Il supergrano del futuro? È nato in Sardegna, diecimila anni fa!

 

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Il supergrano del futuro? È nato in Sardegna, diecimila anni fa!

 

Il supergrano del futuro è nato in Sardegna diecimila anni fa

Il monococco, coltivato nell’isola, è il primo a essere sfruttato dall’uomo. Ha una spiga piccola e piatta, un alto contenuto proteico e poco glutine

di Giandomenico Mele

Scoprire il grano di una terra che conosci fin da bambino e farne una ragione di vita, per trasformarla in un’impresa economica. Nella genesi di un’idea spesso si cela il ricordo di un’esperienza e Lorenzo Moi, cognome che evoca ascendenze sarde, ma padovano doc, 30 anni, in Sardegna ci viene fin da piccolissimo. Prima in vacanza nella zona di Orosei, poi in giro per l’isola dietro una passione e un mestiere. La prima nasce dalla laurea in Scienze e tecnologie agrarie, la seconda dal grano monococco, tipologia a spiga piccola, con glutine digeribile e indicato per la prevenzione della celiachia. Da lì è nata TricuMonOro, un’associazione che riunisce dal 2013 una trentina di persone che pensano di fare di questo tipo di grano un investimento economico e un’ipotesi di rilancio di un’intera filiera produttiva.

«Il grano monococco è il primo addomesticato dall’uomo oltre 10 mila anni fa – racconta Lorenzo Moi –. Ha una spiga piccola e piatta e si caratterizza per un alto contenuto proteico, che supera il 20% contro il 10% delle altre tipologie di grano». Può sembrare un paradosso, ma mangiare pasta o pane sembra più simile ad addentare una bistecca che fare il pieno di carboidrati. Poi un glutine classificato poco tossico, che si adatta bene alle intolleranze, con la presenza di zinco, fosforo, potassio, ferro e integratori naturali che lo rendono un prodotto ambitissimo per i nutrizionisti. Ma ogni buon grano, per la trasformazione, ha bisogno del suo mulino. Dunque accanto all’agricoltura torna d’attualità la cultura dei mulini, con Moi e i suoi soci che hanno rimesso a posto un mulino in pietra a Onifai e stanno recuperando un antico mulino a Orosei. Economia del grano. Accanto a Moi, passo dopo passo nella sua impresa, c’è la Cna della Gallura e il suo presidente Benedetto Fois, che ha scoperto Lorenzo Moi e la sua passione per il grano e ne ha sposato in pieno il progetto. Nata TricuMonOro, la Cna ne ha subito individuato il potenziale e condiviso quella sorta di potenza creatrice che sta nella missione di un incubatore di imprese che sanno valorizzare prodotto e territorio.

«Abbiamo capito il valore del lavoro sui grani locali, attraverso il recupero delle antiche varietà che non vogliono tanto porsi in concorrenza con i prodotti internazionali e massificati, quanto creare qualcosa di locale, biologico, salutare e non contaminato – spiega Fois –. Incentiviamo le iniziative dei giovani in agricoltura, puntando su standard di eccellenza, come per esempio la tecnica del diserbo dei campi con false semine, che preparano il terreno con semi di erbe che si schiudono naturalmente per poi, dopo la pulizia del campo, riseminare con coltivazioni biologiche». Niente chimica, solo valore aggiunto dato dal lavoro e dalla passione. Piccolo commercio. Un’altra caratteristica di questi piccoli modelli di economia legata all’agricoltura è il vecchio detto del “non fare il passo più lungo della gamba”. Da Orosei i campi seminati si sono estesi fino a Riola Sardo in provincia di Oristano e naturalmente in Gallura, a Berchiddeddu.

«Quando nel 2016 sono rientrato in Sardegna ho deciso che quella della coltivazione e trasformazione del grano diventasse la mia attività principale – racconta Lorenzo Moi –. Abbiamo iniziato a piccoli passi e ora abbiamo un’estensione di circa 25 ettari, che contiamo di triplicare nei prossimi anni. Per ora vendiamo solo ai privati, ma ci stiamo organizzando per aprire uno spaccio nel nostro mulino di Onifai. Vendiamo farina, pane carasau e vari tipi di pasta fresca, dalla fregula ai malloreddus». Il marchio che sta cominciando a cavalcare anche l’onda lunga del commercio elettronico si chiama “I grani di Atlantide” e richiama il mito ma anche il concetto di terra fertile. Un grano che punta sul suo alto contenuto proteico e che previene la celiachia: come testimoniano le relazioni degli Istituti di Gastroenterologia delle università di Brescia e Federico II di Napoli.

«Mi piacerebbe che i miei coetanei seguissero il nostro esempio – conferma Moi –. Mi sono iscritto alla Cna per dare qualche consiglio a chi voglia iniziare un percorso come il mio». Inseguendo un modello che si spera fertile e fecondo come grandi distese di grano.

tratto da: http://www.lanuovasardegna.it/regione/2017/07/10/news/il-supergrano-del-futuro-e-nato-in-sardegna-diecimila-anni-fa-1.15597912

Sanu&Sarvu: Un progetto per un’agricoltura naturale e per il rispetto delle persone e della terra. Un progetto per fare olio Italiano buono e salvare gli ulivi del Salento

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Sanu&Sarvu: Un progetto per un’agricoltura naturale e per il rispetto delle persone e della terra. Un progetto per fare olio Italiano buono e salvare gli ulivi del Salento

 

Sanu&Sarvu: l’olio buono che salva gli ulivi del Salento

Sanu&Sarvu è un progetto che parla di agricoltura naturale e di rispetto per le persone e per la terra; è un tentativo concreto di salvare gli ulivi del Salento; di prendersi cura di un pezzetto di pianeta e di produrre un olio sano che sa di buono.

Sanu&Sarvu è un’idea, un’intuizione germogliata in una caldissima giornata di luglio, in cui c’era tanto bisogno di speranza e pochissimi appigli a cui aggrapparsi. In poco tempo l’idea è diventata movimento. E il movimento si è trasformato in un progetto che ad oggi unisce oltre 40 aziende agricole, piccoli e grandi produttori responsabili impegnati a produrre un olio buono attraverso un’agri-cultura del rispetto, delle persone e della terra e tantissimi consumatori consapevoli (privati, gruppi d’acquisto, mense pubbliche, ristoratori etc.) interessati a sostenere queste forme di produzione.

Ma andiamo con ordine e partiamo dall’inizio perché questa storia merita di essere raccontata per bene.

C’è un Salento, lontano dalle coste, dalla movida e dalle vacanze d’agosto che nel silenzio generale sta vivendo un dramma. Lo chiamavano il terzo mare, quella chiazza verde e rossa, che si stagliava tra lo Ionio e l’Adriatico. Terra di ulivi, di viti, di miti e leggende. Oggi, purtroppo, terra di barricate e grandi battaglie. Contro Tap, Colacem, Ilva, inceneritori vari. Contro le tante devastazioni ambientali e sanitarie che si stanno perpetuando in quelle zone. Contro il consumo di suolo, la speculazione e il turismo predatorio degli ultimi anni. Contro grandi interessi, indifferenza e menefreghismo. E contro una tragedia silenziosa che da tempo sta consumando questi luoghi: la strage degli ulivi.

Basta un colpo d’occhio per vedere quanto la situazione sia allarmante. Piante secche, incendi e desolazione accompagnano per chilometri chi si addentra in quelle terre. Si parla di xylella, un batterio probabilmente giunto dal Centro America, che si trasmette tramite un insetto vettore (tal sputacchina) e che si moltiplica nei vasi conduttori dello xilema delle piante ospiti ostruendone i vasi, impedendo la circolazione dei nutrienti e provocandone il disseccamento. Senza rimedio alcuno. Tutto chiaro? Assolutamente no. La situazione è a dir poco fumosa e, che dir si voglia, non ci sono tuttora prove certe sulle cause e sulle conseguenze di questo patogeno (e di questa emergenza). Tant’è che c’è un’inchiesta in corso, varie teorie, studi, ricorsi al Tar, sentenze, diverse sperimentazioni in campo e chi più ne ha più ne metta.

L’unica cosa certa è che a causa di questa emergenza il paesaggio salentino rischia di mutare per sempre. E con lui anche la nostra olivicoltura. Perché per gran parte della politica e delle associazioni di categoria la soluzione è una e una soltanto: radere tutto al suolo. E reimpiantare. Magari varietà brevettate come la “Favolosa” (vero nome, molto meno rassicurante: cultivar FS-17). Piante create ad hoc per una coltivazione intensiva, estremamente produttiva ma anche esigente: di acqua e pesticidi. Un costo che queste terre e queste genti non si possono permettere: perché di acqua ce n’è già poca e di pesticidi già troppi.

Se vi interessa approfondire questa triste faccenda potete leggere l’inchiesta pubblicata sul numero di Terra Nuova di settembre (disponibile qui  ).

Come spesso succede nei momenti di grande crisi, c’è chi decide di alzare la testa, rimboccarsi le maniche e provare a trovare soluzioni. E se le soluzioni sono sagge i risultati non tardano ad arrivare.

È così che, grazie all’utilizzo di metodi naturali, al ripristino della fertilità dei suoli e alla tutela degli ecosistemi tanti piccoli e grandi agricoltori salentini stanno salvando i loro ulivi.Coltivando in maniera sostenibile e prendendosi davvero cura del terreno le piante vengono messe nelle condizioni di difendersi da sole. Dalle xylella e da qualsiasi altro patogeno. E quando la rispetti, la natura, non solo risponde ma ti sorprende proprio. Così è successo che grazie al lavoro di questi nuovi custodi della terra campi sfiniti dai pesticidi hanno ripreso vita e ulivi dati per spacciati e pronti per essere abbattuti oggi sono di nuovo colmi di frutti. Frutti che stanno dando un olio eccezionale.

Vedere per credere ma, soprattutto, assaggiare per credere! Perché questo gruppetto di produttori ha deciso di unirsi in un movimento: Sanu&Sarvu. Un nome che è un programma! Sanu, ossia sano in salentino, perché l’olio che producono è davvero salutare, sia per chi lo consuma che per chi lo fa. Sarvu, ossia salvo, perché il loro obiettivo è quello di recuperare e proteggere gli ulivi autoctoni del Salento.

Sanu&Sarvu non è un marchio o un’azienda. È un ponte di solidarietà. È un’intesa tra produttori responsabili e consumatori consapevoli. È un’impresa temeraria! Che proprio per questo merita di essere sostenuta. Perché qui in gioco non ci sono solo gli ulivi salentini, c’è un piccolo pezzetto di mondo che ha bisogno di essere difeso, c’è tanta storia e tanta vita e tanta voglia di far qualcosa di buono.

Vuoi contribuire? Acquista il loro olio e fai girare il loro messaggio.

Quello che compri non è solo un buon olio, fatto senza pesticidi e senza sfruttamento (di persone e del terreno). Con questi soldi aiuti le aziende che – spesso con fatica – hanno scelto di convertirsi al biologico; supporti i produttori che invece di abbattere gli ulivi – e magari passare al caro e vecchio intensivo – si stanno facendo in quattro per salvarli (e ci stanno riuscendo!); sostieni i frantoi che ancora utilizzano metodi tradizionali, più lenti, ma anche più sani ed ecologici; incoraggi un popolo che sta lottando non solo per salvare un paesaggio e un ecosistema, ma per preservare la propria identità, la propria storia, il proprio futuro e infine, investi in un’economia virtuosa che è a vantaggio di tutti: produttori, consumatori e ambiente.

Per info e ordini scrivete a sanuesarvu@gmail.com

Per chi fosse interessato al prezzo sono 13 € al litro (comprese le spese di spedizione, acquisto minimo di 5 litri) così suddivisi: 10 € sono per il produttore (in queste sono compresi 0.80 € circa del costo molitura e 0.35 € circa del contenitore); 0.50 €  per la spedizione; 0.50 € per la gestione ordini e l’organizzazione; 1 € andrà a un fondo per la sperimentazione e la cura degli ulivi e 1 € a un fondo di solidarietà destinato a chi quest’anno a causa del disseccamento non ha produzione. Il tutto è regolamentato e gestito da una associazione temporanea di scopo a cui ogni produttore può aderire impegnandosi a lavorare secondo i principi di Sanu&Sarvu. La gestione del denaro sarà invece gestita da Banca Etica.

di Elena Tioli

tratto da: http://www.terranuova.it/News/Agricoltura/Sanu-Sarvu-l-olio-buono-che-salva-gli-ulivi-del-Salento

Tutti pazzi per la Facelia, pianta “salva-api”

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Tutti pazzi per la Facelia, pianta “salva-api”

Nel Vicentino è esplosa la “facelia mania”. Ovvero l’interesse per il fiore “salva-api”, con una spettacolare infiorescenza violacea, che funziona anche come concime naturale una volta sfiorito.

Nella foto: Una distesa viola, l’effetto creato dalla coltivazione di facelia, la pianta nota anche come “salva api”.

Il Comune di Arcugnano si è fatto promotore da qualche mese, in collaborazione con Coldiretti e Sis, Società Italiana Sementi con sede a San Lazzaro di Savena, alle porte di Bologna, di divulgare la coltivazione della facelia. E la risposta del territorio è andata oltre le attese. Ad Arcugnano sono arrivate chiamate da tutta la Provincia, da Breganze a Sossano, da Trissino a Zovencedo, e i 200 chili di sementi a disposizione ai magazzini comunali di Torri per circa 20 ettari di terreno, forniti gratuitamente dalla Sis, sono praticamente già assegnati o prenotati.

«Si tratta per lo più di coltivatori diretti o apicoltori – spiega l’assessore all’ambiente Gino Bedin – un’azienda importante di Arcugnano ha già fissato sementi per 10-12 ettari, altre invece hanno prenotato per 5/6 ettari complessivi. E poi ci sono tante microrealtà che hanno chiesto sementi per 500 o 1000 metri quadrati di terreno. Abbiamo anche avviato una collaborazione con Zovecendo, per una superficie di 2000/3000 metri quadrati, in cui gli apicoltori hanno compreso il valore agronomico oltre che ambientale dell’operazione facelia e quindi sono già venuti a prendersi le sementi». «Ma ci hanno chiamato anche tanti privati – continua l’amministratore – persone che hanno chiesto di poterla coltivare nell’orto o nell’aiuola davanti casa. In questi giorni una piccola realtà di Altavilla, 500 metri di orto con 4 arnie di api, ha chiesto le sementi per procedere alla coltivazione. Saranno almeno una trentina i contatti che abbiamo avuto. I semi sono a disposizione gratuitamente, ma qualcuno era disposto pure a pagare per avere la facelia».

Un fiore che al di là dell’aspetto estetico, sicuramente di grande impatto, rappresenta una sorta di concimazione naturale del terreno, perché una volta sfiorita lo arricchisce di materia organica naturalmente, senza contare che è una sorta di salvezza per le api e la produzione di miele di qualità, perché se seminata a giugno, fiorisce a luglio e agosto, periodo in cui le api vanno in difficoltà per la mancanza di fioriture.

«Stiamo praticamente già raccogliendo adesioni per un eventuale progetto il prossimo anno – aggiunge l’assessore Bedin – speriamo che la Sis appoggi nuovamente l’iniziativa. Si potrebbe anche pensare ad un progetto di consegna a domicilio delle sementi. L’idea ci era piaciuta subito, ma non era così scontato far passare il messaggio ai coltivatori, perché far crescere la facelia non porta reddito e quindi come secondo raccolto si potrebbe pensare ad altro, come la soia. Invece l’interesse è stato notevole, dai coltivatori diretti in primis e poi dagli hobbisti e apicoltori in particolare. Siamo decisamente soddisfatti dell’inaspettato successo dell’operazione, che speriamo di poter ripetere anche il prossimo anno, in modo da poter dare risposta alle tante richieste e continuare ad abbellire il territorio di Arcugnano».

Fonte: http://www.ilgiornaledivicenza.it/territori/vicenza/arcugnano/tutti-pazzi-per-la-pianta-salva-api-1.5812292

Grano antico e grano moderno: cosa sono?

 

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Grano antico e grano moderno: cosa sono?

I cereali, un alimento “vecchio” che accompagna quotidianamente le nostre abitudini alimentari. Questo rappresenta la maggiore fonte di calorie nella dieta umana da millenni. Il nostro approccio negli ultimi 100 anni con questo eccelso alimento è notevolmente variato; è cambiata la selezione genetica, le tecnologie produttive, tutto è stato notevolmente velocizzato, in funzione anche agli stili di vita sempre più frenetici e agitati.

Negli anni ’70 mediante la tecnica dell’irraggiamento con raggi gamma, abbiamo variato la genetica del grano trasformandolo da un fusto molto alto in un fusto molto più basso, riducendo il rischio di “allettamento” (coricamento) aumentandone così, la resa produttiva per ettaro. Per questo ultimo motivo nacquero le varietà di frumento moderno che portarono al progressivo abbandono delle varietà e specie antiche, ma organoletticamente superiori. Il ritorno all’impiego di specie e varietà di cereali abbandonate, iniziato come un fenomeno di moda circoscritto a una nicchia di fruitori, è stato dunque definito “antico”, ritorno al “grano antico”. Il termine “grani antichi” è prettamente commerciale, che sta a identificare tutta una serie di grani che furono alla base dell’alimentazione delle civiltà mediterranee prima ancora di essere sostituiti dalle moderne culture intensive, in breve grani che sono rimasti autentici e originali, ovvero che non hanno subito modificazioni da parte dell’uomo.

DIFFERENZE TRA ANTICO E MODERNO

L’affermarsi delle varietà moderne su quelle antiche è da imputarsi principalmente all’elevato contenuto di glutine, spesso anche aggiunto nei grani. La ricerca di farine tecnologiche, più semplici da lavorare (impasti velocemente panificabili) e naturalmente l’aumento della resa produttiva ha fatto si che le varietà antiche fossero state dimenticate.

È bene dire che le migliori qualità tecnologiche delle farine e delle semole non sono correlate positivamente con le proprietà nutrizionali

Negli ultimi anni infatti diversi studi epidemiologici hanno evidenziato che il “bombardamento” da glutine sia uno dei cofattori scatenanti della sensibilizzazione al glutine stesso, evidenziando così un costante incremento degli intolleranti alla proteina. Da un punto di vista della qualità funzionale possiamo affermare che, nel grano, si trovano molte sostanze fitochimiche biologicamente attive come polifenoli (flavonoidi, lignani, isoflavoni) carotenoidi, tocoferoli e fibra. Questi composti influenzano positivamente tutte le attività dell’organismo umano.

Differenze significative sono state trovate tra le antiche e le moderne, non tanto in termini quantitativi, ma di qualità di composti.
È scontato dire che il migliore profilo di metaboliti secondari presenti, la migliore qualità alimentare del glutine nelle varietà antiche, ci portano alla riflessione di ritornare ad ampliare le coltivazioni di questi grani che combinano caratteristiche tecnologiche alle nutraceutiche. Per tutti questi motivi bisognerebbe utilizzarli più spesso e senza timore. Generalmente il grano antico è lavorato con una macinazione a pietra, con il risultato di una farina meno raffinata. I profumi e i sapori che queste farine sprigionano fanno tornare indietro nel tempo.
&Nbsp;
I grani antichi possono essere sintetizzati in:
• Specie del genere Triticum escluso il grano duro e tenero. A questa sezione appartengono il farro piccolo (T. monococcum L), medio (T. dicoccum L.) e grande (T. spelta L.)
• Varietà di grano duro e tenero degli inizi del ‘900. Senatore Cappelli.

Farro è il nome comune con il quale sono chiamati i frumenti vestiti che si differenziano dai più classici frumenti nudi (tenero e duro). Questa differenziazione sta nel fatto che al momento della trebbiatura i chicchi (cariosside) non si separano dalle glumelle (“la pula”).

Tutte le tipologie di farro differiscono per caratteri morfologici, fisiologici, qualitativi e agronomici, tutte con una loro particolare identità
legata al territorio di origine. Sul piano nutrizionale, il monococco si distingue per la sua eccezionale ricchezza in proteine (19%), vitamine e carotenoidi, oltre che per l’elevato contenuto in zinco e ferro. Inoltre ha un ridotto contenuto di amido che lo rende ben digeribile e una bassissima percentuale di glutine (solo il 3%).

Il farro dicocco presenta un buon contenuto in sali minerali, vitamine e proteine polifunzionali, sebbene siano inferiori al monococco. È ricco di beta-glucani (gomme naturali con preziosa funzione di protezione dell’apparato digerente e di agevolazione della digestione) e possiede inoltre un basso indice glicemico.
Il contenuto in glutine del farro dicocco è mediamente basso e, soprattutto, si tratta di un glutine poco tenace.
Lo spelta ha invece una composizione molto simile al frumento tenero. Senatore Cappelli – grano duro. È stato per decenni il frumento tipo duro maggiormente coltivato nel Sud Italia e nelle isole. Una posizione di tutto rispetto fino a che le varietà più produttive e di taglia bassa non hanno preso il sopravvento fino alla quasi scomparsa dopo gli anni Cinquanta.

IN CUCINA

Con tutte le premesse fatte, l’utilizzo di grano antico rappresenta un percorso di storia gastronomica del nostro Paese, riscoprendo così specialità e prodotti tipici locali. Se sfogliamo vecchi ricettari ci accorgiamo subito che l’utilizzo di grani “poveri” è tra le basi dell’alimentazione dei nostri nonni.
Perché usarli per fare il pane? Le farine ottenute da grani “antichi”, sottoposte a test e ad analisi di vario tipo, hanno dimostrato proprietà notevolmente superiori, e maggiore variabilità di elementi nutritivi. La lavorazione col solo utilizzo di lievito madre richiede tempi più lunghi e modalità difficilmente standardizzabili rispetto alla lavorazione industriale. Tuttavia permette di ottenere un pane fragrante, sano, conservabile, del quale non si spreca nemmeno un pezzetto.

Chiunque ne comprenda il valore è disposto a riconoscere al produttore, al mulino e all’agricoltore il maggior lavoro.

LA RICERCA

Nel 1994 sono stati presentati al convegno Farro cereale della salute interessanti risultati circa l’assimilazione di grani antichi e verdure. Sotto controllo medico 5.000 pazienti ammalati con malattie incurabili come morbo di cron, celiachia, diabete mellito, cancro, e gravi allergie sono stati sottoposti, senza altre cure mediche, a un’alimentazione esclusivamente a base di farro, verdura e frutta biologica; escludendo completamente l’utilizzo di carne, latticini, pesce e altri cereali.

Dopo alcuni mesi 4.500 persone erano completamente guarite mentre le restanti 500 persone stavano molto meglio, ma non erano ancora guariti del tutto. Secondo i medici che hanno seguito il test si è ottenuto un successo strepitoso, e le ragioni di questa guarigione ha origine dalla particolare chimica del granello del farro. Infatti il farro ha una crusca molto diversa rispetto al frumento duro e tenero dato che tale fibra è costituita in gran parte da polisaccaridi non cellulosici che la nostra flora intestinale può trasformare in acidi organici a catena corta, che vengono assorbiti secondo questa preferenza, butirrato, acetato, propionato, e che costituiscono la primaria fonte di energia per l’epitelio del colon e stimolano il turnover cellulare, il flusso sanguigno e la motilità intestinale. Sono anche coinvolti nella riparazione tessutale determinando una generale rigenerazione e dell’intero organismo. Inoltre, il farro fornisce anche dei tiocianati che sono responsabili del ripristino e aumento delle difese immunologiche. Poi le sue proteine non allergeniche, molto complesse, facilmente digeribili e i suoi amidi molto complessi e a lenta cessione degli zuccheri, fornivano un tipo di alimentazione allo stesso tempo molto potente e rigenerante che grazie al ripristino della capacità assimilatoria effettuata dai suddetti polisaccaridi non cellulosici consentiva all’organismo malato di disporre di un’ondata di nuove forze in grado di ripristinare le funzioni organiche compromesse dalla malattia. In conclusione i medici affermarono: “Secondo noi, visti i risultati ottenuti dovremmo convertire tutte le superfici coltivate con i frumenti moderni in terreni coltivati esclusivamente con farro”.

Naturalmente nessuno dei responsabili della salute pubblica li ha ascoltati e nessuno ha mai più parlato di questi fatti rivoluzionari e di grande importanza per la salute pubblica e per l’ambiente al contrario, invece, si sono diffusi ancora di più coltivazioni soggette a pratiche agricole mediante impiego di concimi chimici, diserbanti e pesticidi.

tratto da: http://www.ristorazioneitalianamagazine.it/grano-antico-grano-moderno-cosa/

Tutti pazzi per la pianta “salva-api”

 

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Tutti pazzi per la pianta “salva-api”

ARCUGNANO. Nel Vicentino è esplosa la facelia mania. Ovvero l’interesse per il fiore “salva-api”, con una spettacolare infiorescenza violacea, che funziona anche come concime naturale una volta sfiorito. Il Comune di Arcugnano si è fatto promotore da qualche mese, in collaborazione con Coldiretti e Sis, Società Italiana Sementi con sede a San Lazzaro di Savena, alle porte di Bologna, di divulgare la coltivazione della facelia. E la risposta del territorio è andata oltre le attese. Ad Arcugnano sono arrivate chiamate da tutta la Provincia, da Breganze a Sossano, da Trissino a Zovencedo, e i 200 chili di sementi a disposizione ai magazzini comunali di Torri per circa 20 ettari di terreno, forniti gratuitamente dalla Sis, sono praticamente già assegnati o prenotati.

 

«Si tratta per lo più di coltivatori diretti o apicoltori – spiega l’assessore all’ambiente Gino Bedin – un’azienda importante di Arcugnano ha già fissato sementi per 10-12 ettari, altre invece hanno prenotato per 5/6 ettari complessivi. E poi ci sono tante microrealtà che hanno chiesto sementi per 500 o 1000 metri quadrati di terreno. Abbiamo anche avviato una collaborazione con Zovecendo, per una superficie di 2000/3000 metri quadrati, in cui gli apicoltori hanno compreso il valore agronomico oltre che ambientale dell’operazione facelia e quindi sono già venuti a prendersi le sementi». «Ma ci hanno chiamato anche tanti privati – continua l’amministratore – persone che hanno chiesto di poterla coltivare nell’orto o nell’aiuola davanti casa. In questi giorni una piccola realtà di Altavilla, 500 metri di orto con 4 arnie di api, ha chiesto le sementi per procedere alla coltivazione. Saranno almeno una trentina i contatti che abbiamo avuto. I semi sono a disposizione gratuitamente, ma qualcuno era disposto pure a pagare per avere la facelia».

 

Un fiore che al di là dell’aspetto estetico, sicuramente di grande impatto, rappresenta una sorta di concimazione naturale del terreno, perché una volta sfiorita lo arricchisce di materia organica naturalmente, senza contare che è una sorta di salvezza per le api e la produzione di miele di qualità, perché se seminata a giugno, fiorisce a luglio e agosto, periodo in cui le api vanno in difficoltà per la mancanza di fioriture.

 

«Stiamo praticamente già raccogliendo adesioni per un eventuale progetto il prossimo anno – aggiunge l’assessore Bedin – speriamo che la Sis appoggi nuovamente l’iniziativa. Si potrebbe anche pensare ad un progetto di consegna a domicilio delle sementi. L’idea ci era piaciuta subito, ma non era così scontato far passare il messaggio ai coltivatori, perché far crescere la facelia non porta reddito e quindi come secondo raccolto si potrebbe pensare ad altro, come la soia. Invece l’interesse è stato notevole, dai coltivatori diretti in primis e poi dagli hobbisti e apicoltori in particolare. Siamo decisamente soddisfatti dell’inaspettato successo dell’operazione, che speriamo di poter ripetere anche il prossimo anno. In modo da poter dare risposta alle tante richieste e continuare ad abbellire il territorio di Arcugnano».

Luisa Nicoli
tratto da: http://m.ilgiornaledivicenza.it/permanent-link/1.5812292