospedali Riuniti di Ancona. Il nostro lavoro aveva dimostrato che la maggior parte delle cellule tumorali isolate dai pazienti analizzati mostrava la presenza di un recettore di membrana che rispondeva se stimolato con i cannabidiolo (CBD). Da questo dato siamo andati a valutare “in vitro” l’effetto del CBD sia da solo sia in combinazione con un farmaco utilizzato di solito nella terapia del mieloma multiplo (il Bortezomib). I dati hanno dimostrato un ruolo anti-proliferativo del CBD e un’azione sinergica della combinazione CBD insieme al farmaco.”. Che cosa vuol dire in concreto? Che l’aggiunta del principio attivo della cannabis, insieme al farmaco già conosciuto, permette di ottenere una risposta maggiore rispetto a quella dei due farmaci usati singolarmente.Da qui la spinta a continuare. “Nel lavoro successivo – continua Nabissi- abbiamo testato la combinazione THC/CBD in combinazione con un nuovo farmaco (Carfilzomib) sempre nel mieloma multiplo e anche in questo caso i dati hanno dimostrato che la combinazione è più efficace dei singoli farmaci ed inoltre riduce la migrazione (processo di metastasi) delle cellule tumorali. Questi dati “in vitro” che abbiamo ottenuto, sono stati presi ad esempio, da una Biotech Israeliana, per la richiesta di avvio del primo studio “in vivo”, in pazienti affetti da mieloma multiplo”.

 Per la prima volta quindi la sperimentazione non si limiterà ad essere studiata su delle cellule (fasi pre cliniche di una ricerca) ma arriverà su veri e propri pazienti che utilizzeranno, insieme al farmaco “ufficiale”, anche quello a base di THC e CBD.

Se quindi per il mieloma multiplo la sperimentazione sui pazienti sta per cominciare,per altri tipi di tumori la ricerca è già molto avanti. Ci spiega Nabissi: “La sperimentazione con THC/CBD in combinazione con Temodal (il farmaco attualmente in uso nella terapia per il tumore al cervello), ha ormai superato la fase clinica II, con risultati che sono stati appena pubblicati nel sito della casa farmaceutica che ha svolto la sperimentazione . Da quello che si legge, a breve organizzeranno la fase clinica III che se darà risultati positivi potrà permettere di utilizzare questa combinazione nella terapia futura su centinaia o migliaia di pazienti. Per altri tipi di tumore, come il tumore al seno, al polmone, melanoma, pancreas la ricerca è in una fase avanzata a livello di studi pre-clinici”.

Nonostante i risultati diano ragione a queste ricerche e suggerirebbero di continuare su questa strada, Nabissi non nasconde il suo rammarico: “Quello che noto in Italia è che ci sono due principali prese di posizione, chi è a favore e chi è contro all’uso terapeutico dei cannabinodi. Trattandosi di farmaci, facendo una comparazione semplicistica, è come se in Italia ci fossero due prese di posizione pro e contro alla morfina, agli anti-depressivi o agli oppiacei. Se i cannabinoidi vengono viste come “droghe”, lo stesso dovrebbe valere per la morfina, per gli oppiacei (utilizzati nei cerotti antidolorifici ed acquistabili in farmacia) o per gli anti-depressivi (es. le benzodiazepine), tutti farmaci che possono indurre dipendenza psicologica e fisica (tutti dati reperibili sul sito del Ministero della Salute o nel sito dell’Agenzia Italiana del Farmaco). Quindi mi chiederei, perché esiste questo pregiudizio per i farmaci cannabinodi? All’estero, almeno in alcuni paesi europei e negli Sati Uniti d’America, l’argomento cannabis terapeutica viene trattato in modo molto più approfondito e lo sviluppo d’imprese che lavorano nell’ambito della cannabis è in forte espansione. Solo in Europa (Olanda, U.K., Germania, Spagna Svizzera, Repubblica Ceca, ecc…) sono presenti diverse ditte che si occupano nello sviluppare nuovi incroci di piante, nella purificazione di cannabinodi, nello sviluppo di nuove formulazioni, nella ricerca pre-clinica”. In Italia fare ricerca in questo campo è davvero difficile da punto di vista burocratico o di autorizzazioni, chissà se nel futuro qualcosa cambierà seguendo il caso della Repubblica Ceca ha investito milioni di euro nel 2015 per avviare il primo centro per lo studio dei cannabinoidi in ambito terapeutico.

“Personalmente – ci dice ancora Nabissi – credo che in futuro l’uso terapeutico, in specifiche patologie tumorali, avrà applicazione clinica. A livello di ricerca, sono abbastanza convinto che la sperimentazione sui cannabinoidi avrà un grosso sviluppo in alcuni stati europei.”

La catastrofe ambientale nascosta: in fondo ai nostri mari ordigni chimici e radioattivi abbandonati dagli americani dopo il ’43 e dopo le guerra in Jusoslavia. Si calcola siano oltre un milione di pezzi.

 

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La catastrofe ambientale nascosta: in fondo ai nostri mari ordigni chimici e radioattivi abbandonati dagli americani dopo il ’43 e dopo le guerra in Jusoslavia. Si calcola siano oltre un milione di pezzi.

Un altro grande reportage di Gianni Lannes

UN MILIONE DI BOMBE SPECIALI USA IN FONDO ALL’ADRIATICO E AL TIRRENO

Sul belpaese incombe una catastrofe ambientale con cui bisogna fare i conti. Ecco il segreto dei segreti: nel 1943 gli “alleati” angloamericani sbarcarono in Italia un arsenale proibito di armi chimiche, non le usarono affondandole nel Mare Adriatico (Golfo di Manfredonia) e nel Mar Tirreno (Golfo di Napoli e dinanzi all’isola di Ischia) al termine del secondo conflitto mondiale. Negli anni ‘90 la guerra in Jusoslavia determinò lo scarico di migliaia di bombe radioattive da Grado a Santa Maria di Leuca, sganciate  dai velivoli di rientro in Italia dopo i bombardamenti nei Balcani. A conti fatti: più di un milione di bombe chimiche e radioattive, senza contare quelle convenzionali imbottite di tritolo.

I documenti storici dell’US Army sepolti dal segreto militare anglo-americano imposto da Eisenhower e Churchill parlano chiaro, basta compulsarli a dovere. Quelle bombe caricate con aggressivi chimici erano armi proibite dalla Convenzione di Ginevra del 1925, ma il generale statunitense Eisenhower si giustificò nel 1949 sostenendo che erano state stivate «nell’incertezza delle intenzioni tedesche sull’uso di quest’arma».

Non a caso il bombardamento del porto di Bari del 2 dicembre 1943 è stato definito la Pearl Harbour italiana. 105 aerei della Lutwaffe alle 19,30 piombarono sulla città e in una pioggia di fuoco riuscirono ad affondare 17 navi, ne danneggiarono gravemente 8 ed il porto venne quasi completamente distrutto. Si registrarono ingenti perdite tra i militari alleati e i civili italiani. I danni maggiori arrivarono dal carico di iprite della nave americana John Harvey. Ogni bomba, che era lunga quasi 120 centimetri, conteneva circa 30 chilogrammi di questo gas tossico e vescicante. Sommozzatori e palombari italiani che operarono a costo della salute e della vita dal 1947 al 1953, recuperarono 20 mila bombe speciali nell’area portuale e le affondarono a poca distanza dalla costa. Non è tutto. Anche altre navi USA come la John Motley erano cariche di iprite, mentre quelle inglesi contenevano bombe della RAF con fosforo e acido clorosolforico, cloripicrina e cluoruro di cianogeno.

 

Un altro grave episodio, ignoto alla storiografia è l’esplosione avvenuta sempre nel porto di Bari il 9 aprile 1945 – a guerra ormai finita in Italia – della nave statunitense Charles Henderson, che aveva a bordo un carico di bombe all’iprite variamente assortite.

Carta canta. Anche l’archivio storico della Marina Militare italiana è una fonte di inedite rivelazioni che fanno luce sul più grave disastro chimico della seconda guerra mondiale, tenuto nascosto alla popolazioni italiana dalle autorità italiane. Le conseguenze sono incalcolabili, ma i governicchi tricolore hanno fatto sempre finta di niente.

In ogni caso, vale il principio internazionale “chi inquina paga”. Tocca a Washington e Londra pagare il conto, a noi esigerlo senza compromessi.

 

riferimenti:

Gianni Lannes, BOMBE A… MARE!, Nexus Edizioni, Padova, 2017 (di prossima pubblicazione).

http://sulatestagiannilannes.blogspot.it/2017/04/bombe-amare_19.html

http://sulatestagiannilannes.blogspot.it/search?q=bombe+a…mare

http://sulatestagiannilannes.blogspot.it/2017/05/bombe-chimiche-e-radioattive-alleate.html

 

Fonte:

https://sulatestagiannilannes.blogspot.it/2017/05/un-milione-di-bombe-speciali-usa-in.html#more

L’allarme radiazioni nucleari viene lanciato dal giornalista Gianni Lannes sul suo blog: pasta Made in Italy prodotta con grano radioattivo proveniente dalla Russia!

 

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L’allarme radiazioni nucleari viene lanciato dal giornalista Gianni Lannes sul suo blog: pasta Made in Italy prodotta con grano radioattivo proveniente dalla Russia!

 

L’allarme radiazioni nucleari viene lanciato sul blog di Gianni Lannes, che denuncia che la pasta italiana viene prodotta con grano radioattivo coltivato in Russia. C’è da preoccuparsi?

Due navi arrivano nel porto di Manfredonia il 2 gennaio, con bandiere maltesi. Ma secondo Gianni Lannes, scrittore ed ex giornalista, sono il cargo Azov Coast, proveniente dal porto russo di Yeysk, e la bulk carrier Matteo Br da Nikolaev, Ucraina. E senza che nessuno le controllasse, hanno importato grano dall’estero.

L’accusa è rivolta verso i grandi brand della pasta italiana, che utilizzerebbero di nascosto questo grano, senza curarsi dei rischi legati alla radiazioni nucleari, per la produzione dei prodotti. Per venderli poi sotto il marchio made in Italy.

Radiazioni nucleari: l’eredità di Chernobyl

Citando l’ultimo rapporto di Greenpeace “Nuclear scars: the Lasting Legacies of Chernobyl and Fukushima”, Lannes ricorda che l’inquinamento nucleare causato dal disastro di Chernobyl colpisce proprio quelle zone di Russia e Ucraina destinate alla coltivazione.

Oltre 10.000 chilometri quadrati tra Russia, Bielorussia e Ucraina sono inutilizzabili per migliaia di anni per il plutonio che ha contaminato il terreno. Eppure, in queste stesse zone colpite dalle radiazioni nucleari, viene coltivato il grano che poi, secondo l’accusa di Lannes, finisce sulle tavole italiane.

Un fabbisogno interno soddisfatto grazie all’importazione

Se si considera che l’Italia produce appena il 30/40% del grano duro utilizzato per la produzione della pasta, ci si chiede come fa il paese a soddisfare il fabbisogno interno. Uno dei fornitori principali sarebbe proprio l’Ucraina, che nel 2016 ha quadruplicato la fornitura di grano all’Italia, arrivando a esportare fino a 600mila tonnellate.

Inoltre, Lannes spiega che la quasi assenza di regole fa sì che il prezzo del grano da importazione sia così basso da rendere quasi non conveniente la coltivazione in Italia. Ciò comporta il rischio che molti terreni coltivati con qualità di grano ad alta qualità vengano abbandonati.

Anche perché i maggiori costi di mano d’opera e di tassazione, rendono i produttori italiani meno competitivi, innescando una caduta dei prezzi, non sostenibili dai piccoli produttori. Risultato: pasta contaminata sulle nostre tavole.

Ma se così fosse, chi tutela il consumatore?

Fantastico Gino Strada: “Ecco perché nessuno mi ha mai chiesto di fare il ministro della Sanità” !!

 

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Fantastico Gino Strada: “Ecco perché nessuno mi ha mai chiesto di fare il ministro della Sanità” !!

 

Fantastico Gino Strada: “Ecco perché nessuno mi ha mai chiesto di fare il ministro della Sanità”

Gino Strada: “Io mi ostino a voler fare il mio lavoro, medico e chirurgo. Mi occupo giornalmente di sanità e medicina. Se qualcuno venisse a propormi di fare il ministro della Sanità, risponderei che il mio programma è molto semplice: faccio una sanità d’eccellenza, spendendo la metà di quello che si spende oggi, eliminando il conflitto di interesse introdotto nella mia professione dalla casta politica: il pagamento a prestazione.

Il nostro sistema sanitario era uno dei migliori al mondo, la casta, con la complicità dei medici, lo ha rovinato. L’interesse del medico è che la gente stia male, per fare più prestazioni. Ma nove milioni di persone non hanno più accesso alla sanità. Io eliminerei tutto questo. Ecco perché nessuno mi ha mai chiesto di fare il ministro della Sanità. A me piacerebbe in futuro aprire anche in Italia il primo ospedale di Emergency, per far rivedere agli italiani, dopo 30 anni, che cos’è un ospedale, non una fottuta azienda. La sanità è uno scandalo pubblico”

Parla Luigi Di Bella: Così affossarono il mio padre ed il “Metodo Di Bella”

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Parla Luigi Di Bella: Così affossarono il mio padre ed il “Metodo Di Bella”

Grillo tempo fa aveva rilanciato il metodo Di Bella, ma è stato davvero un complotto?

Il figlio del medico catanese ideatore della terapia alternativa per la cura al cancro torna sulla sperimentazione che ne decretò l’inefficacia. Una vecchia storia

Se la tormentata vicenda Stamina sembra ormai davvero una storia archiviata, con la richiesta di patteggiamento avanzata da parte di Davide Vannoni per l’accusa di associazione a delinquere finalizzata alla truffa, non lo è affatto quella relativa al metodo di Bella. A riportare in auge il trattamento alternativo per la cura al cancro non riconosciuto della scienza (in realtà, a oltre 16 anni dalla sperimentazione che ne decretò l’inefficacia terapeutica, non è mai scomparsa del tutto) è, ancora una volta, Beppe Grillo.

Stavolta, a parlare dalla pagine del blog, è il figlio del medico catanese ideatore della multiterapia che porta il sui nome (un mix, variabile, di somatostatina, bromocriptina, ciclofosfamide, melatonina e alcune vitamine), e non ci si limita a ribadire che la cura funziona, ma si parla anche di tutte le presunte truffe e complotti messi in atto per affossarla.

Oggi, a distanza dalla sperimentazione approvata durante il mandato dell’allora ministro della salute Rosy Bindy, si torna quindi a discutere di come le indicazioni per la sperimentazione e gli stessi protocolli adottati non seguirono le indicazioni di Di Bella, ma vennero piuttosto allestiti per essere già “un risultato preconfezionato” accusa il figlio: “Quando mio padre andò in Commissione oncologica fu verbalizzato, e io li ho i verbali, e li ho messi sul nostro sito, dove si scrive che la sua cura poteva rispondere in pazienti in stato iniziale, non chemio e non radio trattati.

Hanno arruolato pazienti esattamente all’opposto, terminali, chemio e radio trattati e non più responsivi, perciò già le indicazioni della sperimentazione sono state non travisate ma ribaltate!”.

Ma non solo: i protocolli firmati dallo stesso professore non sarebbero stati stilati in presenza di Luigi di Bella, secondo il figlio; per la sperimentazionesarebbe stato scelto come livello di obiettivi quello più basso (la riduzione del tumore), senza doppio cieco e gruppo controllo e non da ultimo sarebbero stati somministrati farmaci scaduti e a dosi sballate.

Un complotto, ordito, neanche a dirlo, a tutto guadagno delle case farmaceutiche: “Siamo in periodo di globalizzazione, l’industria, la finanza, il commercio sono globali, loro hanno calcolato che una persona che non fa le loro terapie, come minimo gli fa perdere dai 200 ai 500 mila euro. È tutta un’aggregazione di poteri perché le case farmaceutiche sono azionisti, ma sono gli stessi azionisti della grande informazione, sono gli stessi azionisti delle banche del farmaco, sono gli stessi azionisti della grande industria….Se noi (con il MDB) abbiamo curato gente a casa, e questi sono a posto, c’è una differenza di costi totali altissima che determina un crollo di un interosistema di impostura, perché il fatto di continuare a imporre queste terapie, vuole dire che c’è un sistema di connivenze”.

Le critiche alla sperimentazione che decretò l’inattività e inefficacia del metodo di Bella non sono però del tutto nuove, ma cominciarono già ai tempi, come vi avevamo raccontato. E insieme alle critiche arrivarono anche le risposte: il ministero giustificò l’assenza di randomizzazione e gruppo controllo in virtù del fatto che stavamo parlando di uno studio di fase II (per valutare l’efficacia di un trattamento), allestito in fretta e non senza difficoltà. Riguardo le accuse relative ai farmaci scaduti, per l’Istituto superiore di sanità fu lo stesso Di Bella ad assicurare la stabilità del composto galenico e non vennero indicate date di scadenza, mentre riguardo ai protocolli questi sarebbero sempre stati visionati dal medico.

Se Stamina quindi sembra finita, senza che ci sia stato bisogno di una sperimentazione, non lo è ancora la vicenda Di Bella, malgrado in questo caso la sperimentazione ci sia stata eccome ed abbia dato risultati negativi.

 

fonte: http://www.wired.it/scienza/medicina/2015/02/04/grillo-di-bella-complotto/

Lo hanno fatto morire da ciarlatano, ma ecco la sua rivincita – Metodo Di Bella: l’Ausl di Teramo lo autorizza come terapia anticancro – Il tumore regredisce!

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Lo hanno fatto morire da ciarlatano, ma ecco la sua rivincita – Metodo Di Bella: l’Ausl di Teramo lo autorizza come terapia anticancro – Il tumore regredisce!

 

Metodo Di Bella: l’Ausl di Teramo lo autorizza come terapia anticancro

Regressione del tumore al cervello in un paziente di un Centro Oncologico in provincia di Modena, che ha adottato il Metodo Di Bella, screditato dalle autorità mediche.

Accade presso un Centro Oncologico collegato all’Ausl di Teramo, nel modenese. Sono stati verificati, misurati e documentati i progressi nella cura di un paziente affetto da tumore al cervello. Si riapre il vaso di pandora in un mondo scientifico diviso da anni tra i sostenitori del Metodo di Bella e di chi lo rigetta, accusandolo di non avere alcuna validità medica.

Cos’è il metodo Di Bella

C’è chi lo vede come un ciarlatano e chi come una vittima degli interessi delle grandi case farmaceutiche, che lucrano sui medicinali chemioterapici. Ma in cosa consiste il Metodo Di Bella? È un’insieme di farmaci e vitamine che secondo il Dott. Di Bella, il medico di origini siciliane che lo ha creato, sarebbe capace di curare i tumori maligni senza particolari effetti collaterali, diversamente dalla chemioterapia che, secondo il dott. Di Bella “non ha mai curato nessuno”.

Il metodo Di Bella è stato poi impiegato non solo come terapia anticancro, ma anche per trattare malattie come l’epatite C, il morbo di Alzheimer, la sclerosi multipla, il morbo di Parkinson e il morbo di Crohn, oltre a malattie autoimmuni e neurologiche.

Il caso mediatico attorno al Metodo Di Bella

Attorno al Metodo Di bella si è scatenata per anni un’attenzione mediatica fuori dal comune. Era da qualcuno chiamato “il santo guaritore”, per via soprattutto del fatto che somministrava cure senza chiedere compenso, ma solo un’offerta libera.

L’attenzione fu tale che i cittadini si organizzarono per una raccolta firme per chiedere la sperimentazione del Metodo Di Bella, mentre altri oncologi gridavano all’anatema e lo screditavano, considerando dubbie le procedure impiegate.

La sperimentazione del Metodo Di Bella

La sperimentazione tanto attesa venne fatta, ma fallì. Non venne riscontrato una regressione dei tumori e molti dei casi presentarono tossicità, avanzamento della malattia o decesso. Di conseguenza, molti pazienti abbandonarono le terapie e fu  stabilita l’inefficacia del Metodo Di Bella. Allora perché viene ancora usato?

Molti sostengono, così come conferma l’oncologa romana Rita Blandi a Il Corriere, che “la sperimentazione sia stata un bluff. Hanno scelto pazienti terminali, che avevano già completato l’iter tradizionale, fortemente debilitati e defedati”. Questo perché, è la tesi dei sostenitori, la terapia che si poneva in alternativa alle chemio avrebbe intaccato troppi interessi.

L’entusiasmo di Di Bella Jr

L’eredità del medico modenese scomparso nel 2003 è stata raccolta dai figli, anche loro medici. E alla notizia riguardo l’Ausl di Teramo hanno espresso soddisfazione ed entusiasmo. In particolare Giuseppe, a La Gazzetta di Modena ha dichiarato:

«Un centro istituzionale ha certificato su carta intestata che un grave tumore cerebrale in progressione dopo i trattamenti oncologici classici, l’intervento chirurgico, la chemioterapia e la radioterapia, ha ridotto il suo volume del 50%. Ma non basta: lo stesso oncologo di riferimento, che lavora per l’Ausl, ha consigliato caldamente il proseguimento della terapia. Un’ammissione di questo tipo è senza precedenti nel nostro Paese».

«Si è sempre parlato di miglioramenti o guarigioni discutibili, magari frutto di autoesaltazione. Oggi invece siamo a 25 pubblicazioni scientifiche con casistica documentata. Entro l’anno pubblicheremo la casistica sul tumore al cervello e 300 casi per quello alla mammella; in questi, al quarto stadio, con la multiterapia è documentata una sopravvivenza del 70% a cinque anni, contro il 20% dei protocolli oncologici. Lo conferma il maggior portale oncologico, quello del National Cancer Institute».

 

fonte: https://www.ambientebio.it/salute/metodo-di-bella-ausl-teramo-autorizza/