15 dicembre 1890 – Ricorre oggi l’anniversario dell’assassinio, per mano dei criminali bianchi, di un uomo leggendario: Toro Seduto

 

Toro Seduto

 

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15 dicembre 1890 – Ricorre oggi l’anniversario dell’assassinio, per mano dei criminali bianchi, di un uomo leggendario: Toro Seduto

“Il giorno in cui si sarebbe realizzata la sua visione si stava avvicinando, il governo decise di inviare quarantatrè poliziotti Lakota ad arrestare Toro Seduto. All’atto dell’arresto di fronte alla capanna di Toro Seduto si radunò molta gente che inveì contro i poliziotti che stavano effettuando l’arresto; dalla confusione si passò all’utilizzo delle armi da fuoco, uno dei poliziotti colpì alla testa Toro Seduto, ferendolo a morte.
Correva il quindici dicembre del 1890 quando venne assassinato un grande uomo. Per l’ennesima volta un uomo che non chiedeva altro che poter vivere in pace con la sua gente si spegneva a causa di azioni subdole. I suoi resti vennero sepolti in primo luogo a Forte Yates nel Nord Dakota e nel 1953 alcuni dei suoi discendenti fecero in modo che le spoglie venissero spostate da dove si trovavano per essere sepolte a Mobridge sulle rive del Missouri, qui venne eretta una effige di granito in memoria dell’uomo.”

Toro Seduto nacque nei pressi del Grand River (Sud Dakota), nel 1831 (circa), e morì nei medesimi luoghi nel 1890.

E’ universalmente considerato il più celebre capo indiano, perché durante la sua vita seppe incarnare le virtù degli indiani delle pianure, che, unite ad una grande forza e ad un immenso coraggio, lo resero un condottiero amato dai suoi amici e temuto dai suoi avversari.

Toro seduto guidò l’alleanza di tutte le tribù Sioux nella resistenza indiana contro l’invasione dei bianchi nelle Grandi Pianure. Non si fidò mai degli “americani” e non firmò mai con loro alcun trattato. Sotto la sua bandiera si raccolse la più grande coalizione di pellerossa di ogni tempo, che riuscì a sconfiggere l’esercito guidato dal Generale Custer.

Toro Seduto era figlio di Four Horses, un capo minore della tribù Hunkpapa. Da giovanissimo veniva chiamato Hakada o Jumping Badger (Tasso che salta), ma a dieci anni, dopo aver abbattuto un giovane bisonte con una freccia, gli fu dato il nome “Buffalo Bull Sitting Down”.

Non divenne famoso per il suo coraggio o per i suoi atti eroici, ma per le sue capacità tattiche e organizzative nell’insurrezione contro gli americani, di cui sarebbe diventato il nemico più accanito e pericoloso.

Era un uomo forte, un po’ tarchiato, con un viso intenso ricoperto da cicatrici, pelle piuttosto chiara e capelli castani che portava legati in due grandi trecce. Era un “politico” di razza; aveva il dono di affascinare chi gli stava vicino e di sapersi contornare di uomini capaci, valorosi e fedeli. Come oratore, grazie alle sue argomentazioni chiare e convincenti, possedeva una grande forza di persuasione. Veniva interpellato in molte occasioni, anche politiche, tanto che era diventato il punto di riferimento principale per risolvere le controversie tra Sioux.

La vita di Toro Seduto è conosciuta perché la illustrò personalmente attraverso la scrittura pittorica. E dai disegni si evince che fino al 1870 aveva preso parte a sessantatré battaglie (la prima a 14 anni), sia contro la tribù dei Corvi (i nemici storici), che contro gli invasori bianchi. Più tardi era diventato un allevatore di cavalli e poi nominato stregone degli Hunkpapa.

Nel 1863 fece visita alla tribù dei Santee nella riserva destinata loro dai bianchi; vedendo come erano miseramente trattati, in lui aumentò la rabbia e il rancore per i coloni americani. Da quel momento combattè con ogni mezzo i soldati che, infischiandosene delle promesse e dei trattati, continuavano a invadere e occupare i territori dei Sioux. Ancor giovane, Toro Seduto divenne il leader della Società dei Guerrieri Coraggiosi e, più tardi, membro autorevole dei Silent Eaters – Mangiatori Silenziosi – un gruppo responsabile del benessere tribale.

Nel giugno del 1863 avvenne il suo primo scontro con i soldati americani.

Nel 1865 guidò l’assedio a Fort Rice, da poco insediato nei territori dell’odierno Nord Dakota.

Rispettato ormai da tutti per la intelligenza e la sua audacia, nel 1868 divenne capo della Nazione Lakota.

Nel 1872, durante una battaglia contro i soldati, nei pressi della ferrovia dello Yellowstone River, Toro Seduto (con altri quattro guerrieri) si sedette con tranquillità tra le due linee che combattevano, fumò la pipa mentre le pallottole fischiavano sopra la sua testa, la arrotolò quando finì e, con estrema noncuranza andò via camminando. Dopo quel gesto il coraggio di Toro Seduto divenne leggendario.

Nel 1874, una spedizione di coloni scoprì ingenti quantità d’oro nelle Black Hills (Colline Nere), situate nel territorio Dakota, su un’area sacra a molte tribù e preclusa agli insediamenti colonici dal Trattato di Fort Laramie (stipulato tra i bianchi e alcune tribù pellerossa nel 1868). In barba a quel divieto i cercatori d’oro invasero le Colline Nere provocando la reazione dei Lakota. Quando il successivo tentativo del Governo degli Stati Uniti di acquistare le Black Hills fallì, il trattato di Fort Laramie fu messo da parte e il commissario americano per gli affari indiani decretò che tutti i Lakota al di fuori delle riserve dopo il 31 gennaio 1876 sarebbero stati considerati ostili.

Non volendo cedere alle prepotenze dei bianchi, Toro Seduto riunì le tribù Lakota, Cheyenne e Arapaho e le guidò nella Danza del Sole, offrendo preghiere a Wakan Tanka, il Grande Spirito, e tagliando le sue braccia cento volte in segno di sacrificio. Durante la cerimonia ebbe la visione di soldati che cadevano nel campo dei Lakota, come cavallette dal cielo.

Ispirato dalla visione, il capo guerriero degli Oglala Lakota, il celeberrimo Cavallo Pazzo, condusse in battaglia 500 guerrieri, e il 17 giugno 1876 colse di sorpresa le truppe di Crook, costringendole alla ritirata. Per celebrare la vittoria, i Lakota si diressero nella valle del fiume Little Big Horn, dove furono raggiunti da altri 3000 indiani che avevano lasciato le riserve per unirsi a Toro Seduto.

In quel luogo, il 25 giugno, furono attaccati dal Settimo Cavalleggeri comandato dal Generale Custer, che però venne interamente annientato (come aveva predetto Toro Seduto nella sua visione).

La sete di vendetta portò gli americani a concentrare in quell’area migliaia di soldati, e i rapporti di forza si ribaltarono al punto che la maggioranza dei capi Lakota, che nel frattempo s’erano di nuovo divisi, nel giro di un anno dovettero arrendersi.

Toro Seduto non fu tra questi, e nel maggio 1877 riparò con la sua gente in Canada. Poco dopo il Generale Terry gli offrì, in cambio del perdono, di farlo stabilire in una riserva, ma il grande Capo indiano non prese neanche in considerazione l’ipotesi.

Quattro anni più tardi, tuttavia, il 19 luglio 1881, viste le enormi difficoltà nello sfamare la sua tribù (il Bisonte in quelle zone era ormai quasi estinto), Toro Seduto si arrese. Consegnò il fucile al comandante di Fort Buford in Montana e chiese di attraversare il confine canadese e di risiedere in una riserva sul Little Missouri River, presso le Colline Nere. In un primo tempo fu inviato alla Riserva di Standing Rock e, successivamente, temendo nuove rivolte, a Fort Randall, dove trascorse due anni come prigioniero di guerra.

Infine, il 10 maggio 1883, Toro Seduto potè ricongiungersi alla sua gente a Standing Rock.

Nel 1885 lasciò la riserva (su permesso degli americani) per lavorare nel Buffalo Bill’s Wild West (lo spettacolo del leggendario Buffalo Bill), dove veniva pagato 50 dollari la settimana per un giro a cavallo dell’arena (guadagnando anche con gli autografi e le fotografie). Quattro mesi dopo però abbandonò il Circo e fece ritorno tra la sua gente, incapace com’era di integrarsi nella società dell’uomo bianco.

Tornato a Standing Rock si stabilì sul Grande Fiume, dove era nato, rifiutando di rinunziare alle sue tradizioni, come imponevano i regolamenti della riserva. Continuò a vivere con due mogli e a rifiutare la cristianità, ma non mancò di mandare i suoi figli a una vicina scuola cristiana, convinto com’era dell’importanza dell’istruzione per le future generazioni Lakota.

Nell’autunno del 1890, un Lakota Miniconjou di nome Orso Scalciante gli recò notizia della preparazione di una Danza degli Spiriti, che avrebbe scacciato i bianchi dalle loro terre e ristabilito il modo di vivere degli indiani. Le autorità bianche di Standing Rock, temendo che Toro Seduto potesse partecipare al rito, inviarono 43 poliziotti Lakota a prelevarlo. Il 15 dicembre 1890, prima dell’alba, i poliziotti irruppero nella cabina di Toro Seduto e lo trascinarono all’esterno, dove i suoi seguaci stavano accorrendo per proteggerlo. Nel conflitto a fuoco che seguì un poliziotto Lakota lo colpì al capo ferendolo a morte, e giustiziando a sangue freddo anche suo figlio diciassettenne, che aveva implorato di essere risparmiato.

Toro Seduto probabilmente non venne ucciso incidentalmente, dato che i bianchi, visto il suo carisma, lo percepivano come un pericolo costante per la loro sicurezza.

Come successe ad altri capi indiani, anche Toro Seduto cadde per mano di un appartenente al suo stesso popolo. Fu sepolto a Fort Yates, in Nord Dakota, e nel 1953 i suoi resti furono trasferiti a Mobridge, nel Sud Dakota, dove riposano sotto un cippo di granito che segna la sua tomba.

 

27 novembre 1868 – 151 anni fa la carneficina (impropriamente chiamata battaglia) di Washita – Altra luminosa pagina della gloriosa storia Americana che non conoscete: quando l’esercito comandato da Custer prese di sorpresa e sterminò anziani, donne e bambini Cheyenne che vivono nelle riserve…

 

Washita

 

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27 novembre 1868 – 151 anni fa la carneficina (impropriamente chiamata battaglia) di Washita – Altra luminosa pagina della gloriosa storia Americana che non conoscete: quando l’esercito comandato da Custer prese di sorpresa e sterminò anziani, donne e bambini Cheyenne che vivono nelle riserve…

 

Nel mese di ottobre 1867, il Maggiore Elliot condusse una scorta di consulenti per la Medicine Lodge Creek nel Kansas. Qui firmarono il famigerato trattato di Medicine Creek. Il Congresso però non tenne conto del Trattato sino al luglio 1868, perciò i Cheyennes attesero invano le promesse che in definitiva non arrivarono mai. Durante questo tempo di tensione nelle pianure, il Generale Phillip Sheridan prese il comando del US. Army Department of Missouri nel marzo del 1868.
Presto si segnalarono delle proteste da parte dei Cheyennes che si sentivano nuovamente traditi dal Governo per il non rispetto dei Trattati di Medicine Lodge Creek a sua volta firmati con i Capi Tribù interessati. Perciò il Governo inviò l’ordine all’agente Indiano Wynkoop di recarsi dai Cheyennes per un suo giudizio obbiettivo sulla reale necessità degli Indiani per il rilascio di forniture. Ma l’ordine avvenne troppo tardi. I Cheyennes nel frattempo si misero in stato di guerra contro i coloni nella terra che consideravano la loro, uccidendoli e facendoli prigionieri. Il 22 novembre 1868, George A. Custer ricevette gli ordini dal Generale Sheridan di lasciare Il Campo dei Rifornimenti per 30 giorni di missione di esplorazione. Quando Custer raggiunse il fiume canadese, mandò sui monti il Maggiore Elliot a esplorare. Dodici miglia a monte gli scouts di Elliot trovarono un sentiero indiano tracciato di fresco e quindì lo notificò a Custer che gli ordinò di seguirne le tracce. Tre dei suoi scout trovarono l’esatta posizione di un villaggio Cheyenne costituito da oltre 50 Tipì che erano sistemati sulle rive del fiume Pole Lodge che faceva parte del FiumeWashita.
11 Compagnie del 7° Cavalleria erano sotto il comando del Ten. Col. George A. Custer, di cui 3 Compagnie del 3° Fanteria, 1 del 5° Fanteria, 1 della 38°ma Fanteria e circa 450 carri provenienti dal Territorio Indiano di Fort Dodgefor. 
All’alba di quella rigida mattina del 27 novembre 1868, circa 700 uomini del 7° Cavalleria si prepararono ad attaccare il campo, mentre gli indiani, ignari di quello che stava accadendo erano ancora nel loro sonno. Con le note del “Garry Owen”, Custer si attestò nei pressi del villaggio con i suoi quattro battaglioni: il Maggiore Joel Elliot con le Compagnie G, H e M proveniente da nord-est; il Capitano William Thompson con le Compagnie B ed F, da sud; il Tenente John M. Johnson con la Compagnia E attestata a sud-ovest; Custer con le Compagnie A, C, D e K, da ovest. L’intento di Custer era di assassinare il maggior numero di Indiani da lui considerati “ostili”
Questo campo indiano Cheyenne era guidato dal Capo Black Kettle, un Suhtia. Black Kettle non mise alcun scout a guardia del proprio villaggio perché ritenne che non ce n’era motivo ed era ignaro di un attacco imminente da parte dell’esercito.
Le truppe di Custer irruppero nel villaggio con violenza e determinazione. Gli ordini erano di non risparmiare nessuno. Una pallottola colpì in pieno petto un capitano uccidendolo, i suoi uomini al suo seguito furono feriti all’addome dai fucili indiani. Il Maggiore Elliot si trovò tagliato fuori ma con la sua Compagnia riuscì a farsi breccia a est e inseguì gli indiani fuggitivi. Fu nuovamente tagliato dalla fuori dalla mischia e la sua compagnia fu uccisa. Durante l’attacco i Cheyenne uccisero 4 prigionieri bianchi tenuti ostaggi. Non è chiarto se Custer è stato capace di salvare gli altri due. Nel frattempo la Cavalleria aveva diviso in due il campo e a colpi di sciabola vennero falcidiati tutti gli occupanti dei Tipì, la maggior parte costituita da donne, vecchi e bambini. Le donne incinte furono sventrate e i feti lasciati sul terreno con le loro madri. Donne, bambini e anziani furono inseguiti tra le loro tende e abbattuti uno a uno come animali a colpi di sciabola dai soldati a cavallo, mentre coloro che tentavano di salvarsi venivano prima colpiti dai fucilieri in postazione, poi finiti e sventrati dalle armi bianche dei  soldati. Ai cadaveri delle donne, degli uomini e dei bambini furono tagliati i genitali. I cavalli dei Cheyenne furono macellati così come furono abbattuti 875 pony indiani.
Dopo aver fatto strage del campo, ucciso Black Kettle e Little Rock, dato fuoco ai Tipì e ucciso tutto il bestiame rimanente, Custer il 1° Dicembre, riuscì a portare con sé presso il Campo di Approvvigionamento dell’Esercito, il suo trofeo di guerra costituito da 52 prigionieri, tutte donne e bambini, che furono successivamente trasferiti a Fort Hayes nel Kansas, come prigionieri di guerra. Sul campo di Washita River  l’esercito perse complessivamente 21 uomini e i feriti furono 16.  I militari di Custer contarono sul terreno “nemico” solo i Cheyenne maschi uccisi che furono 103, non tennero conto invece delle donne e dei bambini massacrati, nemmeno dei molti dispersi che finirono annegati nelle acque gelide del Fiume Washita. 
Geroge A. Custer con il massacro di Washita firmò il suo atto di morte, che avvenne nella battaglia del 1876 presso il Fiume Little Big Horn: i Sioux coalizzati si vendicarono dei suoi orrori commessi ai danni dei fratelli Cheyennes.
Custer fu un grande sostenitore dell’idea che la natura dei Nativi era molto più crudele e feroce di qualsiasi bestia selvaggia del deserto. In seguito lui stesso venne giudicato da un suo ufficiale superiore come “crudele, bugiardo e senza principi morali, disprezzato da tutti gli ufficiali del suo reggimento”
Questo inutile massacro, appena quasi quattro anni dopo quello di Sand Creek nel Sud-Est del Colorado nel 1864, spazzò via tutti coloro che a Sand Creek sopravvissero, delle intere famiglie Cheyennes di antiche discendenze, non sopravvisse nessuno.
Secondo George Bent, le persone che furono trucidate nel massacro di Lodge Pole del Washita River furono:
Black Kettle, (Suhtai) Capo Consiglio;  Little Rock, (Cheyenne) Capo Consiglio.
11 guerrieri: Bear Tongue, High Bear, Blind Bear, White Bear, Cranky Man, Blue Horse, Red Thoots, Few Heart, Red Bird, Hawk . Tra di loro ci furono anche 1 Arapaho e 2 Siouxs (Lakota), 16 donne e 9 bambini.
La maggior parte di loro sono stati abbattuti vicino il fiume ghiacciato Washita o uccisi durante il tentativo di fuggire attraverso il ruscello. C’era poca possibilità di fuga. Quelli che furono fortunati a fuggire furono in pochi, molti furono i feriti, in gran parte erano bambini.  Il massacro di Lodge Pole River (Whashita) del 1868 è stato un genocidio deliberato ad opera di George A. Custer.

Come sarà il mondo quando non ci saremo più? L’affascinante teoria di un Nativo Americano

Nativo Americano

 

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Come sarà il mondo quando non ci saremo più? L’affascinante teoria di un Nativo Americano

 

Vi siete mai chiesti come sarà il mondo quando ce ne andremo via?
È interessante conoscere il racconto di un Nativo Americano al riguardo.

Potremmo iniziare questo articolo con la frase ” Allacciate le cinture di sicurezza”, per l’argomento che tratta e per come lo tratta, quello cioè del mondo dopo la morte.

C’è chi penserà siano tutte sciocchezze chi, invece, potrà rimanere affascinato.

Una precisazione doverosa: è tratto dalle pubblicazioni di Maurice Barbanell.

Chi era costui – direte voi.

Barbanell era un giornalista e scrittore ma, soprattutto, un grande medium, una persona cioè in grado di parlare con gli Spiriti.

Di padre ateo, mamma ebrea religiosa, Barbanell visse a lungo in una sorta di limbo per quello che riguarda l’aspetto religioso, prima dell’incontro con Silver Birch, Betulla d’argento lo Spirito Guida di un Nativo americano.

“Dovevo venire con l’aspetto di un umile indiano per guadagnare il vostro amore e devozione, non grazie all’uso di alcun nome altisonante, e per mostrare le mie capacità attraverso la verità di quello che ho insegnato. Questa è la Legge.”

Così parte l’introduzione che Barbanell ha dedicato agli incontri con lo Spirito Guida, nel suo famoso testo “Gli insegnamenti di Silver Birch”.

Di cosa ci parla Silver Birch?
Di tutto, della vita, del senso della vita, della morte e di quello che accade al momento del trapasso.

Silver Birch rivela, come anche altri prima di lui, una conoscenza vera di Dio che non ha bisogno di intermediari come le chiese e la teologia.

Dopo la morte – dice lo Spirito Guida – saremo quasi uguali al giorno prima, con un piccolo particolare. Avremo gettato il corpo fisico, e ci potremo esprimere, e vivere, attraverso il corpo eterico, quello che compone l’energia e l’essenza di ciò che siamo stati anche qui, sulla terra.

Aspetto importante:
avremo finalmente lasciato imperfezioni, malattie, e quindi i sordi sentiranno e coloro che avevano problemi alla vista vedranno senza problemi.

Quello che appare affascinante è che quello che si è soliti pensare, come ambiente dopo la vita, sia una sorta di qualcosa di vago e non simile al mondo fisico conosciuto.

Niente di più sbagliato, occorre cancellare l’idea che dopo la morte vi sia una sorta di ” sonno perenne”, e che l’immagine che serbiamo della persona trapassata sia quella che l’accompagnerà per l’eternità.

Addirittura chi ha gustato prelibatezze e assaggiato buoni vini potrà ancora soddisfare questo desiderio, seppur in altra forma rispetto a quando si era in questa vita.

Non esistono differenze linguistiche, perchè ogni individuo comunica con il proprio pensiero, telepaticamente.

Interessante quello che lo Spirito Guida afferma sulle affinità e sul ricongiungimento tra persone care.

Si basano su quella che viene chiamata ” Legge Eterna di Attrazione”, ed è qualcosa che ognuno porta con sè.

Non parliamo del taglio dei capelli, quanto del sentimento espresso e ricambiato.

Quindi chi è stato unito da un vincolo giuridico o da un legame, anche di parentela casuale, non potrà essere affine a coloro che hanno sentito qualcosa di grande, che hanno amato.

Che hanno tenuto dentro di sè un sentimento nobile e puro, anche se hanno abitato case diverse, quelle che ritroveremo nell’altra dimensione e che vengono definite ” dimore”.

Ogni persona perfezionerà se stessa, anche sotto l’aspetto che possiamo definire lavoro.

Non un qualcosa di ripetitivo da fare per guadagnarsi il pane quotidiano, ma la ricerca e lo sforzo per riuscire a creare qualcosa che rimanga per sempre.

Tutto sarà rapportato al livello di conoscenza e di familiarità che si è avuto in vita con il mondo della conoscenza spirituale.

Questa non si impara leggendo un libro o andando a ripetizione, che sia la Messa o qualche altra funzione religiosa, ma seguendo e ascoltando la propria coscienza.

È per questo che il passaggio non è uguale per tutti, o non avviene nello stesso modo per chiunque.

Silver Birch ci parla di una sorta di acclimatamento, di adattamento alla nuova condizione. Non c’è una ” porta del Paradiso ” o zone di fuoco e zolfo per designare l’inferno.

Ognuno graviterà, per un certo periodo, nella sfera spirituale a cui è adatto, secondo quanto vissuto sulla terra.

Non ci saranno finzioni o sotterfugi, ognuno ricoprirà lo spazio che ha saputo e voluto ritagliarsi con le proprie azioni ed il proprio stile di vita.

Chi potrà risiedere in una sfera superiore potrà visitare le sfere inferiori, cosa che non sarà concessa a chi è destinato alle zone più basse.

Esiste il concetto di ” redenzione”, diverso da quello che spesso ci viene insegnato.

È qualcosa di paragonabile al ritorno più che al ” pentimento” inteso come percezione di come si sia vissuta la propria vita.

Esiste infatti, secondo molte culture e tradizioni, la via della reincarnazione o della possibilità di compiere il proprio compito per una seconda o terza volta.

Di questo Silver Birch non fa menzione, almeno per il momento!

 

tratto da: https://www.giornodopogiorno.org/2018/11/14/come-sara-il-mondo-quando-non-ci-saremo-piu-laffascinante-teoria-di-un-nativo-americano/

Che strani i visi pallidi… Uno straordinario pensiero di Toro Seduto

 

Toro Seduto

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Che strani i visi pallidi… Uno straordinario pensiero di Toro Seduto

 

“Che strani gli uomini bianchi…
I visi pallidi vogliono arare la terra e sono malati di avidità.
Hanno fatto molte leggi,
e queste leggi i ricchi possono infrangerle,
ma i poveri no.
Nella loro religione i poveri pregano, i ricchi no.
Tolgono denaro ai poveri e ai deboli
per sostenere i ricchi e i potenti.“

Toro Seduto

 

Chi era Toro Seduto…

Toro seduto: la storia di un uomo leggendario

Toro Seduto nacque nei pressi del Grand River (Sud Dakota), nel 1831 (circa), e morì nei medesimi luoghi nel 1890.

E’ universalmente considerato il più celebre capo indiano, perché durante la sua vita seppe incarnare le virtù degli indiani delle pianure, che, unite ad una grande forza e ad un immenso coraggio, lo resero un condottiero amato dai suoi amici e temuto dai suoi avversari.

Toro seduto guidò l’alleanza di tutte le tribù Sioux nella resistenza indiana contro l’invasione dei bianchi nelle Grandi Pianure. Non si fidò mai degli “americani” e non firmò mai con loro alcun trattato. Sotto la sua bandiera si raccolse la più grande coalizione di pellerossa di ogni tempo, che riuscì a sconfiggere l’esercito guidato dal Generale Custer.

Non divenne famoso per il suo coraggio o per i suoi atti eroici, ma per le sue capacità tattiche e organizzative nell’insurrezione contro gli americani, di cui sarebbe diventato il nemico più accanito e pericoloso.

Era un uomo forte, un po’ tarchiato, con un viso intenso ricoperto da cicatrici, pelle piuttosto chiara e capelli castani che portava legati in due grandi trecce. Era un “politico” di razza; aveva il dono di affascinare chi gli stava vicino e di sapersi contornare di uomini capaci, valorosi e fedeli. Come oratore, grazie alle sue argomentazioni chiare e convincenti, possedeva una grande forza di persuasione. Veniva interpellato in molte occasioni, anche politiche, tanto che era diventato il punto di riferimento principale per risolvere le controversie tra Sioux.

La vita di Toro Seduto è conosciuta perché la illustrò personalmente attraverso la scrittura pittorica. E dai disegni si evince che fino al 1870 aveva preso parte a sessantatré battaglie (la prima a 14 anni), sia contro la tribù dei Corvi (i nemici storici), che contro gli invasori bianchi. Più tardi era diventato un allevatore di cavalli e poi nominato stregone degli Hunkpapa.

Nel 1863 fece visita alla tribù dei Santee nella riserva destinata loro dai bianchi; vedendo come erano miseramente trattati, in lui aumentò la rabbia e il rancore per i coloni americani. Da quel momento combattè con ogni mezzo i soldati che, infischiandosene delle promesse e dei trattati, continuavano a invadere e occupare i territori dei Sioux. Ancor giovane, Toro Seduto divenne il leader della Società dei Guerrieri Coraggiosi e, più tardi, membro autorevole dei Silent Eaters – Mangiatori Silenziosi – un gruppo responsabile del benessere tribale.

Nel giugno del 1863 avvenne il suo primo scontro con i soldati americani.

Nel 1865 guidò l’assedio a Fort Rice, da poco insediato nei territori dell’odierno Nord Dakota.

Rispettato ormai da tutti per la intelligenza e la sua audacia, nel 1868 divenne capo della Nazione Lakota.

Nel 1872, durante una battaglia contro i soldati, nei pressi della ferrovia dello Yellowstone River, Toro Seduto (con altri quattro guerrieri) si sedette con tranquillità tra le due linee che combattevano, fumò la pipa mentre le pallottole fischiavano sopra la sua testa, la arrotolò quando finì e, con estrema noncuranza andò via camminando. Dopo quel gesto il coraggio di Toro Seduto divenne leggendario.

Nel 1874, una spedizione di coloni scoprì ingenti quantità d’oro nelle Black Hills (Colline Nere), situate nel territorio Dakota, su un’area sacra a molte tribù e preclusa agli insediamenti colonici dal Trattato di Fort Laramie (stipulato tra i bianchi e alcune tribù pellerossa nel 1868). In barba a quel divieto i cercatori d’oro invasero le Colline Nere provocando la reazione dei Lakota. Quando il successivo tentativo del Governo degli Stati Uniti di acquistare le Black Hills fallì, il trattato di Fort Laramie fu messo da parte e il commissario americano per gli affari indiani decretò che tutti i Lakota al di fuori delle riserve dopo il 31 gennaio 1876 sarebbero stati considerati ostili.

Non volendo cedere alle prepotenze dei bianchi, Toro Seduto riunì le tribù Lakota, Cheyenne e Arapaho e le guidò nella Danza del Sole, offrendo preghiere a Wakan Tanka, il Grande Spirito, e tagliando le sue braccia cento volte in segno di sacrificio. Durante la cerimonia ebbe la visione di soldati che cadevano nel campo dei Lakota, come cavallette dal cielo.

Ispirato dalla visione, il capo guerriero degli Oglala Lakota, il celeberrimo Cavallo Pazzo, condusse in battaglia 500 guerrieri, e il 17 giugno 1876 colse di sorpresa le truppe di Crook, costringendole alla ritirata. Per celebrare la vittoria, i Lakota si diressero nella valle del fiume Little Big Horn, dove furono raggiunti da altri 3000 indiani che avevano lasciato le riserve per unirsi a Toro Seduto.

In quel luogo, il 25 giugno, furono attaccati dal Settimo Cavalleggeri comandato dal Generale Custer, che però venne interamente annientato (come aveva predetto Toro Seduto nella sua visione).

La sete di vendetta portò gli americani a concentrare in quell’area migliaia di soldati, e i rapporti di forza si ribaltarono al punto che la maggioranza dei capi Lakota, che nel frattempo s’erano di nuovo divisi, nel giro di un anno dovettero arrendersi.

Toro Seduto non fu tra questi, e nel maggio 1877 riparò con la sua gente in Canada. Poco dopo il Generale Terry gli offrì, in cambio del perdono, di farlo stabilire in una riserva, ma il grande Capo indiano non prese neanche in considerazione l’ipotesi.

Quattro anni più tardi, tuttavia, il 19 luglio 1881, viste le enormi difficoltà nello sfamare la sua tribù (il Bisonte in quelle zone era ormai quasi estinto), Toro Seduto si arrese. Consegnò il fucile al comandante di Fort Buford in Montana e chiese di attraversare il confine canadese e di risiedere in una riserva sul Little Missouri River, presso le Colline Nere. In un primo tempo fu inviato alla Riserva di Standing Rock e, successivamente, temendo nuove rivolte, a Fort Randall, dove trascorse due anni come prigioniero di guerra.

Infine, il 10 maggio 1883, Toro Seduto potè ricongiungersi alla sua gente a Standing Rock.

Nel 1885 lasciò la riserva (su permesso degli americani) per lavorare nel Buffalo Bill’s Wild West (lo spettacolo del leggendario Buffalo Bill), dove veniva pagato 50 dollari la settimana per un giro a cavallo dell’arena (guadagnando anche con gli autografi e le fotografie). Quattro mesi dopo però abbandonò il Circo e fece ritorno tra la sua gente, incapace com’era di integrarsi nella società dell’uomo bianco.

Tornato a Standing Rock si stabilì sul Grande Fiume, dove era nato, rifiutando di rinunziare alle sue tradizioni, come imponevano i regolamenti della riserva. Continuò a vivere con due mogli e a rifiutare la cristianità, ma non mancò di mandare i suoi figli a una vicina scuola cristiana, convinto com’era dell’importanza dell’istruzione per le future generazioni Lakota.

Nell’autunno del 1890, un Lakota Miniconjou di nome Orso Scalciante gli recò notizia della preparazione di una Danza degli Spiriti, che avrebbe scacciato i bianchi dalle loro terre e ristabilito il modo di vivere degli indiani. Le autorità bianche di Standing Rock, temendo che Toro Seduto potesse partecipare al rito, inviarono 43 poliziotti Lakota a prelevarlo. Il 15 dicembre 1890, prima dell’alba, i poliziotti irruppero nella cabina di Toro Seduto e lo trascinarono all’esterno, dove i suoi seguaci stavano accorrendo per proteggerlo. Nel conflitto a fuoco che seguì un poliziotto Lakota lo colpì al capo ferendolo a morte, e giustiziando a sangue freddo anche suo figlio diciassettenne, che aveva implorato di essere risparmiato.

Toro Seduto probabilmente non venne ucciso incidentalmente, dato che i bianchi, visto il suo carisma, lo percepivano come un pericolo costante per la loro sicurezza.

Come successe ad altri capi indiani, anche Toro Seduto cadde per mano di un appartenente al suo stesso popolo. Fu sepolto a Fort Yates, in Nord Dakota, e nel 1953 i suoi resti furono trasferiti a Mobridge, nel Sud Dakota, dove riposano sotto un cippo di granito che segna la sua tomba.

 

 

C’è un Indiano d’America in prigione da 40 anni. La sua colpa? Aver difeso il suo popolo! …E da 40 anni nessuno, proprio nessuno, ne parla!!

 

Indiano

 

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C’è un Indiano d’America in prigione da 40 anni. La sua colpa? Aver difeso il suo popolo! …E da 40 anni nessuno, proprio nessuno, ne parla!!

 

Chi è Leonard Peltier?

Leonard Peltier è un nativo americano in carcere da 40 anni per difendere i diritti del suo popolo. Nasce nel 1944 e già dalla sua infanzia capisce che la vita per i nativi d’America è dura, tra miseria, razzismo, emarginazione.

Cresce anche in un istituto dove conosce la prima “istituzione totale”, ma ha un buon carattere e la sua gioventù è carica di socialità, mentre impara a riparare vecchie automobili. Ma sono gli anni in cui lacomunità indiana comincia ad alzare la testa e si organizza.

Nasce l’AIM, American Indian Movement, di cui dopo poco Peltier entra a far parte. Nel 1973 oltre trecento indiani d’America tengono testa agli uomini del governo, che per scacciare i Lakota dal loro territorio, si erano alleati con il capo di un’altra tribù, Dick Wilson, che con una sorta di polizia privata mieteva terrore nella comunità indigena con pestaggi ed omicidi.

“Quando ci arrestarono, i soldati toccavano le donne davanti agli uomini, cercando di farci reagire così da poter giustificare le nostre esecuzioni.”
 
Leonard Peltier
 

Lo stesso Wilson stava trattando in gran segreto la vendita di parte delle terre della riserva dei Lakota Oglala di Pine Ridge, nel sud Dakota, agli Stati Uniti.

Consapevole della fierezza e dell’ostinazione delle popolazione native, il governo statunitense cerca in tutti i modi di cacciare i Lakota dal loro territorio per impossessarsi dei loro giacimenti. E’ un periodo durissimo, per due anni quella regione vede una presenza spropositata di agenti dell’FBI, e i morti tra i nativi sono almeno 60.

“Quelli di noi che furono riconosciuti come capi, vennero pestati nelle celle della prigione militare dell’esercito.”
 
 

Nel giugno del 1975 dalla comunità di Oglala viene lanciato un appello all’AIMperchè qualcuno vada ad aiutarli, la tensione è altissima. Arrivano 17 membri del AIM, di questi solo 6 sono uomini, tra loro c’è Leonard Peltier. Il 26 Giungo 1975 nei pressi della comunità indiana si presentano in auto, senza alcun segno di riconoscimento, due agenti dell’FBI: la scusa è la ricerca di un uomo che ha rubato degli stivali.

E’ probabilmente una trappola, tanto che nel giro di poco tempo si scatena una sparatoria tremenda con centinaia di agenti e militari.
 

Gli Oglala Lakota si difendono, rispondono al fuoco e alla fine sul terreno restano tre corpi: due agenti dell’FBI e un indigeno.

Tutta la comunità riesce a scappare e a nascondersi, si scatena una caccia all’uomo di dimensioni impressionanti. Per l’indiano americano morto non fu aperta alcuna indagine, mentre per i due agenti vennero imputate tre persone.

I primi due arrestati vengono processati ed assolti sulla base della legittima difesa, rimane il terzo accusato, Leonard Peltier, il quale nel frattempo è scappato in Canada. Su di lui si riversa tutta la rabbia dell’FBI, è il capo espiatorio.

Viene arrestato in Canada il 6 Febbraio 1976 e dopo pochi mesi estradato sulla base di false testimonianze, tanto che successivamente il governo canadese protesterà per i modi in cui si ottenne l’estradizione. Ma oramai Leonard Peltier è nelle mani dei coloro che vogliono letteralmente vendicare i due agenti morti.

Nel suo libro “La mia danza del Sole”, Leonard Peltier racconta:

A Milwaukee rimasi coinvolto in un episodio strano e inquietante.
Stavo mangiando in una trattoria con un paio di fratelli indiani, quando una coppia di uomini seduti al tavolo accanto cominciò a indicarci ridendo rumorosamente e facendo battute razziali.
Non potevo sapere che erano poliziotti in borghese.
 
Ci alzammo per andarcene, ma quei due ci aspettavano fuori, proprio davanti alla porta, impedendoci di uscire.
 
– Cosa c’è da ridere? – chiesi.
 
Ero furioso e pronto a battermi, ovviamente è quello che aspettavano.
 
Non appena parlai, prima ancora di poter alzare una mano, mi trovai due Magnum calibro 357 puntate alla testa. (…cercavo di ripararmi mentre loro mi colpivano a sangue. Venni poi a sapere che, a forza di picchiarmi, uno dei due, poverino, si era ferito una mano e aveva dovuto chiedere due giorni di  riposo.”
 
 

Questa volta il processo viene organizzato diversamente: si svolge nella città di Fargo, storicamente anti-indiana, la giuria è formata da soli bianchi e il giudice è noto per il suo razzismo.

Il processo prende ben altra piega e Peltier viene condannato a due ergastoli consecutivi. Durante il processo non si tiene conto delle prove a suo favore, ma solo di testimonianze manipolate, vaghe e contraddittorie.

Dopo cinque anni, accurati esami balistici riescono a provare che i proiettili che uccisero i due agenti non appartenevano all’arma di Leonard, e alcuni dei testimoni che lo avevano accusato ritirano le loro dichiarazioni, confessando di essere stati minacciati dall’FBI.

Leonard Peltier nel suo libro scrive:

“E’ così che fanno. Ti prendono di mira, t’incastrano, t’arrestano, ti picchiano a sangue, ti appioppano un’accusa falsa. Poi ti trascinano in prigione e in tribunale e t’impoveriscono con le spese legali.”

A Leonard è stata negata la possibilità di avere una revisione del processo, nonostante le prove che dimostrano la sua innocenza. Non gli è stato nemmeno permesso di presenziare ai funerali di suo padre, di sua madre, dei suoi zii. Per almeno due volte si è cercato di ucciderlo in carcere, mentre le sue condizioni di salute sono difficili. Operato ad una mascella solo grazie alle pressioni popolari, quasi cieco da un occhio, malato di diabete e di prostata, ma Leonard Peltierresiste e non rinnega nulla della sua lotta.

A settembre Leonard ha compiuto 70 anni.

Mentre tu stai leggendo Peltier è ancora in prigione. Fino a quando?

Leonard Peltier è in carcere perché lottava per i diritti del suo popolo e la sua storia è un esempio delle tante ingiustizie che avvengono in ogni parte del mondo e che vengono taciute perché “scomode”.

Perché punire con il carcere a vita questo indiano d’america di nome Leonard Peltier?

Per lanciare il messaggio a tutti gli indiani oppressi, per dire loro che se oseranno ribellarsi alla democratica civiltà americana moderna, essi pagheranno e saranno puniti anche se innocenti.

Ma i governi non sanno che gli indiani non hanno mai smesso di lottare, ne mai lo faranno, perché come dicevano i loro antenati, è meglio morire da uomini liberi che vivere da schiavi:


Fonte : Infoaut