15 gennaio 1929, nasceva Martin Luther King… Se non fosse stato ammazzato oggi avrebbe compiuto 91 anni – La figlia Bernice King ci racconta l’uomo che ha sfidato il razzismo…

 

Martin Luther King

 

 

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15 gennaio 1929, nasceva Martin Luther King… Se non fosse stato ammazzato oggi avrebbe compiuto 91 anni – La figlia Bernice King ci racconta l’uomo che ha sfidato il razzismo…

Bernice King: vi racconto mio padre Martin Luther che ha sfidato il razzismo

Un’intervista a Bernice King, la figlia più piccola di Martin Luther, il leader del movimento per i diritti civili degli afroamericani, ucciso 50 anni fa a Memphis.

Il Guardian ha pubblicato un’intervista a Bernice King, la figlia più piccola di Martin Luther, il leader del movimento per i diritti civili degli afroamericani, ucciso 50 anni fa a Memphis. E’ un colloquio bello, profondo, commovente quello del giornalista Ed Pilkington con una delle eredi del pastore pacifista. Si spazia dai ricordi intimi e privati di quella che era una bambina di soli 5 anni quando il 4 aprile del 1968 le venne ucciso il padre alle riflessioni di una donna adulta sull’America di oggi, quella segnata dalle politiche di da Donald Trump.

“Quando tornava nella nostra casa sulla Sunset Avenue, ad Atlanta in Georgia, dopo aver sfidato razzisti e manganelli, mio padre faceva con noi il gioco del bacio. Per ognuno aveva un bacio in un posto zuccherino del viso. Ognuno di noi ne aveva uno – il punto di zucchero della mamma era, naturalmente,  sulle labbra; per i miei due fratelli su entrambe le guance; per Yolanda poco fuori  l’angolo della bocca e per me sulla fronte”. Bernice e i suoi fratelli – Yolanda, che morì nel 2007, Martin e Dexter – sono associati per sempre alla famosa frase di Martin Luther King del 1963, quella che risuonò come un grande monito durante la Marcia su Washington: “Ho un sogno: che i miei quattro bambini piccoli vivranno un giorno in una nazione in cui non saranno giudicati dal colore della loro pelle ma per la qualità  del loro carattere “. Bernice ricorda molto poco dell 4 aprile 1968 . “Rammento che mia mamma Coretta, mentre salivamo sull’aereo che ci avrebbe portati a Memphis disse: ‘Papà è morto, non ci parlerà più ma
il suo “spirito” è andato a vivere con Dio'”.

Scrive ancora Il Guardian: “Bernice King ha trascorso una buona parte degli ultimi 50 anni cercando di comprendere il momento in cui suo padre le è stato sottratto. È stato un viaggio personale che si abbina in modo sorprendente al viaggio pubblico che l’America ha intrapreso nel tentativo di dare un senso compiuto alla missione di uno suoi figli più cari”.

Avanzano i razzismi nel mondo, le disuguaglianze crescono assieme alle povertà. La lezione di Martin Luther si è persa? “Non credo – dice Bernice – . Le sfide degli ultimi 15 mesi hanno ulteriormente rafforzato l’eredità di King, non l’hanno diminuita. Il mese scorso alla March for Our Lives in Washington ho visto uomini e donne marciare, soprattutto centinaia di migliaia di bambini guidati dagli studenti sopravvissuti al massacro alla scuola superiore Marjory Stoneman Douglas, che hanno chiesto a gran voce alla politica di fermare la violenza armata”. Quel giorno ha preso la parola Yolanda Renee King, di nove anni, la nipote di Bernice che ha raccontato al mondo il sogno di un mondo senza armi.

“La lotta – dice ancora Bernice King al Guardian – è un processo senza fine, la libertà deve essere guadagnata da ogni generazione. E vedendo nelle strade del mio Paese i ragazzi che protestano io dico che questa nazione si è svegliata, c’è un nuovo, diverso tipo di attenzione verso i grandi problemi dell’umanità, un’attenzione che forse si era smarrita negli ultimi 25 anni. Alla fine ho ancora la stessa speranza di mio padre: che la verità disarmata e l’amore incondizionato avranno l’ultima parola”.
Bernice sarà intervistata martedì 3 aprile alle ore 21  su Rai Storia che subito dopo  trasmetterà “Un uomo nel mirino. Martin Luther King e l’Fbi”,  un documentario in prima visione che racconta la feroce opposizione politica, in parte sostenuta direttamente dal governo americano, contro il leader nero. Per molti anni infatti il reverendo King fu vittima di una campagna intimidatoria messa in atto dall’Fbi di Edgar Hoover, con atti così estremi da far sospettare ancora oggi l’opinione pubblica che l’agenzia federale fosse in qualche modo coinvolta nell’assassinio avvenuto a Memphis. Il documentario rivela la durezza della campagna d’odio ideata da Hoover, esamina nel dettaglio le strategie intimidatorie utilizzate dall’FBI nei confronti di Martin Luther King, e delinea il possibile legame oscuro tra questa campagna segreta e spesso illegale e i valori della società americana di oggi.

 

 

fonte: https://www.globalist.it/world/2018/04/02/bernice-king-vi-racconto-mio-padre-martin-luther-che-ha-sfidato-il-razzismo-2022008.html

Ci stiamo mangiando l’Africa e la chiamiamo democrazia

Africa

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Ci stiamo mangiando l’Africa e la chiamiamo democrazia

Secondo gli economisti, i paesi africani sono tutti in crescita, l’Africa è in continuo sviluppo ma ha due giganteschi problemi: noi occidentali e la non redistribuzione del valore all’interno delle nazioni africane.

Il problema è anche che la maggior parte della crescita di questi paesi è alimentata dal debito e dalle vendite di risorse naturali, quindi è una crescita su carta, non una crescita della società: la maggioranza della popolazione vive in povertà con poche e rare parentesi di prosperità.

Nei paesi africani, la storia negli ultimi cento anni è particolarmente ripetitiva, in modo quasi inquietante. Ogni tanto c’è una rivolta, arriva un nuovo leader con idee socialiste-nazionaliste del tutto legittime che vengono bollate dall’occidente come filo-comuniste. Il leader stesso viene additato come dittatore, anche se strappa una nazione da una monarchia oscurantista e oppressiva, portandola a una repubblica moderna. Il leader in questione di solito resiste vivo qualche anno, poi viene destituito o ucciso da una rivolta finanziata dai paesi che hanno interessi economici nelle risorse locali. Se il leader riesce a restare in carica più a lungo, in genere finisce per impazzire e diventa un dittatore sanguinario. Molto lo fa la scarsa formazione culturale, l’assenza di intellighenzia del paese, ma parecchio lo fa la pressione quotidiana. Se vivi in una situazione in cui non ti puoi fidare di nessuno, ogni giorno potrebbe essere l’ultimo e l’unico modo per sopravvivere è essere molto paranoici… Da lì alla follia, il passo è breve.

Uno degli ultimi di questi leader di lunga carriera è stato Gheddafi. I media europei si fingono disgustati da Gheddafi, un vecchio dittatore pazzo e vizioso, maniaco di chirurgia plastica, sfarzo, harem e lolitismo (come se in Italia non avessimo avuto il maggiore rappresentante della categoria!). Ma l’informazione mediatica di massa dimentica sempre di raccontare che Gheddafi è stato prima di tutto un idealista, un teorico del neo-socialismo, che ha guidato la rivoluzione contro un re oppressore del popolo che svendeva le risorse a Francia e Stati Uniti, schiacciando la popolazione nella miseria e nell’analfabetismo.

In seguito al colpo di stato, presentato dai media come “oppressiva dittatura militare”, Gheddafi ha messo in pratica le sue idee di rifiuto per il capitalismo, scegliendo una forma di socialismo nazionalista ispirato al socialismo arabo di Gamāl ʿAbd al-Nāṣer, quest’ultimo però presentato come grande politico perché levava a USA e Francia la fatica di mettere d’accordo Husayn e Arafat. Gheddafi ha messo in pratica la ridistribuzione della ricchezza petrolifera per sostenere programmi di benessere sociale: i soldi provenienti dal petrolio venivano depositati direttamente nei conti bancari dei cittadini libici. I loro figli avevano accesso a scuole statali gratuite che prima nemmeno esistevano. C’era lavoro e ospedali pubblici all’avanguardia.

Ha dimostrato che un paese africano che gestisce le sue risorse senza occidentali è un paese ricco. Pensate se lo facesse domattina il nostro governo, se invece di farci pagare le tasse e spendere otto milioni di euro in chat erotiche e scommesse (spesa scoperta ad agosto 2017 dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sulla Digitalizzazione), ci versasse i soldi delle forniture all’estero direttamente sui nostri conti correnti, perché è giusto che partecipiamo anche agli utili. Non diventeremmo grandi sostenitori del governo che attua questa misura?

Sotto la guida di Gheddafi, i libici hanno goduto non solo di assistenza sanitaria e istruzione gratuita, cose rarissime in Africa, ma anche di elettricità gratuita e prestiti senza interessi, oltre ai versamenti dei dividendi dello stato sul proprio conto. Infatti la Libia di Gheddafi negli anni 70-80 è diventata improvvisamente un paese prospero: perché redistribuiva ai cittadini e li istruiva. Creando così (ed è stato questo il principio della fine) un pericoloso precedente per gli altri stati africani che cominciarono a interessarsi della Libia e valutarono che magari potevano fare lo stesso.

Ovviamente è bastato poco perché i leader dell’Occidente vedessero la Libia come una minaccia, la presentassero come uno stato totalitarista in cui non venivano rispettati i diritti umani, fino a finanziarne la rivoluzione del 2011. Certo, Gheddafi a quel punto era già perso nella sua follia dentro la sua casa sotterranea a ordinare di giustiziare chi pensava che lo tradisse. Ma se invece i libici delle nuove generazioni, i quali avevano i mezzi culturali e politici, fossero stati aiutati dall’occidente a far funzionare la repubblica invece che a devastare il paese con una guerra civile? Oggi non ci sarebbe un paese comodamente in crisi, ma un paese prospero, scomodo per chi deve comprare le risorse minerarie, perché non vuole altri al tavolo della contrattazione, un competitor ulteriore al tavolo degli equilibri internazionali, ovvero uno che prima o poi vorrà una fetta di quel 90% di ricchezza mondiale detenuta da pochissimi.

I media raccontano che Gheddafi è stato un dittatore brutale e probabilmente è in parte vero, negli ultimi due decenni lo è stato, ormai incontrollabile, perseguitato dai fantasmi della paura e del non potersi fidare di nessuno, deluso da tutti, con diversi tentativi di colpi di stato alle spalle. Sarebbe bastata però una destituzione incruenta, politica. Invece un paese nel caos è quello che ha bisogno l’Occidente.

La verità è che Gheddafi è stato una delle principali minacce del sistema petro-dollaro dell’economia globale e del continuo sfruttamento dell’Africa. E’ stato l’artefice principale di un paese che prosperava ribellandosi al controllo americano e europeo, un esempio pericoloso per gli altri stati africani che potevano prendere la stessa via.

La Libia di Gheddafi finanziò Sankara in Burkina Faso, Gheddafi stesso lo introdusse ad altri politici e filosofi africani anticolonialisti. Un uomo dalle idee pericolose, che è meglio farci ricordare sfatto e in abiti ridicoli nei suoi ultimi anni che non come pensatore anti-capitalista e artefice del welfare del suo paese che aveva reso ricco.

Purtroppo, la Libia è stata completamente distrutta dall’Occidente quando gli Stati Uniti l’hanno invasa nel 2011 facendola regredire di un centinaio di anni, togliendo tutti i benefici statali, distruggendo gli ospedali all’avanguardia, le scuole, tutto. La Libia oggi è uno stato fallito e caotico, dipendente dall’importazione della “libertà e democrazia” americane.

Secondo Garikai Chengu, ricercatore di Harvard specializzato nei movimenti politici africani e lui stesso attivista, la liberazione africana dovrà prevedere tre fasi: la ridistribuzione di terreni e risorse naturali alle popolazioni locali; il rifiuto completo delle politiche neoliberali del Fondo Monetario e della Banca mondiale; lo sviluppo della capacità di raffinazione minerale in proprio, senza le grandi compagnie multinazionali.

Purtroppo per l’Africa, queste misure non hanno ancora radicato e quando si affacciano in veste di qualche rivoluzionario, come nel caso della Libia, del Burkina Faso, dell’Egitto, vengono prontamente bollate come l’opera di militari-dittatori folli e subito boicottate da USA ed Europa in nome di una pace e di una democrazia che non sono altro che le parole vuote lanciate ai media, come i frisbee ai cani.

 

tratto da: https://www.dolcevitaonline.it/ci-stiamo-mangiando-lafrica-e-la-chiamiamo-democrazia/

Salvini ricorda De André con i suoi versi “All’ombra dell’ultimo sole si era assopito un pescatore” …ora, cos’è che il nostro Ministro non ha capito di quel pescatore che “versò il vino e spezzò il pane per chi diceva ho sete e ho fame”…?

Salvini

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Salvini ricorda De André con i suoi versi “All’ombra dell’ultimo sole si era assopito un pescatore” …ora, cos’è che il nostro Ministro non ha capito di quel pescatore che “versò il vino e spezzò il pane per chi diceva ho sete e ho fame”…?

 

Matteo Salvini, il vicepremier, in occasione del ventennale della sua scomparsa ha postato una foto di Faber accompagnata da una frase della canzone “Il pescatore”:  “All’ombra dell’ultimo sole si era assopito un pescatore”…

…Ora, cos’è che il nostro Ministro degli interni non ha capito di quel pescatore che “versò il vino e spezzò il pane per chi diceva ho sete e ho fame”…?  Cos’è che non ha capito del vero significato di quel brano, un messaggio di tolleranza e accoglienza…?

Mai gaffe fu tanto evidente. Tutti sanno (forse tutti tranne Salvini) che quel pescatore non indugiò: “Non si guardò neppure intorno/Ma versò il vino spezzò il pane/Per chi diceva ho sete ho fame”…

Dai Matteo… dare pane e vino a chi ha fame ed ha sete non è proprio tra le tue abitudini…

E poi… Ma ve lo immaginate quante glie ne avrebbe cantate il “poeta degli ultimi” al cinico razzista di Salvini? Come può Salvini nominare De André, quello che ha dedicato la sua poesia alle minoranze, dai rom ai migranti, ai nativi americani, alle prostitute, ai tossicodipendenti.

“Fabrizio appartiene a tutti, ma sarebbe meglio ascoltarlo”, aveva consigliato la compagna Dori Gezzi in un’intervista HuffPost. Un consiglio che a Salvini forse è sfuggito proprio nel giorno del 20esimo anniversario dalla morte di De André.

By Eles

tratto da: Il Fastidioso

 

Testo
All’ombra dell’ultimo sole
S’era assopito un pescatore
E aveva un solco lungo il viso
Come una specie di sorriso
Venne alla spiaggia un assassino
Due occhi grandi da bambino
Due occhi enormi di paura
Eran gli specchi di un’avventura
E chiese al vecchio “dammi il pane
Ho poco tempo e troppa fame”
E chiese al vecchio “dammi il vino
Ho sete e sono un assassino”
Gli occhi dischiuse il vecchio al giorno
Non si guardò neppure intorno
Ma versò il vino e spezzò il pane
Per chi diceva “ho sete, ho fame”
E fu il calore d’un momento
Poi via di nouvo verso il vento
Davanti agli occhi ancora il sole
Dietro alle spalle un pescatore
Dietro le spalle un pescatore
E la memoria è già dolore
È già il rimpianto d’un aprile
Giocato all’ombra di un cortile
Vennero in sella due gendarmi
Vennero in sella con le armi
Chiesero al vecchio se lì vicino
Fosse passato un assassino
Ma all’ombra dell’ultimo sole
S’era assopito il pescatore
E aveva un solco lungo il viso
Come una specie di sorriso
E aveva un solco lungo il viso
Come una specie di sorriso

Lettera di una immigrata nigeriana al nostro Ministro degli Interni – “La pacchia la state facendo voi. Sulla nostra pelle. Sulla nostra vita…”

immigrata

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Lettera di una immigrata nigeriana al nostro Ministro degli Interni – “La pacchia la state facendo voi. Sulla nostra pelle. Sulla nostra vita…”

La pacchia la state facendo voi. Sulla nostra pelle. Sulla nostra vita…

…sui nostri poveri sogni di una vita appena migliore.

Lettera di una immigrata nigeriana al Ministro della Paura e dell’odio.

“Ho visto la sua faccia ieri al telegiornale. Dipinta dei colori della rabbia. La sua voce, poi, aveva il sapore amarissimo del fiele. Ha detto che per noi che siamo qui nella vostra terra è finita la pacchia. Ci ha accusati di vivere nel lusso, rubando il pane alla gente del suo paese. Ancora una volta ho provato i morsi atroci della paura…

Chi sono? Non le dirò il mio nome. I nomi, per lei, contano poco. Niente. Sono una di quelli che lei chiama con disprezzo “clandestini”.

Vengo da un paese, la Nigeria, dove ben pochi fanno la pacchia e sono tutti amici vostri. Lo dico subito. Non sono una vittima del terrorismo di Boko Haram. Nella mia regione, il Delta del Niger non sono arrivati. Sono una profuga economica, come dite voi, una di quelle persone che non hanno alcun diritto di venire in Italia e in Europa.

Lo conosce il Delta del Niger? Non credo. Eppure ogni volta che lei sale in macchina può farlo grazie a noi. Una parte della benzina che usa viene da lì.

Io vivevo alla periferia di Port Harkourt, la capitale dello Stato del Delta del Niger. Una delle capitali petrolifere del mondo. Vivevo con mia madre e i miei fratelli in una baracca e alla sera per avere un po’ di luce usavamo le candele. Noi come la grande maggioranza di chi vive lì.
E’ dura vivere dalle mie parti. Molto dura. Un inferno se sei una ragazza. Ed io ero una ragazza. Tutto è a pagamento. Tutto. Se non hai soldi non vai a scuola e non puoi curarti. Gli ospedali e le scuole pubbliche non funzionano. E persino lì, comunque, se vuoi far finta di studiare o di curarti, devi pagare. E come fai a pagare se di lavoro non ce ne è? La fame, la miseria, la disperazione e l’assenza di futuro, sono nostre compagne quotidiane.

La vedo già storcere il muso. E’ pronto a dire che non sono fatti suoi, vero?

Sono fatti suoi, invece.

Il mio paese, la regione in cui vivo, dovrebbe essere ricchissima visto che siamo tra i maggiori produttori di petrolio al mondo. E invece no.

Quel petrolio arricchisce poche famiglie di politici corrotti, riempie le vostre banche del frutto delle loro ruberie, mantiene in vita le vostre economie e le vostre aziende.

Il mio paese è stato preda di più colpi di stato. Al potere sono sempre andati, caso strano, personaggi obbedienti ai voleri delle grandi compagnie petrolifere del suo mondo, anche del suo paese. Avete potuto, così, pagare un prezzo bassissimo per il tanto che portavate via. E quello che portavate via era la nostra vita.

Lo avete fatto con protervia e ferocia. La vostra civiltà e i vostri diritti umani hanno inquinato e distrutto la vita nel Delta del Niger e impiccato i nostri uomini migliori. Si ricorda Ken Saro Wiwa? Era un giovane poeta che chiedeva giustizia pe noi. Lo avete fatto penzolare da una forca…

Le vostre aziende, in lotta tra loro, hanno alimentato la corruzione più estrema. Avete comprato ministri e funzionari pubblici pur di prendervi una fetta della nostra ricchezza.

L’Eni, l’Agip, quelle di certo le conosce. Sono accusate di aver versato cifre da paura in questo sporco gioco. Con quei soldi noi avremmo potuto avere scuole e ospedali. A casa, la sera, non avrei avuto bisogno di una candela…

Sarei rimasta lì, a casa mia, nella mia terra.

Avrei fatto a meno della pacchia di attraversare un deserto. Di essere derubata dai soldati di ogni frontiera e dai trafficanti. Di essere violentata tante volte durante il viaggio. Avrei volentieri fatto a meno delle prigioni libiche, delle notti passate in piedi perché non c’era posto per dormire, dell’acqua sporca e del pane secco che ti davano, degli stupri continui cui mi hanno costretta, delle urla strazianti di chi veniva torturato.

Avrei fatto a meno della vostra ospitalità. Nel suo paese tante ragazze come me hanno come solo destino la prostituzione. Lo sapete. E non fate niente contro la nostra schiavitù anzi la usate per placare la vostra bestialità. Io sono riuscita a sfuggire a questo orrore, ma sono stata schiava nei vostri campi. Ho raccolto i vostri pomodori, le vostre mele, i vostri aranci in cambio di pochi spiccioli e tante umiliazioni.

Ancora una volta, la pacchia l’avete fatta voi. Sulla nostra pelle. Sulle nostre vite. Sui nostri poveri sogni di una vita appena migliore.

Vedo che non ho mai pronunciato il suo nome. Me ne scuso, ma mi mette paura. Quella per l’ingiustizia di chi sa far la faccia dura contro i deboli, ma sa sorridere sempre ai potenti.

Vuole che torniamo a casa? Parli ai suoi potenti, a quelli degli altri paesi che occupano di fatto casa mia in una guerra velenosa e mai dichiarata. Se ha un po’ di dignità e di coraggio, la faccia brutta la faccia a loro.

fonte QUI

Questa di Fabrizio è la storia vera – Un ricordo a 20 anni dalla scomparsa dell’immenso Fabrizio De André…

 

 

De André

 

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Questa di Fabrizio è la storia vera – Un ricordo a 20 anni dalla scomparsa dell’immenso Fabrizio De André…

 

Questa di Fabrizio (De Andrè) è la storia vera

Alcune sue canzoni sono finite nelle antologie della letteratura italiana; nessun personaggio dello spettacolo ha suscitato come lui tanto interesse e tanta voglia di approfondire e di capire. (Giancarlo Governi)

Fabrizio De André era un personaggio speciale, una persona, cioè, che a distanza di anni dalla sua morte fa sentire di aver lasciato un grande vuoto culturale. Soprattutto è venuto a mancare un punto di riferimento per i giovani che dalla canzone vogliono qualcosa di più di un semplice momento di relax o di esaltazione ritmica. E’ venuto a mancare colui che con modi colti ma allo stesso tempo popolari faceva arrivare al pubblico un messaggio di poesia alta e di contenuti precisi. La produzione di Fabrizio De André è vastissima. Ci ha lasciato infatti 16 album che comprendono quasi 200 canzoni. Su di lui sono stati scritti più di venti libri, e centinaia di articoli. Alcune sue canzoni sono finite nelle antologie della letteratura italiana.
Nessun personaggio dello spettacolo ha suscitato come De André tanto interesse e tanta voglia di approfondire e di capire.
Il primo brano che fece conoscere De André fu La guerra di Piero, uscita negli anni del Vietnam, in un momento cioè in cui il tema della guerra era fortemente sentito dai giovani.
Eppure la canzone non si riferiva a quella guerra, bensì ad un conflitto emblematico che li comprende tutti, proprio a sottolinearne la stupidità. Ed oggi quella canzone di quasi 40 anni fa è tornata ad essere un inno pacifista.
Fabrizio De André è stato il poeta anarchico, il poeta degli umili, dei diseredati e degli emarginati, dei maledetti. Categorie di persone di cui De André si fece paladino usando le armi della poesia e della musica colta. Potremmo dire Fabrizio De André o della ribellione, ma potremmo anche dire Fabrizio De André o della coerenza, perché, mutò lo stile, mutò i generi, cambiò il modo di concepire la canzone ma rimase sempre fedele alla sua ispirazione di fondo a quello che possiamo definire il suo manifesto culturale e ideologico. E soprattutto rimase fedele a questo mondo marginale che raramente ispira i poeti, anche a costo di pagare un prezzo altissimo come quando arrivò a perdonare i carcerieri del suo sequestro. Dimostrando nei confronti di questo mondo una pietas, come la chiamavano i latini, che poi coincide con la pietà cristiana. Il suo scopo non è la lotta sociale, a cui pure è sensibile, ma l’amore. Perché Fabrizio amava le sue puttane, i suoi ladri, i suoi travestiti, il popolo tutto dei senza diritti. Come disse don Antonio Balletto al suo funerale: “Ha trovato il timbro sincero che semina fiori anche nella disperazione e sa sferzare gli sciocchi, quelli che credono di sapere”. Per poi concludere che De André “ha aperto sentieri verso miniere d’oro: per i disperati, per quelli che non hanno diritto”.

 

 

fonte: https://www.globalist.it/culture/2019/01/09/questa-di-fabrizio-de-andre-e-la-storia-vera-2035874.html

 

 

 

 

I fantastici benefici del mare d’inverno

 

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I fantastici benefici del mare d’inverno

 

I benefici del mare d’inverno

Sdraiarsi sulla sabbia del mare d’inverno, aprire le mani al sole e lasciare evaporare l’identità (Fabrizio Caramagna)

Il mare d’inverno può essere considerato una vera e propria medicina naturale. Se è vero, che è la meta più ambita per le vacanze estive, non bisogna sottovalutare il fascino e le suggestioni che riesce a regalarci durante i mesi più freddi.

Il lungomare solitario, qualche barca rimasta nel litorale, i gabbiani in cerca di cibo e quel magnifico silenzio che ci mette a contatto con la natura. Andare al mare d’inverno non è triste, è magico.

L’atmosfera deserta, con le attività commerciali chiuse, ci riportano agli albori, alla distesa blu sconfinata in cui si vede l’orizzonte e lo si può osservare senza essere disturbati dal suono dei clacson o dal chiacchiericcio della gente.

Ma andare al mare d’inverno porta anche tantissimi benefici alla salute, vediamo quali.

benfici mare

Lo iodio è un aerosol naturale

Grazie allo iodio e alla salsedine, il mare migliora la respirazione grazie a una sorta di aerosol naturale che contiene sali come cloruro di sodio e di magnesio, calcio, potassio, bromo e silicio e l’acqua di mare. Fate un bel po’ di respiri sul litorale per sentirvi subito meglio!

Il blu rilassa gli occhi

Il blu è il colore del relax per eccellenza, non a caso viene consigliato per ambienti come la camera da letto e le camerette dei bambini. Secondo la cromoterapia, il blu rappresenta la calma, ha un effetto rilassante, che induce alla riflessione e all’armonia. E dove osservarlo se non nel mare sconfinato?

Il suono e il movimento delle onde rilassano corpo e mente

Il ritmo delle onde può essere associato alla percezione delle emozioni. Il mare aumenta il nostro stato di calma e di benessere e il perché ha una spiegazione scientifica: le onde del mare generano ioni negativi che producono alterazioni molecolari nel nostro corpo e provocano sensazioni di pace e equilibrio.

Rende la mente lucida e creativa

L’acqua ci riporta al nostro stato naturale per cui stimola il nostro cervello. Se ci fate caso, sono tantissimi che vanno in spiaggia proprio quando devono sviluppare un nuovo progetto o prendere una decisione importante. Provateci!

Stimola il sistema immunitario

Il mare rafforza le difese dell’organismo e il sistema immunitario perché grazie all’assorbimento degli oligoelimenti presenti nell’acqua che dei sali marini, si ripristina l’equilibrio del corpo. Chiaramente in inverno non dovrete farvi un bagno nell’acqua gelida, basta bagnarsi leggermente le mani o per i più impavidi i piedi.

Migliora l’umore e diminuisce lo stress

Sabbia e mare sono ottimi strumenti per staccare la spina dalla quotidianità e diminuire così i livelli di stress che ogni giorno accumuliamo. Sarebbe bene a questo scopo evitare di portare in spiaggia, o quanto meno di stare costantemente incollati, a smartphone e tablet per godere al meglio dei benefici dell’ambiente sul sistema nervoso. Ottimo anche passeggiare, nei nostri piedi tra l’altro vi sono migliaia di terminazioni nervose e camminare sulla sabbia è un sistema per stimolarle compiendo un vero e proprio massaggio.

Calma l’ansia

Il rumore del mare è molto benefico per il nostro sistema nervoso. Ascoltare le onde che si infrangono sulla riva può effettivamente calmare l’ansia e cullarci in uno stato rilassato che permette il rilascio di dopamina e serotonina.

 

fonte: https://www.greenme.it/vivere/salute-e-benessere/30016-mare-d-inverno

11 gennaio 1999 – Ci lasciava Fabrizio De André, il poeta degli ultimi – Il menestrello che ha saputo cantare e dare dignità a tutti coloro che vivono ai margini della società

 

Fabrizio De André

 

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11 gennaio 1999 – Ci lasciava Fabrizio De André, il poeta degli ultimi – Il menestrello che ha saputo cantare e dare dignità a tutti coloro che vivono ai margini della società

Fabrizio De André, il poeta degli ultimi

Fabrizio De André, il menestrello che ha saputo cantare e dare dignità a tutti coloro che vivono ai margini della società, se ne andava 20 anni fa.

Oggi, 11 gennaio del 1999, se ne andava Fabrizio De André,  poeta/menestrello che ha cantanto sempre gli ultimi, che da 20 anni ha lasciato il mondo orfano della sua arte.

Di lui è già stato scritto tanto ed è ormai univesalmente riconosciuto come uno dei più grandi cantautori del Novecento non solo italiano, ma europeo per la ricchezza e la profondità delle sue composizioni che hanno influenzato e influenzeranno, come solo i grandi della poesia hanno saputo fare, le generazioni a venire.

Faber, come soprannominato dagli amici, è il menestrello degli ultimi: il poeta che ha saputo raccontare la dignità degli ambienti più degradati, che ha fatto nascere la beltà dal letame, che ha descritto figure, apparentemente senza tempo, relegate ai margini della società. La vita per De André è nella camera di una puttana, in una bettola dove scorre alcol a fiumi, nei quartieri malfamati dove “il sole del buon dio non dà i suoi raggi”. De Andrè msotra pietà per questi umili, le “vittime di questo mondo”, perché è qui che è conservata la purezza originaria dell’essere umano.

Il suo sguardo benevolo verso le mostruosità del mondo serve per mettere in luce la vera bruttezza: quella del mondo borghese. Con forza si scaglia nelle sue opere per urlare tutto il suo disprezzo per tutte le opinioni dominanti, anche per quelle degli ambienti della sinistra da salotto.

E chissà – e purtroppo non lo si potrà mai – come avrebbe cantanto oggi i nostri drammi: dall’immigrazione alla guerra, da Mafia Capitale a i furbetti del cartellino (tutti temi che comunque si ritrovano già nei suoi testi, sia in quelli originali che in quelli pensati per i brani da tradurre in italiano).

L’attualità di oggi nei testi scritti ieri: ancora una volta a testimonianza della sua immortalità.

Poi ancora la sua innata la capacità di dipingere con un verso una scena, una situazione, un sentimento universale. Di De André rimarrà per sempre quell’uso attento delle parole, che riporta tutto ad una morale mai banale che spesso viene fuori dal sarcasmo e l’ironia, in un continuo rovesciamento dell’ordine costituito per una “bonaria” presa per il sedere.

Ma De Andrè è anche il poeta che ha cantato la tristezza: pessimismo e atmosfere sempre cupe pervadono la sua opera. Questo vale anche per l’amore, perché nei suoi scritti (e scusate se non li si considerano solo canzoni) è sempre destinto a una tragica fine, dopo aver confuso, massificato e reso incosciente l’individuo.

Che De André non si possa riassumere in poche battute di un articolo è cosa ben nota. A De André e alla sua musica ci si approccia in modi diversi: emotivamente, filologicamente, carnalmente, istintivamente, ecc…

Anche coloro che (stupidamente) lo denigrano con quel “non mi piace” non possono ignorarlo: lo ascoltano. Perché quella musica magnetica, quella voce calda è ammaliatiatrice: sempre un vortice di forti emozioni positive e/o negative.

Il miglior modo per ricordare questo Gigante è quello di riascoltare la sua musica: perdersi nelle sue note in quei versi e ritrovare la bellezza, un concetto, anch’esso, che ai giorni nostri (ahinoi!) è sempre più relegato ai margini.

 

Fabrizio de andrè città vecchia (versione non censurata)

Qualche volta ci piace darVi anche belle notizie: Un avanzo di galera tenta di rapinare una ragazza. Ma la ragazza è campionessa di arti marziali: risultato, il ceffo finisce prima in ospedale e poi in galera…!

ragazza

 

 

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Qualche volta ci piace darVi anche belle notizie: Un avanzo di galera tenta di rapinare una ragazza. Ma la ragazza è campionessa di arti marziali: risultato, il ceffo finisce prima in ospedale e poi in galera…!

Tenta di derubare una campionessa di arti marziali: ladro finisce in ospedale

Polyana Vania era sola di notte quando un uomo l’ha avvicinata e ha tentato di derubarla. Naturalmente non sapeva chi aveva davanti.

Se un rapinatore vede una ragazza sola, di notte, sul ciglio della strada, pensa sicuramente che è un colpo facile. Ma se la ragazza è Polyana Viana, campionessa di Mma (Mixed Martial Arts, una disciplina che unisce tecniche di diverse arti marziali) allora può succedere di ritrovarsi sanguinante a terra, stretto in una morsa d’acciaio tra le gambe della ‘vittima’.
È successo a Rion de Janeiro: Viana è stata avvicinata da un uomo che le ha detto di essere armato e le ha ordinato di consegnarle lo smartphone. La ragazza per tutta risposta gli ha tirato due pugni e lo ha fatto cadere a terra, poi lo ha immobilizzato e gli ha detto, tranquillamente: “ora aspettiamo la polizia”.
L’uomo, che era da poco uscito di galera, è stato prima medicato in ospedale e poi arrestato. Nella tasca però nessun’arma ma una finta pistola di cartone.
A condividere per primo la notizia sui social il boss della Ufc, Dana White: «A sinistra vedete Polyana, una delle nostre lottatrici, a destra un tizio che voleva derubarla #unideadelca**o»

L’11 gennaio del 1999, ci lasciava Fabrizio De André. Vogliamo ricordarlo con “Caro Faber”, la lettera che Don Gallo gli dedicò a pochi giorni dalla morte

 

De André

 

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L’11 gennaio del 1999, ci lasciava Fabrizio De André. Vogliamo ricordarlo con “Caro Faber”, la lettera che Don Gallo gli dedicò a pochi giorni dalla morte

 

La loro Genova ha unito i loro destini, le loro storie si sono incrociate per sempre nell’attenzione verso gli ultimi e gli emarginati. Don Gallo, il prete di strada che si è fatto conoscere durante tutta la sua vita per l’impegno verso le condizioni umane dei disagiati e degli ultimi, dei dimenticati e Fabrizio De André, hanno condiviso tra le vie di Genova il racconto del mondo.

Lo hanno raccontato e testimoniato allo stesso modo. L’uno attraverso il Vangelo, l’altro attraverso la musica.

Ecco come il Prete da marciappiede salutò l’amico Faber:

Caro Faber. Per Fabrizio De André

di don Andrea GalloGenova, 14 gennaio 1999

Caro Faber,

da tanti anni canto con te, per dare voce agli ultimi, ai vinti, ai fragili, ai perdenti. Canto con te e con tanti ragazzi in Comunità.

Quanti «Geordie» o «Michè», «Marinella» o «Bocca di Rosa» vivono accanto a me, nella mia città di mare che è anche la tua. Anch’io ogni giorno, come prete, «verso il vino e spezzo il pane per chi ha sete e fame». Tu, Faber, mi hai insegnato a distribuirlo, non solo tra le mura del Tempio, ma per le strade, nei vicoli più oscuri, nell’esclusione.

E ho scoperto con te, camminando in via del Campo, che «dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior».

La tua morte ci ha migliorati, Faber, come sa fare l’intelligenza.

Abbiamo riscoperto tutta la tua «antologia dell’amore», una profonda inquietudine dello spirito che coincide con l’aspirazione alla libertà.

E soprattutto, il tuo ricordo, le tue canzoni, ci stimolano ad andare avanti.

Caro Faber, tu non ci sei più ma restano gli emarginati, i pregiudizi, i diversi, restano l’ignoranza, l’arroganza, il potere, l’indifferenza.

La Comunità di san Benedetto ha aperto una porta in città. Nel 1971, mentre ascoltavamo il tuo album, Tutti morimmo a stento, in Comunità bussavano tanti personaggi derelitti e abbandonati: impiccati, migranti, tossicomani, suicidi, adolescenti traviate, bimbi impazziti per l’esplosione atomica.

Il tuo album ci lasciò una traccia indelebile. In quel tuo racconto crudo e dolente (che era ed è la nostra vita quotidiana) abbiamo intravisto una tenue parola di speranza, perché, come dicevi nella canzone, alla solitudine può seguire l’amore, come a ogni inverno segue la primavera [«Ma tu che vai, ma tu rimani / anche la neve morirà domani / l’amore ancora ci passerà vicino / nella stagione del biancospino», da L’amore, ndr].

È vero, Faber, di loro, degli esclusi, dei loro «occhi troppo belli», la mia Comunità si sente parte. Loro sanno essere i nostri occhi belli.

Caro Faber, grazie!

Ti abbiamo lasciato cantando Storia di un impiegato, Canzone di Maggio. Ci sembrano troppo attuali. Ti sentiamo oggi così vicino, così stretto a noi. Grazie.

E se credete ora

che tutto sia come prima

perché avete votato ancora

la sicurezza, la disciplina,

convinti di allontanare

la paura di cambiare

verremo ancora alle vostre porte

e grideremo ancora più forte

per quanto voi vi crediate assolti

siete per sempre coinvolti,

per quanto voi vi crediate assolti

siete per sempre coinvolti.

Caro Faber, parli all’uomo, amando l’uomo. Stringi la mano al cuore e svegli il dubbio che Dio esista.

Grazie.

Le ragazze e i ragazzi con don Andrea Gallo,

prete da marciapiede.

“Smisurata Preghiera” – Il fantastico brano di Fabrizio De André dedicato alle minoranze di ieri, oggi e domani… Sentitolo, è tanto bello, toccante, profondo quanto attuale…!

 

Fabrizio De André

 

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“Smisurata Preghiera” – Il fantastico brano di Fabrizio De André dedicato alle minoranze di ieri, oggi e domani… Sentitolo, è tanto bello, toccante, profondo quanto attuale…!

La smisurata preghiera di De André: alle minoranze di ieri, oggi e domani
(di seguito il testo ed il video live)

Era l’anno 1996, Fabrizio De André spiegava in un concerto il senso del brano Smisurata preghiera: elogio delle minoranze con parole che oltre 20 anni dopo sono ancora attuali.

Correva l’anno 1996: 20 anni fa il grandissimo Fabrizio De André pubblicò l’album “Anime Salve”, scritto a quattro mani con l’amico e collega Ivano Fossati. Durante un concerto, Faber decise di spiegare il senso di “Smisurata Preghiera”, brano che, non a caso, è l’ultima traccia del cd.
Un discorso e una canzone che ancora oggi suonano, soprattutto visto la situazione internazionale, attuali… perché oggi più che mai abbiamo bisogno di ritrovare la nostra “umanità” anche attraverso le parole dei poeti/cantastorie del Novecento.
L’ultima canzone dell’album [Anime salve, ndr.] è una specie di riassunto dell’album stesso: è una preghiera, una sorta di invocazione…un’invocazione ad un’entità parentale, come se fosse una mamma, un papà molto più grandi, molto più potenti. Noi di solito identifichiamo queste entità parentali, immaginate così potentissime come una divinità; le chiamiamo Dio, le chiamiamo Signore, la Madonna. In questo caso l’invocazione è perché si accorgano di tutti i torti che hanno subito le minoranze da parte delle maggioranze.
Le maggioranze hanno la cattiva abitudine di guardarsi alle spalle e di contarsi… dire “Siamo 600 milioni, un miliardo e 200 milioni…” e, approfittando del fatto di essere così numerose, pensano di poter essere in grado, di avere il diritto, soprattutto, di vessare, di umiliare le minoranze.
La preghiera, l’invocazione, si chiama “smisurata” proprio perché fuori misura e quindi probabilmente non sarà ascoltata da nessuno, ma noi ci proviamo lo stesso. [Fabrizio De André]

smisurata preghiera

Alta sui naufragi
dai belvedere delle torri
china e distante sugli elementi del disastro
dalle cose che accadono al di sopra delle parole
celebrative del nulla
lungo un facile vento
di sazietà di impunità

Sullo scandalo metallico
di armi in uso e in disuso
a guidare la colonna
di dolore e di fumo
che lascia le infinite battaglie al calar della sera
la maggioranza sta la maggioranza sta

Recitando un rosario
di ambizioni meschine
di millenarie paure
di inesauribili astuzie
Coltivando tranquilla
l’orribile varietà
delle proprie superbie
la maggioranza sta
come una malattia
come una sfortuna
come un’anestesia
come un’abitudine

Per chi viaggia in direzione ostinata e contraria
col suo marchio speciale di speciale disperazione
e tra il vomito dei respinti muove gli ultimi passi
per consegnare alla morte una goccia di splendore
di umanità, di verità

Per chi ad Aqaba curò la lebbra con uno scettro posticcio
e seminò il suo passaggio di gelosie devastatrici e di figli
con improbabili nomi di cantanti di tango
in un vasto programma di eternità

Ricorda Signore questi servi disobbedienti
alle leggi del branco
non dimenticare il loro volto
che dopo tanto sbandare
è appena giusto che la fortuna li aiuti

come una svista
come un’anomalia
come una distrazione
come un dovere.

Fabrizio De André