I sogni di Andrea Camilleri

Andrea Camilleri

 

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I sogni di Andrea Camilleri

Ci sono compleanni e compleanni.

Per il mio compleanno, per esempio, gente che ne sa davvero a pacchi mi ha regalato il regalo di compleanno di un altro. Non fu caso di riciclo, fu caso di genio. Perché quell’altro era Andrea Camilleri, e il regalo per il suo compleanno, il novantesimo compleanno, glielo ha fatto a settembre – il 6 settembre di quest’anno – la sua casa editrice. Alla Sellerio, cioè, c’è stato qualcuno – verosimilmente più d’uno, capace che una mano l’hanno data i fratelli Sellerio stessi – che s’è messo lì sui libri, su tutti i libri, scritti da Camilleri dal 1984 in poi, e li ha riletti. Scopo del gioco: trovare e collezionare tutti i brani che avessero a che fare con il tema del sogno, raccoglierli in un volume antologico unico e chiudere questo stesso libro in un cofanetto insieme a una festa di cartoline raffiguranti tuuuutte le copertine dei libri blu con in cima il nome Andrea Camilleri, polizieschi e non, storici e narrativi. Quarantotto, mica due. Il risultato è un piccolo, delizioso, capolavoro da collezionisti, da amatori, nel senso vero della parola: una cosa per persone che amano. Che amano la lettura, che amano l’editoria di progetto e di ricerca, che amano quell’asso piglia tutto che è il commissario Salvo Montalbano, che amano il più grande – forse l’unico – caso letterario che negli utlimi decenni in Italia sia scoppiato, esploso, deflagrato e mai rientrato. Un volumetto piccino e prezioso, che vola via in un fiato, in cui la trama, ovviamente, non c’è, ma non fa sentire la sua mancanza. Come una raccolta di brevi racconti, ma messi insieme come su un palcoscenico. Perché Camilleri regista era, e regista rimase: lo fa dire a Catarella – quel geniale, storditissimo e sgrammaticatissimo centralinista del commissariato – che cadendo in un conflitto a fuoco rassicura il suo capo “Ancora non sinni addunò, dottori? Triatro è”. E canta, un’aria della Tosca.
Roba che Pirandello, giusto per fare il nome di un altro agrigentino che due parole in fila sapeva metterle, si sarebbe alzato ad applaudire.

Ogni pagina un indizio, o un ricordo, o un flash. Un sogno erotico di specchiata monogamia, con protagonista Livia, la stoica – oltre che storica – fidanzata a distanza del commissario; o un incubo territoriale, il cui protagonista è un Totò Riina che, di punto in bianco diventa ministro dell’interno. Dice, pare babbiata (neologismo siculo-camilleriano entrato a forza nel dizionario italiano, per altro), ma non è mica poi tanto distante dalla realtà, se ci pensi. Chiedilo a Freud cosa vuol dire, dice il narratore al protagonista, e il protagonista al lettore, in un gioco di rimandi che pare il teatro dell’assurdo, senza mai uscire dallo schema narrativo.

E poi, come narra, sto narratore. Non so, sarà che parla di casa mia – tutta la provincia di Ragusa è Vigata, non lo sapete? Il commissariato è a Scicli, Marinella è a Punta Secca, la veduta panoramica è Ibla – o sarà che parla una lingua che suona come la mia lingua ma che però sa fare il miracolo di farsi capire da chi la mia lingua non la conosce. Non lo so qual è la magia di Camilleri, ma qualche trucco, da qualche parte, ci deve essere. Magari in mezzo alle cartoline a un certo punto lo trovo.

Ps: Effetti collaterali da non sottovalutare. Ogni volta che chiudi un microcapitolo, il sogno tratto da un libro, torni inevitavilmente a leggere il titolo del libro da cui il brano viene. E va a finire che fai tipo album di figurine: ce l’ho, ce l’ho, manca. E quelli che mancano te li devi recuperare, non ci sono santi: devi capire cosa voleva dire quel sogno, che indizio era, e per quale indagine. A occhio e croce sto regalo di compleanno mi costerà uno sproposito in gialli arretrati.

 

Andrea Camilleri, I sogni di Andrea Camilleri, Sellerio, 2015