Il vostro bel pennello da barba o per il make-up? Per farlo hanno ucciso a martellate una povera bestia… Pensateci…

pennello da barba

 

 

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Il vostro bel pennello da barba o per il make-up? Per farlo hanno ucciso a martellate una povera bestia… Pensateci…

L’orrore che si nasconde dietro i pennelli da barba e per il make-up: tassi presi a martellate.

Catturati illegalmente, rinchiusi in minuscole gabbie sovraffollate e poi uccisi a martellate. È il destino dei tassi, raccontato in un video shock diffuso da Peta Asia che racconta l’orrore che si cela dietro i pennelli per il make-up e da barba.

Attenzione questo articolo contiene immagini video che potrebbero urtare la vostra sensibilità

Da dove vengono i pennelli con cui quotidianamente ci trucchiamo o che gli uomini utilizzano per farsi la barba o ancora per la pittura? Ce lo svela una nuova inchiesta di Peta Asia, la prima in cui si parla dei tassi, che vengono uccisi brutalmente.

I tassi sono animali protetti anche in Cina, eppure la maggior parte dei pennelli proviene proprio dal mercato asiatico. Come sappiamo questi bellissimi animali sono mammiferi carnivori ed in Italia, come in altri paesi tra cui Medio Oriente e Asia (dove vivono in gran numero) è vietata la cattura, detenzione, uccisione e commercio.

Per questo motivo, i tassi vengono catturati illegalmente, poi allevati in maniera intensiva in minuscole gabbie dove riescono a muoversi con difficoltà per poi essere uccisi per diventare pennelli per pittura, trucco o barba. Le immagini che mostra Peta in questo video sono terribili, tanto che dopo la diffusione,alcune aziende come Procter & Gamble (per prima), The New York Shaving Company, Caswell-Massey, Beau Brummell e Olivina Men hanno promesso di non acquistare più pennelli in cui siano stati impiegati peli di tasso.

In gabbia e presi a martellate

Durante l’indagine, animalisti sotto copertura, hanno visitato gli allevamenti di tassi in Cina che esportano le spazzole in tutto il mondo. Quello che hanno trovato è stato sporcizia, gabbie minuscole e animali con lesioni gravi sul corpo e ferite non curate.

I tassi sono sottoposti a forte stress, non riescono a muoversi e spesso si azzannano tra loro. Una vita infernale e una morte atroce. Nel video questi animali vengono colpiti in testa con qualsiasi oggetto, addirittura anche con le sedie, per poi essere sgozzati e lasciati sanguinare lentamente.

Ecco, quindi, cosa si nasconde dietro i pennelli. Cosa puoi fare tu? Scegliere i pennelli sintetici che esistono in commercio. Peta Asia lancia anche una petizione per sensibilizzare le aziende a non acquistare più pennelli fatti con il pelo di tasso.

FIRMA QUI LA PETIZIONE

 

tratto da: https://www.greenme.it/informarsi/animali/29803-tassi-pennelli-barba

Fairafric, il primo cioccolato bio e equo con filiera tutta africana

 

 

Fairafric

 

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Fairafric, il primo cioccolato bio e equo con filiera tutta africana

Nel settore del cacao, tra i peggiori per condizioni dei lavoratori, c’è una novità positiva che arriva dall’Africa, dove le conseguenze dello sfruttamento dei lavoratori da parte delle multinazionali sono più dure. Fairafric è la prima barretta di cioccolato bio coltivata, raccolta, lavorata e confezionata in Africa, ma non solo: ha iniziato a rendere i suoi coltivatori parte della proprietà grazie all’acquisizioni di quote societarie dell’azienda.

“Mantenere gli utili in Ghana”

A raccontare la genesi di Fairafric è il portale FoodNavigatore: “l’idea è nata nel 2013 quando Hendrik Reimers ha fatto ricerche in giro per l’Africa. Reimers si rese conto che le persone potevano guadagnare molto di più se le merci agricole che coltivavano venivano trasformate in prodotti finiti in Africa”. Da allora, il viaggio di Fairafric ha coinvolto diverse campagne di raccolta fondi che gli hanno permesso di iniziare a produrre cioccolato biologico di qualità in Ghana e spedirlo in tutto il mondo. La sua missione principale – mantenere l’utile in Ghana – è raggiunta in diversi modi, ha detto a FoodNavigator Julia Gause, responsabile delle vendite presso la sede centrale di Fairafric, a Monaco.

Il crowdfunding usato per le azioni degli agricoltori

In primo luogo, sceglie di rifornirsi di cioccolato biologico anziché di cacao equosolidale. “In Ghana, il pagamento per le fave di cacao biologiche è tre volte più alto del premio Fairtrade, motivo per cui effettivamente paghiamo il prezzo più alto che puoi pagare in Ghana”, ha affermato Gause. In secondo luogo, ha iniziato ad acquistare azioni per i suoi coltivatori di cacao, rendendoli “comproprietari”. All’inizio di quest’anno, Fairafric ha lanciato una campagna di investimento sulla piattaforma online Seedrs che consentiva alle persone di registrarsi e acquistare azioni della società. Parallelamente, ha utilizzato parte del denaro raccolto durante la sua più recente campagna Kickstarter (più del triplo del suo target di € 27.000) per costituire una fondazione proprietaria di azioni Fairafric per conto dei suoi agricoltori. “Abbiamo già riservato un sacco di quote per i nostri agricoltori durante questa campagna di Seedrs […] e ogni dividendo che queste azioni porteranno sarà consegnato agli agricoltori, in base ai volumi di fave di cacao che hanno contribuito alla produzione di cioccolato”.  “Queste persone – amici, sostenitori a lungo termine, tifosi e persone che credono nel nostro modello di business – sono ora investitori e azionisti – continua Gause – Siamo molto orgogliosi di questo modo di fare business e vogliamo che i nostri clienti e fornitori siano sulla stessa barca con noi, avendo un perfetto allineamento di interessi”.

I numeri

FairAfric ha inserzioni al dettaglio in negozi specializzati in Germania, Austria e Svizzera, nonché supermercati biologici in Germania. Viene anche venduto in una catena di supermercati al Cairo, la sua prima quotazione nel continente africano e in tutto il mondo attraverso il suo sito web. Nel 2018 Fairafric ha prodotto un totale di 250.000 barrette di cioccolata, ognuna del peso di 100 ge avvolto in un foglio di carta Natureflex, un imballaggio biodegradabile e compostabile.

Come acquistarla dall’Italia

Le barrette di cioccolato Fairafric possono essere acquistate direttamente dal sito dell’azienda. Vengono vendute a confezioni da 8 barrette da 100 grammi a un prezzo, inclusa la spedizione per l’Italia di 33 euro circa.

 

fonte: https://ilsalvagente.it/2018/12/18/fairafric-il-primo-cioccolato-bio-e-equo-con-filiera-tutta-africana-acquistabile-in-italia/45135/

Un Cult: Frankenstein Junior – Calma, dignità e classe…

 

Frankenstein Junior

 

 

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Un Cult: Frankenstein Junior – Calma, dignità e classe…

Frederick e i suoi collaboratori riescono a rubare un cadavere, a procurarsi un cervello e ad iniziare gli esperimenti. Il primo grosso tentativo di dar vita alla creatura, però, si rivela un fallimento e il dottore non la prende affatto bene.

L’effetto comico, però, è garantito dal fatto che in principio Frederick sembra accettare con un certo distacco la non riuscita dell’esperimento. Un grande scienziato infatti deve sempre dimostrare «calma, dignità e classe». O almeno dovrebbe…

“Se la scienza ci insegna qualcosa, ci insegna ad accettare i nostri fallimenti, come i nostri successi, con calma, dignità e classe…

Figlio di puttana bastardo te la farò pagare! perché mi hai fatto questo? Perché mi hai fatto questo?”

Carpe diem – Cogliete l’attimo, rendete straordinaria la vostra vita – Robin Williams ed il fantastico monologo tratto da “L’attimo fuggente”

 

Carpe diem

 

 

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Carpe diem – Cogliete l’attimo, rendete straordinaria la vostra vita – Robin Williams ed il fantastico monologo tratto da “L’attimo fuggente”

“Cogli l’attimo, cogli la rosa quand’è il momento”. Perché il poeta usa questi versi? […] Perché siamo cibo per i vermi, ragazzi. Perché, strano a dirsi, ognuno di noi in questa stanza un giorno smetterà di respirare: diventerà freddo e morirà. Adesso avvicinatevi tutti, e guardate questi visi del passato: li avrete visti mille volte, ma non credo che li abbiate mai guardati. Non sono molto diversi da voi, vero? Stesso taglio di capelli… pieni di ormoni come voi… e invincibili, come vi sentite voi… Il mondo è la loro ostrica, pensano di esser destinati a grandi cose come molti di voi. I loro occhi sono pieni di speranza: proprio come i vostri. Avranno atteso finché non è stato troppo tardi per realizzare almeno un briciolo del loro potenziale? Perché vedete, questi ragazzi ora sono concime per i fiori. Ma se ascoltate con attenzione li sentirete bisbigliare il loro monito. Coraggio, accostatevi! Ascoltate! Sentite? “Carpe”, “Carpe diem”, “Cogliete l’attimo, ragazzi”, “Rendete straordinaria la vostra vita”!

 

 

“Sono nato sulle Colline Nere, le montagne madri del mio popolo” – Il fantastico discorso di Toro Seduto – Assolutamente da leggere per capire la differenza tra la grandezza dei Nativi Americani e la perfida grettezza dell’uomo bianco…

Toro Seduto

 

 

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“Sono nato sulle Colline Nere, le montagne madri del mio popolo” – Il fantastico discorso di Toro Seduto – Assolutamente da leggere per capire la differenza tra la grandezza dei Nativi Americani e la perfida grettezza dell’uomo bianco…

Sono nato sulle Colline Nere, le montagne madri del mio popolo. Mi chiamarono Lento, ma sapevo che un giorno, mi sarei conquistato un altro nome. Allora non sapevo neppure dell’esistenza dei bianchi. Ero un Indiano, e prima ancora di essere indiano, ero un Lakota, e tra i Lakota appartenevo alla tribù guerriera più valorosa: gli Hunkpapa.La nostra fierezza era immensa.

I nostri guerrieri erano temuti da tutte le tribù vicine. Il nostro territorio di caccia era enorme, nel cuore delle grandi pianure. Avevamo molti cavalli e il nostro popolo non conosceva la fame da molte lune. Sì, posso dirlo, ero fiero di essere un Lakota, fiero di essere un Hunkpapa (…). A quattordici anni non volli più essere un ragazzo. Non ero molto alto, ma ero forte e vigoroso. Mi sentivo un uomo e tutta la tribù doveva sapere quanto ero coraggioso.

Era già passato molto tempo da quando avevo abbattuto da solo il mio primo bisonte, con un arco costruito da mio padre. Così vidi che un gruppo si guerrieri si stava preparando per un’escursione, seppi che era giunto il tempo per farmi notare (…). Guardai i guerrieri che si allontanavano due a due per recarsi al loro appuntamento e quando gli ultimi lasciarono l’accampamento, li seguii senza farmi notare. Ma sulla collina dove si erano radunati, non ero atteso…che cosa ci facevo là? Gli uomini mi ignorarono in silenzio.

Come dovevo essere ridicolo, col mio piccolo arco buono solo per cacciare uccellini. Mio padre mi si avvicinò; tenendo il mio pony per la criniera gli dissi “Veniamo anche noi”. Vidi nel suo sguardo che era fiero di me. Mi disse solo: “Hai un buon cavallo. Cerca di fare qualcosa di valoroso”. Quindi mi diede un ‘bastone da colpi’, una lunga asta con l’estremità ricurva, sulla quale erano attaccate delle piume d’aquila.

Era l’arma suprema del coraggio (…). Avevamo cavalcato a lungo, quando un esploratore ci avvertì che una banda di Crow stava venendo verso di noi. Quindi ci appostammo dietro una collina per prepararci al combattimento. Dipinsi il mio corpo di giallo e il mio pony col rosso di guerra. Gli altri non prestavano attenzione a ciò che facevo. Alcuni coprivano la bocca e le narici dei loro cavalli con l’erba di medicina per renderli veloci come il vento. Altri, con lo scudo al braccio e il corpo nudo attendevano il segnale. “Hoka Hey!”. Spronando il mio pony coi talloni, sfrecciai dritto verso i nemici, col mio bastone da colpi in mano. Dopo un attimo di stupore, anche i guerrieri della nostra banda caricarono per non restare indietro. Ma avevo un buon vantaggio e la mia cavalcatura era veloce. Ero in testa al gruppo.

Ci stavamo avventando sui Crow; colti di sorpresa, si diedero alla fuga. Mi lanciai all’inseguimento come un pazzo, incosciente come poteva esserlo un giovane Hunkpapa. Uno dei nemici capì che l’avrei raggiunto presto e scese a terra per incoccare una freccia. Ma nel mio cuore e nella mia testa non m’importava nulla di quell’arco e quella freccia! Avevo sete di gloria, sete di combattere. Mi scagliai su di lui, mi porsi e lo colpii violentemente all’avambraccio nel momento in cui tese il suo arco. La freccia volò in cielo. Io gridai e urlai a pieni polmoni; “On hey! Io, Lento, l’ho battuto!”. Altri guerrieri riuscirono a raggiungere dei Crow in fuga e quel giorno vi furono famosi combattimenti. Poi radunammo i trofei, prima di rientrare al nostro accampamento.

Giunti in prossimità dei tipì, ci fermammo per attendere l’alba, quindi, con frastuono di zoccoli, il nostro gruppo entrò nell’accampamento gridando vittoria. I cavalli girarono attorno alle capanne e ogni valoroso gridò a voce alta le azioni brillanti di cui era stato capace. Io restai indietro, perché non ero ancora un vero guerriero, ma mio padre venne a cercarmi. Mi mise tra i capelli una penna d’aquila – la penna che ha già toccato le nuvole! – e mi ricoprì da capo a piedi con i colori della vittoria. Quindi mi fece salire su un magnifico cavallo e mi portò con lui gridando: “Mio figlio ha battuto il nemico. E’ valoroso. Gli do il nome di Tatanka Iyotake, Toro Seduto!”.

Non abbassai lo sguardo; al contrario, guardai fiero davanti a me. Meritavo la ricompensa. Non ero stato solo un valoroso che si era mostrato coraggioso, ero stato il primo a toccare il nemico. Quella sera partecipai alla danza della vittoria e mostrai molte volte come avevo battuto il Crow mentre puntava la sua freccia su di me. Mio padre offrì due cavalli in mio onore. Il mio cuore volava come il falco. Le grida delle ragazze, gli applausi degli uomini, gli sguardi di tutti mi montarono la testa e mi inebriarono (…). Mi ero guadagnato un nuovo nome, Toro Seduto, un nome sacro del quale mio padre mi aveva considerato degno. Pronunciai questo nome nella testa e sentii penetrare dentro di me la forza e lo spirito del bisonte, che da allora non mi lasciò più.

Non era un nome come gli altri. Era stato dato a mio padre da un bisonte che si era avvicinato al bivacco allestito con tre compagni di caccia. Il vecchio bisonte, col capo chino verso l’erba mormorava incessantemente: “Bisonte Seduto, Bisonte che Salta, Bisonte che Monta, Bisonte Solitario…rappresentano i quattro stadi della vita del bisonte”. Mio padre era anche uno sciamano rispettato e aveva una grande conoscenza delle cose sacre. Prese per sé il nome di Bisonte Seduto, ma dopo la prima prodezza lo donò a me, per chiamarsi poi fino alla morte Bisonte che Salta. Nel mondo dello Spirito nulla viene lasciato al caso.

So che se mi è stato dato il nome del Bisonte, è per vegliare sul mio popolo come il Sole-Bisonte veglia sugli uomini (…). Dopo la mia prima prodezza da guerriero, mio padre mi portò con sé sulle colline: “La forza del braccio e il coraggio sono grandi cose, ma non sono nulla senza l’aiuto di una ‘visione’. Solo una visione ti concederà alleati tra le creature del cielo, dell’acqua e della terra. Un uomo senza visione è un uomo senza potere”.

Quindi mi condusse da Sognatore del Sole, il più grande sciamano. Poteva trasformarsi in un animale, sapeva predire il futuro e comandava la pioggia. Lui e mio padre mi prepararono a quella che doveva essere la mia prima visione (…). Poco a poco, le pietre, gli alberi, gli animali, tutto il piccolo mondo che mi circondava divenne propizio per la visione.Non lo vedevo con gli occhi dell’abitudine. Avevo l’impressione di comprendere e di divenire di volta in volta la potenza delle rocce, il tronco rugoso degli alberi o le code rosse che volavano sui cedri. E’ una cosa difficile da spiegare, ma vedevo tutte le creature dell’universo in una maniera sacra.

E sentivo le loro voci che supplicavano con me. Il vento soffiava: “Verrà la voce del Grande Mistero”, e i rami che sterminavo ripetevano senza sosta: “Si verrà, verrà, la voce sacra”.Il sole si levò, ma non sapevo più se era l’alba del primo o del secondo giorno. Il tempo sembrava non esistere più, mentre la mia invocazione era diventata rauca come quella di un animale.All’improvviso, un’aquila maculata apparve in cielo da ovest e si mise a volteggiare sopra di me, come fossi stato la preda sulla quale gettarsi. Non era che un punto tra le nuvole, ma i miei occhi potevano vedere ciascuna delle sue piume, il globo lucido del suo occhio e i suoi artigli.

Ogni cerchio che compiva mi aspirava sempre più, finché mi trascinò con sé in cielo. Non sapevo più se ero io stesso o se ero l’aquila. Tra le mie braccia sentivo il fruscio dell’aria e vidi le quattro pertiche ornate coi nastri sacri allungarsi a dismisura. L’aquila e il vento cantavano all’unisono: “Mio padre mi ha donato questa Nazione; è un duro compito proteggerla!”, e la mia bocca ripeteva le stesse parole. Pronunciandole, sentii il ‘potere’ invadermi e sommergermi, spingendo su di me come la pelle nuova di serpente. I miei occhi risplendevano di lacrime, mentre comprendevo il significato profondo di quelle parole. Sapevo che quella sarebbe stata la gloria, ma sarebbe stato anche dolore (…). Come il bisonte, l’aquila è un animale sacro.

Le sue piume sono paragonabili ai raggi del sole e le sue ali le permettono di volare così in alto da poter avvicinare Wakan Tanka ed esserne messaggera. Quel giorno, con al voce dell’aquila, il Grande Spirito mi confidò il destino del mio popolo. M’avvertì in anticipo che sarebbe stata una missione difficile (…). Nei giorni difficili non sono i forti a soffrire di più, ma i deboli, che si ritrovano ogni giorno sempre più bisognosi. Un capo deve sapere ascoltare la sua gente, soprattutto i più indifesi. E’ a loro che deve pensare, non alla sua gloria personale.

Io, che ero pazzo per la guerra, calmo ora la mia collera e la mia sete di combattere per diventare poco a poco un seguace della pace (…). La pace con l’uomo bianco è durata circa otto anni, perché l’uomo rosso è paziente. I bianchi hanno rispettato solo a metà le parole del trattato e noi abbiamo chiuso un occhio (…). Io, Toro Seduto, so sopportare con pazienza, ma quando la misura è colma, guai a chi mi ha fatto salire il fuoco alla testa! Ho riunito il Gran Consiglio, ho chiamato tutta la mia gente alla guerra e ho inviato messaggeri ovunque: “Siamo in guerra, unitevi a me al mio accampamento, uniamoci per una grande battaglia contro i soldati!”. Dalle colline, dalle montagne, dai confini della prateria, i guerrieri mi raggiunsero a migliaia.

Al di là delle nostre differenze, siamo tutti fratelli, e i fratelli si radunano per cacciare il lupo quando si avvicina troppo al tipì. Gli Oglala di Cavallo Pazzo, I Minniconjou di Luna Nera, i Cheyenne di Cavallo Piccolo, gli Arapaho, gli Yanktonais, i Piedi Neri, i Cheyenne del Sud…gli indomiti Santee di Inkpaduta e anche alcuni Brulè che disconobbero il loro capo Coda Maculata. Tutti risposero all’appello della guerra. Giovani valorosi bramosi di combattere, vecchi guerrieri dal passato glorioso e intere famiglie lasciate a morire di fame nelle ‘agenzie’ dell’uomo bianco.

Solo gli Oglala di Nuvola Rossa furono sordi al richiamo, ma Jack, figlio del capo, ci raggiunse senza ascoltare suo padre. L’accampamento non smetteva di crescere e non si contavano le danze e le feste che si tenevano ogni giorno. Gli amici si ritrovavano. Bande di ragazzini andavano e venivano sui loro pony. Le ragazze cercavano quadrifogli nella prateria, come portafortuna per quando i giovani cercano la loro compagna. Eravamo come sciami d’api ronzanti e ogni arrivo di un nuovo gruppo era salutato dagli annunci degli urlatori e dal chiasso di coloro che si ritrovavano.Ma venne il momento di affilare i coltelli e di fabbricare punte per le frecce.

Venne il momento di prepararci a combattere. Due Lune venne scelto per comandare i Cheyenne, mentre io avrei guidato i Lakota. Così decise il Consiglio. Poco dopo feci trasferire l’accampamento in un luogo propizio per una grande Danza del Sole. Era l’epoca in cui il Sole è più alto e tutte le forze della vita sono più potenti. Vi erano tutte le condizioni per una buona Danza che rafforzasse il mio popolo. Fui designato per guidare la cerimonia e fu senza dubbio una delle più grandi Danze del Sole mai eseguite dalla mia gente.

La fierezza invase il mio cuore vedendo il gran numero di guerrieri ai quali venivano dipinti di rosso mani e piedi. Avendo fatto voto di offrire al Grande Mistero una copertura scarlatta, avanzai a torso nudo fino al luogo sacro. Là, davanti a tutti, mio fratello Bisonte che Salta procedette con l’offerta. Con un coltello e un punzone, tagliò cinquanta pezzi di carne da ciascuna delle mie braccia, mentre salmodiavo delle preghiere. L’offerta del proprio corpo è l’unica che possiamo fare a Wakan Tanka, perché solo il nostro corpo ci appartiene. Possiamo sacrificare degli animali o far bruciare del tabacco e delle erbe. Ma non sono cose che ci appartengono veramente. Ecco perché il Grande Spirito ascolta coloro che gli offrono la loro carne.

In questo modo, nulla di buono viene senza dolore. Non vi è primavera senza il freddo dell’inverno che purifica il terreno. Per germogliare, il seme deve perforare il suolo. Quindi danzai fissando il Sole, mentre il sangue colava dalle mie ferite. Ho danzato fino al crepuscolo, tra il frastuono dei tamburi e dei sonagli, in compagnia di tutti i giovani valorosi che offrivano la loro sofferenza per la vita della Nazione.Ho danzato tutta la notte e tutto il giorno seguente, fino all’ora in cui il sole si trovava dritto sopra gli uomini. Il mio spirito non mi apparteneva più e volò oltre le nuvole. Vidi le giubbe blu che arrivavano come un branco di locuste, con la testa in basso perdendo i loro capelli. Caddero proprio nel nostro accampamento.Una voce parlò alla mia testa: “Te li regalo, perché non hanno orecchi”. Sorrisi, poi morii in un istante.

Credo sia stato Luna Nera che mi stese a terra e mi spruzzò con acqua fresca. Quando ritornai tra i vivi, raccontai la mia visione e tutti si rallegrarono. Se i bianchi erano a testa in giù significava che sarebbero morti. Wakan Tanka aveva accettato la mia offerta; eravamo sotto la sua protezione. Ma avvertii i miei: i bianchi che sarebbero morti in battaglia erano un dono del cielo. Non avremmo dovuto spogliarli, né prendere i loro cavalli, altrimenti la maledizione si sarebbe abbattuta su di noi. Guai a chi brama le ricchezze dell’uomo bianco! (…)

Poco dopo, vi fu una grande battaglia in cui massacrammo le truppe di Capelli Lunghi (Custer, n.d.e). Ancora oggi, i bianchi cercano di capire perché abbiamo vinto quel giorno, ma io so che la protezione del Grande Spirito ci guidò e che il nostro popolo si batté per una giusta causa. Le giubbe blu non sono uomini come noi. Combattono perché è il loro mestiere e non hanno nulla da difendere (…). A Forte Buford ho ceduto le armi e i cavalli…quei cavalli sui quali ho galoppato a lungo, battendo i miei nemici. Non ho avuto il coraggio di farlo da solo. E’ stato mio figlio Piede di Corvo che l’ha fatto per me (…). Qualche luna fa ho visitato la città più grande dell’uomo bianco e i prodigi che può offrire mi hanno riempito di ammirazione.

Ma per le vie della città ho visto dei bambini che tendevano la mano come mendicanti. E’ stata una visione così miserabile che il cuore mi doleva e ho dato loro i pochi soldi che avevo in tasca. Come potranno i bianchi prendersi cura dell’uomo rosso se lasciano morire in miseria i loro stessi figli? Sembra che a loro interessino solo il potere e il denaro! Il loro appetito non ha limiti. A loro non basta prendere le nostre colline e le nostre praterie, vogliono rubarci anche l’anima. Mandano i nostri figli nelle loro scuole affinché imparino a vivere come loro. Vogliono che ascoltiamo le parole del loro Dio scritte in un libro, ma il nostro libro sacro sono il vento, la pioggia e le stelle.

Vogliono che diventiamo contadini che lavorano per loro. Porto il nome del bisonte e non sarò mai come un animale domestico rinchiuso. Vogliano che dimentichiamo il potere del cerchio per vivere nelle loro case quadrate; che rinunciamo alle nostre danze e alla nostra ‘medicina’. E alcuni dei nostri sono così disperati che si prestano ad abbandonare la ‘via rossa’ I nostri fratelli dimenticano le forze che sono state in nostro potere: il bisonte, la pipa e il cerchio. E quelle forze ci abbandonano… Il mondo dell’uomo bianco ha l’insolenza dei guerrieri vittoriosi.

Ma solo la pietra dura nel tempo. Può darsi che un giorno il ‘potere’ dell’uomo bianco rinasca, come un albero congelato che ricresce dalle sue radici…

(Toro Seduto)

Toro Seduto (1830-1890) Nacque a Hunkpapas, lungo il Grande Fiume, nel Dakota. Fu uno dei capi principali che negoziarono il Trattato di Fort Laramie, nel 1868, con il quale gli Stati Uniti si impegnavano ad abbandonare diversi forti e a rispettare l’area sacra delle Black Hills.Toro Seduto era noto come un grande guerriero e in tarda età divenne una guida spirituale.

Nel giugno 1876, eseguì la Danza del Sole per trentasei ore consecutive e al termine ebbe una visione secondo la quale le truppe del generale Custer sarebbero state sconfitte nella famosa battaglia di Little Bighorn, in cui il settimo cavalleria fu annientato. Egli disse della battaglia: “Non dite che fu un massacro. Vennero per ucciderci e invece furono loro ad essere uccisi”. Toro Seduto ebbe un vasto consenso da parte del suo popolo e rappresentò un ostacolo enorme per gli sforzi dei bianchi di assoggettare i Sioux.

Dopo varie vicissitudini, che videro progressivamente ridursi le concessioni ottenute con anni di lotte, Toro Seduto fu assassinato con un colpo alla testa, mentre quarantatre poliziotti indiani rinnegati cercavano di arrestarlo, nel dicembre 1890, pochi giorni prima del massacro di Wounded Knee.

Ecco come i Nativi Americani stanno salvando il bisonte dall’estinzione voluta dalla crudeltà, dalla scelleratezza e dalla meschinità dell’uomo bianco

 

Nativi Americani

 

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Ecco come i Nativi Americani stanno salvando il bisonte dall’estinzione voluta dalla crudeltà, dalla scelleratezza e dalla meschinità dell’uomo bianco

Nella foto: Una montagna di teschi – Con crudeltà, scelleratezza e meschinità, l’uomo bianco voleva l’estinzione del bisonte per affamare i Nativi Americani…

Leggendo qua e là

…L’Esercito non aveva tra i suoi compito quello di accompagnare i ricconi dell’est a cercare emozioni nelle battute di caccia, ma era molto interessato a tutto ciò perché era tra i suoi interessi quello del controllo dei nativi americani e, se possibile, del loro annullamento e questo era possibile raggiungerlo anche attraverso il controllo dei bisonti che erano fonte primaria di cibo e di mille altre cose per gli indiani…

“Uccidi tutti i bufali che puoi! Ogni bufalo morto è un indiano in meno”.

…Oggi può sembrarci assurdo, eppure al tempo del west i coloni ed i cacciatori americani uccisero bisonti senza sosta fino quasi a portare quella specie animale alla quasi completa estinzione. I turisti dell’est fecero la loro parte, sparando agli animali dai finestrini dei treni come se il massacro potesse durare per sempre…

 

Da GreenMe:

I nativi americani stanno salvando così il bisonte dall’estinzione

Le tribù native americane stanno salvando il bisonte dall’estinzione. Questo mammifero, oltre ad essere una forma di sostentamento, svolge un ruolo fondamentale nella spirituale della tribù, ecco il perfetto equilibrio che si è stabilito nel Nord America.

5mila ettari di praterie non arate nel nord-est del Montana e centinaia di bisonti selvaggi che vagano. Ma questa mandria non si trova in un parco nazionale o in un santuario protetto, ma bensì nelle terre ancestrali delle tribù di Assiniboine e Sioux di Fort Peck Reservation.

Proprio qui c’è il più grande allevamento di bisonti e solo grazie ai nativi. Fino a centinaia di anni fa, sulla Terra vivevano 30milioni di bisonti, un mammifero ricordiamolo, sopravvissuto anche all’Era glaciale, ma non all’intervento dell’uomo.

Dopo il viaggio di Colombo, i colonizzatori bianchi per occupare i territori dei nativi utilizzarono ogni mezzo, compreso quello del massacro dei bisonti, prima fonte si sostentamento delle tribù. Aggiungendo a questo i cambiamenti climatici, nel giro di poche decine di anni, il bisonte è passato da decine di milioni all’orlo dell’estinzione.

Vogliamo riportare questi importanti bisonti nella loro dimora storica delle Grandi Pianure”, dice Jonathan Proctor, direttore del programma di Rockies and Plains dell’Ong Defenders of Wildlife , che lavora accanto alle tribù per salvare questo animale.

Dopo il massacro del 19esimo secolo, erano sopravvissuti solo 23 bisonti in una remota valle di Yellowstone. Oggi la mandria è di 4mila e questi animali vivono allo stato brado, non sono addomesticati né stati fatti accoppiare con altro bestiame, mantenendo così la purezza genetica.

Da anni, le tribù difendono i mammiferi dalla legislazione del Montana che è anti bufali. Ma per i nativi questi animali giganteschi sono una risorsa.

Grazie a loro, abbiamo visto l’ecosistema rivivere. Gli uccelli delle praterie sono tornati, le erbe autoctone prosperano. Li accogliamo con gioia e aspettiamo i benefici che portano nelle nostre terre tribali”, dicono.

Grazie a un trattato con il governo, l’anno scorso, Blackfeet Reservation, sempre nel Montana, ha ricevuto 89 bisonti geneticamente puri da Elk Island in Canada. Adesso le tribù stanno negoziando con i funzionari statali per consentire a questi bufali, che sono sani e senza la temuta brucellosi, di recarsi liberamente nel parco nazionale del ghiacciaio e persino, si spera, un giorno a nord del parco nazionale dei laghi di Waterton.

“Le tribù delle pianure settentrionali sono la guida giusta per il ripristino dei bisonti selvatici in questo momento”, ha detto Proctor.

E tra 50 anni, la comunità di conservazione spera di avere almeno 10 mandrie di bisonti con mille animali.

Ecco il fantastico mondo che si nasconde in un cucchiaino di miele: un mondo straordinario nel “DNA ambientale”

 

miele

 

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Ecco il fantastico mondo che si nasconde in un cucchiaino di miele: un mondo straordinario nel “DNA ambientale”

Ecco cosa si nasconde in un cucchiaino di miele: un mondo straordinario nel “DNA ambientale”

Decifrando le informazioni genetiche contenute nel miele, ricercatori hanno individuato tracce degli organismi che abitano il territorio in cui viene creato

Dentro un cucchiaino di miele si nasconde un mondo intero. Lo ha dimostrato un gruppo di ricerca dell’Università di Bologna che, grazie ad un innovativo metodo di analisi del DNA, è riuscito ad isolare tracce non solo di piante e di api, ma anche di altri insetti, di diverse tipologie di funghi, e persino di virus e batteri. Una fotografia ampia e precisa della storia di quel miele, dal fiore fino all’alveare, e del vasto ambiente in cui è nato.

Il lavoro dei ricercatori – presentato in un articolo sulla rivista PLOS ONE – mostra come, utilizzando una metodologia bioinformatica costruita ad hoc, sia possibile estrarre dal DNA del miele importanti informazioni che permettono, ad esempio, di valutare lo stato di salute delle colonie di api, o anche di monitorare la presenza dei microrganismi responsabili di molte malattie delle piante.

API E DNA

 

Per creare il miele, le api compiono un metodico e capillare lavoro di esplorazione del territorio lungo un raggio che, partendo dall’alveare, può estendersi fino a dieci chilometri. E nel corso dei loro innumerevoli viaggi, raccogliendo nettare o melata dai fiori e dalle piante, finiscono per catturare anche tracce di molti altri organismi che abitano quel territorio. Per questo, il DNA contenuto nel miele è considerato un “DNA ambientale”, che contiene cioè al suo interno le impronte dei tanti protagonisti che in un modo o nell’altro vengono toccati dall’opera delle api.

Questo patrimonio di informazioni è però estremamente ricco e complesso. E ricostruirlo, isolando le singole tracce presenti e individuando gli organismi a cui si riferiscono non è affatto semplice. Per riuscirci è necessario mettere in campo tecnologie avanzate di analisi genetica, adattandole ad un contesto così particolare come quello del miele.

MIELE E BIOINFORMATICA
Per riuscire a decifrare il complesso patrimonio genetico contenuto nel miele, i ricercatori hanno utilizzato un metodo innovativo, basato su tecnologie di next generation sequencing che permettono di sequenziare in parallelo milioni di frammenti di DNA. L’obiettivo era arrivare ad identificare tracce appartenenti ad organismi di tutti i regni biologici che direttamente o indirettamente fanno parte del processo che porta alla produzione del miele, dal nettare dei fiori fino alla maturazione nei favi.

Per il nostro studio – spiega il ricercatore dell’Università di Bologna Samuele Bovo, tra gli autori dello studio – abbiamo messo a punto un sistema di analisi che comprende una metodologia bioinformatica costruita ad hoc per attribuire ai rispettivi organismi le centinaia di migliaia di sequenze ottenute dall’analisi. In questo modo siamo stati in grado di tradurre le informazioni presenti nelle sequenze di DNA attribuendole di volta in volta alle singole specie di appartenenza”.

MONITORAGGIO E CONTROLLO

Ma quali tracce hanno trovato i ricercatori nel corso della loro analisi? Tante, ovviamente, sono quelle che derivano dal polline dei fiori e quelle lasciate dalle api che hanno raccolto il nettare. E molte appartengono anche agli insetti produttori di melata, altro ingrediente fondamentale per la nascita del miele.

Più difficili da immaginare sono invece le tracce della varroa – il principale parassita che attacca le api, capace di vivere dentro le colonie, muovendosi tra i favi – così come quelle di diversi altri invertebrati che possono creare problemi alle colture agrarie. I ricercatori, inoltre, hanno individuato anche segni di funghi e batteri spesso presenti attorno o all’interno dell’alveare, e anche di funghi, batteri e virus che possono causare malattie delle piante o delle api.

Tutte informazioni, queste, che possono rivelarsi molto utili su più fronti. “Le tante tracce di DNA che abbiamo trovato possono essere lette e analizzate per scopi diversi”, spiega Luca Fontanesi, docente dell’Università di Bologna che ha coordinato lo studio. “Quelle delle piante, ad esempio, ci permettono di definire l’origine botanica del miele e quindi anche la sua origine geografica: un modo per certificarne la provenienza ed evitare possibili frodi”.

Ma i dati raccolti sono utili anche per controllare lo stato di salute di chi il miele lo produce: le api. “Le tracce di DNA appartenenti a parassiti e patogeni delle api – continua il professor Fontanesi – sono molto importanti per valutare lo stato sanitario degli apiari. Una notevole percentuale delle sequenze che abbiamo individuato, ad esempio, sono state inaspettatamente assegnate ad un virus, non ancora ben studiato, che colpisce le api”. E c’è anche il tema dei microrganismi potenzialmente dannosi per le piante “L’analisi del DNA ambientale ci permette di monitorare la loro presenza e diffusione – conferma Fontanesi – con risvolti importanti per i sistemi di sorveglianza fitosanitaria e di valutazione epidemiologica delle malattie delle piante”.

Non è da dimenticare, infine, che il miele è anche un alimento con molte proprietà benefiche: nel suo DNA ci sono tracce anche di questo. “Alcuni microrganismi che lasciano tracce nel miele contribuiscono alla formazione delle sue caratteristiche organolettiche e alle proprietà curative che vengono attribuite a questo alimento”, conclude Luca Fontanesi. “Alcuni lieviti di cui abbiamo trovato traccia nel miele analizzato, ad esempio, sono considerati produttori naturali di sostanze ad effetto antibiotico”.

I PROTAGONISTI DELLO STUDIO
La ricerca è stata pubblicata sulla rivista PLOS ONE con il titolo “Shotgun metagenomics of honey DNA: Evaluation of a methodological approach to describe a multi-kingdom honey bee derived environmental DNA signature”.

Lo studio è realizzato dal gruppo di ricerca del Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agro-Alimentari dell’Università di Bologna, coordinato dal professor Luca Fontanesi, attivo nel settore della genomica applicata all’apicoltura e alle specie di interesse zootecnico. Gli autori sono Samuele Bovo, Anisa Ribani, Valerio Joe Utzeri, Giuseppina Schiavo e Luca Fontanesi del Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agro-alimentari dell’Università di Bologna, in collaborazione con Francesca Bertolini della Technical University of Denmark.

 A cura di Filomena Fotia

Fonte: http://www.meteoweb.eu/2018/12/miele-dna-ambientale/1192515/

 

20 drammatiche differenze tra le ragazze di vent’anni e quelle di trenta

 

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20 drammatiche differenze tra le ragazze di vent’anni e quelle di trenta

C’è l’errata tendenza a considerare la ragazza alla stregua di un concetto astratto, come fosse un individuo eterno e immutabile, e invece anche le fighe sono soggetto all’erosione del tempo, esattamente come le catene montuose o il girovita di Giuliano Ferrara. Perciò oggi analizzeremo le principali differenze tra una bella sgnacchera nel fiore dei suoi anni e una che orbita attorno al pianeta dei trenta. Che bella la superficialità.

#1. A vent’anni il sabato vai in discoteca, a trenta vai all’Ikea.

#2. Quando hai vent’anni sui siti ti compaiono banner di minigonne, a trenta di cosmetici antirughe.

#3. A vent’anni vorresti avere le certezze dei trenta, a trenta le certezze dei vent’anni.

#4. A vent’anni non pensi a sposarti ma credi lo farai, a trenta pensi a sposarti ma credi non lo farai.

#5. A vent’anni non hai ancora imparato bene a truccarti, a trenta nemmeno.

#6. A vent’anni vuoi andare in vacanza ad Ibiza, a trenta in una SPA vicino casa.

#7. A vent’anni ti alleni per la prova costume, a trenta ti compri un pareo.

#8. A vent’anni non disdegni la camporella, a trenta pretendi almeno 80 mq di appartamento per fare sesso.

#9. A vent’anni quando qualcuno ti parla alle spalle ne fai una tragedia, a trenta te ne sbatti le palle.

#10. A vent’anni ti senti più giovane di quel che sei, a trenta più vecchia di quel che sei.

#11. A vent’anni cerchi il principe azzurro, a trenta ti basta uno che usi il deodorante.

#12. A vent’anni il reggiseno è un mero accessorio, a trenta deve svolgere il ruolo del suo nome.

#13. A vent’anni la tua miglior amica è la tua confidente, a trenta la tua migliore amica è il piumino.

#14. A vent’anni hai il fisico per comprarti vestiti audaci ma non hai i soldi, a trenta non hai più il fisico per comprarti vestiti audaci ma hai ancora meno soldi.

#15. Se sei single a vent’anni è normale, se sei single a trenta sei pazza.

#16. A vent’anni il culo è più forte della gravità, a trenta bisogna convertirsi al Dio dello squat.

#17. A vent’anni hai paura di rimanere incinta, a trenta hai paura di chi ti mette incinta.

#18. A vent’anni ti innamori, a trenta stringi contratti.

#19. A vent’anni liste come queste ti lasciano indifferente, a trenta cominci a lanciare la bibliografia di Hannah Arendt contro lo schermo del PC.

#20. A vent’anni è facile essere fighe, ma se lo sei a trenta hai vinto la guerra.

 

fonte: OLTREUOMO

15 dicembre 1890 – Ricorre oggi l’anniversario dell’assassinio, per mano dei criminali bianchi, di un uomo leggendario: Toro Seduto

 

Toro Seduto

 

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15 dicembre 1890 – Ricorre oggi l’anniversario dell’assassinio, per mano dei criminali bianchi, di un uomo leggendario: Toro Seduto

“Il giorno in cui si sarebbe realizzata la sua visione si stava avvicinando, il governo decise di inviare quarantatrè poliziotti Lakota ad arrestare Toro Seduto. All’atto dell’arresto di fronte alla capanna di Toro Seduto si radunò molta gente che inveì contro i poliziotti che stavano effettuando l’arresto; dalla confusione si passò all’utilizzo delle armi da fuoco, uno dei poliziotti colpì alla testa Toro Seduto, ferendolo a morte.
Correva il quindici dicembre del 1890 quando venne assassinato un grande uomo. Per l’ennesima volta un uomo che non chiedeva altro che poter vivere in pace con la sua gente si spegneva a causa di azioni subdole. I suoi resti vennero sepolti in primo luogo a Forte Yates nel Nord Dakota e nel 1953 alcuni dei suoi discendenti fecero in modo che le spoglie venissero spostate da dove si trovavano per essere sepolte a Mobridge sulle rive del Missouri, qui venne eretta una effige di granito in memoria dell’uomo.”

Toro Seduto nacque nei pressi del Grand River (Sud Dakota), nel 1831 (circa), e morì nei medesimi luoghi nel 1890.

E’ universalmente considerato il più celebre capo indiano, perché durante la sua vita seppe incarnare le virtù degli indiani delle pianure, che, unite ad una grande forza e ad un immenso coraggio, lo resero un condottiero amato dai suoi amici e temuto dai suoi avversari.

Toro seduto guidò l’alleanza di tutte le tribù Sioux nella resistenza indiana contro l’invasione dei bianchi nelle Grandi Pianure. Non si fidò mai degli “americani” e non firmò mai con loro alcun trattato. Sotto la sua bandiera si raccolse la più grande coalizione di pellerossa di ogni tempo, che riuscì a sconfiggere l’esercito guidato dal Generale Custer.

Toro Seduto era figlio di Four Horses, un capo minore della tribù Hunkpapa. Da giovanissimo veniva chiamato Hakada o Jumping Badger (Tasso che salta), ma a dieci anni, dopo aver abbattuto un giovane bisonte con una freccia, gli fu dato il nome “Buffalo Bull Sitting Down”.

Non divenne famoso per il suo coraggio o per i suoi atti eroici, ma per le sue capacità tattiche e organizzative nell’insurrezione contro gli americani, di cui sarebbe diventato il nemico più accanito e pericoloso.

Era un uomo forte, un po’ tarchiato, con un viso intenso ricoperto da cicatrici, pelle piuttosto chiara e capelli castani che portava legati in due grandi trecce. Era un “politico” di razza; aveva il dono di affascinare chi gli stava vicino e di sapersi contornare di uomini capaci, valorosi e fedeli. Come oratore, grazie alle sue argomentazioni chiare e convincenti, possedeva una grande forza di persuasione. Veniva interpellato in molte occasioni, anche politiche, tanto che era diventato il punto di riferimento principale per risolvere le controversie tra Sioux.

La vita di Toro Seduto è conosciuta perché la illustrò personalmente attraverso la scrittura pittorica. E dai disegni si evince che fino al 1870 aveva preso parte a sessantatré battaglie (la prima a 14 anni), sia contro la tribù dei Corvi (i nemici storici), che contro gli invasori bianchi. Più tardi era diventato un allevatore di cavalli e poi nominato stregone degli Hunkpapa.

Nel 1863 fece visita alla tribù dei Santee nella riserva destinata loro dai bianchi; vedendo come erano miseramente trattati, in lui aumentò la rabbia e il rancore per i coloni americani. Da quel momento combattè con ogni mezzo i soldati che, infischiandosene delle promesse e dei trattati, continuavano a invadere e occupare i territori dei Sioux. Ancor giovane, Toro Seduto divenne il leader della Società dei Guerrieri Coraggiosi e, più tardi, membro autorevole dei Silent Eaters – Mangiatori Silenziosi – un gruppo responsabile del benessere tribale.

Nel giugno del 1863 avvenne il suo primo scontro con i soldati americani.

Nel 1865 guidò l’assedio a Fort Rice, da poco insediato nei territori dell’odierno Nord Dakota.

Rispettato ormai da tutti per la intelligenza e la sua audacia, nel 1868 divenne capo della Nazione Lakota.

Nel 1872, durante una battaglia contro i soldati, nei pressi della ferrovia dello Yellowstone River, Toro Seduto (con altri quattro guerrieri) si sedette con tranquillità tra le due linee che combattevano, fumò la pipa mentre le pallottole fischiavano sopra la sua testa, la arrotolò quando finì e, con estrema noncuranza andò via camminando. Dopo quel gesto il coraggio di Toro Seduto divenne leggendario.

Nel 1874, una spedizione di coloni scoprì ingenti quantità d’oro nelle Black Hills (Colline Nere), situate nel territorio Dakota, su un’area sacra a molte tribù e preclusa agli insediamenti colonici dal Trattato di Fort Laramie (stipulato tra i bianchi e alcune tribù pellerossa nel 1868). In barba a quel divieto i cercatori d’oro invasero le Colline Nere provocando la reazione dei Lakota. Quando il successivo tentativo del Governo degli Stati Uniti di acquistare le Black Hills fallì, il trattato di Fort Laramie fu messo da parte e il commissario americano per gli affari indiani decretò che tutti i Lakota al di fuori delle riserve dopo il 31 gennaio 1876 sarebbero stati considerati ostili.

Non volendo cedere alle prepotenze dei bianchi, Toro Seduto riunì le tribù Lakota, Cheyenne e Arapaho e le guidò nella Danza del Sole, offrendo preghiere a Wakan Tanka, il Grande Spirito, e tagliando le sue braccia cento volte in segno di sacrificio. Durante la cerimonia ebbe la visione di soldati che cadevano nel campo dei Lakota, come cavallette dal cielo.

Ispirato dalla visione, il capo guerriero degli Oglala Lakota, il celeberrimo Cavallo Pazzo, condusse in battaglia 500 guerrieri, e il 17 giugno 1876 colse di sorpresa le truppe di Crook, costringendole alla ritirata. Per celebrare la vittoria, i Lakota si diressero nella valle del fiume Little Big Horn, dove furono raggiunti da altri 3000 indiani che avevano lasciato le riserve per unirsi a Toro Seduto.

In quel luogo, il 25 giugno, furono attaccati dal Settimo Cavalleggeri comandato dal Generale Custer, che però venne interamente annientato (come aveva predetto Toro Seduto nella sua visione).

La sete di vendetta portò gli americani a concentrare in quell’area migliaia di soldati, e i rapporti di forza si ribaltarono al punto che la maggioranza dei capi Lakota, che nel frattempo s’erano di nuovo divisi, nel giro di un anno dovettero arrendersi.

Toro Seduto non fu tra questi, e nel maggio 1877 riparò con la sua gente in Canada. Poco dopo il Generale Terry gli offrì, in cambio del perdono, di farlo stabilire in una riserva, ma il grande Capo indiano non prese neanche in considerazione l’ipotesi.

Quattro anni più tardi, tuttavia, il 19 luglio 1881, viste le enormi difficoltà nello sfamare la sua tribù (il Bisonte in quelle zone era ormai quasi estinto), Toro Seduto si arrese. Consegnò il fucile al comandante di Fort Buford in Montana e chiese di attraversare il confine canadese e di risiedere in una riserva sul Little Missouri River, presso le Colline Nere. In un primo tempo fu inviato alla Riserva di Standing Rock e, successivamente, temendo nuove rivolte, a Fort Randall, dove trascorse due anni come prigioniero di guerra.

Infine, il 10 maggio 1883, Toro Seduto potè ricongiungersi alla sua gente a Standing Rock.

Nel 1885 lasciò la riserva (su permesso degli americani) per lavorare nel Buffalo Bill’s Wild West (lo spettacolo del leggendario Buffalo Bill), dove veniva pagato 50 dollari la settimana per un giro a cavallo dell’arena (guadagnando anche con gli autografi e le fotografie). Quattro mesi dopo però abbandonò il Circo e fece ritorno tra la sua gente, incapace com’era di integrarsi nella società dell’uomo bianco.

Tornato a Standing Rock si stabilì sul Grande Fiume, dove era nato, rifiutando di rinunziare alle sue tradizioni, come imponevano i regolamenti della riserva. Continuò a vivere con due mogli e a rifiutare la cristianità, ma non mancò di mandare i suoi figli a una vicina scuola cristiana, convinto com’era dell’importanza dell’istruzione per le future generazioni Lakota.

Nell’autunno del 1890, un Lakota Miniconjou di nome Orso Scalciante gli recò notizia della preparazione di una Danza degli Spiriti, che avrebbe scacciato i bianchi dalle loro terre e ristabilito il modo di vivere degli indiani. Le autorità bianche di Standing Rock, temendo che Toro Seduto potesse partecipare al rito, inviarono 43 poliziotti Lakota a prelevarlo. Il 15 dicembre 1890, prima dell’alba, i poliziotti irruppero nella cabina di Toro Seduto e lo trascinarono all’esterno, dove i suoi seguaci stavano accorrendo per proteggerlo. Nel conflitto a fuoco che seguì un poliziotto Lakota lo colpì al capo ferendolo a morte, e giustiziando a sangue freddo anche suo figlio diciassettenne, che aveva implorato di essere risparmiato.

Toro Seduto probabilmente non venne ucciso incidentalmente, dato che i bianchi, visto il suo carisma, lo percepivano come un pericolo costante per la loro sicurezza.

Come successe ad altri capi indiani, anche Toro Seduto cadde per mano di un appartenente al suo stesso popolo. Fu sepolto a Fort Yates, in Nord Dakota, e nel 1953 i suoi resti furono trasferiti a Mobridge, nel Sud Dakota, dove riposano sotto un cippo di granito che segna la sua tomba.