Il cioccolato fa bene – Un toccasana per memoria, umore e sistema immunitario. Cura infiammazioni e stress e quello con il 70% di cacao può aiutare perfino contro la colite

 

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Il cioccolato fa bene – Un toccasana per memoria, umore e sistema immunitario. Cura infiammazioni e stress e quello con il 70% di cacao può aiutare perfino contro la colite

Il cioccolato fa bene, quello con il 70% di cacao può aiutare perfino contro la colite

Benefico per memoria, umore e immunità. Ma anche contro infiammazioni e stress

Consumare ogni giorno piccole quantità di cioccolato fondente fa bene alla salute, ma per evidenziare tali benefici il cioccolato consumato deve contenere almeno il 70% di cacao e un 30% di zucchero di canna biologico. A ribadire questo concetto due recenti studi statunitensi che hanno insistito molto sul fatto che con un contenuto di cacao inferiore al 70% i benefici di salute non ci sono.

Maggiore è il contenuto di cacao, infatti, più elevato è l’apporto di flavonoidi, le molecole dall’attività antiossidante. Il cioccolato in commercio, spesso viene arricchito di zuccheri e grassi saturi per mitigarne il sapore amaro a discapito del contenuto in antiossidanti.

Potenziamento delle difese immunitarie e della memoria

Gli studi condotti presso l’Università di Loma Linda in California, hanno dimostrato che un consumo di cioccolato fondente, composto per almeno il 70% di cacao, è benefico per la memoria, l’umore, l’immunità, l’infiammazione e lo stress.

Nello specifico a 5 volontari sono stati somministrati per 8 giorni consecutivi 48 g di cioccolato fondente al 70% e sono stati notati miglioramenti significativi nel funzionamento delle difese immunitarie, grazie all’attivazione delle cellule responsabili della risposta immunitaria (i linfociti T), ma anche un effetto positivo sulle performance di memoria e nell’apprendimento di nuove abilità.

«È bene ricordare che i flavonoidi contenuti nel cacao sono in grado di stimolare la produzione e il rilascio di Ossido Nitrico. Questo porta a un aumento del flusso ematico cerebrale e della perfusione sanguigna del sistema nervoso centrale e periferico, tale da fornire ossigeno e glucosio ai neuroni, eliminando anche i metaboliti dei rifiuti nel cervello e negli organi sensoriali e stimolando l’angiogenesi nell’ippocampo – chiarisce Barbara Paolini, vicesegretario nazionale ADI (Associazione Italiana di dietetica e nutrizione clinica) e medico dietologo dell’AOU Senese la quale sottolinea anche i benefici di un consumo modesto, ma regolare per intestino e sistema cardiovascolare – I polifenoli presenti nel cioccolato esercitano un’azione antinfiammatoria sull’intestino colitico, migliorando l’integrità della mucosa, suggerendo un effetto inibitorio sul rilascio di citochine pro-infiammatorie, con riduzione dell’infiltrazione dei neutrofili, e generazione di NO (Ossido Nitrico), tale da essere associato al miglioramento della colite.

La liberazione di NO che si osserva per consumo di cioccolato fondente con buon contenuto di flavonoidi, inoltre, determina un’azione di vasodilatazione, antinfiammatoria con riduzione dell’aterogenesi. L’aumento di NO, infine, può spiegare gli effetti antiipertensivi del cacao, ma anche il miglior profilo lipidico grazie alla riduzione del colesterolo LDL e incremento dell’HDL».

Ma come fare a consumare cioccolato anche in estate? Ecco come si conserva

Via libera, quindi, a un moderato consumo di cioccolato fondente anche tutti i giorni. Con il caldo però, il cioccolato si scioglie, come conservarlo e come mangiarne quel tanto che può far bene?

«Il cioccolato è sensibile al calore – spiega la dottoressa Paolini – . Per la sua preparazione è importante la fase del temperaggio, attraverso il quale si cristallizza il burro di cacao ottenendo la croccantezza e la struttura che conosciamo. Se sottoponiamo la tavoletta a temperature troppo alte, i cristalli di burro di cacao si modificano e ricristallizzano, perdendo in gusto e consistenza. Perché non si formi la patina bianca, occorre scegliere un luogo di conservazione con una buona aerazione, fresco con una temperatura ottimale intorno a 20°, chiuso ermeticamente che non prenda sapori, privo di umidità e lontano da fonti di luce e calore. Il cioccolato si può anche congelare, con l’accortezza di scongelarlo (come tutti gli alimenti) gradualmente in frigorifero».

 

 

fonte: http://www.lastampa.it/2018/06/27/scienza/il-cioccolato-fa-bene-quello-con-il-di-cacao-pu-aiutare-perfino-contro-la-colite-AUo3HK0keoOHiTTJBHpdFI/pagina.html

Pierre Rabhi: occorre un ritorno alla terra per cambiare la nostra società fondata esclusivamente sul denaro.

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Pierre Rabhi: occorre un ritorno alla terra per cambiare la nostra società fondata esclusivamente sul denaro.

Pierre Rabhi: l’avvento del capitalismo-schiavistico e LA FINE DI UN MONDO SECOLARE!

Pierre Rabhi, contadino e filosofo Algerino, trapiantato in Francia dai tempi del colonialismo francese, che sostiene, giustamente, che occorre un ritorno alla terra per cambiare realmente le nostre esistenze e la nostra società fondata esclusivamente sul denaro. Lui il passo l’ha fatto già negli anni ’60 ed oggi cerca di diffondere il verbo tramite libri e conferenze in giro per il mondo.

La povertà non sempre è sintomo di malessere. Crediamo che oggi, immersi nell’opulenza e nel materialismo più sfrenato, si viva meglio rispetto al passato e rispetto a quelle società cosiddette sottosviluppate e povere. Siamo convinti di essere ricchi, di poterci permettere tutto, di essere superiori ma ahimè non è così! Per capire il vero senso della vita leggi attentamente i seguenti paragrafi tratti dal libro di Pierre Rabhi “La sobrietà felice” di cui consigliamo la lettura integrale.

Un uomo semplice, che abita in una piccola oasi del Sud dell’Algeria, si dedica ogni giorno ai suoi doveri di padre di famiglia. Apre la porta della sua bottega, accende il fuoco e, per tutta la giornata, lavora il metallo. Fa manutenzione agli attrezzi agricoli dei contadini, ripara i modesti oggetti d’uso quotidiano. Quel piccolo Vulcano del deserto fa cantare tutto il giorno l’incudine, mentre un apprendista tira la corda del mantice della forgia per attizzare le fiamme. Scintille incandescenti….

Un bambino lo guarda ammirato in silenzio, ne è fiero, immensamente fiero. Di tanto in tanto l’uomo, dal volto volitivo, ascetico e grondante di sudore, si ferma per accogliere i clienti, rispondere alle loro richieste. A volte, davanti alla bottega si forma spontaneamente un assembramento di uomini. Accovacciati su una stuoia di fibre di palma chiacchierano, bevono thé, scherzano, ridono, discutono anche di questioni serie.

Non lontano dalla bottega c’è una piazza quadrata, molto ampia, circondata di negozi – droghieri, macellai, venditori di tessuti e quant’altro – e di laboratori di sarti, calzolai, falegnami, piccoli orafi…

Ogni giorno dalla botteghe fuoriescono canti, come balsami di serenità, che si spandono nell’atmosfera tiepida o soffocante, a seconda delle stagioni. Sul lato ovest c’è uno spiazzo spoglio, aperto dove si tiene il mercato. Una sorta di caravanserraglio senza muri in cui dromedari che bramiscono, pecore, capre, asini e cavalli si mischiano sprigionando odori forti. Alcuni nomadi vanno e vengono in silenzio; altri rimangono accovacciati contro sacchi di tela ruvida gonfi di cereali …. Datteri essiccati per la conservazione e a volte, in stagione, tartufi del deserto si offrono a chi desidera comprarli. Tutto ciò produce un ovattato tumulto, punteggiato dalle voci acute dei venditori che richiamano i clienti. Ogni tanto narratori o acrobati propongono le loro prodezze e i loro sogni a un pubblico affascinato che fa loro cerchio attorno. La città intera è percorsa da ombreggiate viuzze che corrono tra case di terra color ocra incastrate le une nelle altre, sormontate da terrazze, al centro un minareto bianco che a mo’ di vedetta scruta i quattro orizzonti…..

L’atmosfera è frugale. La miseria estrema tocca poco la gente di questa cultura dell’elemosina e dell’ospitalità, richiamate senza sosta come doveri fondamentali dai precetti dell’islam. Il tempo è scandito dalle stagioni e dalle costellazioni. La presenza tutelare e secolare del mausoleo del fondatore della città, che per tutta la vita ha predicato la non violenza, da tempo ha creato un clima di spiritualità propizio alla pace, alla concordia.

La tranquilla città non è tuttavia un paradiso terrestre. Qui come altrove gli uomini sono afflitti da preoccupazioni; il meglio e il peggio vi convivono… Una specie di gioia onnipresente ha la meglio sulla precarietà, coglie ogni pretesto per manifestarsi in feste improvvisate. Qui l’esistenza si tocca con mano. In un clima di pazienza continuamente ravvivata, il più piccolo sorso d’acqua, il più piccolo boccone di cibo danno alla vita un sapore vero. Dal momento che l’essenziale è assicurato, tutto li rende felici e grati, come se ogni giorno vissuto fosse già un privilegio, una tregua. La morte è loro familiare, ma non è una tragedia…

Se questo mondo sospeso tra sogno e poesia non era privo di sofferenza, era però un frutto a lungo maturato sull’albero del destino. Come in altri luoghi del pianeta, gli uomini hanno tentato di crearvi un’armonia, senza però riuscirci alla perfezione, non essendo la perfezione una loro prerogativa…

E poi, insidiosamente, lentamente, in questo mondo vecchio di secoli tutto inizia a precipitare. Il fabbro si intristisce. E’ pensieroso, assorto in strani pensieri. Non torna più a casa al crepuscolo come un libero cacciatore, a volte a mani vuote ma più spesso carico di un cesto colmo di cibarie per la sopravvivenza della sua famiglia per le quali deve ringraziare solo i propri meriti, il suo talento e il suo coraggio, favoriti dalla divina benevolenza. Il lavoro per il fabbro comincia a scarseggiare. Gli occupanti francesi hanno scoperto del carbon fossile e propongono a tutti gli uomini in forze un’occupazione retribuita. L’intera città è sottosopra. E’ finita l’epoca in cui si assaporava il tempo come se fosse eterno. Suona l’ora del tempo degli orologi, fino a quel momento sconosciuto, suona con i suoi minuti e i suoi secondi… Questo nuovo tempo ha come intento di abolire ogni <<perdita di tempo>> e, nel regno dei sonni tranquilli, l’indolenza viene presa per pigrizia. Ora bisogna essere seri, sgobbare molto. Ogni mattina, con una lampada ad acetilene in mano, bisogna sprofondare nelle viscere oscure della terra per riesumarne un materiale nero che cela un fuoco sopito da tempo immemore, come in attesa di un risveglio che gli permetterà di cambiare l’ordine del mondo. Ogni sera, gli uomini escono con il volto insozzato dallo strano termitaio in cui sono stati rinchiusi durante il giorno. Si fa fatica a riconoscerli, tanto inefficaci sono stati i lavaggi per togliere dal visto la scura maschera di carbon fossile e polvere che lo ricopre. Attorno agli occhi si ostinano occhiaie nere, emblema della nuova confraternita dei minatori. Sempre più polsi vengono ornati da orologi; per fare più in fretta, si moltiplicano le biciclette; il denaro si insinua in tutte le ramificazioni della comunità. Le tradizioni prendono un gusto di antiquato, di sorpassato. Ora bisogna mettersi al passo con la nuova cultura.

Il fabbro, come il mastro Cornille di Alphonse Daudet, che soffriva per l’onore beffeggiato del suo mulino a vento – <<respiro del buon Dio>> – soppiantato dai mulini a vapore – <<invenzione del diavolo >> -, resiste finché può a tali sconvolgimenti.

Ma alla fine deve arrendersi all’evidenza: i clienti si fanno rari e riuscire a sfamare la famiglia ha ormai del miracoloso. Non gli resta che diventare lui stesso una termite… Grazie alle sue naturali attitudini viene assegnato a guidare una piccola locomotiva che traina un lungo bruco di vagoni pieni di materiale magico, destinato soprattutto a essere trasportato in Francia. I grandi treni dalle potenti locomotive si porteranno via come un bottino il materiale nero. E’ così che il Progresso ha fatto irruzione in quest’ordine secolare.

Il figlio del fabbro è turbato nel vedere il padre tornare sudicio ogni sera, come tutti gli altri. L’idolo è come profanato. La bottega è diventata un guscio silenzioso dietro la porta oramai chiusa sui ricordi dal gusto desueto di un tempo antichissimo all’improvviso superato. L’incudine non canta più. La civilizzazione, con alcuni dei suoi attributi, la sua complessità e il suo immenso potere di seduzione, è arrivata senza che il bambino possa comprenderla e tanto meno spiegarsela…

L servitù del padre infligge al figlio una strana ferita. Tutta la popolazione sente che sta arrivando qualcosa di importante, qualcosa di insidioso e incomprensibile. L’era del lavoro come ragion d’essere e, come corollario, la smoderatezza evocata dal denaro e dalle nuove cose da acquistare. Come in un ultimo sussulto di libertà, appena percepito il primo salario alcuni minatori non tornavano alla miniera. Quando ricomparivano, dopo un mese o due, i datori di lavoro, scontenti, chiedevano loro perché non fossero tornati prima. I minatori allora rispondevano con candore che non avevano finito di spendere il denaro: perché dunque avrebbero dovuto faticare? Senza esserne coscienti, ponevano una domanda che è stata accuratamente evitata, ma che oggi qualcuno considera essenziale, e alla quale, in quest’epoca di grande scombussolamento in cui siamo obbligati a riconsiderare la condizione umana, bisognerà pur rispondere: lavoriamo per vivere o viviamo per lavorare?

Io avrei compreso solo molto più tardi che, negandone l’identità e la persona, la modernità arrogante e totalitaria aveva inflitto a quel fabbro, come a innumerevoli altri esseri umani del Nord e del Sud del mondo, una sorta di annullamento. Peggio ancora: con il pretesto di migliorarla, ha ridotto la condizione di ognuno a una moderna forma di schiavitù, non solo producendo capitale finanziario senza alcuna ricerca di equità, ma instaurando a livello mondiale, semplicemente prendendo il denaro come unità di misura della ricchezza, la peggior disuguaglianza che esista. Lo sfruttamento e l’asservimento dell’uomo da parte dell’uomo, e della donna da parte dell’uomo, sono sempre stati una perversione, una fatalità che ha macchiato la storia con le brutture che conosciamo; ma se quella perversione era per così dire spontanea, la modernità, con le rivoluzioni intese a mettervi fine, l’ha perpetuata sotto l’insegna dei più alti proclami morali: democrazia, libertà, uguaglianza, fraternità, diritti dell’uomo, abolizione dei privilegi…