Parole durissime di Padre Zanotelli: la strage nel Mediterraneo peserà sulla coscienza di Salvini

 

Padre Zanotelli

 

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Padre Zanotelli: la strage nel Mediterraneo peserà sulla coscienza di Salvini

Il missionario pacifista: abbiamo un governo di barbari senza cuore, stiamo perdendo la nostra umanità.

Parole durissime: La nuova strage di migranti nel Mediterraneo dove secondo i dati forniti dall’Oim ci sono state altre 120 vittime “peserà sulla coscienza di Salvini”.

Padre Alex Zanotelli, il missionario pacifista, interpellato dall’Adnkronos, dice di non trovare “quasi più parole per quanto sta avvenendo”.

Racconta: “In questi giorni mi sono letto il rapporto dell’Onu su diritti umani dei rifugiati in Libia datato 18 dicembre 2018: è devastante. Abbiamo un governo di barbari senza cuore, stiamo perdendo la nostra umanità. La situazione è insostenibile. Non riesco a capire come si possa avere un governo a cui manca l’umanità”.

Padre Zanotelli riflette quindi sul nuovo recupero, da parte della Sea Watch, di altri 47 immigranti e pensa alle parole del ministro dell’Interno che ha detto che “finchè i porti resteranno aperti, i trafficanti continueranno ad uccidere”. Al che osserva Zanotelli: “Vediamo se ora riceve questi 47 disperati. Dal momento che i porti sono aperti – perché per chiuderli serve un documento scritto del ministro e non mi pare di averlo mai visto – li dovrà ricevere da qualche parte”.

Il missionario pacifista riflette anche sui sondaggi che danno sempre la Lega in testa: “Questa è un’altra sofferenza enorme. Purtroppo nel popolo italiano, ma nel resto dell’Europa la situazione non è diversa, non so cosa sia avvenuto. Siamo usciti da una Seconda guerra mondiale, da un crogiuolo terribile, avevamo la patria dei diritti e ora all’improvviso è caduta. Le ragioni fondamentali credo siano che la tribù bianca si sente ora minacciata. Abbiamo conquistato tutto e adesso ci sentiamo minacciati, abbiamo paura e allora dobbiamo difendere il nostro benessere. E’ assurdo vivere in un mondo così disuguale. Questo è ancora peggio di Salvini”.

 

fonte: https://www.globalist.it/news/2019/01/19/padre-zanotelli-la-strage-nel-mediterraneo-pesera-sulla-coscienza-di-salvini-2036277.html

15 gennaio 1929, nasceva Martin Luther King… Se non fosse stato ammazzato oggi avrebbe compiuto 91 anni – La figlia Bernice King ci racconta l’uomo che ha sfidato il razzismo…

 

Martin Luther King

 

 

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15 gennaio 1929, nasceva Martin Luther King… Se non fosse stato ammazzato oggi avrebbe compiuto 91 anni – La figlia Bernice King ci racconta l’uomo che ha sfidato il razzismo…

Bernice King: vi racconto mio padre Martin Luther che ha sfidato il razzismo

Un’intervista a Bernice King, la figlia più piccola di Martin Luther, il leader del movimento per i diritti civili degli afroamericani, ucciso 50 anni fa a Memphis.

Il Guardian ha pubblicato un’intervista a Bernice King, la figlia più piccola di Martin Luther, il leader del movimento per i diritti civili degli afroamericani, ucciso 50 anni fa a Memphis. E’ un colloquio bello, profondo, commovente quello del giornalista Ed Pilkington con una delle eredi del pastore pacifista. Si spazia dai ricordi intimi e privati di quella che era una bambina di soli 5 anni quando il 4 aprile del 1968 le venne ucciso il padre alle riflessioni di una donna adulta sull’America di oggi, quella segnata dalle politiche di da Donald Trump.

“Quando tornava nella nostra casa sulla Sunset Avenue, ad Atlanta in Georgia, dopo aver sfidato razzisti e manganelli, mio padre faceva con noi il gioco del bacio. Per ognuno aveva un bacio in un posto zuccherino del viso. Ognuno di noi ne aveva uno – il punto di zucchero della mamma era, naturalmente,  sulle labbra; per i miei due fratelli su entrambe le guance; per Yolanda poco fuori  l’angolo della bocca e per me sulla fronte”. Bernice e i suoi fratelli – Yolanda, che morì nel 2007, Martin e Dexter – sono associati per sempre alla famosa frase di Martin Luther King del 1963, quella che risuonò come un grande monito durante la Marcia su Washington: “Ho un sogno: che i miei quattro bambini piccoli vivranno un giorno in una nazione in cui non saranno giudicati dal colore della loro pelle ma per la qualità  del loro carattere “. Bernice ricorda molto poco dell 4 aprile 1968 . “Rammento che mia mamma Coretta, mentre salivamo sull’aereo che ci avrebbe portati a Memphis disse: ‘Papà è morto, non ci parlerà più ma
il suo “spirito” è andato a vivere con Dio'”.

Scrive ancora Il Guardian: “Bernice King ha trascorso una buona parte degli ultimi 50 anni cercando di comprendere il momento in cui suo padre le è stato sottratto. È stato un viaggio personale che si abbina in modo sorprendente al viaggio pubblico che l’America ha intrapreso nel tentativo di dare un senso compiuto alla missione di uno suoi figli più cari”.

Avanzano i razzismi nel mondo, le disuguaglianze crescono assieme alle povertà. La lezione di Martin Luther si è persa? “Non credo – dice Bernice – . Le sfide degli ultimi 15 mesi hanno ulteriormente rafforzato l’eredità di King, non l’hanno diminuita. Il mese scorso alla March for Our Lives in Washington ho visto uomini e donne marciare, soprattutto centinaia di migliaia di bambini guidati dagli studenti sopravvissuti al massacro alla scuola superiore Marjory Stoneman Douglas, che hanno chiesto a gran voce alla politica di fermare la violenza armata”. Quel giorno ha preso la parola Yolanda Renee King, di nove anni, la nipote di Bernice che ha raccontato al mondo il sogno di un mondo senza armi.

“La lotta – dice ancora Bernice King al Guardian – è un processo senza fine, la libertà deve essere guadagnata da ogni generazione. E vedendo nelle strade del mio Paese i ragazzi che protestano io dico che questa nazione si è svegliata, c’è un nuovo, diverso tipo di attenzione verso i grandi problemi dell’umanità, un’attenzione che forse si era smarrita negli ultimi 25 anni. Alla fine ho ancora la stessa speranza di mio padre: che la verità disarmata e l’amore incondizionato avranno l’ultima parola”.
Bernice sarà intervistata martedì 3 aprile alle ore 21  su Rai Storia che subito dopo  trasmetterà “Un uomo nel mirino. Martin Luther King e l’Fbi”,  un documentario in prima visione che racconta la feroce opposizione politica, in parte sostenuta direttamente dal governo americano, contro il leader nero. Per molti anni infatti il reverendo King fu vittima di una campagna intimidatoria messa in atto dall’Fbi di Edgar Hoover, con atti così estremi da far sospettare ancora oggi l’opinione pubblica che l’agenzia federale fosse in qualche modo coinvolta nell’assassinio avvenuto a Memphis. Il documentario rivela la durezza della campagna d’odio ideata da Hoover, esamina nel dettaglio le strategie intimidatorie utilizzate dall’FBI nei confronti di Martin Luther King, e delinea il possibile legame oscuro tra questa campagna segreta e spesso illegale e i valori della società americana di oggi.

 

 

fonte: https://www.globalist.it/world/2018/04/02/bernice-king-vi-racconto-mio-padre-martin-luther-che-ha-sfidato-il-razzismo-2022008.html

Ci stiamo mangiando l’Africa e la chiamiamo democrazia

Africa

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Ci stiamo mangiando l’Africa e la chiamiamo democrazia

Secondo gli economisti, i paesi africani sono tutti in crescita, l’Africa è in continuo sviluppo ma ha due giganteschi problemi: noi occidentali e la non redistribuzione del valore all’interno delle nazioni africane.

Il problema è anche che la maggior parte della crescita di questi paesi è alimentata dal debito e dalle vendite di risorse naturali, quindi è una crescita su carta, non una crescita della società: la maggioranza della popolazione vive in povertà con poche e rare parentesi di prosperità.

Nei paesi africani, la storia negli ultimi cento anni è particolarmente ripetitiva, in modo quasi inquietante. Ogni tanto c’è una rivolta, arriva un nuovo leader con idee socialiste-nazionaliste del tutto legittime che vengono bollate dall’occidente come filo-comuniste. Il leader stesso viene additato come dittatore, anche se strappa una nazione da una monarchia oscurantista e oppressiva, portandola a una repubblica moderna. Il leader in questione di solito resiste vivo qualche anno, poi viene destituito o ucciso da una rivolta finanziata dai paesi che hanno interessi economici nelle risorse locali. Se il leader riesce a restare in carica più a lungo, in genere finisce per impazzire e diventa un dittatore sanguinario. Molto lo fa la scarsa formazione culturale, l’assenza di intellighenzia del paese, ma parecchio lo fa la pressione quotidiana. Se vivi in una situazione in cui non ti puoi fidare di nessuno, ogni giorno potrebbe essere l’ultimo e l’unico modo per sopravvivere è essere molto paranoici… Da lì alla follia, il passo è breve.

Uno degli ultimi di questi leader di lunga carriera è stato Gheddafi. I media europei si fingono disgustati da Gheddafi, un vecchio dittatore pazzo e vizioso, maniaco di chirurgia plastica, sfarzo, harem e lolitismo (come se in Italia non avessimo avuto il maggiore rappresentante della categoria!). Ma l’informazione mediatica di massa dimentica sempre di raccontare che Gheddafi è stato prima di tutto un idealista, un teorico del neo-socialismo, che ha guidato la rivoluzione contro un re oppressore del popolo che svendeva le risorse a Francia e Stati Uniti, schiacciando la popolazione nella miseria e nell’analfabetismo.

In seguito al colpo di stato, presentato dai media come “oppressiva dittatura militare”, Gheddafi ha messo in pratica le sue idee di rifiuto per il capitalismo, scegliendo una forma di socialismo nazionalista ispirato al socialismo arabo di Gamāl ʿAbd al-Nāṣer, quest’ultimo però presentato come grande politico perché levava a USA e Francia la fatica di mettere d’accordo Husayn e Arafat. Gheddafi ha messo in pratica la ridistribuzione della ricchezza petrolifera per sostenere programmi di benessere sociale: i soldi provenienti dal petrolio venivano depositati direttamente nei conti bancari dei cittadini libici. I loro figli avevano accesso a scuole statali gratuite che prima nemmeno esistevano. C’era lavoro e ospedali pubblici all’avanguardia.

Ha dimostrato che un paese africano che gestisce le sue risorse senza occidentali è un paese ricco. Pensate se lo facesse domattina il nostro governo, se invece di farci pagare le tasse e spendere otto milioni di euro in chat erotiche e scommesse (spesa scoperta ad agosto 2017 dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sulla Digitalizzazione), ci versasse i soldi delle forniture all’estero direttamente sui nostri conti correnti, perché è giusto che partecipiamo anche agli utili. Non diventeremmo grandi sostenitori del governo che attua questa misura?

Sotto la guida di Gheddafi, i libici hanno goduto non solo di assistenza sanitaria e istruzione gratuita, cose rarissime in Africa, ma anche di elettricità gratuita e prestiti senza interessi, oltre ai versamenti dei dividendi dello stato sul proprio conto. Infatti la Libia di Gheddafi negli anni 70-80 è diventata improvvisamente un paese prospero: perché redistribuiva ai cittadini e li istruiva. Creando così (ed è stato questo il principio della fine) un pericoloso precedente per gli altri stati africani che cominciarono a interessarsi della Libia e valutarono che magari potevano fare lo stesso.

Ovviamente è bastato poco perché i leader dell’Occidente vedessero la Libia come una minaccia, la presentassero come uno stato totalitarista in cui non venivano rispettati i diritti umani, fino a finanziarne la rivoluzione del 2011. Certo, Gheddafi a quel punto era già perso nella sua follia dentro la sua casa sotterranea a ordinare di giustiziare chi pensava che lo tradisse. Ma se invece i libici delle nuove generazioni, i quali avevano i mezzi culturali e politici, fossero stati aiutati dall’occidente a far funzionare la repubblica invece che a devastare il paese con una guerra civile? Oggi non ci sarebbe un paese comodamente in crisi, ma un paese prospero, scomodo per chi deve comprare le risorse minerarie, perché non vuole altri al tavolo della contrattazione, un competitor ulteriore al tavolo degli equilibri internazionali, ovvero uno che prima o poi vorrà una fetta di quel 90% di ricchezza mondiale detenuta da pochissimi.

I media raccontano che Gheddafi è stato un dittatore brutale e probabilmente è in parte vero, negli ultimi due decenni lo è stato, ormai incontrollabile, perseguitato dai fantasmi della paura e del non potersi fidare di nessuno, deluso da tutti, con diversi tentativi di colpi di stato alle spalle. Sarebbe bastata però una destituzione incruenta, politica. Invece un paese nel caos è quello che ha bisogno l’Occidente.

La verità è che Gheddafi è stato una delle principali minacce del sistema petro-dollaro dell’economia globale e del continuo sfruttamento dell’Africa. E’ stato l’artefice principale di un paese che prosperava ribellandosi al controllo americano e europeo, un esempio pericoloso per gli altri stati africani che potevano prendere la stessa via.

La Libia di Gheddafi finanziò Sankara in Burkina Faso, Gheddafi stesso lo introdusse ad altri politici e filosofi africani anticolonialisti. Un uomo dalle idee pericolose, che è meglio farci ricordare sfatto e in abiti ridicoli nei suoi ultimi anni che non come pensatore anti-capitalista e artefice del welfare del suo paese che aveva reso ricco.

Purtroppo, la Libia è stata completamente distrutta dall’Occidente quando gli Stati Uniti l’hanno invasa nel 2011 facendola regredire di un centinaio di anni, togliendo tutti i benefici statali, distruggendo gli ospedali all’avanguardia, le scuole, tutto. La Libia oggi è uno stato fallito e caotico, dipendente dall’importazione della “libertà e democrazia” americane.

Secondo Garikai Chengu, ricercatore di Harvard specializzato nei movimenti politici africani e lui stesso attivista, la liberazione africana dovrà prevedere tre fasi: la ridistribuzione di terreni e risorse naturali alle popolazioni locali; il rifiuto completo delle politiche neoliberali del Fondo Monetario e della Banca mondiale; lo sviluppo della capacità di raffinazione minerale in proprio, senza le grandi compagnie multinazionali.

Purtroppo per l’Africa, queste misure non hanno ancora radicato e quando si affacciano in veste di qualche rivoluzionario, come nel caso della Libia, del Burkina Faso, dell’Egitto, vengono prontamente bollate come l’opera di militari-dittatori folli e subito boicottate da USA ed Europa in nome di una pace e di una democrazia che non sono altro che le parole vuote lanciate ai media, come i frisbee ai cani.

 

tratto da: https://www.dolcevitaonline.it/ci-stiamo-mangiando-lafrica-e-la-chiamiamo-democrazia/

Salvini ricorda De André con i suoi versi “All’ombra dell’ultimo sole si era assopito un pescatore” …ora, cos’è che il nostro Ministro non ha capito di quel pescatore che “versò il vino e spezzò il pane per chi diceva ho sete e ho fame”…?

Salvini

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Salvini ricorda De André con i suoi versi “All’ombra dell’ultimo sole si era assopito un pescatore” …ora, cos’è che il nostro Ministro non ha capito di quel pescatore che “versò il vino e spezzò il pane per chi diceva ho sete e ho fame”…?

 

Matteo Salvini, il vicepremier, in occasione del ventennale della sua scomparsa ha postato una foto di Faber accompagnata da una frase della canzone “Il pescatore”:  “All’ombra dell’ultimo sole si era assopito un pescatore”…

…Ora, cos’è che il nostro Ministro degli interni non ha capito di quel pescatore che “versò il vino e spezzò il pane per chi diceva ho sete e ho fame”…?  Cos’è che non ha capito del vero significato di quel brano, un messaggio di tolleranza e accoglienza…?

Mai gaffe fu tanto evidente. Tutti sanno (forse tutti tranne Salvini) che quel pescatore non indugiò: “Non si guardò neppure intorno/Ma versò il vino spezzò il pane/Per chi diceva ho sete ho fame”…

Dai Matteo… dare pane e vino a chi ha fame ed ha sete non è proprio tra le tue abitudini…

E poi… Ma ve lo immaginate quante glie ne avrebbe cantate il “poeta degli ultimi” al cinico razzista di Salvini? Come può Salvini nominare De André, quello che ha dedicato la sua poesia alle minoranze, dai rom ai migranti, ai nativi americani, alle prostitute, ai tossicodipendenti.

“Fabrizio appartiene a tutti, ma sarebbe meglio ascoltarlo”, aveva consigliato la compagna Dori Gezzi in un’intervista HuffPost. Un consiglio che a Salvini forse è sfuggito proprio nel giorno del 20esimo anniversario dalla morte di De André.

By Eles

tratto da: Il Fastidioso

 

Testo
All’ombra dell’ultimo sole
S’era assopito un pescatore
E aveva un solco lungo il viso
Come una specie di sorriso
Venne alla spiaggia un assassino
Due occhi grandi da bambino
Due occhi enormi di paura
Eran gli specchi di un’avventura
E chiese al vecchio “dammi il pane
Ho poco tempo e troppa fame”
E chiese al vecchio “dammi il vino
Ho sete e sono un assassino”
Gli occhi dischiuse il vecchio al giorno
Non si guardò neppure intorno
Ma versò il vino e spezzò il pane
Per chi diceva “ho sete, ho fame”
E fu il calore d’un momento
Poi via di nouvo verso il vento
Davanti agli occhi ancora il sole
Dietro alle spalle un pescatore
Dietro le spalle un pescatore
E la memoria è già dolore
È già il rimpianto d’un aprile
Giocato all’ombra di un cortile
Vennero in sella due gendarmi
Vennero in sella con le armi
Chiesero al vecchio se lì vicino
Fosse passato un assassino
Ma all’ombra dell’ultimo sole
S’era assopito il pescatore
E aveva un solco lungo il viso
Come una specie di sorriso
E aveva un solco lungo il viso
Come una specie di sorriso

Lettera di una immigrata nigeriana al nostro Ministro degli Interni – “La pacchia la state facendo voi. Sulla nostra pelle. Sulla nostra vita…”

immigrata

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Lettera di una immigrata nigeriana al nostro Ministro degli Interni – “La pacchia la state facendo voi. Sulla nostra pelle. Sulla nostra vita…”

La pacchia la state facendo voi. Sulla nostra pelle. Sulla nostra vita…

…sui nostri poveri sogni di una vita appena migliore.

Lettera di una immigrata nigeriana al Ministro della Paura e dell’odio.

“Ho visto la sua faccia ieri al telegiornale. Dipinta dei colori della rabbia. La sua voce, poi, aveva il sapore amarissimo del fiele. Ha detto che per noi che siamo qui nella vostra terra è finita la pacchia. Ci ha accusati di vivere nel lusso, rubando il pane alla gente del suo paese. Ancora una volta ho provato i morsi atroci della paura…

Chi sono? Non le dirò il mio nome. I nomi, per lei, contano poco. Niente. Sono una di quelli che lei chiama con disprezzo “clandestini”.

Vengo da un paese, la Nigeria, dove ben pochi fanno la pacchia e sono tutti amici vostri. Lo dico subito. Non sono una vittima del terrorismo di Boko Haram. Nella mia regione, il Delta del Niger non sono arrivati. Sono una profuga economica, come dite voi, una di quelle persone che non hanno alcun diritto di venire in Italia e in Europa.

Lo conosce il Delta del Niger? Non credo. Eppure ogni volta che lei sale in macchina può farlo grazie a noi. Una parte della benzina che usa viene da lì.

Io vivevo alla periferia di Port Harkourt, la capitale dello Stato del Delta del Niger. Una delle capitali petrolifere del mondo. Vivevo con mia madre e i miei fratelli in una baracca e alla sera per avere un po’ di luce usavamo le candele. Noi come la grande maggioranza di chi vive lì.
E’ dura vivere dalle mie parti. Molto dura. Un inferno se sei una ragazza. Ed io ero una ragazza. Tutto è a pagamento. Tutto. Se non hai soldi non vai a scuola e non puoi curarti. Gli ospedali e le scuole pubbliche non funzionano. E persino lì, comunque, se vuoi far finta di studiare o di curarti, devi pagare. E come fai a pagare se di lavoro non ce ne è? La fame, la miseria, la disperazione e l’assenza di futuro, sono nostre compagne quotidiane.

La vedo già storcere il muso. E’ pronto a dire che non sono fatti suoi, vero?

Sono fatti suoi, invece.

Il mio paese, la regione in cui vivo, dovrebbe essere ricchissima visto che siamo tra i maggiori produttori di petrolio al mondo. E invece no.

Quel petrolio arricchisce poche famiglie di politici corrotti, riempie le vostre banche del frutto delle loro ruberie, mantiene in vita le vostre economie e le vostre aziende.

Il mio paese è stato preda di più colpi di stato. Al potere sono sempre andati, caso strano, personaggi obbedienti ai voleri delle grandi compagnie petrolifere del suo mondo, anche del suo paese. Avete potuto, così, pagare un prezzo bassissimo per il tanto che portavate via. E quello che portavate via era la nostra vita.

Lo avete fatto con protervia e ferocia. La vostra civiltà e i vostri diritti umani hanno inquinato e distrutto la vita nel Delta del Niger e impiccato i nostri uomini migliori. Si ricorda Ken Saro Wiwa? Era un giovane poeta che chiedeva giustizia pe noi. Lo avete fatto penzolare da una forca…

Le vostre aziende, in lotta tra loro, hanno alimentato la corruzione più estrema. Avete comprato ministri e funzionari pubblici pur di prendervi una fetta della nostra ricchezza.

L’Eni, l’Agip, quelle di certo le conosce. Sono accusate di aver versato cifre da paura in questo sporco gioco. Con quei soldi noi avremmo potuto avere scuole e ospedali. A casa, la sera, non avrei avuto bisogno di una candela…

Sarei rimasta lì, a casa mia, nella mia terra.

Avrei fatto a meno della pacchia di attraversare un deserto. Di essere derubata dai soldati di ogni frontiera e dai trafficanti. Di essere violentata tante volte durante il viaggio. Avrei volentieri fatto a meno delle prigioni libiche, delle notti passate in piedi perché non c’era posto per dormire, dell’acqua sporca e del pane secco che ti davano, degli stupri continui cui mi hanno costretta, delle urla strazianti di chi veniva torturato.

Avrei fatto a meno della vostra ospitalità. Nel suo paese tante ragazze come me hanno come solo destino la prostituzione. Lo sapete. E non fate niente contro la nostra schiavitù anzi la usate per placare la vostra bestialità. Io sono riuscita a sfuggire a questo orrore, ma sono stata schiava nei vostri campi. Ho raccolto i vostri pomodori, le vostre mele, i vostri aranci in cambio di pochi spiccioli e tante umiliazioni.

Ancora una volta, la pacchia l’avete fatta voi. Sulla nostra pelle. Sulle nostre vite. Sui nostri poveri sogni di una vita appena migliore.

Vedo che non ho mai pronunciato il suo nome. Me ne scuso, ma mi mette paura. Quella per l’ingiustizia di chi sa far la faccia dura contro i deboli, ma sa sorridere sempre ai potenti.

Vuole che torniamo a casa? Parli ai suoi potenti, a quelli degli altri paesi che occupano di fatto casa mia in una guerra velenosa e mai dichiarata. Se ha un po’ di dignità e di coraggio, la faccia brutta la faccia a loro.

fonte QUI

“Smisurata Preghiera” – Il fantastico brano di Fabrizio De André dedicato alle minoranze di ieri, oggi e domani… Sentitolo, è tanto bello, toccante, profondo quanto attuale…!

 

Fabrizio De André

 

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“Smisurata Preghiera” – Il fantastico brano di Fabrizio De André dedicato alle minoranze di ieri, oggi e domani… Sentitolo, è tanto bello, toccante, profondo quanto attuale…!

La smisurata preghiera di De André: alle minoranze di ieri, oggi e domani
(di seguito il testo ed il video live)

Era l’anno 1996, Fabrizio De André spiegava in un concerto il senso del brano Smisurata preghiera: elogio delle minoranze con parole che oltre 20 anni dopo sono ancora attuali.

Correva l’anno 1996: 20 anni fa il grandissimo Fabrizio De André pubblicò l’album “Anime Salve”, scritto a quattro mani con l’amico e collega Ivano Fossati. Durante un concerto, Faber decise di spiegare il senso di “Smisurata Preghiera”, brano che, non a caso, è l’ultima traccia del cd.
Un discorso e una canzone che ancora oggi suonano, soprattutto visto la situazione internazionale, attuali… perché oggi più che mai abbiamo bisogno di ritrovare la nostra “umanità” anche attraverso le parole dei poeti/cantastorie del Novecento.
L’ultima canzone dell’album [Anime salve, ndr.] è una specie di riassunto dell’album stesso: è una preghiera, una sorta di invocazione…un’invocazione ad un’entità parentale, come se fosse una mamma, un papà molto più grandi, molto più potenti. Noi di solito identifichiamo queste entità parentali, immaginate così potentissime come una divinità; le chiamiamo Dio, le chiamiamo Signore, la Madonna. In questo caso l’invocazione è perché si accorgano di tutti i torti che hanno subito le minoranze da parte delle maggioranze.
Le maggioranze hanno la cattiva abitudine di guardarsi alle spalle e di contarsi… dire “Siamo 600 milioni, un miliardo e 200 milioni…” e, approfittando del fatto di essere così numerose, pensano di poter essere in grado, di avere il diritto, soprattutto, di vessare, di umiliare le minoranze.
La preghiera, l’invocazione, si chiama “smisurata” proprio perché fuori misura e quindi probabilmente non sarà ascoltata da nessuno, ma noi ci proviamo lo stesso. [Fabrizio De André]

smisurata preghiera

Alta sui naufragi
dai belvedere delle torri
china e distante sugli elementi del disastro
dalle cose che accadono al di sopra delle parole
celebrative del nulla
lungo un facile vento
di sazietà di impunità

Sullo scandalo metallico
di armi in uso e in disuso
a guidare la colonna
di dolore e di fumo
che lascia le infinite battaglie al calar della sera
la maggioranza sta la maggioranza sta

Recitando un rosario
di ambizioni meschine
di millenarie paure
di inesauribili astuzie
Coltivando tranquilla
l’orribile varietà
delle proprie superbie
la maggioranza sta
come una malattia
come una sfortuna
come un’anestesia
come un’abitudine

Per chi viaggia in direzione ostinata e contraria
col suo marchio speciale di speciale disperazione
e tra il vomito dei respinti muove gli ultimi passi
per consegnare alla morte una goccia di splendore
di umanità, di verità

Per chi ad Aqaba curò la lebbra con uno scettro posticcio
e seminò il suo passaggio di gelosie devastatrici e di figli
con improbabili nomi di cantanti di tango
in un vasto programma di eternità

Ricorda Signore questi servi disobbedienti
alle leggi del branco
non dimenticare il loro volto
che dopo tanto sbandare
è appena giusto che la fortuna li aiuti

come una svista
come un’anomalia
come una distrazione
come un dovere.

Fabrizio De André

 

“La mia famiglia” – Il grandioso monologo di Paola Cortellesi sulle condizioni delle donne e dei giovani di oggi – Un vero cazzotto nello stomaco…

Paola Cortellesi

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“La mia famiglia” – Il grandioso monologo di Paola Cortellesi sulle condizioni delle donne e dei giovani di oggi – Un vero cazzotto nello stomaco…

 

La mia famiglia

La mia famiglia siamo uno, mi chiamo Colacci Luciana, sto per venire al mondo, e non vedo l’ora, perché nella pancia si sta veramente strettissimi. Mamma nonostante sia incinta di nove mesi, lavora a servizio da una signora, papà lavora per un traslochi, si chiama Mario e si lamenta sempre che non c’ha una lira dice sempre: se andassi a rubare, sì che sarei ricco! La differenza tra mamma e papà è che mamma lavora e si sta zitta, e papà invece lavora e si lamenta. Appena nascerò però m’ha promesso che mi fasci adentro la bandiara della Lazio, sai che risate!

La mia famiglia siamo cinque, io sto alle elementari e i miei hanno fatto altri due figli a raffica dopo di me, alla seconda femminuccia mio padre ha rosicato, e s’è calmato soltanto quando è arrivato il maschietto, papà ci tiene al cognome, e nel nostro paese lo puoi mantenere solo se sei maschio. A casa c’è tanto rumore, la televisione, il traffico della tangenziale, i mie fratelli che stanno sempre a piangere, papà che russa. Io vorrei un po’ di silenzio, secondo me quando si fa troppo rumore le persone non riescono apensare e, così, ci si confone.

La mia famiglia siamo trenta, con i miei compagni di classe stiamo sempre insieme per strada, noi ragazze sognamo l’amore romantico sotto la luna piena, i ragazzi invece disegnano enormi peni, come si dice? Enormi peni, sul muro, di tutte le forme, certe volte pure con le variazioni sofisticate, io veramente non la capisco st’ossessione che c’hanno i maschi. L’anno prossimo vorrei tanto fare la scuola alberghiera, però non ce l’ho vicino casa, dietro casa c’è ragioneria, allora mio padre mi ha detto che devo fare ragioneria così vado a scuola a piedi e risparmiamo 36.000 lire al mese della tessera dell’autobus.

La mia famiglia siamo quattro, mi sono presa il diploma e ho cominciato a lavorare, prima a nero, e poi sono entrata nel delirio di sti contratti a termine e ho cominciato a capire come funzionano le cose, e ho capito che io un posto fisso non lo avrei avuto mai, vivo ancora a casa con i miei, ma a venticinque anni mi sento stanca come se ne avessi cinquanta, però sto lì e sto zitta. Quando è morto mio padre non è che c’aveva la pensione o l’assicurazione perché lavorava a nero come tutti quelli del quartiere nostro, c’ha lasciato quattro soldi e una 127 verde che quando arrivavo sotto casa tutti quanti strillavano : “Eccola là è arrivata Luciana col testaverde! Mia madre c’ha settantanni e sta ancora a sevizio, che ora la chiamano collaboratrice domestica, ma per tutti rimane sempre una sguattera. E, siccome che nella vita uno parla sempre del lavoro che fa, gli avvocati parlano dei processi, i medici delle malattie, mia madre parla solo di stracci e di sapone, forse è per questo che sono venuta su una ragazzetta pulita!

La mia famiglia siamo due, mi hanno fatto un contratto a termine in un’azienda, ogni sei mesi me lo rinnovano, oramai è un bel po’ che lavoro, ho conosciuto Stefano, ci siamo innamorati, ci siamo pure sposati, lui fa il muratore, mi rispetta e ci vogliamo proprio bene, viviamo in un monolocale in affitto fuori Roma a Guidonia, a 350 euro al mese, che poi è la metà di quello che guadagno. Le vacanze le facciamo a fine settembre perché costa di meno, l’altranno in calabria nella pensione ci stavamo solo noi due e una vecchia su una sedia a rotelle trascinata da una moldava scoglionata, pure il cinema all’aperto aveva chiuso. Quando non pioveva andavamo al mare alla spiaggia libera, un giorno siamo andati persiono a visitare Potenza, gli unici turisti nella storia di quella città! La gente ci guardava strano, dicevano: boh gli si sarà fermata la macchina proprio qua. E invece dei monumenti ci indicavano direttamente i meccanici, però io e Stefano ci ridevamo sopra, capito, stavamo noi due e stavamo bene. Settimana dopo tornavamo al lavoro, guardavamo le foto con gli amci, raccontavamo la vacanza, a noi ci stava bene pure così, perché un lavoro ce l’avevamo ancora, ripetitivo faticoso, mal retribuito, però almeno ci faceva sopravvivere, era una vita di merda sia ben chiaro, però era quello che ci era capitato, e a noi ci stava bene pure così.

La mia famiglia siamo due e mezzo, un bel giorno ho compiuto trentatrè anni e mi sono detta: ma mica devo morire sulla croce come Cristo, io ho ancora tutta la vita davanti, in azienda mi hanno pure promesso che se lavoro tanto, non baccaglio sullo stipendio da fame, non pretendo i buoni pasto e mi fermo quel paio d’ore in più al giorno senza che mi paghino lo straordinario, dice che sicuramente mi rinnovano il contratto e pare che l’anno dopo mi assumano in pianta stabile. E io faccio tutto, faccio tutto, faccio tutto mi sacrifico, mi spacco la schiena per settecento euro al mese, e in più sorrido sempre che manco mi era stato rischiesto, però faccio un errore solo, uno solo, in un momento di grande gioia e di allegria, decido di mettere al mondo una creatura, con Stefano c’avevamo tanta voglia, e invece di riceve una pacca sulla spalla, mi vengono a dire che non mi rinnovano il contratto, che l’azienda deve risparmiare, che mi ringrazia per il lavoro svolto ma non hanno più bisogno di me, e me lo dicono che sto al settimo mese di gravidanza, con mio marito che sta a lavorare in Germania, e mia madre che non gliela fa più manco a tenersi dritta con la schiena. E che dite? Ma come vado avanti io secondo voi? Che faccio mi vendo la 127?

La mia famiglia siamo tre milioni settecento cinquantasettemila, io faccio parte di quel 12% del paese che sta sotto la soglia di povertà, io non chiedo niente di speciale, io voglio solo essere ascoltata, io rivoglio la vita mia, rivoglio lo stipendio basso mio, voglio essere premiata perché metto al mondo una creatura. Una donna se rimane incinta e non ha il contratto protetto rimane sull’astrico, io non lo voglio il macchinone, i capelli me li tingo da sola, ma ridatemi lo stipendio mio! Io non sono pazza, io sono soltanto stanca!
Il piccolo mario è nato, pesava nemmanco due kili, però non ha versato nemmeno una lacrima, ci ha guardato dritto negli occhi, sembrava un piccolo guerriero silenzioso. Nostro signore ha detto che gli ultimi saranno i primi, non ha detto di preciso quando.

La mia famiglia siamo tre.

QUI il video:

Un racconto di Silvestro Montanaro: “Esiste una colla speciale per riattaccare i piedi?”

 

racconto

 

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Un racconto di Silvestro Montanaro: “Esiste una colla speciale per riattaccare i piedi?”

tratto da RAIAWADUNIAUn blog da seguire…

 

Esiste una colla speciale per riattaccare i piedi?

Dov’è il pallone?

Non riesco a vederlo…Per la verità non riesco a vedere nulla, solo ombre e mi scoppia la testa.

Devo riuscire a trovarlo.

Mio fratello me la farebbe pagare carissima se non glielo riporto. É l’unico pallone sopravvissuto qui nel nostro

villaggio. Vecchio, sporchissimo e mille volterattoppato, ma è l’unico. Vale più di un tesoro.

Me lo ha prestato dopo settimane di preghiere e mille piccoli favori. Ha pure preteso in cambio

l’uso permanente del mio temperino con il manico d’osso, un regalo del nonno. Poi mi ha

detto di aspettarlo e non cercare di scoprire doveandava. Eh, si, lo tiene ben nascosto il suo

tesoro.

Ci ho provato un milione di volte a trovarlo, ma niente. Quello, è davvero furbo..

Quando è tornato, lo aveva tra le mani. Mi ha fissato con occhi di fuoco.

<< Se si rompe….se te lo fai fregare…non tornare a casa perché, giuro, ti faccio a

pezzi…>>.

Poi me lo ha consegnato e ho sentito il cuore accelerare. L’ho stretto tra le mani e sono corso

fuori. Ho raggiunto i miei amici e l’ho sollevatoverso il cielo tra ululati di gioia.

Mi chiamo Samir ed ho 10 anni. Vivo in un piccolo villaggio non troppo lontano dalla

grande Aleppo, una delle città più belle del mio paese, la Siria. Da noi c’è la guerra. Non ho mai

capito perché, nessuno sa spiegarmelo. So solo che è una cosa brutta, bruttissima in cui viviamo

da tanti anni.

Ero piccolissimo e già c’era la guerra. E con la guerra mille problemi e tanta paura. Mangiare

poco e certe volte proprio niente. La scuola chiusa. Papà portato via da uomini armati che

hanno rubato tutto il possibile da casa nostra. Anche il televisore. É stato allora che Alì, mio

fratello, ha nascosto chissà dove il pallone.

Mamma dice che papà prima o poi torna, ma una volta l’ho sentita piangere con le sue amiche.

<< Lo hanno ucciso. Lo hanno fatto fuori come una pecora. Lo hanno sgozzato e lasciato

soffocare nel suo sangue…>>.

Era buono e simpatico il mio papà. Mi manca. Mi manca da morire. Alle volte guardo il cielo e

gli parlo…

Tutto quello che ricordo, in questo momento, è che stavamo giocando a pallone, con un pallone

vero e non con la solita lattina o con una palla fatta di stracci.

Eravamo felici, ma davvero felici. Nonostante la guerra, nonostante la miseria, nonostante la

paura. Ho segnato un goal. Poi un altro. Tutti e due di sinistro, il mio piede migliore. Sono il capitano

della mia squadra ed i miei compagni mi chiamano Maradona.

Poi è venuta la pioggia…

In cielo sono comparsi degli aerei. Non so dire se erano quelli del governo o quelli degli altri.

So solo che dalle loro pance sono usciti dei puntini che in pochi secondi sono divenuti

sempre più grandi e poi ancora di più.

<< Scappate, scappate! >>, urlavano tutti. << Le bombe…le bombe…>>.

Tutti fuggivano come impazziti, ma io sono rimasto.

Dovevo recuperare il pallone. Alì, altrimenti, mi avrebbe fatto a pezzi….

Poi…boom…boom…

La terra tremava, le esplosioni erano come i tuoni di cento tempeste messe insieme e sempre più vicine. E mi sono

sentito sollevare da terra e volare. Poi il buio, non so più per quanto tempo…

Poi solo ombre e suoni smozzicati…

Pian piano la strana nebbia si dirada. Ricomincio a vedere, ma il mondo non è più colorato. É tutto

bianco e nero. Vedo gente accorrere, tutta sporcadi polvere. E sento le urla e i pianti della loro

disperazione. Mi stropiccio gli occhi e cerco il pallone.

E  finalmente lo vedo accanto alle macerie della casa che prima si erigeva ad un angolo dello

spiazzo dove eravamo venuti a giocare ed ora non c’è più.

Provo ad alzarmi, a correre a riprenderlo e sento il dolore. Un male orribile, un pulsare di fitte

dolorose ad una gamba.

La guardo. É lì come sempre, ma ho il pantaloncino strappato. E rivedo il rosso. Quello

del mio sangue.

Il mio piede, il sinistro, il mio piede buono, quello alla Maradona, è un po’ più

in là, reciso come quello di una bambola fatta a pezzi.

Non capisco, è tutto così strano…

Provo a rimetterlo al suo posto, ma niente, non si attacca. Solo altro terribile dolore.

Esiste una colla speciale per riattaccare i piedi?

 

da COL CUORE COPERTO DI NEVE di SILVESTRO MONTANARO

fonte: https://raiawadunia.com/tutto-il-mondo-e-presepe-esiste-una-colla-speciale-per-riattaccare-i-piedi/

Africa – Aiutarli a casa loro? Intanto, potremmo col cominciare a smetterla di rapinarli a casa loro…

Africa

 

 

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Africa – Aiutarli a casa loro? Intanto, potremmo col cominciare a smetterla di rapinarli a casa loro…

 

Dossier. Secondo il rapporto «Honest Accounts», a conti fatti il continente africano risulta essere creditore climatico e finanziario. E gli stessi africani nemmeno lo sanno

Nel 1989 la Campagna Nord-Sud (Biosfera, sopravvivenza dei popoli, debito) organizzò a Verona il convegno «Il Sud del mondo, nostro creditore». Trent’anni dopo, i politici occidentali amano invece lo slogan «aiutiamoli a casa loro» (sottotitolo: così non ci invadono).
Ma prendiamo il continente africano. Come diceva Leopold Senghor: «L’Africa ha dato tanto, ma gli stessi africani non lo sanno». Li informa e ci informa il rapporto Honest Accounts. How the world profits from Africa’s Wealth, preparato da una serie di organizzazioni britanniche e africane, fra le quali Global Justice Now e People’s Health Movement KenyaHealth Poverty ActionUganda Debt Network: «I 48 paesi dell’Africa sub-sahariana sono ricchi di risorse minerarie, lavoratori specializzati, nuove attività economiche e biodiversità. Ma sono a tutti gli effetti derubati da un sistema globale che avvantaggia una piccola minoranza consentendo alla ricchezza di uscire dall’Africa; così, secondo la Banca africana di sviluppo, 800 milioni vivono con meno di 4 dollari al giorno».

Nel 2015 il continente ha ricevuto 161,6 miliardi di dollari fra rimesse, prestiti e donazioni. Però di miliardi ne ha dati – diciamo persi – ben 202,9, sia direttamente sia indirettamente. Il suo credito è dunque pari a 41,3 miliardi di dollari.

Ecco i dettagli forniti da Honest Accounts. I paesi africani ricevono intorno ai 19 miliardi come donazioni, ma oltre il triplo di questa somma (68 miliardi) si disperde in uscite finanziarie illegali grazie a elusioni e falsificazioni da parte delle multinazionali, macchine saccheggiatrici che per le materie prime africane delle quali si occupano pagano pochissime tasse ai paesi ospiti, rifugiandosi con escamotages nei paradisi fiscali. Inoltre: all’Africa arrivano in rimesse dall’estero circa 31 miliardi, ma le multinazionali straniere spostano 32 miliardi di profitti nei loro paesi di provenienza. I governi africani, poi, sempre nel 2015, hanno ricevuto 32,8 miliardi di dollari in prestiti ma hanno pagato 18 miliardi per gli interessi. Altri 29 miliardi sono stati «rubati» all’Africa con la sottrazione abusiva di legname, con la pesca e il commercio illegale di piante e animali esotici. E poi ci sono i 10,6 miliardi di dollari di costi relativi all’impatto dei cambiamenti climatici, rispetto ai quali sia storicamente che attualmente l’Africa ha una responsabilità minima. Vanno aggiunti i 26 miliardi di dollari che il continente deve investire per i programmi di contrasto ai cambiamenti stessi.

Si può parlare di «maledizione delle risorse naturali»: la maggioranza delle popolazioni locali non ne trae benefici e le attuali modalità di estrazione conducono all’impoverimento e a mortali guerre per procura. Soprattutto da quando gli Usa hanno deciso di non lasciare più l’Africa agli ex colonizzatori europei – si pensi al Congo, con le sue riserve ancora intatte stimate intorno ai 24 trilioni di dollari, e con i milioni di morti nel conflitto. Ci sono, ovviamente, responsabilità condivise. I leader africani che non si allineano vengono assassinati, come accadde al burkinabè Thomas Sankara nel 1987 pochi mesi dopo il suo epico discorso all’Organizzazione per l’unità africana (Oua) sull’ingiustizia del debito.

Ha sottolineato Nathalie Sharples di Health Poverty Action, intervenendo giorni fa a Roma al convegno «I migranti, l’Africa, le nostre responsabilità» – organizzato dalla Federazione italiana emigrazione immigrazione e da Casa Africa: «Per onestà, la narrazione va cambiata. Altro che parlare di aiuti. Si dica che occorre procedere a riparazioni, a compensazioni in base al danno provocato. L’Occidente non è un caritatevole benefattore, come fa credere ai suoi cittadini i quali, dal canto loro, credono di cavarsela con piccole donazioni. Questa percezione è fuorviante, crea ostilità e impedisce la mobilitazione sulle cause reali della povertà: cambiamenti climatici, accordi commerciali ingiusti che rapinano le risorse naturali, paradisi fiscali, debito coloniale».

Honest Accounts propone un «programma onestà» in 9 punti. Fra questi: politiche economiche che portino a uno sviluppo equo; riparazioni obbligatorie da parte del Nord, previo calcolo delle responsabilità; contrasto ai paradisi fiscali; promozione di forme di attività economiche diverse dalle estrattive, e una tassazione maggiore su queste ultime; risarcimento dei costi climatici e serio impegno per riduzioni vincolanti delle emissioni di gas serra nel Nord.

A proposito di clima, Antonello Pasini, fisico del Cnr e coautore di Effetto serra effetto guerra (2017), ha ricordato al convegno di Roma che nel 2050 ben 143 milioni di persone saranno profughi ambientali. Nei dieci paesi saheliani più ambientalmente fragili, la diminuzione delle precipitazioni e l’aumento della temperatura aggravano i fenomeni di siccità e possono provocare distruzione dei raccolti, carestie. Ma la buona notizia è che una saggia restituzione internazionale può dar luogo a progetti win-win: con meno di 100 euro si recupera un ettaro di terre degradate in Africa. Questi interventi sono in grado di alimentare le popolazioni e allo stesso tempo di assorbire CO2 dall’atmosfera.

Ma non è tutto. Ai debiti dell’Occidente nei confronti dell’Africa subsahariana dovremmo aggiungere i danni bellici. Non solo gli africani arruolati a partire dalla prima guerra mondiale dalle potenze coloniali ma, in tempi recentissimi, l’intervento Nato in Libia nel 2011, su netto impulso della Francia, preoccupata fra l’altro che il dinaro d’oro proposto dalla Libia all’Africa minacciasse l’impero del franco Cfa nelle ex colonie subsahariane. Una guerra costata parecchio all’Africa. Sia per le centinaia di migliaia di sub-sahariani (oltre ai nordafricani) che lavoravano nel paese bombardato e ora smembrato, ma anche per un altro enorme danno sociale: la diffusione del terrorismo che ora infetta il Sahel grazie alle armi saccheggiate o ricevute dai gruppi di «ribelli». Per questo, in testa alla lista del da farsi dovrebbe campeggiare un: «Non bombardiamoli».

Tratto da: il manifesto, EDIZIONE DEL 20.12.2018

Tiziano Terzani: La presunzione dell’uomo bianco

 

Terzani

 

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Tiziano Terzani: La presunzione dell’uomo bianco

Tiziano Terzani: La presunzione dell’uomo bianco

“Gli aborigeni vivevano in questo continente straordinario che è l’Australia con una civiltà che aveva modi di comunicare al di là di ciò che noi conosciamo: le parole… È arrivato l’uomo bianco e soltanto il vederlo, soltanto il vederlo, ha distrutto questa civiltà”.

Tiziano Terzani espone il grande problema della civiltà  occidentale, la presunzione dell’uomo bianco che crede di essere superiore a tutti gli altri abitanti della Terra. Chiarisce come la civiltà occidentale, che si considera più evoluta di altre, abbia cancellato tradizioni millenarie come quelle legate alla popolazione aborigena.

Tutta la nostra società è fatta per dare corda, invogliare alla violenza E allora violenza produce violenza, non c’è niente da fare. Il mondo non è più quello che conoscevamo, le nostre vite sono definitivamente cambiate. Forse questa è l’occasione per pensare diversamente da come abbiamo fatto finora, l’occasione per reinventarci il futuro e non rifare il cammino che ci ha portato all’oggi e potrebbe domani portarci al nulla, alla fine…