I capolavori che si stanno sciogliendo. La mostra beffarda di un geniale artista Austriaco che dovrebbe farci riflettere… E vediamo se così lo capiamo…!

 

 

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I capolavori che si stanno sciogliendo. La mostra beffarda di un geniale artista Austriaco che dovrebbe farci riflettere… E vediamo se così lo capiamo…!

Immaginate di essere in un museo troppo caldo e di vedere i quadri che piano piano si sciolgono, uno dopo l’altro. Alper Dostal, artista austriaco, usa questa metafora artistica per porre l’accento su quello che sta succedendo al nostro Pianeta per colpa del surriscaldamento globale e dei cambiamenti climatici.

Si definisce un’artista multidisciplinare e nel suo progetto d’arte digitale Hot Art Exhibition mette in scena una triste realtà: i capolavori di Picasso, Van Gogh, Mondrian, Dalì e tanti altri escono dalle cornici e si sciolgono. L’idea è quella di rappresentare gli effetti del cambiamento climatico e spingere a riflettere su un problema diventato ormai globale.

Il progetto che potrebbe sembrare ironico, in realtà racchiude tutte le preoccupazioni di Alper Dostal. Con il surriscaldamento è in pericolo anche tutto il patrimonio artistico: le opere diventano irriconoscibili, così come i luoghi che eravamo abituati a pensare in un altro modo.

Così la Notte stellata di Van Gogh potrebbe rappresentare l’Artico con i suoi ghiacci sciolti, Guernica di Picasso, fiumi e laghi prosciugati dalla siccità.

“Le mie opere sono spesso influenzate dalla vita di ogni giorno, dal surrealismo, dal disegno industriale e dall’astrattismo. Il mio lavoro è un po’ bizzarro, umoristico e con un goccio di sarcasmo, ma dietro tutto ciò è nascosta la realtà”.

I capolavori che “si sciolgono”
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Guardate cosa succede alle installazioni:

 

 

L’allarme di SlowFood: il clima impazzito spegne il ronzio delle api

 

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L’allarme di SlowFood: il clima impazzito spegne il ronzio delle api

Dopo aver superato a stento la strage provocata dalla chimica in questi anni, le api vanno a sbattere violentemente contro il cambiamento climatico dimostrandosi una volta di più, loro malgrado, una preziosa sentinella del nostro ambiente.

Il 2017 si sta prefigurando come l’annus horribilis del miele: la gelata di aprile seguita dall’ondata di calore nei mesi successivi ha ridotto il nettare contenuto nelle piante, rischiando di pregiudicare anche la produzione dei prossimi anni.

«Ancora una volta le api si rivelano per quello che sono: un indicatore dei cambiamenti della natura» spiega Francesco Panella, storico apicoltore di Novi Ligure. «In 40 anni di carriera non ho mai assistito a una cosa del genere: con la produzione pensavo di aver toccato il minimo storico nel 2016, ma l’anno in corso è nettamente peggiore. Gli apicoltori più anziani sostengono che gli effetti della gelata di aprile di quest’anno siano stati peggiori di quelli della grande nevicata del ‘56. E anche se le condizioni climatiche dovessero migliorare, le piante sono troppo “stressate” e i fiori poveri di nettare».

Non solo riscaldamento globale ma anche pesticidi e agricoltura intensiva concorrono ad aggravare un bilancio già di sé poco favorevole: «A essere colpito per primo è il mondo arboreo, da cui in generale deriva il 50% del miele. Per questo una regione come il Piemonte, dove colture intensive di viti e nocciole stanno impoverendo gli alberi di acacia, tiglio e castagno, soffre in modo particolare, ».

La produzione di miele di acacia in Piemonte è ai minimi storici: in provincia di Biella la produzione è crollata del 90%, passando dalle 70 tonnellate del 2016 alle 7 del 2017. Nel Cuneese si è scesi da un’annata media di 15-20 kg ad alveare ai 2-3 kg con numerose arnie che non hanno prodotto affatto. Solo l’anno scorso, in tutta Italia, il miele d’acacia era crollato da 703 tonnellate a 275.

Un futuro nero, insomma, che almeno per il momento vede salvarsi solo il miele d’agrumi e quello di alta montagna, sopra i 1500 metri: «Attraverso le api, le piante ci stanno avvisando che il verde che vediamo è carente. Le api stanno anticipando ciò che l’agricoltura dovrà affrontare nei prossimi anni».

A confermare l’imprevedibilità degli effetti dei cambiamenti climatici c’è la relazione pubblicata a gennaio dalla Commissione europea sull’applicazione dei programmi nazionali per l’apicoltura. Secondo questo documento, il numero crescente di alveari in Italia (siamo al quinto posto in Europa per produzione) avrebbe dovuto portare a un incremento della quantità di miele disponibile.

Ma la realtà è ben più dura delle previsioni. Non solo l’aumento di miele non c’è stato ma anzi, si è ridotto di un 30% su tutto il territorio: «Alla faccia di Trump e dei negazionisti» conclude Panella. «Questa è una iattura che ci sta per colpire in pieno. Anche se adottassimo improvvisamente dei comportamenti più virtuosi forse riusciremo a contenere il danno per i nostri nipoti, ma di sicuro non per i nostri figli».

 

Maurizio Bongioanni

m.bongioanni@slowfood.it

Fonte:http://www.slowfood.it/clima-impazzito-spegne-ronzio-delle-api/