La fantastica scoperta tutta italiana sulla molecola che limita lo sviluppo del tumore.

 

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La fantastica scoperta tutta italiana sulla molecola che limita lo sviluppo del tumore.

La ricerca del team di Mantovani dell’Humanitas pubblicata su «Nature»

Come una Ferrari. Così funziona il nostro sistema di difesa immunitario: è potente, dotato di acceleratori che lo fanno partire e viaggiare ad alta velocità, quando si tratta di difendere l’organismo da aggressioni pericolose, ma anche di freni, che gli impediscono di andare fuori strada. Se, però, il sistema frena troppo, la macchina finisce per fermarsi. È più o meno quello che succede a certe cellule immunitarie di fronte a un tumore, un nemico da raggiungere e annientare: tirano il freno e lasciano alle cellule cancerose campo libero per espandersi e dare metastasi.
È questa la metafora che aiuta a capire l’ultima, sofisticata, scoperta del gruppo di ricerca di Alberto Mantovani, direttore scientifico dell’Istituto Humanitas di Milano e docente all’Humanitas University, appena pubblicata su Nature e finanziata da Airc, l’Associazione per la ricerca contro il cancro: si tratta della scoperta di un nuovo «freno» che si chiama in sigla IL-1R8.

L’importanza della scoperta

Perché è così importante? Perché oggi l’ultima frontiera delle terapie anti-cancro si chiama immunoterapia: permette di tenere a bada tumori prima difficilissimi da curare, come il melanoma, e agisce proprio sul sistema immunitario, sbloccando i freni che lo inibiscono e rendendolo di nuovo capace di distruggere le cellule tumorali. Tanto per dire: i pazienti con melanoma, fino a poco tempo fa, potevano sopravvivere qualche mese, oggi arrivano anche a dieci anni di vita in più.
Al momento sono fondamentalmente due i «freni» che possono essere neutralizzati dalle immunoterapie: si chiamano Pd1 (e Pdl1) e Ctl4. «Questi “freni” appartengono a cellule del sistema immunitario chiamate linfociti T – spiega Mantovani -. Noi, invece, abbiamo scoperto un altro “dispositivo frenante”, l’IL-1R8 che si trova su altre cellule immunitarie chiamate Natural Killer , cellule con “licenza di uccidere”. Se ne trovano tante in organi come il fegato e il polmone, spesso bersaglio di metastasi». Ecco perché l’idea di riattivare i «killer di professione», potrebbe portare a nuove terapie anti-metastasi in questi organi.

Il team

Alberto Mantovani e il suo gruppo continuano a lavorare alacremente e presto ci potranno essere novità: grazie all’aiuto dei giovani e delle donne. Perché il «gruppo di testa» della ricerca pubblicata da Nature è la coppia «senior» formata da Mantovani e da Cecilia Garlanda, ricercatrice dell’Humanitas (cui si aggiunge Angela Santoni dell’Università La Sapienza di Roma), ma i primi firmatari del lavoro sono due giovanissimi «scienziati», Martina Molgora e Eduardo Bonavita, studenti di dottorato di ricerca che hanno appena ricevuto il Mit Award, un premio assegnato dal prestigioso Massachusetts Institute of Technology di Boston. Sono al lavoro in Italia.

fonte: http://www.corriere.it/salute/sportello_cancro/17_ottobre_26/scoperta-italiana-molecola-che-limita-sviluppo-tumore-121e02d6-ba26-11e7-b70e-7d75d3b9777f.shtml

Il succo di mela è un potente antitumorale, uno studio del CNR spiega il perché.

 

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Il succo di mela è un potente antitumorale, uno studio del CNR spiega il perché.

Uno studio condotto dal Cnr spiega per la prima volta quali sono, nello specifico, le proprietà antitumorali del succo di mela.

Secondo uno studio condotto dall’Istituto di scienze dell’alimentazione del Consiglio nazionale delle ricerche (Isa-Cnr) in collaborazione con l’Università di Salerno, il #succo di mela ha proprietà antitumorali ed è ricco di antiossidanti utili alla salute. Grazie a questa ricerca ora si potrà conoscere il modo in cui le cellule malate vengono contrastate, in particolare per il tumore del colon retto.

Succo di mela: spiegato il motivo per cui ha effetti antitumorali

Angelo Facchiano, ricercatore presso il Cnr, ha dichiarato che, per la prima volta, è stato analizzato in maniera specifica il modo in cui i polifenoli contenuti nel succo di mela operano come agenti antitumorali.

In sostanza, i ricercatori hanno analizzato, quantificato e identificato i principali composti antiossidanti di tre tipi di mela: Annurca, Red Delicious, Golden Delicious ed hanno scoperto che i polifenoli contenuti nel suo succo ostacolano “la replicazione ed espressione del DNA nelle cellule cancerose del colon” impedendo loro di far aumentare la massa tumorale, dichiara Facchiano. Questa scoperta è molto importante, ma non ancora sufficiente per mettere a punto terapie mirate, continua il ricercatore del Cnr. Sarà quindi necessario effettuare altri studi per capire i meccanismi molecolari e le proteine coinvolte.

Succo di mela: gli altri vantaggi di questo frutto

Ma ci sono molti altri vantaggi nel bere succo di mela eccoli elencati:

  • E’ carico di sostanze nutritive grazie all’alto contenuto di antiossidanti che sono cruciali per prevenire l’invecchiamento precoce e combattere i radicali liberi associati alle malattie croniche.
  • E’ ricco di potassio, un nutriente che controlla l’attività elettrica del cuore e regola l’acidità del corpo. Inoltre è utile per la costruzione della massa muscolare, nel processo di assimilazione dei carboidrati e la loro successiva trasformazione in energia.
  • Salute del fegato: per le sue proprietà alcaline che aiutano il corpo ad eliminare le tossine.
  • Protezione del cuore: in quanto il succo di mela riduce le probabilità di attacchi di cuore, diminuendo l’accumulo di colesterolo nelle arterie.
  • Migliora la digestione: le mele contengono l’acido malico che contribuisce alla corretta funzione del fegato e aiuta la digestione.

Dopo aver letto i vantaggi di bere succo di mela, capirete perché le mele sono il frutto più popolare nel mondo.

La Cannabis per la cura dei tumori? Una ricerca italiana fa sperare.

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La Cannabis per la cura dei tumori? Una ricerca italiana fa sperare.

 

Cannabis e cura dei tumori: la ricerca (italiana) che fa sperare

Nonostante i pregiudizi, sono centinaia gli studi sulle cure a base di cannabinoidi. E i risultati sono molto importanti. Intervista al Prof. Massimo Nabissi

C’è chi pensa che la pianta della cannabis sia usata esclusivamente per produrre prodotti “di svago”. E c’è chi invece su questa pianta ci ha scommesso molto: non solo agricoltori e imprenditori ma anche ricercatori e medici. Se l’uso della cannabis per alleviare le sofferenze dei pazienti è ormai una realtà, non sempre accettata, ma conosciuta, molto meno conosciuto è il campo della ricerca nel ridurre la crescita, o indurre la morte, delle cellule tumorali.

Sono centinaia gli studi in questo senso, svolti in silenzio nei laboratori di tutto il mondo fin dagli anni ’90, che hanno l’obiettivo di ampliare le conoscenze attuali sui farmaci antitumorali e dare nuove speranze ai malati.

Come nel laboratorio di Camerino, dove il Dr.Massimo Nabissi, ricercatore del gruppo di Patologia ed Immunologia della Scuola del Farmaco e dei Prodotti della Salute, lavora fin dal 2008 allo studio sul ruolo anti-tumorale dei cannabinoidi sia nel GBM (tumore del cervello) sia nel mieloma multiplo. E i risultati sono davvero importanti.

“L’idea dello studio nel mieloma è nata – ci racconta Nabissi – da una collaborazione con il Dipartimento di Ematologia degli Ospedali Riuniti di Ancona. Il nostro lavoro aveva dimostrato che la maggior parte delle cellule tumorali isolate dai pazienti analizzati mostrava la presenza di un recettore di membrana che rispondeva se stimolato con i cannabidiolo (CBD). Da questo dato siamo andati a valutare “in vitro” l’effetto del CBD sia da solo sia in combinazione con un farmaco utilizzato di solito nella terapia del mieloma multiplo (il Bortezomib). I dati hanno dimostrato un ruolo anti-proliferativo del CBD e un’azione sinergica della combinazione CBD insieme al farmaco.”. Che cosa vuol dire in concreto? Che l’aggiunta del principio attivo della cannabis, insieme al farmaco già conosciuto, permette di ottenere una risposta maggiore rispetto a quella dei due farmaci usati singolarmente.Da qui la spinta a continuare. “Nel lavoro successivo – continua Nabissi- abbiamo testato la combinazione THC/CBD in combinazione con un nuovo farmaco (Carfilzomib) sempre nel mieloma multiplo e anche in questo caso i dati hanno dimostrato che la combinazione è più efficace dei singoli farmaci ed inoltre riduce la migrazione (processo di metastasi) delle cellule tumorali. Questi dati “in vitro” che abbiamo ottenuto, sono stati presi ad esempio, da una Biotech Israeliana, per la richiesta di avvio del primo studio “in vivo”, in pazienti affetti da mieloma multiplo”.

 Per la prima volta quindi la sperimentazione non si limiterà ad essere studiata su delle cellule (fasi pre cliniche di una ricerca) ma arriverà su veri e propri pazienti che utilizzeranno, insieme al farmaco “ufficiale”, anche quello a base di THC e CBD.

Se quindi per il mieloma multiplo la sperimentazione sui pazienti sta per cominciare,per altri tipi di tumori la ricerca è già molto avanti. Ci spiega Nabissi: “La sperimentazione con THC/CBD in combinazione con Temodal (il farmaco attualmente in uso nella terapia per il tumore al cervello), ha ormai superato la fase clinica II, con risultati che sono stati appena pubblicati nel sito della casa farmaceutica che ha svolto la sperimentazione . Da quello che si legge, a breve organizzeranno la fase clinica III che se darà risultati positivi potrà permettere di utilizzare questa combinazione nella terapia futura su centinaia o migliaia di pazienti. Per altri tipi di tumore, come il tumore al seno, al polmone, melanoma, pancreas la ricerca è in una fase avanzata a livello di studi pre-clinici”.

Nonostante i risultati diano ragione a queste ricerche e suggerirebbero di continuare su questa strada, Nabissi non nasconde il suo rammarico: “Quello che noto in Italia è che ci sono due principali prese di posizione, chi è a favore e chi è contro all’uso terapeutico dei cannabinodi. Trattandosi di farmaci, facendo una comparazione semplicistica, è come se in Italia ci fossero due prese di posizione pro e contro alla morfina, agli anti-depressivi o agli oppiacei. Se i cannabinoidi vengono viste come “droghe”, lo stesso dovrebbe valere per la morfina, per gli oppiacei (utilizzati nei cerotti antidolorifici ed acquistabili in farmacia) o per gli anti-depressivi (es. le benzodiazepine), tutti farmaci che possono indurre dipendenza psicologica e fisica (tutti dati reperibili sul sito del Ministero della Salute o nel sito dell’Agenzia Italiana del Farmaco). Quindi mi chiederei, perché esiste questo pregiudizio per i farmaci cannabinodi? All’estero, almeno in alcuni paesi europei e negli Sati Uniti d’America, l’argomento cannabis terapeutica viene trattato in modo molto più approfondito e lo sviluppo d’imprese che lavorano nell’ambito della cannabis è in forte espansione. Solo in Europa (Olanda, U.K., Germania, Spagna Svizzera, Repubblica Ceca, ecc…) sono presenti diverse ditte che si occupano nello sviluppare nuovi incroci di piante, nella purificazione di cannabinodi, nello sviluppo di nuove formulazioni, nella ricerca pre-clinica”. In Italia fare ricerca in questo campo è davvero difficile da punto di vista burocratico o di autorizzazioni, chissà se nel futuro qualcosa cambierà seguendo il caso della Repubblica Ceca ha investito milioni di euro nel 2015 per avviare il primo centro per lo studio dei cannabinoidi in ambito terapeutico.

“Personalmente – ci dice ancora Nabissi – credo che in futuro l’uso terapeutico, in specifiche patologie tumorali, avrà applicazione clinica. A livello di ricerca, sono abbastanza convinto che la sperimentazione sui cannabinoidi avrà un grosso sviluppo in alcuni stati europei.”