Paolo Villaggio in “Dottor Jekyll e gentile signora” – Il memorabile, geniale, brillantissimo discorso agli studenti. Come, 40 anni fa, in meno di un minuto riuscì a sintetizzare e mettere a nudo il volto mostruoso e spietato del capitalismo!

Paolo Villaggio

 

 

.

seguiteci sulla pagina Facebook Curiosity 

.

.

Paolo Villaggio in “Dottor Jekyll e gentile signora” – Il memorabile, geniale, brillantissimo discorso agli studenti. Come, 40 anni fa, in meno di un minuto riuscì a sintetizzare e mettere a nudo il volto mostruoso e spietato del capitalismo!

Paolo Villaggio in “Dottor Jekyll e gentile signora” del 1979 sul volto mostruoso del capitalismo.

Questo corpo rappresenta un paese ad economia sottosviluppata.

La testa è il top del paese, dove sono concentrati potere politico, potere militare, banche, chiesa.

Questa è la spina dorsale con le aziende agricole, unica risorsa di questo schifoso paese.

Queste sono le membra, gambe e braccia, la massa inerte dei lavoratori, i cosiddetti braccianti.

Quale è il nostro obiettivo? Corrompere qui (la testa), distogliere capitale all’agricoltura creando nuove masse di disoccupati, in modo che, offrendo lavoro sottocosto con paghe da fame, si possa succhiare il sangue fino al midollo a questa massa di poveracci…

Quaranta anni dopo Diego Fusaro così giustificava le migrazioni: “Il capitale ha bisogno di masse di schiavi ricattabili e senza diritti, ecco a cosa serve l’immigrazione di massa” …Uguale no?

 

By Eles

 

Il monologo di Roberto Saviano sul razzismo – Dovrebbero vederlo tutti e tutti dovrebbero impararlo a memoria… Poi ognuno può restare della propria idea: o essere un fesso buonista o essere complice di questa carneficina…!

 

Roberto Saviano

 

.

.

seguiteci sulla pagina Facebook Curiosity 

.

.

Il monologo di Roberto Saviano sul razzismo – Dovrebbero vederlo tutti e tutti dovrebbero impararlo a memoria… Poi ognuno può restare della propria idea: o essere un fesso buonista o essere complice di questa carneficina…!

Il monologo di Roberto Saviano sul razzismo: “Italiani e migranti sono dalla stessa parte”

Il toccante monologo sull’accoglienza a “Che tempo che fa” Roma, 25 feb. (askanews) – Il toccante monologo di Roberto Saviano su razzismo e immigrazione in apertura di “Che tempo che fa” di Fabio Fazio su Rai1: “L’unico modo è ripensare l’accoglienza, pensare a corridoi umanitari. Nelle merendine che mangiamo c’è il cacao africano si muovono le cose che ci permettono di vivere, perché non dovrebbero muoversi le persone? L’unico modo è capire che italiani e migranti sono dalla stessa parte, con lo stesso destino. Quando viene violato il diritto da una parte, significa che presto verrà violato anche il nostro. Il diritto è l’unica cosa che più si espande meno si consuma”. Lo scrittore ha concluso citando il Vangelo secondo Matteo: “Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”.

 

18 febbraio – Buon compleanno Faber. Un ricordo con alcuni dei suoi pensieri e alcune delle sue più belle canzoni…

 

Fabrizio De André

 

.

.

seguiteci sulla pagina Facebook Curiosity 

.

.

18 febbraio – Buon compleanno Faber. Un ricordo con alcuni dei suoi pensieri e alcune delle sue più belle canzoni…

Buon compleanno Fabrizio. Lo ricordiamo con qualche esempio della sua poesia… Qui potete leggere una breve biografia: Fabrizio De André: la vita e la carriera di uno dei più grandi cantautori di tutti i tempi….

Tutto Fabrizio De André in 11 pensieri…

  • Questo nostro mondo è diviso in vincitori e vinti, dove i primi sono tre e i secondi tre miliardi. Come si può essere ottimisti?
  • Passerà anche questa stazione senza far male, passerà questa pioggia sottile come passa il dolore.
  • Libertà l’ho vista dormire nei campi coltivati, a cielo e denaro, a cielo ed amore, protetta da un filo spinato.
  • L’inferno esiste solo per chi ne ha paura.
  • Benedetto Croce diceva che fino all’età dei diciotto anni tutti scrivono poesie. Dai diciotto anni in poi rimangono a scriverle due categorie di persone: i poeti e i cretini. E quindi io precauzionalmente preferirei considerarmi un cantautore.
  • Se i cosiddetti “migliori” di noi avessero il coraggio di sottovalutarsi almeno un po’ vivremmo in un mondo infinitamente migliore.
  • Durante il rapimento mi aiutò la fede negli uomini, proprio dove latitava la fede in Dio. Ho sempre detto che Dio è un’invenzione dell’uomo, qualcosa di utilitaristico, una toppa sulla nostra fragilità… Ma, tuttavia, col sequestro qualcosa si è smosso. Non che abbia cambiato idea ma è certo che bestemmiare oggi come minimo mi imbarazza.
  • Quello che io penso sia utile è di avere il governo il più vicino possibile a me e lo stato, se proprio non se ne può fare a meno, il più lontano possibile dai coglioni.
  • E per tutti il dolore degli altri è dolore a metà.
  • La vita in Sardegna è forse la migliore che un uomo possa augurarsi: ventiquattro mila chilometri di foreste, di campagne, di coste immerse in un mare miracoloso dovrebbero coincidere con quello che io consiglierei al buon Dio di regalarci come Paradiso.
  • Ho sempre avuto due chiodi fissi: l’ansia di giustizia e la convinzione presuntuosa di poter cambiare il mondo. Oggi quest’ultima è caduta.

Tutto De André in 4 canzoni:

Il pescatore

All’ombra dell’ultimo sole
S’era assopito un pescatore
E aveva un solco lungo il viso
Come una specie di sorriso
Venne alla spiaggia un assassino
Due occhi grandi da bambino
Due occhi enormi di paura
Eran gli specchi di un’avventura
E chiese al vecchio “dammi il pane
Ho poco tempo e troppa fame”
E chiese al vecchio “dammi il vino
Ho sete e sono un assassino”
Gli occhi dischiuse il vecchio al giorno
Non si guardò neppure intorno
Ma versò il vino e spezzò il pane
Per chi diceva “ho sete, ho fame”
E fu il calore d’un momento
Poi via di nouvo verso il vento
Davanti agli occhi ancora il sole
Dietro alle spalle un pescatore
Dietro le spalle un pescatore
E la memoria è già dolore
È già il rimpianto d’un aprile
Giocato all’ombra di un cortile
Vennero in sella due gendarmi
Vennero in sella con le armi
Chiesero al vecchio se lì vicino
Fosse passato un assassino
Ma all’ombra dell’ultimo sole
S’era assopito il pescatore
E aveva un solco lungo il viso
Come una specie di sorriso
E aveva un solco lungo il viso
Come una specie di sorriso

Volta la carta

C’è una donna che semina il grano
Volta la carta si vede il villano
Il villano che zappa la terra
Volta la carta viene la guerra
Per la guerra non c’è più soldati
A piedi scalzi son tutti scappati
Angiolina cammina cammina sulle sue scarpette blu
Carabiniere l’ha innamorata, volta la carta e lui non c’è più
Carabiniere l’ha innamorata, volta la carta e lui non c’è più
C’è un bambino che sale un cancello
Ruba ciliege e piume d’uccello
Tira sassate non ha dolori
Volta la carta c’è il fante di cuori
Il fante di cuori che è un fuoco di paglia
Volta la carta il gallo ti sveglia
Angiolina alle sei di mattina s’intreccia i capelli con foglie d’ortica
Ha una collana di ossi di pesca, la gira tre volte intorno alle dita
Ha una collana di ossi di pesca, la conta tre volte in mezzo alle dita, ehi
Mia madre ha un mulino e un figlio infedele
Gli inzucchera il naso di torta di mele
Mia madre e il mulino son nati ridendo
Volta la carta c’è un pilota biondo
Pilota biondo camicie di seta
Cappello di volpe sorriso da atleta
Angiolina seduta in cucina che piange, che mangia insalata di more
Ragazzo straniero ha un disco d’orchestra, che gira veloce che parla d’amore
Ragazzo straniero ha un disco d’orchestra, che gira che gira che parla d’amore, ehi
Madamadorè ha perso sei figlie
Tra i bar del porto e le sue meraviglie
Madamadorè sa puzza di gatto
Volta la carta e paga il riscatto
Paga il riscatto con le borse degli occhi
Piene di foto di sogni interrotti
Angiolina ritaglia giornali, si veste da sposa, canta vittoria
Chiama i ricordi col loro nome, volta la carta e finisce in gloria
Chiama i ricordi col loro nome, volta la carta e finisce in gloria, ehi

 

La città vecchia

Nei quartieri dove il sole del buon Dio
non da i suoi raggi
ha già troppi impegni per scaldar la gente
d’altri paraggi
una bimba canta la canzone antica
della donnaccia
quel che ancor non sai tu lo imparerai
solo qui fra le mie braccia
E se alla sua età le difetterà la campetenza
presto affinerà le capacità con l’esperienza
dove sono andati i tempi d’una volta, per Giunone
quando ci voleva per fare il mestiere
anche un po’ di vocazione?
Una gamba qua una gamba là
gonfi di vino
quattro pensionati mezzo avvelenati
al tavolino
li troverai là col tempo che fa
estate inverno
a stratracannare a strameledir
le donne il tempo ed il governo
Loro cercan là la felicità
dentro a un bicchiere
per dimenticare d’esser stati presi
per il sedere
ci sarà allegria anche in agonia
col vino forte
porteran sul viso l’ombra di un sorriso
fra le braccia della morte
Vecchio professore cosa vai cercando
in quel portone
forse quella che sola ti può dare
una lezione
quella che di giorno chiami con disprezzo
pubblica moglie
quella che di notte stabilisce il prezzo
alle tue voglie
Tu la cercherai tu la invocherai
più d’una notte
ti alzerai disfatto rimandando tutto
al ventisette
quando incasserai delapiderai
mezza pensione
diecimila lire per sentirti dire
“micio bello e bamboccione”
Se ti inoltrerai lungo le calate
dei vecchi moli
in quell’aria spessa carica di sale
gonfia di odori
lì ci troverai i ladri gli assassini
e il tipo strano
quello che ha venduto per tremila lire
sua madre a un nano
Se tu penserai e giudicherai
da buon borghese
li condannerai a cinquemila anni
più le spese
ma se capirai se li cercherai
fino in fondo
se non sono gigli son pur sempre figli
vittime di questo mondo

Geordie

Mentre attraversavo London Bridge
Un giorno senza sole
Vidi una donna pianger d’amore
Piangeva per il suo Geordie
Impiccheranno Geordie con una corda d’oro
È un privilegio raro
Rubò sei cervi nel parco del Re
Vendendoli per denaro
Sellate il suo cavallo dalla bianca criniera
Sellatele il suo pony
Cavalcherà fino a Londra stasera
Ad implorare per Geordie
Geordie non rubò mai neppure per me
Un frutto o un fiore raro
Rubò sei cervi nel parco del Re
Vendendoli per denaro
Salvate le sue labbra, salvate il suo sorriso
Non ha vent’anni ancora
Cadrà l’inverno anche sopra il suo viso
Potrete impiccarlo allora
Né il cuore degli inglesi né lo scettro del Re
Geordie potran salvare
Anche se piangeranno con te
La legge non può cambiare
Così lo impiccheranno con una corda d’oro
È un privilegio raro
Rubò sei cervi nel parco del Re
Vendendoli per denaro

16 febbraio 1947 – Il treno della vergogna – Gli esuli Istriani accolti dai loro connazionali non solo senza un briciolo di solidarietà, ma con avversione, rancore e inaudita violenza.

 

treno della vergogna

 

.

.

seguiteci sulla pagina Facebook Curiosity 

.

.

 

16 febbraio 1947 – Il treno della vergogna – Gli esuli Istriani accolti dai loro connazionali non solo senza un briciolo di solidarietà, ma con avversione, rancore e inaudita violenza.

 

“Il Treno della Vergogna” o “Treno dei fascisti” 
La targa è alla stazione di Bologna.
Il testo è: “Nel corso del 1947 da questa stazione passarono i convogli che portavano in Italia esuli istriani, fiumani e dalmati: italiani costretti ad abbandonare i loro luoghi dalla violenza del regime nazional-comunista jugoslavo e a pagare, vittime innocenti, il peso e la conseguenza della guerra d’aggressione intrapresa dal fascismo. Bologna seppe passare rapidamente da un atteggiamento di iniziale incomprensione a un’accoglienza che è nelle sue tradizioni, molti di quegli esuli facendo suoi cittadini. Oggi vuole ricordare quei momenti drammatici della storia nazionale. Bologna 1947-2007.”

E’ una targa ipocrita, tardiva e non veritiera; scrivere “un atteggiamento di iniziale incomprensione” è non assumersi appieno le proprie colpe.

Quello che è passato alla storia come “Treno della vergogna” è un convoglio che nel 1947 trasportò da Ancona i profughi provenienti da Pola: si trattava di esuli italiani che con la fine della Seconda Guerra Mondiale, si ritrovarono costretti ad abbandonare le loro case in Istria, Quarnaro e Dalmazia.

L’evento è passato alla storia come “esodo istriano“. All’epoca i ferrovieri lo definirono offensivamente “treno dei fascisti”, definizione emblematica di tutta la disinformazione e la strumentalizzazione politica che circondò la vicenda.

Domenica 16 febbraio 1947 i profughi partirono da Pola a bordo di diversi convogli, portandosi dietro il minimo indispensabile, ovvero quel poco che erano riusciti a salvare. Giunti ad Ancona per gli esuli si rese necessario l’intervento dell’esercito: i militari dovettero proteggerli da connazionali, militanti di sinistra, che non solo non mostrarono solidarietà, ma li accolsero con avversione e violenza.

Il giorno seguente, di sera, partirono di nuovo stipati in un treno merci già carico di paglia. Il convoglio arrivò alla stazione di Bologna solo alle 12:00 del giorno seguente, quindi proprio martedì 18 febbraio.

La Pontificia Opera di Assistenza e la Croce Rossa Italiana avevano preparato dei pasti caldi, soprattutto per bambini e anziani. Ma quando gli esuli erano quasi giunti nella città emiliana, alcuni ferrovieri sindacalisti diramarono un avviso ai microfoni, incitando i compagni a bloccare la stazione se il treno si fosse fermato.

Allo stop del convoglio ci furono persino alcuni giovani che, sventolando la bandiera con falce e martello, iniziarono a prendere a sassate i profughi, senza distinzione tra uomini, donne e bambini. Altri lanciarono pomodori e addirittura il latte che era destinato ai bambini, ormai quasi in stato di disidratazione.

A causa di questi atti vili fu dunque necessario far ripartire il treno per Parma, dove finalmente si riuscì ad andare in aiuto dei profughi ormai allo stremo delle forze. Da lì, ripartirono poi per La Spezia, dove furono temporaneamente sistemati in una caserma.

Il “treno della vergogna” non fu affatto un caso isolato. Gli “Italiani”, ancora furenti per l’infamia della guerra, avevano ormai identificato i profughi Istriani come “fascisti” e come tali responsabili della tragedia appeta vissuta.

 

10 febbraio – Giornata del ricordo delle vittime delle foibe – Che cosa furono i massacri delle foibe?

 

foibe

 

 

.

seguiteci sulla pagina Facebook Curiosity 

.

.

10 febbraio – Giornata del ricordo delle vittime delle foibe – Che cosa furono i massacri delle foibe?

 

Che cosa furono i massacri delle foibe

I massacri delle foibe e l’esodo dalmata-giuliano sono una pagina di Storia che per molti anni l’Italia ha voluto dimenticare. Solo di recente la storia è stata riportata a galla e dal 2005 si celebra il «Giorno del Ricordo», in memoria dei quasi ventimila nostri fratelli torturati, assassinati e gettati nelle foibe (le fenditure carsiche usate come discariche) dalle milizie della Jugoslavia di Tito alla fine della seconda guerra mondiale.

La memoria delle vittime delle foibe e degli italiani costretti all’esodo dalle ex province italiane della Venezia Giulia, dell’Istria, di Fiume e della Dalmazia è un tema che ancora divide. Eppure quelle persone meritano, esigono di essere ricordate.

LA FINE DELLA GUERRA. Nel 1943, dopo tre anni di guerra, le cose si erano messe male per l’Italia. Il regime fascista di Mussolini aveva decretato il proprio fallimento con la storica riunione del Gran Consiglio del Fascismo del 25 luglio 1943. Ne erano seguiti lo scioglimento del Partito fascista, la resa dell’8 settembre, lo sfaldamento delle nostre Forze Armate.

Nei Balcani, e particolarmente in Croazia e Slovenia, le due regioni balcaniche confinanti con l’Italia, il crollo dell’esercito italiano aveva fatalmente coinvolto le due capitali, Zagabria (Croazia) e Lubiana (Slovenia).

LA VENDETTA DI TITO. Qui avevano avuto il sopravvento le forze politiche comuniste guidate da Josip Broz, nome di battaglia «Tito», che avevano finalmente sconfitto i famigerati “ustascia” (i fascisti croati agli ordini del dittatore Ante Pavelic che si erano macchiati di atroci crimini), e i non meno odiati “domobranzi”, che non erano fascisti, ma semplicemente ragazzi di leva sloveni, chiamati alle armi da Lubiana a partire dal 1940, allorché la Slovenia era stata incorporata nell’Italia divenendone una provincia autonoma.

La prima ondata di violenza esplose proprio dopo la firma dell’armistizio, l’8 settembre 1943: in Istria e in Dalmazia i partigiani jugoslavi di Tito si vendicarono contro i fascisti che, nell’intervallo tra le due guerre, avevano amministrato questi territori con durezza, imponendo un’italianizzazione forzata e reprimendo e osteggiando le popolazioni slave locali macchiandosi di crimini di inaudita violenza.

Con il crollo del regime – siamo ancora alla fine del 1943 – i fascisti e di conseguenza tutti gli italiani non comunisti vennero considerati nemici del popolo, prima torturati e poi gettati nelle foibe. Morirono, si stima, circa un migliaio di persone. Le prime vittime di una lunga scia di sangue.

Dal 1918 al 1943 la Venezia Giulia e la Dalmazia furono amministrativamente italiane, ma oltre la metà della loro popolazione era composta da sloveni e croati. Durante il fascismo l’italianizzazione venne perseguita seguendo, nelle intenzioni, il modello francese (attraverso una serie di provvedimenti come l’italianizzazione della toponomastica, dei nomi propri e la chiusura di scuole bilingue); nei fatti, il modello fascista. La repressione divenne più crudele durante la guerra, quando ai pestaggi si sostituirono le deportazioni nei campi di concentramento nazisti e le fucilazioni dei partigiani jugoslavi.

Tito e i suoi uomini, fedelissimi di Mosca, infatti, iniziarono la loro battaglia di (ri)conquista di Slovenia e Croazia – di fatto annesse al Terzo Reich – senza fare mistero di volersi impadronire non solo della Dalmazia e della penisola d’Istria (dove c’erano borghi e città con comunità italiane sin dai tempi della Repubblica di Venezia), ma di tutto il Veneto, fino all’Isonzo.

IL FRENO DEI NAZISTI. Fino alla fine di aprile del 1945 i partigiani jugoslavi erano stati tenuti a freno dai tedeschi che avevano dominato Serbia, Croazia e Slovenia con il pugno di ferro dei loro ben noti sistemi (stragi, rappresaglie dieci a uno, paesi incendiati e distrutti).

Ma con il crollo del Terzo Reich nulla ormai poteva più fermare gli uomini di Tito, irreggimentati nel IX Korpus, e la loro polizia segreta, l’OZNA (Odeljenje za Zaštitu NAroda, Dipartimento per la Sicurezza del Popolo). L’obiettivo era l’occupazione dei territori italiani.

Nella primavera del 1945 l’esercito jugoslavo occupò l’Istria (fino ad allora territorio italiano, e dal ’43 della Repubblica Sociale Italiana) e puntò verso Trieste, per riconquistare i territori che, alla fine della prima guerra mondiale, erano stati negati alla Jugoslavia.

LA LIBERAZIONE DEGLI ALLEATI. Non aveva fatto i conti, però, con le truppe alleate che avanzavano dal Sud della nostra penisola, dopo avere superato la Linea Gotica. La prima formazione alleata a liberare Venezia e poi Trieste fu la Divisione Neozelandese del generale Freyberg, l’eroe della battaglia di Cassino, appartenente all’Ottava Armata britannica. Fu una vera e propria gara di velocità.

Gli jugoslavi si impadronirono di Fiume e di tutta l’Istria interna, dando subito inizio a feroci esecuzioni contro gli italiani. Ma non riuscirono ad assicurarsi la preda più ambita: la città, il porto e le fabbriche di Trieste.

Infatti, la Divisione Neozelandese del generale Freyberg entrò nei sobborghi occidentali di Trieste nel tardo pomeriggio del 1° maggio 1945, mentre la città era ancora formalmente in mano ai tedeschi che, asserragliati nella fortezza di San Giusto, si arresero il 2, impedendo in tal modo a Tito di sostenere di aver «preso» Trieste.

La rabbia degli uomini di Tito si scatenò allora contro persone inermi in una saga di sangue degna degli orrori rivoluzionari della Russia del periodo 1917-1919, persone ree solo di essere Italiani e come tali Fasciste..

I NUMERI DELLE VITTIME. Tra il maggio e il giugno del 1945 migliaia di italiani dell’Istria, di Fiume e della Dalmazia furono obbligati a lasciare la loro terra. Altri furono uccisi dai partigiani di Tito, gettati nelle foibe o deportati nei campi sloveni e croati. Secondo alcune fonti le vittime di quei pochi mesi furono tra le quattromila e le seimila, per altre diecimila.

Fin dal dicembre 1945 il premier italiano Alcide De Gasperi presentò agli Alleati «una lista di nomi di 2.500 deportati dalle truppe jugoslave nella Venezia Giulia» ed indicò «in almeno 7.500 il numero degli scomparsi».

In realtà, il numero degli infoibati e dei massacrati nei lager di Tito fu ben superiore a quello temuto da De Gasperi. Le uccisioni di italiani – nel periodo tra il 1943 e il 1947 – furono almeno 20mila; gli esuli italiani costretti a lasciare le loro case almeno 250mila.

COME SI MORIVA NELLE FOIBE. I primi a finire in foiba nel 1945 furono carabinieri, poliziotti e guardie di finanza, nonché i pochi militari fascisti della RSI e i collaborazionisti che non erano riusciti a scappare per tempo (in mancanza di questi, si prendevano le mogli, i figli o i genitori).

Le uccisioni avvenivano in maniera spaventosamente crudele. I condannati venivano legati l’un l’altro con un lungo fil di ferro stretto ai polsi, e schierati sugli argini delle foibe. Quindi si apriva il fuoco trapassando, a raffiche di mitra, non tutto il gruppo, ma soltanto i primi tre o quattro della catena, i quali, precipitando nell’abisso, morti o gravemente feriti, trascinavano con sé gli altri sventurati, condannati così a sopravvivere per giorni sui fondali delle voragini, sui cadaveri dei loro compagni, tra sofferenze inimmaginabili.

Soltanto nella zona triestina, tremila sventurati furono gettati nella foiba di Basovizza e nelle altre foibe del Carso.

Uno dei principali monumenti alle vittime si trova a Basovizza, alle porte di Trieste. Qui è stata trovata una foiba che in realtà era il pozzo di una miniera di carbone che, scavata nella roccia agli inizi del novecento, fu poi abbandonata. Vi sono state gettate almeno 2.500 persone nei 45 giorni dal 1 maggio al 15 giugno 1945.

IL DRAMMA DI FIUME E IL DESTINO DELL’ISTRIA. A Fiume, l’orrore fu tale che la città si spopolò. Interi nuclei familiari raggiunsero l’Italia ben prima che si concludessero le vicende della Conferenza della pace di Parigi (1947), alla quale – come dichiarò Churchill – erano legate le sorti dell’Istria e della Venezia Giulia. Fu una fuga di massa. Entro la fine del 1946, 20.000 persone avevano lasciato la città, abbandonando case, averi, terreni.

LA CONFERENZA DI PACE DI PARIGI. Alla fine del 1946 la questione italo-jugoslava era divenuta per molti un peso che intralciava la soluzione di altre e ancora più importanti questioni: gli Alleati volevano trovare una soluzione per Vienna e Berlino; l’Unione Sovietica doveva sistemare la divisione della Germania. L’Italia era alle prese con la gestione della transizione tra monarchia e repubblica.

In sostanza bisognava determinare dove sarebbe passato il confine tra Italia e Jugoslavia. Gli Stati Uniti, favorevoli all’Italia, proposero una linea che lasciava al nostro Paese gran parte dell’Istria. I sovietici, favorevoli ai comunisti di Tito, proposero un confine che lasciava Trieste e parte di Gorizia alla Jugoslavia. La Francia propose una via di mezzo, molto vicina all’attuale confine, che sembrava anche l’opzione più realistica, non perché rispettava le divisioni linguistiche, ma perché seguiva il confine effettivamente occupato dagli eserciti nei mesi precedenti.

Il dramma delle terre italiane dell’Est si concluse con la firma del trattato di pace di Parigi il 10 febbraio 1947. Alla fine, alla conferenza di Parigi venne deciso che per il confine si sarebbe seguita la linea francese: l’Italia consegnò alla Jugoslavia numerose città e borghi a maggioranza italiana rinunciando per sempre a Zara, alla Dalmazia, alle isole del Quarnaro, a Fiume, all’Istria e a parte della provincia di Gorizia.

L’ESODO. Il trattato di pace di Parigi di fatto regalò alla Jugoslavia il diritto di confiscare tutti i beni dei cittadini italiani, con l’accordo che sarebbero poi stati indennizzati dal governo di Roma.

Questo causò due ingiustizie. Prima di tutto l’esodo forzato delle popolazioni italiane istriane e giuliane che fuggivano a decine di migliaia, abbandonando le loro case e ammassando sui carri trainati dai cavalli le poche masserizie che potevano portare con sé. E, in seguito, il mancato risarcimento.

La stragrande maggioranza degli esuli emigrò in varie parti del mondo cercando una nuova patria: chi in Sud America, chi in Australia, chi in Canada, chi negli Stati Uniti.

INTERESSE POLITICO IN ATTI D’UFFICIO. Tanti riuscirono a sistemarsi faticosamente in Italia, nonostante gli ostacoli dei ministri del partito comunista che – favorevoli alla Jugoslavia – minimizzarono la portata della diaspora.

Emilio Sereni, che ricopriva la determinante carica di ministro per l’Assistenza post-bellica, e sul cui tavolo finivano tutti i rapporti con le domande di esodo e di assistenza provenienti da Pola, da Fiume, dall’Istria e dalla ex Dalmazia italiana, anziché farsene carico e rappresentare all’opinione pubblica la drammaticità della situazione minimizzò la portata del problema.

Rifiutò di ammettere nuovi esuli nei campi profughi di Trieste con la scusa che non c’era più posto e, in una serie di relazioni a De Gasperi, parlò di «fratellanza italo-slovena e italo-croata», sostenne la necessità di scoraggiare le partenze e di costringere gli istriani a rimanere nelle loro terre, affermò che le notizie sulle foibe erano «propaganda reazionaria».

IL GIORNO DEL RICORDO. Come è stato possibile che una simile tragedia sia stata confinata nel regno dell’oblio per quasi sessant’anni? Tanti, infatti, ne erano passati tra quel quadriennio 1943-47 che vide realizzarsi l’orrore delle foibe, e l’auspicato 2004, quando il Parlamento approvò la «legge Menia» (dal nome del deputato triestino Roberto Menia, che l’aveva proposta) sulla istituzione del «Giorno del Ricordo».

La risposta va ricercata in una sorta di tacita complicità, durata decenni, tra le forze politiche centriste e cattoliche da una parte, e quelle di estrema sinistra dall’altra. Fu soltanto dopo il 1989 (con il crollo del muro di Berlino e l’autoestinzione del comunismo sovietico) che nell’impenetrabile diga del silenzio incominciò ad aprirsi qualche crepa.

Il 3 novembre 1991, l’allora presidente della Repubblica Francesco Cossiga si recò in pellegrinaggio alla foiba di Basovizza e, in ginocchio, chiese perdono per un silenzio durato cinquant’anni. Poi arrivò la TV pubblica con la fiction Il cuore nel pozzo interpretata fra gli altri da Beppe Fiorello. Un altro presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro, si era recato, in reverente omaggio ai Caduti, davanti al sacrario di Basovizza l’11 febbraio 1993.

Così, a poco a poco, la coltre di silenzio che, per troppo tempo, era calata sulla tragedia delle terre orientali italiane, divenne sempre più sottile e finalmente tutti abbiamo potuto conoscere quante sofferenze dovettero subìre gli italiani della Venezia Giulia, dell’Istria, di Fiume e della Dalmazia.

Luciano Garibaldi

Alla tragedia delle foibe, l’autore, Luciano Garibaldi, giornalista e storico, ha dedicato, assieme a Rossana Mondoni, quattro libri editi dalle edizioni Solfanelli: «Venti di bufera sul confine orientale», «Nel nome di Norma», dedicato al ricordo di Norma Cossetto, studentessa triestina tra le prime vittime della violenza rossa, «Il testamento di Licia», approfondito dialogo con la sorella di Norma Cossetto, e «Foibe, un conto aperto».

Tratto da: https://www.focus.it/cultura/storia/che-cosa-furono-i-massacri-delle-foibe

Esperimento Sociale – Il Prof razzista attacca studentessa musulmana. La reazioni dei compagni… E se alla fine del video vi scappa la lacrimuccia non vergognatevi: siete ancora umani…!

 

razzista

 

.

seguiteci sulla pagina Facebook Curiosity 

.

.

Esperimento Sociale – Il Prof razzista attacca studentessa musulmana. La reazioni dei compagni… E se alla fine del video vi scappa la lacrimuccia non vergognatevi: siete ancora umani…!

Abbiamo fatto un esperimento sociale al primo giorno di scuola con telecamere nascoste. In tre differenti istituti (un classico, uno scientifico e un tecnico) arriva in classe una nuova compagna, musulmana con il velo integrale. Un nuovo professore, un nostro attore, entra in classe e comincia a deriderla. In un’escalation di battute razziste, xenofobe e islamofobe i ragazzi vengono messi alla prova. Qualcuno difenderà la studentessa islamica dagli attacchi del prof razzista? Una candid camera utile per riflettere sui temi dell’integrazione e dell’accoglienza.

Una produzione Fanpage.it video di Luca Iavarone organizzazione e riprese: Raffaello Durso attori: Pino L’Abbate e Chiara  assistente alla regia: Paola Mirisciotti assistente di produzione: Danilo Zanghi autori: Dario Volpe, Luca Iavarone Si ringraziano presidi e professori degli istituti Genovesi, Leonardo Da Vinci e Di Giacomo per la disponibilità.

Vergognoso – Un’altra porcheria made in Spagna – Si chiama la Sokamuturra – toro cordato – Il Toro è legato ad una corda in piazza per fare spettacolo… Tutta la sofferenza dell’animale tra le bestiali risate della gente…

 

Spagna

 

 

.

seguiteci sulla pagina Facebook Curiosity 

.

.

 

Vergognoso – Un’altra porcheria made in Spagna – Si chiama la Sokamuturra – toro cordato – Il Toro è legato ad una corda in piazza per fare spettacolo… Tutta la sofferenza dell’animale tra le bestiali risate della gente…

Toro legato ad una corda in piazza per fare spettacolo

Si chiama la Sokamuturra, una forma di spettacolo con il toro in piazza, tipica del folklore dei paesi baschi in Spagna. Lo spettacolo consiste nel tenere legato un toro con una corda in una piazza pubblica. Le persone si possono avvicinare per sfidare l’animale.

guarda QUI il video

Purtroppo, questo sfruttamento arcaico del toro, ai fini dell’intrattenimento, che provoca sofferenza, ansia e stress all’animale viene ancora perpetrato nel XXI secolo.

E’ la denuncia che rimbalza sui social con i video pubblicati dal gruppo animalista Libertad Animal Navarra, mostrando l’orrore al quale sono sottoposti i tori che siano giovani esemplari o esemplari adulti.

In un filmato si vede chiaramente i pericoli ai quali sono esposti questi animali. Un giovane toro, un vitellino di pochi mesi scivola ripetutamente sul pavimento bagnato di una piazza, rischiando si spezzarsi un arto, cercando di difendersi dall’invadenza e dalla provocazione di alcune persone.

La scena è stata registrata ad Azpeitia. “Sono incapaci di vedere come soffrono queste creature che imparano preso cosa significa essere maltrattati. Educhiamo all’empatia, al rispetto e all’amore nei riguardi di tutte le creature viventi”, scrive il gruppo animalista, commentando il filmato.

 

A seguire: Sokamuturra 2017 (Elgoibar)

L’inno per chi resiste che Fiorella Mannoia, con molto coraggio, porterà a Sanremo: “Il peso del coraggio”… Fantastico…!

 

Fiorella Mannoia

 

.

seguiteci sulla pagina Facebook Curiosity 

.

.

 

L’inno per chi resiste che Fiorella Mannoia, con molto coraggio, porterà a Sanremo: “Il peso del coraggio”… Fantastico…!

Questo il testo dell’ultima canzone di Fiorella Mannoia. Un inno di libertà, responsabilità e spreranza.

Il peso del coraggio

Sono questi vuoti d’aria
questi vuoti di felicità
queste assurde convinzioni
tutte queste distrazioni
a farci perdere

Sono come buchi neri
questi buchi nei pensieri
si fa finta di niente
lo facciamo da sempre
ci si dimentica
che ognuno ha la sua parte in questa grande scena
che ognuno ha i suoi diritti
ognuno ha la sua schiena
per sopportare il peso di ogni scelta
il peso di ogni passo, il peso del coraggio

E ho capito che non sempre il tempo cura le ferite
che sono sempre meno le persone amiche
che non esiste resa senza pentimento
che quello che mi aspetto è solo quello che pretendo
ed ho imparato ad accettare che gli affetti tradiscono
che gli amori, anche i più grandi poi finiscono
che non c’è niente di sbagliato in un perdono
che se non sbaglio non capisco io chi sono

Sono queste devozioni
queste manie di superiorità
c’è chi fa ancora la guerra
chi non conosce vergogna
chi si dimentica
che ognuno ha la sua parte in questa grande scena
che ognuno ha i suoi diritti
ognuno ha la sua schiena
per sopportare il peso di ogni scelta
il peso di ogni passo, il peso del coraggio

E ho capito che non serve il tempo alle ferite
che sono sempre meno le persone unite
che non esiste azione senza conseguenza
chi ha torto e chi ha ragione quando un bambino muore
e allora stiamo ancora zitti che così ci preferiscono
tutti zitti come cani che obbediscono
ci vorrebbe più rispetto, ci vorrebbe più attenzione
se si parla della vita, se parliamo di persone

Siamo il silenzio che resta dopo le parole
siamo la voce che può arrivare dove vuole
siamo il confine della nostra libertà
siamo noi l’umanità
siamo in diritto di cambiare tutto e di ricominciare
ricominciare

Ognuno ha in gioco la sua parte in questa grande scena
che ognuno ha i suoi diritti
ognuno ha la sua schiena
per sopportare il peso di ogni scelta
il peso di ogni passo, il peso del coraggio
il peso del coraggio

1° Febbraio 1876 – il giorno della “Memoria corta” – Gli Stati Uniti d’America dichiarano guerra ai Nativi Americani rei di un crimine imperdonabile: nei loro territori c’era l’oro!

 

 

Nativi Americani

 

.

seguiteci sulla pagina Facebook Curiosity 

.

.

1° Febbraio 1876 – il giorno della “Memoria corta” – Gli Stati Uniti d’America dichiarano guerra ai Nativi Americani rei di un crimine imperdonabile: nei loro territori c’era l’oro!

Il 1 febbraio 1876 è una data ancora oggi ignorata o non considerata come dovrebbe dai media e dalle istituzioni ma è il giorno in cui il Ministro degli Interni degli Stati Uniti d’America, dopo la scoperto dell’oro nella zona più importante del territorio Lakota, perché considerato sacro, le Black Hills, decise di perseguitare tutti i Sioux che rifiutarono di trasferirsi nelle riserve. L’ordine di trasferire migliaia di uomini  donne e bambini dal territorio dov’erano arrivò in una stagione dell’anno in cui quelle zone erano innevate e molti indiani erano lontani impegnati nella caccia. L’esercito statunitense non precluse ai minatori l’accesso alle zone di caccia Sioux e attaccò gli indiane che stavano cacciando nella prateria, come loro concesso dai precedenti trattati.

Gli Stati Uniti dichiarano guerra ai Sioux

Il 1 febbraio 1876 il ministro degli Interni degli Stati Uniti d’America dichiarò guerra ai Sioux “ostili”, quelli cioè che non avevano accettato di trasferirsi nelle riserve, dopo che era stato scoperto l’oro nelle Black Hills, il cuore del territorio Lakota.

Come si potevano traferire migliaia di uomini, donne e bambini dalla terra dov’erano nati, in una stagione dell’anno in cui il territorio era coperto di neve? Molti indiani pare neanche ricevettero l’ordine, in quanto impegnati nelle loro attività di caccia, lontano dalla propria residenza.

Quella dichiarazione di guerra del 1 febbraio fu l’inizio del massacro degli Indiani d’America, che culminerà con l’eccidio di Wounded Knee, passato alla storia grazie a canzoni, libri e film. Sul finire del dicembre 1890, la tribù di Miniconjou guidata da Piede Grosso, appresa la notizia dell’assassinio di Toro Seduto, partì dall’accampamento sul torrente Cherry, sperando nella protezione di Nuvola Rossa.

Il 28 dicembre furono intercettati dal Settimo Reggimento, che aveva l’ordine di condurli in un accampamento sul Wounded Knee: 120 uomini e 230 tra donne e bambini furono portati sulla riva del torrente, circondati da due squadroni di cavalleria e trucidati.

“Seppellite il mio cuore a Wounded Knee” di Dee Brown è il libro che ha commosso generazioni di persone e ispirato cantanti di tutte le generazioni e latitudini, fino a Fabrizio De Andrè che compose la canzone “Fiume Sand Creek”, Prince e Luciano Ligabue.

Così racconta il massacro di Wounded Knee: «Brillava il sole in cielo. Ma quando i soldati abbandonarono il campo dopo il loro sporco lavoro, iniziò una forte nevicata. Nella notte arrivò anche il vento. Ci fu una tempesta e il freddo gelido penetrava nelle ossa. Quello che rimase fu un unico immenso cimitero di donne, bambini e neonati che non avevano fatto alcun male se non cercare di scappare via».

I Sioux, che preferiscono chiamarsi Dakota o Lakota, sono la principale tribù degli Stati Uniti, con 25.000 membri. Ora vivono in riserve nei loro antichi territori. Continuare a raccontare la loro storia (pochi giorni fa è stata la Giornata della memoria) è un modo per non dimenticare di cosa è stato capace l’uomo nel corso della storia e fare in modo che episodi simili non si ripetano.

 

…E il popolo di Castelnuovo accoglie nelle sue case i migranti cacciati da Salvini…!

 

migranti

 

.

.

seguiteci sulla pagina Facebook Curiosity 

.

.

 

…E il popolo di Castelnuovo accoglie nelle sue case i migranti cacciati da Salvini…!

Il sindaco del borgo in provincia di Roma dopo l’incontro in prefettura: “E’ la prima volta che accade in Italia, sono molto contento”

Una vittoria della civiltà contro la cattiveria. Degli italiani che credono nei valori della Costituzione rispetto alla marina nera piena di odio e rancore con la quale qualcuno vorrebbe governare l’Italia.
“Si è appena concluso un tavolo con la prefettura in cui abbiamo raggiunto un accordo per cui le famiglie con bimbi che erano al Cara rimarranno nella zona di Castelnuovo di Porto, attraverso ‘l’accoglienza diffusa’ per consentire ai bambini di continuare a frequentare la scuola. E’ la prima volta che succede in Italia. Siamo molto soddisfatti”.
Ad annunciarlo il sindaco di Castelnuovo di Porto, Riccardo Travaglini.
A quanto riferito si tratta di 4 famiglie a cui si aggiungono 4 o 5 richiedenti asilo.
“Andiamo avanti anche con le protezioni umanitare” aggiunge il sindaco di Castelnuovo, “Si tratta di 16 persone, per i quali si sta concludendo lo screening della task force e, attraverso la collaborazioni di sindaci di città da cui sono arrivate offerte di ospitalità, verranno accolti anche in altre Regioni” conclude il sindaco Travaglini.

fonte: https://www.globalist.it/news/2019/01/26/il-popolo-di-castelnuovo-accoglie-nelle-sue-case-i-migranti-cacciati-da-salvini-2036573.html