20 drammatiche differenze tra le ragazze di vent’anni e quelle di trenta

 

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20 drammatiche differenze tra le ragazze di vent’anni e quelle di trenta

C’è l’errata tendenza a considerare la ragazza alla stregua di un concetto astratto, come fosse un individuo eterno e immutabile, e invece anche le fighe sono soggetto all’erosione del tempo, esattamente come le catene montuose o il girovita di Giuliano Ferrara. Perciò oggi analizzeremo le principali differenze tra una bella sgnacchera nel fiore dei suoi anni e una che orbita attorno al pianeta dei trenta. Che bella la superficialità.

#1. A vent’anni il sabato vai in discoteca, a trenta vai all’Ikea.

#2. Quando hai vent’anni sui siti ti compaiono banner di minigonne, a trenta di cosmetici antirughe.

#3. A vent’anni vorresti avere le certezze dei trenta, a trenta le certezze dei vent’anni.

#4. A vent’anni non pensi a sposarti ma credi lo farai, a trenta pensi a sposarti ma credi non lo farai.

#5. A vent’anni non hai ancora imparato bene a truccarti, a trenta nemmeno.

#6. A vent’anni vuoi andare in vacanza ad Ibiza, a trenta in una SPA vicino casa.

#7. A vent’anni ti alleni per la prova costume, a trenta ti compri un pareo.

#8. A vent’anni non disdegni la camporella, a trenta pretendi almeno 80 mq di appartamento per fare sesso.

#9. A vent’anni quando qualcuno ti parla alle spalle ne fai una tragedia, a trenta te ne sbatti le palle.

#10. A vent’anni ti senti più giovane di quel che sei, a trenta più vecchia di quel che sei.

#11. A vent’anni cerchi il principe azzurro, a trenta ti basta uno che usi il deodorante.

#12. A vent’anni il reggiseno è un mero accessorio, a trenta deve svolgere il ruolo del suo nome.

#13. A vent’anni la tua miglior amica è la tua confidente, a trenta la tua migliore amica è il piumino.

#14. A vent’anni hai il fisico per comprarti vestiti audaci ma non hai i soldi, a trenta non hai più il fisico per comprarti vestiti audaci ma hai ancora meno soldi.

#15. Se sei single a vent’anni è normale, se sei single a trenta sei pazza.

#16. A vent’anni il culo è più forte della gravità, a trenta bisogna convertirsi al Dio dello squat.

#17. A vent’anni hai paura di rimanere incinta, a trenta hai paura di chi ti mette incinta.

#18. A vent’anni ti innamori, a trenta stringi contratti.

#19. A vent’anni liste come queste ti lasciano indifferente, a trenta cominci a lanciare la bibliografia di Hannah Arendt contro lo schermo del PC.

#20. A vent’anni è facile essere fighe, ma se lo sei a trenta hai vinto la guerra.

 

fonte: OLTREUOMO

15 dicembre 1890 – Ricorre oggi l’anniversario dell’assassinio, per mano dei criminali bianchi, di un uomo leggendario: Toro Seduto

 

Toro Seduto

 

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15 dicembre 1890 – Ricorre oggi l’anniversario dell’assassinio, per mano dei criminali bianchi, di un uomo leggendario: Toro Seduto

“Il giorno in cui si sarebbe realizzata la sua visione si stava avvicinando, il governo decise di inviare quarantatrè poliziotti Lakota ad arrestare Toro Seduto. All’atto dell’arresto di fronte alla capanna di Toro Seduto si radunò molta gente che inveì contro i poliziotti che stavano effettuando l’arresto; dalla confusione si passò all’utilizzo delle armi da fuoco, uno dei poliziotti colpì alla testa Toro Seduto, ferendolo a morte.
Correva il quindici dicembre del 1890 quando venne assassinato un grande uomo. Per l’ennesima volta un uomo che non chiedeva altro che poter vivere in pace con la sua gente si spegneva a causa di azioni subdole. I suoi resti vennero sepolti in primo luogo a Forte Yates nel Nord Dakota e nel 1953 alcuni dei suoi discendenti fecero in modo che le spoglie venissero spostate da dove si trovavano per essere sepolte a Mobridge sulle rive del Missouri, qui venne eretta una effige di granito in memoria dell’uomo.”

Toro Seduto nacque nei pressi del Grand River (Sud Dakota), nel 1831 (circa), e morì nei medesimi luoghi nel 1890.

E’ universalmente considerato il più celebre capo indiano, perché durante la sua vita seppe incarnare le virtù degli indiani delle pianure, che, unite ad una grande forza e ad un immenso coraggio, lo resero un condottiero amato dai suoi amici e temuto dai suoi avversari.

Toro seduto guidò l’alleanza di tutte le tribù Sioux nella resistenza indiana contro l’invasione dei bianchi nelle Grandi Pianure. Non si fidò mai degli “americani” e non firmò mai con loro alcun trattato. Sotto la sua bandiera si raccolse la più grande coalizione di pellerossa di ogni tempo, che riuscì a sconfiggere l’esercito guidato dal Generale Custer.

Toro Seduto era figlio di Four Horses, un capo minore della tribù Hunkpapa. Da giovanissimo veniva chiamato Hakada o Jumping Badger (Tasso che salta), ma a dieci anni, dopo aver abbattuto un giovane bisonte con una freccia, gli fu dato il nome “Buffalo Bull Sitting Down”.

Non divenne famoso per il suo coraggio o per i suoi atti eroici, ma per le sue capacità tattiche e organizzative nell’insurrezione contro gli americani, di cui sarebbe diventato il nemico più accanito e pericoloso.

Era un uomo forte, un po’ tarchiato, con un viso intenso ricoperto da cicatrici, pelle piuttosto chiara e capelli castani che portava legati in due grandi trecce. Era un “politico” di razza; aveva il dono di affascinare chi gli stava vicino e di sapersi contornare di uomini capaci, valorosi e fedeli. Come oratore, grazie alle sue argomentazioni chiare e convincenti, possedeva una grande forza di persuasione. Veniva interpellato in molte occasioni, anche politiche, tanto che era diventato il punto di riferimento principale per risolvere le controversie tra Sioux.

La vita di Toro Seduto è conosciuta perché la illustrò personalmente attraverso la scrittura pittorica. E dai disegni si evince che fino al 1870 aveva preso parte a sessantatré battaglie (la prima a 14 anni), sia contro la tribù dei Corvi (i nemici storici), che contro gli invasori bianchi. Più tardi era diventato un allevatore di cavalli e poi nominato stregone degli Hunkpapa.

Nel 1863 fece visita alla tribù dei Santee nella riserva destinata loro dai bianchi; vedendo come erano miseramente trattati, in lui aumentò la rabbia e il rancore per i coloni americani. Da quel momento combattè con ogni mezzo i soldati che, infischiandosene delle promesse e dei trattati, continuavano a invadere e occupare i territori dei Sioux. Ancor giovane, Toro Seduto divenne il leader della Società dei Guerrieri Coraggiosi e, più tardi, membro autorevole dei Silent Eaters – Mangiatori Silenziosi – un gruppo responsabile del benessere tribale.

Nel giugno del 1863 avvenne il suo primo scontro con i soldati americani.

Nel 1865 guidò l’assedio a Fort Rice, da poco insediato nei territori dell’odierno Nord Dakota.

Rispettato ormai da tutti per la intelligenza e la sua audacia, nel 1868 divenne capo della Nazione Lakota.

Nel 1872, durante una battaglia contro i soldati, nei pressi della ferrovia dello Yellowstone River, Toro Seduto (con altri quattro guerrieri) si sedette con tranquillità tra le due linee che combattevano, fumò la pipa mentre le pallottole fischiavano sopra la sua testa, la arrotolò quando finì e, con estrema noncuranza andò via camminando. Dopo quel gesto il coraggio di Toro Seduto divenne leggendario.

Nel 1874, una spedizione di coloni scoprì ingenti quantità d’oro nelle Black Hills (Colline Nere), situate nel territorio Dakota, su un’area sacra a molte tribù e preclusa agli insediamenti colonici dal Trattato di Fort Laramie (stipulato tra i bianchi e alcune tribù pellerossa nel 1868). In barba a quel divieto i cercatori d’oro invasero le Colline Nere provocando la reazione dei Lakota. Quando il successivo tentativo del Governo degli Stati Uniti di acquistare le Black Hills fallì, il trattato di Fort Laramie fu messo da parte e il commissario americano per gli affari indiani decretò che tutti i Lakota al di fuori delle riserve dopo il 31 gennaio 1876 sarebbero stati considerati ostili.

Non volendo cedere alle prepotenze dei bianchi, Toro Seduto riunì le tribù Lakota, Cheyenne e Arapaho e le guidò nella Danza del Sole, offrendo preghiere a Wakan Tanka, il Grande Spirito, e tagliando le sue braccia cento volte in segno di sacrificio. Durante la cerimonia ebbe la visione di soldati che cadevano nel campo dei Lakota, come cavallette dal cielo.

Ispirato dalla visione, il capo guerriero degli Oglala Lakota, il celeberrimo Cavallo Pazzo, condusse in battaglia 500 guerrieri, e il 17 giugno 1876 colse di sorpresa le truppe di Crook, costringendole alla ritirata. Per celebrare la vittoria, i Lakota si diressero nella valle del fiume Little Big Horn, dove furono raggiunti da altri 3000 indiani che avevano lasciato le riserve per unirsi a Toro Seduto.

In quel luogo, il 25 giugno, furono attaccati dal Settimo Cavalleggeri comandato dal Generale Custer, che però venne interamente annientato (come aveva predetto Toro Seduto nella sua visione).

La sete di vendetta portò gli americani a concentrare in quell’area migliaia di soldati, e i rapporti di forza si ribaltarono al punto che la maggioranza dei capi Lakota, che nel frattempo s’erano di nuovo divisi, nel giro di un anno dovettero arrendersi.

Toro Seduto non fu tra questi, e nel maggio 1877 riparò con la sua gente in Canada. Poco dopo il Generale Terry gli offrì, in cambio del perdono, di farlo stabilire in una riserva, ma il grande Capo indiano non prese neanche in considerazione l’ipotesi.

Quattro anni più tardi, tuttavia, il 19 luglio 1881, viste le enormi difficoltà nello sfamare la sua tribù (il Bisonte in quelle zone era ormai quasi estinto), Toro Seduto si arrese. Consegnò il fucile al comandante di Fort Buford in Montana e chiese di attraversare il confine canadese e di risiedere in una riserva sul Little Missouri River, presso le Colline Nere. In un primo tempo fu inviato alla Riserva di Standing Rock e, successivamente, temendo nuove rivolte, a Fort Randall, dove trascorse due anni come prigioniero di guerra.

Infine, il 10 maggio 1883, Toro Seduto potè ricongiungersi alla sua gente a Standing Rock.

Nel 1885 lasciò la riserva (su permesso degli americani) per lavorare nel Buffalo Bill’s Wild West (lo spettacolo del leggendario Buffalo Bill), dove veniva pagato 50 dollari la settimana per un giro a cavallo dell’arena (guadagnando anche con gli autografi e le fotografie). Quattro mesi dopo però abbandonò il Circo e fece ritorno tra la sua gente, incapace com’era di integrarsi nella società dell’uomo bianco.

Tornato a Standing Rock si stabilì sul Grande Fiume, dove era nato, rifiutando di rinunziare alle sue tradizioni, come imponevano i regolamenti della riserva. Continuò a vivere con due mogli e a rifiutare la cristianità, ma non mancò di mandare i suoi figli a una vicina scuola cristiana, convinto com’era dell’importanza dell’istruzione per le future generazioni Lakota.

Nell’autunno del 1890, un Lakota Miniconjou di nome Orso Scalciante gli recò notizia della preparazione di una Danza degli Spiriti, che avrebbe scacciato i bianchi dalle loro terre e ristabilito il modo di vivere degli indiani. Le autorità bianche di Standing Rock, temendo che Toro Seduto potesse partecipare al rito, inviarono 43 poliziotti Lakota a prelevarlo. Il 15 dicembre 1890, prima dell’alba, i poliziotti irruppero nella cabina di Toro Seduto e lo trascinarono all’esterno, dove i suoi seguaci stavano accorrendo per proteggerlo. Nel conflitto a fuoco che seguì un poliziotto Lakota lo colpì al capo ferendolo a morte, e giustiziando a sangue freddo anche suo figlio diciassettenne, che aveva implorato di essere risparmiato.

Toro Seduto probabilmente non venne ucciso incidentalmente, dato che i bianchi, visto il suo carisma, lo percepivano come un pericolo costante per la loro sicurezza.

Come successe ad altri capi indiani, anche Toro Seduto cadde per mano di un appartenente al suo stesso popolo. Fu sepolto a Fort Yates, in Nord Dakota, e nel 1953 i suoi resti furono trasferiti a Mobridge, nel Sud Dakota, dove riposano sotto un cippo di granito che segna la sua tomba.

 

Il Premio Nobel per la Pace 2018 NADIA MURAD: “Il mondo ha un solo confine, quello dell’umanità”…!

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Il Premio Nobel per la Pace 2018 NADIA MURAD: “Il mondo ha un solo confine, quello dell’umanità”…!

Nadia Murad “è un essere umano di grande carisma, senti quanto sia speciale ogni volta che sei nella stanza con lei. Trasmette una straordinaria forza e capacità di resilienza”. Così Alexandria Bombach descrive all’ANSA la 25enne yazida, che riceverà lunedì 10 dicembre il premio Nobel per la Pace 2018, della quale ha firmato un coinvolgente e potente ritratto in ‘Sulle sue spalle’, vincitore del premio per la migliore regia di un documentario al Sundance Film Festival di quest’anno. Il film non fiction è in sala come evento speciale dal 6 al 12 dicembre con I Wonder Stories, in collaborazione con Sky Arte, che manderà in onda anche 10 minuti in esclusiva del film proprio nei giorni della consegna del premio a Nadia. Nadia Murad viene premiata insieme al medico e attivista congolese Denis Mukwege per l’impegno volto a denunciare e porre fine all’uso della violenza sessuale come arma di guerra. Un obiettivo al quale la giovane yazida, sostenuta anche da Amal Clooney, ha dedicato la sua vita, dopo essere fuggita dall’Isis, che l’aveva catturata ventenne nell’estate 2014 durante un raid nel nord dell’Iraq che aveva come obiettivo sterminare la minoranza religiosa yazida, da secoli vittima di genocidi. I terroristi islamici hanno ucciso in quelle poche settimane oltre 5000 persone e catturato fatto e fatto prigionieri circa 7.000 donne e bambini per farli diventare schiave sessuali e bambini soldato. Nadia (che ha perso 18 membri della sua famiglia, tra cui la madre e sei fratelli), ripetutamente torturata e violentata è riuscita a scappare dopo tre mesi, trovando rifugio prima in un campo profughi poi in Germania. Da allora, pur sapendo di rischiare la vita (riceve costantemente minacce), ha deciso di raccontare la sua storia, per mobilitare la politica e l’opinione pubblica internazionale contro le violenze perpetrate dall’Isis e per la difesa del suo popolo e delle donne che hanno subito il suo stesso calvario. Prima che tutto succedesse “tra i miei sogni c’era aprire un salone di bellezza, perché volevo che le donne e le ragazze si vedessero speciali – spiega Nadia, occhi grandi, volto scolpito nel dolore, che a volte si apre a disarmanti sorrisi -. Questo mi è stato tolto in un modo per il quale non credo sia possibile tornare indietro”.

tratto da: https://raiawadunia.com/premio-nobel-a-nadia-murad-il-mondo-ha-un-solo-confine-quello-dellumanita/

 

Claudio Bisio in “Benvenuto Presidente” – Il fantastico discorso finale…

 

Claudio Bisio

 

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Claudio Bisio in “Benvenuto Presidente” – Il fantastico discorso finale…

“Ho scelto di fare questo discorso a camere congiunte per annunciare le dimissioni….le vostre!
Le vostre dimissioni!!!
Ho prove, nomi, cifre di tutte le vostre ruberie. Le regalo a chi è rimasto pulito!
Ecco un assaggio…prego staffieri.
Non ci sono solo politici corrotti, c’è di tutto; finanza, banche, alcuni industriali…ho le prove di tutto.
Ah e c’è dell’altro….tra quei faldoni c’erano anche dei dossier di persone che amo e a quel punto dovevo  scegliere tra i sentimenti, l’amore, l’amicizia e l’onesta!
Una scelta non facile, ma io ho scelto…ho bruciato i dossier!!
Ora sono come loro. Quindi sono ben altre le dimissioni che io annuncio…
Le mie!!
D’altronde e giusto così; io sono solo un pescatore, forse eccellente, questo va detto.
Uno come me può solo dare una scossa. Per cambiare davvero il paese serve gente che è preparata che conosce le leggi, il protocollo.Comunque io in questo periodo qualcosa sul protocollo l’ho imparato…guardate come so firmare bene le mie dimissioni.
Non si deve dimettere più nessuno? O forse Tu (indicando l’obbiettivo della telecamera), Tu che punti il dito e dici i politici sono ladri e poi magari evadi le tasse, parcheggi in doppia fila, paghi in nero convinto di risparmiare un po’, Tu che non fai il politico ma ti piacerebbe farlo per poter piazzare i parenti arraffare qualche cosa che riesci a fare la tac in due giorni perché conosci il primario, Tu che timbri il cartellino e poi t’imboschi, Tu che magari sei onesto ma se vedi qualche amico che fa qualche abuso non dici niente tanto è un inezia, Tu non ti puoi dimettere tanto non sei rappresentante di niente.
Dovresti dimettere la tua furbizia sennò i prossimi saranno peggio di questi, perchè questi qua sono figli nostri di un paese dove le regole non le rispetta più nessuno.
Già ma qui i disonesti son sempre gli altri, ma gli altri chi?
“GLI ALTRI CHI??? GLI ALTRI CHI?!!”?

I Nobel per la Medicina Tasuku Honjo e James P. Allison: “Entro il 2050 il cancro sarà sconfitto grazie all’immunoterapia”

 

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I Nobel per la Medicina Tasuku Honjo e James P. Allison: “Entro il 2050 il cancro sarà sconfitto grazie all’immunoterapia”

«Immunoterapia sconfiggerà i tumori entro il 2050». L’annuncio dei Nobel della Medicina

È nata soltanto 20 anni fa, ma la nuova arma contro i tumori, quella che scatena contro di essi il sistema immunitario, potrebbe riuscire a sconfiggerli entro i prossimi 30 anni. Ne sono convinti i pionieri che hanno aperto questa nuova strada: i Nobel per la Medicina 2018 Tasuku Honjo, 76 anni, dell’Università di Tokyo, e l’americano James P. Allison, 70 anni, dell’Anderson Cancer Center.

«Sono quasi sicuro che entro il 2050 tutte le forme di tumore potranno essere sconfitte con l’immunoterapia», ha detto Honjo incontrando la stampa insieme ad Allison nell’Istituto Karoliska, alla vigilia della loro conferenza Nobel e a pochi giorni dalla cerimonia di premiazione. «Se non riusciremo a eliminare tutti i tumori, potremo comunque riuscire a bloccarli, impedendo loro di continuare a crescere», ha detto ancora Honjo. Nonostante da 20 anni lavorino nello stesso campo di frontiera, quello di oggi è stato il secondo incontro tra i due pionieri dell’immunoterapia.

Il primo è avvenuto nel 1982 in Texas, quando Honjo propose al collega di collaborare, ma senza successo. «Da allora non ci siamo più visti, ma – ha detto Honjo – nonostante questo fra noi non c’è mai stata competizione: le nostre ricerche sono andate avanti in modo complementare». Ognuno per conto suo e seguendo vie diverse, i due ricercatori hanno gettato le basi per aggredire i tumori con una nuovo arma, la quarta oggi disponibile dopo la chirurgia, la radioterapia e la chemioterapia. Senza parlarsi, ognuno dei due studiava le cellule immunitarie cercando, sulla loro superficie, le proteine utilizzate dai tumori per ingannarle e per continuare a crescere indisturbati.

All’inizio degli anni ’90 Allison ha scoperto la prima proteina bersaglio dei tumori, chiamata CTLA-4, sulla superficie delle cellule immunitarie chiamate linfociti T; nello stesso periodo e sulle stesse cellule Honjo ha scoperto la proteina PD1. Adesso sono queste le armi più promettenti contro il cancro. «È una strada che abbiamo aperto 20 anni fa e adesso un grande numero di persone in tutto il mondo lavora nel campo dell’immunoterapia», hanno detto. «È una strada molto promettente, ma ancora per un pò dovrà essere combinata con le terapie più tradizionali», hanno aggiunto, convinti però che «il sistema immunitario è la chiave della battaglia contro il cancro».

Per entrambi l’entusiasmo è lo stesso di 20 anni fa: «è tutto così interessante che non prevedo assolutamente di fermarmi», ha detto Honjo. Certamente la ricerca da sola non sarà sufficiente: per i due Nobel va aiutata con investimenti e anche l’industria farmaceutica dovrà fare la sua parte riducendo i costi dei nuovi farmaci. L’ottimismo è comunque d’obbligo, considerando i successi finora ottenuti con l’immunoterapia contro il più aggressivo tumore della pelle, il melanoma. La speranza di Allison è che fra i prossimi bersagli ci siano i tumori del cervello.

fonte: https://salute.ilgazzettino.it/Salute/notizie/cancro_ricerca_terapie_tumori_ultime_news7_dicembre_2018-4157610.html

La strage degli innocenti a cui partecipiamo con le nostre bombe – Yemen dall’inizio del conflitto 84.701 bambini sotto i 5 anni sono morti per fame o malattie… E sulla coscienza ce li abbiamo pure NOI…!

 

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La strage degli innocenti a cui partecipiamo con le nostre bombe – Yemen dall’inizio del conflitto 84.701 bambini sotto i 5 anni sono morti per fame o malattie… E sulla coscienza ce li abbiamo pure NOI…!

La strage degli innocenti cui partecipiamo con le nostre bombe

Quasi 85mila bambini sono morti di fame o malattia in Yemen dall’inizio del conflitto tuttora in corso nel paese arabo. Lo riferisce un rapporto pubblicato oggi dall’ong Save The Children, basato sui dati forniti dalle Nazioni Unite per stimare i tassi di mortalità in casi di grave malnutrizione e malattia tra i bambini al di sotto dei cinque anni di età. Sulla base di una «stima prudente», Save The Children denuncia la morte di 84.701 bambini per fame o malattie tra l’aprile 2015 e l’ottobre 2018. Il Fondo per l’Infanzia delle Nazioni Unite (Unicef) ha fatto sapere che dal 2015 oltre 2.400 bambini hanno perso la vita e oltre 3.600 sono rimasti feriti a causa degli scontri avvenuti in Yemen. La guerra ha provocato in tutto oltre 10mila vittime civili. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), a causa della guerra in corso l’80% dei minori residenti in Yemen ha bisogno di assistenza umanitaria, pari a oltre 11 milioni di bambini al di sotto dei cinque anni. L’Unicef sostiene che almeno 2,2 milioni di bambini soffrono di malnutrizione acuta in Yemen. Almeno 16,37 milioni di persone, su una popolazione di oltre 27 milioni, hanno bisogno di servizi sanitari di base, mentre la situazione è peggiorata dall’epidemia di colera in corso nel paese arabo, dove ogni 10 minuti muore un bambino per denutrizione.

Fonte: https://raiawadunia.com/la-strage-degli-innocenti-cui-partecipiamo-con-le-nostre-bombe/

Questi siamo stati NOI, questi siamo NOI e questi continueremo ad essere NOI – Nella foto: un padre congolese davanti agli arti mozzati della sua bambina di 5 anni. La colpa della piccola? Il padre non aveva raccolto abbastanza gomma per i padroni bianchi…!

 

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Questi siamo stati NOI, questi siamo NOI e questi continueremo ad essere NOI – Nella foto: un padre congolese davanti agli arti mozzati della sua bambina di 5 anni. La colpa della piccola? Il padre non aveva raccolto abbastanza gomma per i padroni bianchi…!

UN PADRE CONGOLESE DAVANTI AGLI ARTI MOZZATI DELLA SUA BAMBINA DI 5 ANNI

Questa immagine è forse la rappresentazione più brutale della crudeltà del colonialismo. La foto e la storia dietro di essa ci viene raccontata da una delle prime attiviste per i diritti umani, Lady Alice Seeley Harris. Il nome dell’uomo è Nsala, e viene fotografato mentre osserva una mano ed un piede mozzati alla sua bambina di 5 anni. Il motivo? Non aveva raggiunto la quota minima giornaliera di gomma da raccogliere secondo le leggi del Congo Free State. La bambina, Boali, verrà poi uccisa insieme alla moglie di Nsala, al quale verranno presentati i resti della sua famiglia. Pare, sempre secondo Lady Alice, che i belgi compirono in questo caso persino atti di cannibalismo

Tutto questo accadeva all’inizio del Novecento, non secoli fa. Con l’ascesa dei trasporti su ruota crebbe esponenzialmente la domanda di gomma, e Leopoldo II di Belgio pensò bene di trarre il massimo profitto dal suo bacino di risorse naturali ‘privato’, ovvero il Congo. A tal fine, lo sfruttamento brutale degli autoctoni rappresentò la norma dell’amministrazione belga, che arrivò ad uccidere e mutilare oltre 10 milioni di congolesi, una cifra mostruosa considerando la demografia dell’epoca. La pratica delle mutilazioni divenne così diffusa che le mani dei congolesi divennero un cimelio molto richiesto, quasi una sorta di valuta.

L’eredità del nefasto regime di Leopoldo II, al giorno d’oggi, è rappresentata da uno dei paesi più instabili e corrotti del Paese africano, protagonista di diverse guerre sanguinarie, durante e dopo la fine della guerra fredda .La morte degli avieri italiani, nel 1961, l’assassinio di Patrice Lumumba e la grande guerra del Congo, spesso ribattezzata in ‘Guerra mondiale d’Africa’ per il coinvolgimento di numerosi paesi dell’Africa Subsahariana, trovano un punto di partenza nella nascita e sviluppo del Congo Free State. E dagli arti mutilati dei suoi abitanti.

fonte: https://www.facebook.com/cannibaliere/photos/a.989651244486682/1923293294455801/?type=3&theater

Nasce il portale per lo shopping antiracket – Si chiama “Nuovo Commercio Online” ed è una sorta di Amazon anticamorra. Ecco il portale equo e solidale dei venditori antiracket e delle coop sociali che vendono prodotti provenienti dal lavoro nei beni confiscati.

 

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Nasce il portale per lo shopping antiracket – Si chiama “Nuovo Commercio Online” ed è una sorta di Amazon anticamorra. Ecco il portale equo e solidale dei venditori antiracket e delle coop sociali che vendono prodotti provenienti dal lavoro nei beni confiscati.

Nasce il portale per lo shopping antiracket

Si chiama “Nuovo Commercio Online” (NCO) e potete immaginarlo come una sorta di Amazon anticamorra. Il portale equo e solidale aggrega tutti i venditori schierati sul fronte antiracket e quelle cooperative sociali che vendono i prodotti provenienti dal lavoro nei beni confiscati.

Tra i promotori dell’e-commerce etico c’è Antonio Picascia che nel 2015 vide la sua azienda nel casertano andare in fumo: le fiamme furono appiccate dalla camorra dopo che l’imprenditore si era opposto al pizzo.

«Vogliamo aggregare tutti quegli imprenditori che si oppongono alla criminalità organizzata e quelli che lavorano nelle terre confiscate alle mafie – ha spiegato Picascia – Nel tempo puntiamo a vendere qualsiasi tipo di prodotto, compreso l’hi-tech. Il nostro obiettivo è raggiungere in un anno 100mila acquirenti e in dieci anni riuscire ad avere un fatturato di almeno cento milioni di euro».

L’obiettivo, infatti, è quello di valorizzare prodotti fatti da uomini e donne che vivono storie di riscatto, realizzati in luoghi di resistenza che non hanno voluto piegarsi alle logiche criminali, con l’intento di riorientare le logiche di mercato.

NCO nasce come evoluzione di “Un pacco per la camorra“, un’iniziativa di sensibilizzazione contro la criminalità giunta alla sua decima edizione che prevede di creare e vendere dei pacchi dono natalizi contenenti prodotti derivanti dall’economia sociale.

Felix Finkbeiner, il ragazzo che pianta alberi per salvare il pianeta – E guardate che c’è poco da sorridere: ad oggi, a soli 21 anni, mentre voi fate gli ecologisti col culo ben saldo sul divano, di alberi ne ha già piantati 15 miliardi…!

 

 

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Felix Finkbeiner, il ragazzo che pianta alberi per salvare il pianeta – E guardate che c’è poco da sorridere: ad oggi, a soli 21 anni, mentre voi fate gli ecologisti col culo ben saldo sul divano, di alberi ne ha già piantati 15 miliardi…!

Felix Finkbeiner aveva 9 anni quando decise che avrebbe realizzato il suo sogno: piantare un milione di alberi in ogni paese del mondo per cercare di salvare il pianeta. Oggi Felix ha 21 anni e di alberi ne ha piantati 15 miliardi, grazie al suo movimentoPlant-for-the-Planet, il cui motto “stop talking start planting”, la dice lunga sulla determinazione di un ragazzo che già da bambino comprese le problematiche inerenti al clima e decise di farsi portavoce di un nuovo modo di pensare e di guardare al mondo. Oggi la sua vocazione green non si è spenta, ma si è consolidata tanto da porsi un obiettivo veramente improbo: piantare 1000 miliardi di alberi in modo tale da assorbire un quarto della CO2 prodotta dall’uomo.
Sul pianeta, al momento, ci sono circa 3000 miliardi di alberi, ma questo numero è in forte calo, a causa della deforestazione mondiale. Deforestazione e cambiamenti climatici sono strettamente legati alla povertà sociale, a problemi economici e migratori; ma anche politiche economiche sbagliate sono responsabili della crisi climatica.

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La povertà rende vulnerabili anche ai cambiamenti climatici, e viceversa. Infatti i paesi poveri dipendono ancora dalla pioggia per l’irrigazione e di conseguenza per il loro sostentamento. La frequenza e l’intensità crescente degli shock climatici incide sulla loro capacità di vendere un surplus agricolo, il che significa minor capacità di reinvestire gli utili nelle attività di sussistenza e minore possibilità di rispettare una dieta nutriente. Il timore è che 100 milioni di persone possano essere spinte nel baratro della povertà estrema dal riscaldamento globale.

I cambiamenti climatici hanno un impatto negativo non solo sulla salute e sulla sicurezza ambientale, ma anche sulla società: la scarsità delle risorse è spesso fonte di conflitto fra le diverse comunità e di migrazione esterna ed interna. L’innalzamento del livello degli oceani è destinato a provocare enormi migrazioni dalle regioni di bassa quota, come il Bangladesh, o dalle aree molto esposte agli uragani, come il sud degli Stai Uniti. Tali spostamenti sono però resi difficili da una moltitudine di confini e sono destinati a provocare gravissimi tumulti politici e sociali. Nessuno vorrebbe lasciare le proprie case e famiglie e per questo devono aumentare progetti ed investimenti per lo sviluppo all’interno dei paesi in sofferenza, mentre a livello internazionale, si devono ridurre le emissioni.

Ma non serve andare troppo lontano per vedere con i propri occhi le conseguenze dei cambiamenti climatici. Dal Veneto alla Siciliasono tanti i comuni italiani colpiti da frane, esondazioni, trombe d’aria. Nonostante il cambiamento climatico sia un dato di fatto, l’Italia continua ad essere impreparata. Il rischio idrogeologico è evidente sul nostro territorio, ma si continua a costruire in aree soggette a vincoli idrogeologici, sismici e paesaggistici. La cementificazione eccessiva e il condono non fanno bene all’Italia che, ogni anno, è provata e prostrata da calamità di una frequenza e violenza inaudita. E questo senza tener conto dei costi della ricostruzione che invece sarebbero ridotti se si investisse maggiormente sulla prevenzione, su progetti di adattamento ai cambiamenti climatici, sulla manutenzione e riqualificazione del rischio, a partire dagli spazi pubblici e di allerta dei cittadini.

Si può mettere un freno alla crisi climatica?

Considerato che il clima sta cambiando sopratutto a causa dell’ingerenza dell’uomo, sì qualcosa si può fare per riequilibrare il pianeta. Innanzitutto far comprendere ai governi e ai potenti che salvare il pianeta significa anche salvare noi stessi da un’estinzione che a dirla tutta ci saremmo meritata già decenni, se non centinaia di anni fa. Il secondo passo è educare: educare al rispetto della Natura, alla bellezza, agli essere viventi. Infine, come ci ha insegnato Felix, piantare alberi, dovunque, ogni anno, così da ridare ossigeno a un malato che sta collassando non per cause naturali, ma esterne.

E se non dovesse essere chiaro….le cause esterne siamo noi.

Rosa Araneo per MIfacciodiCultura

tratto da: http://www.artspecialday.com/9art/2018/11/30/felix-finkbeiner-ragazzo-pianta-alberi-salvare-pianeta/?fbclid=IwAR3sXjoHDhYAvWHIRQ98mB9H6Zxz1PNm9sirB7k47ortWYj3ZOMlWlzhIsY