Pronti all’accensione dei termosifoni? 7 consigli per risparmiare

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Pronti all’accensione dei termosifoni? 7 consigli per risparmiare

Ci siamo, o quasi. L’accensione dei termosifoni, in molte parti d’Italia, va messa all’ordine del giorno. Può venire utile la lista di suggerimenti messa apunto da Qundis – una delle aziende leader nel settore dei misuratori e dei sistemi per la contabilizzazione del calore –  per prepararsi alla nuova stagione e, al contempo, veder diminuire i propri costi in bolletta.

Fare un check-up del radiatore. La prima cosa da fare,  prima della riaccensione dei termosifoni è un’attività di spurgo: eliminare l’aria presente nei tubi è essenziale per il corretto funzionamento del termosifone. Una volta eliminata l’aria, è poi necessario effettuare una buona pulizia per rimuovere tutto ciò che può essersi depositato sui termosifoni durante la stagione estiva.

Liberare i radiatori da ogni impedimento: Per svolgere a pieno il proprio lavoro i termosifoni non vanno mai coperti in alcun modo. In caso di necessità, mensole sopra i caloriferi o specchi che li nascondono non dovrebbero mai avere una distanza inferiore ai 30 cm.

Installare dei dispositivi di contabilizzazione: È essenziale – e ormai obbligatorio – installare dei dispositivi di contabilizzazione del calore. Se non si disponesse ancora di tali strumenti, è opportuno pianificare i lavori per l’adeguamento a norma quanto prima. Anche perché avere la consapevolezza di quanto si consuma è il primo passo per risparmiare.

Monitorare costantemente i propri consumi: Interventi di automazione e monitoraggio degli impianti – che permettano di misurare, controllare e analizzare l’utilizzo dell’energia – offrono risultati concreti misurabili nel tempo. Il solo monitoraggio di tutti i propri consumi insieme alla tempestiva informazione del consumatore fa diminuire il consumo di calore fino al 30%.

Sfruttare la luce del sole di giorno ma dormire con le tapparelle abbassate: Sembra banale ma è essenziale durante il giorno far entrare la luce del sole in casa, in modo da sfruttarne il calore per scaldare i vari ambienti. È auspicabile aprire le finestre per far cambiare aria solo nelle ore più calde della giornata e per un tempo non superiore ai 15 minuti. Al contrario, in serata conviene abbassare le tapparelle per mantenere in casa il calore evitandone la dispersione.

Rispettare la propria zona climatica di appartenenza: Non c’è una data univoca a partire dalla quale è possibile accendere i termosifoni: nel 1993, infatti, è stata introdotta una norma sugli impianti termici degli edifici ai fini del risparmio energetico. Da quel momento il territorio italiano è stato suddiviso in sei zone climatiche che indicano i valori medi della temperatura e le relative disposizioni da seguire. È indispensabile rispettare queste disposizioni: chi vive nelle zone climatiche A e B potrà accedere i termosifoni dall’1 dicembre, chi nella zona climatica C dal 15 novembre, chi nella D dall’1 novembre e chi nella E già dal 15 ottobre. Milano, ad esempio, appartiene alla zona E, una fascia più critica a livello climatico che ha, quindi, meno limitazioni di Roma, che si trova nella fascia D o di Napoli, collocata in fascia C.

Modificare il proprio comportamento abituale: Spesso è l’utente stesso la causa del proprio male; aprire le finestre a qualsiasi ora del giorno, asciugare i panni sul termosifone, non avere idea dei propri consumi medi mensili sembrano piccolezze, ed invece tenere un comportamento più responsabile e attento agli sprechi può generare da sé un risparmio sul conteggio finale dei costi di riscaldamento pari al 20%. Ovviamente negli edifici di nuova costruzione, il comportamento dell’utente ha un maggiore effetto sul consumo energetico che in edifici di costruzione meno recente poiché la coibentazione e gli impianti di riscaldamento sono molto più efficaci.

tratto da: https://ilsalvagente.it/2018/10/30/pronti-allaccensione-dei-termosifoni-7-consigli-per-risparmiare/42517/

Una casa per tutti: costruire con il bambù

 

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Una casa per tutti: costruire con il bambù

Nel mondo mancano alloggi a prezzi accessibili. Il problema è così grande che in tutto il mondo servirebbero 3.000 miliardi di dollari. Solo nel 2015 sono stati spesi tra i 300 e i 500 miliardi di dollari.

Poiché l’edilizia popolare beneficia sia di sovvenzioni che di garanzie statali, i suoi risultati finanziari hanno attirato gli investimenti privati.

I programmi di edilizia popolare in Brasile offrono un’idea dell’entità della domanda su scala globale. Dal 2010 al 2014 il Brasile ha costruito 2 milioni di case popolari ad un costo medio di 15.000 euro l’uno, a fronte di un’iniezione di liquidità da parte dello Stato per 30 miliardi di euro.

Tuttavia, la domanda in Brasile è di 5,6 milioni di unità abitative, e così anche con questo sforzo straordinario, oltre il 60% delle famiglie bisognose è ancora lasciato senza casa.

Ciò crea molto spazio per iniziative private che integrano l’azione del governo. Il Sudafrica, alla fine dell’Apartheid nel 1994, aveva l’obiettivo dichiarato di costruire un milione di case in più, soddisfacendo oggi solo il 14% di quelle esigenze abitative.

L’investimento nell’edilizia popolare è l’unico settore edilizio caratterizzato da una crescita a livello mondiale e da un interessante ritorno sugli investimenti.

Ma c’è un problema?

Mentre nel settore immobiliare tradizionale c’è un guadagno che va dal 25% al 35% di utile sul capitale investito, i programmi di edilizia residenziale sostenuti dallo Stato, in generale, offrono solo il 10% di ritorno. Tuttavia, sono investimenti a basso rischio e che attraggono chi è in cerca di rendimenti stabili e sicuri.

Ecco cosa si può fare.

Architetti e urbanisti hanno speso molto tempo e impegno nella progettazione di case a prezzi accessibili, concentrandosi principalmente sulla riduzione dei costi, in particolare eliminando la manodopera attraverso sistemi di costruzione prefabbricati. Le case popolari in Brasile costano ancora 15.000 euro per unità, mentre in India l’investimento di capitale in una casa può arrivare fino a 4.500 euro. Ovviamente non sono prezzi alti e, inoltre, si offrono case migliori delle baraccopoli, ma non consentono di avere case soddisfacenti.

Uno dei problemi principali è che l’edilizia popolare consuma enormi quantità di cemento e calcestruzzo e questo crea importanti emissioni di gas a effetto serra.

Da qui l’innovazione.

Simon Velez, architetto colombiano, e Marcelo Villegas, ingegnere di spicco, hanno beneficiato entrambi del grande lavoro pionieristico di Oscar Hidalgo, il maestro dell’architettura del bambù. Si resero conto che quando gli spagnoli colonizzarono gli altopiani andini della Colombia e dell’Ecuador, non incontrarono foreste pluviali, ma piuttosto scoprirono massicce foreste di bambù dominate dalla Guadua angustifolia, un’erba gigante che poteva produrre per settant’anni fino a sessanta pali da 25 metri all’anno.

Il bambù è un ottimo materiale da costruzione, e come testimonianza si trovano ancora centinaia di case coloniali di più di 200 anni. In Cina ce ne sono molte e quelle più antiche si dice abbiano 3.000 anni. Così Simon e Marcelo studiarono cosa si poteva fare per poter costruire case per tutti senza generare rifiuti e gas serra.

Simon capì che il bambù ha bisogno di essere protetto dal sole e dalla pioggia, mentre Marcelo progettò un’ingegnosa tecnica di giunzione.

Quando Klaus Steffens, dell’Università di Brema, ha eseguito le stesse prove, è rimasto così impressionato che si è impegnato a ottenere una licenza edilizia per questo materiale da costruzione naturale e per questa innovativa tecnica costruttiva. Il bambù non è solo un acciaio vegetale, ma è anche bello e, inoltre, contribuisce al problema dell’anidride carbonica.

Simon ha rapidamente convertito il successo dei suoi progetti in programmi di edilizia popolare in risposta al terremoto che ha colpito la regione Eje Cafetero, donando i disegni al governo locale per l’uso open source.

Sessantacinque pali di bambù bastano esattamente per costruire una casa di 65 metri quadrati a due piani con un grande balcone. Questo edificio costa meno di 15.000 dollari, e mentre la maggior parte della popolazione considera il bambù un simbolo di povertà, questa casa con un balcone (simbolo della classe media superiore) ha trasformato la costruzione in una casa molto desiderata. A dieci anni di distanza da questi edifici pionieristici sparsi in tutta l’America Latina, gli alloggi in bambù si sono affermati come una delle più promettenti innovazioni nella progettazione di edifici a emissioni zero sia per i ricchi che per i poveri.

Ma c’è qualcosa di più.

Simon e Marcelo non si sono mai preoccupati di brevettare nessuna delle loro invenzioni, ma hanno condiviso liberamente le loro intuizioni, trascorrendo molto tempo con i lavoratori che spesso non sanno leggere o scrivere, per trasferire le loro intuizioni sulle tecniche su come costruire. Migliaia di edifici sono emersi in tutto il mondo utilizzando questa tecnica open source, riassunte nel libro “Crescere la propria casa”.

Oggi oltre un miliardo di persone vivono in case di bambù, sono nati posti di lavoro, si è risparmiato CO2, ma pochi si rendono conto che le foreste di bambù temperano l’effetto isola di calore, con fino a dieci gradi in meno.

Abbiamo di fronte un programma di edilizia popolare che fornisce acqua potabile supplementare e abbassa la temperatura della Terra. Mettiamolo in atto.

fonte: http://www.beppegrillo.it/una-casa-per-tutti-costruire-con-il-bambu/

Ricordate l’Agente Smith in Matrix? “L’essere umano è un virus, è un’infezione, una piaga, un cancro su questo pianeta” …Forse aveva ragione: Abbiamo cancellato dal Pianeta il 60% delle specie animali in soli quarant’anni…!

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Ricordate l’Agente Smith in Matrix? “L’essere umano è un virus, è un’infezione, una piaga, un cancro su questo pianeta” …Forse aveva ragione: Abbiamo cancellato dal Pianeta il 60% delle specie animali in soli quarant’anni…!

 

Prima di leggere l’articolo, ecco cosa dice l’agente Smith a Morfeus…

La popolazione mondiale continua a crescere, le foreste abbattute per creare campi agricoli, abbiamo riempito il pianeta di pozzi, raffinerie, impianti chimici, plastica nel mare, abbiamo causato cambiamenti climatici, abbiamo praticato la pesca irresponsabile, tollerato i bracconieri nelle foreste, ci siamo avvelenati con i pesticidi e tutti vogliono vivere come gli occidentali, portando al consumismo sfrenato a livello planetario.

Siamo oggi a 7.5 miliardi di persone, il doppio di 40 anni fa.

Trecento specie di mammiferi sono in via di estinzione perche’ ne mangiamo troppi.

Abbiamo usato energia, terra ed acqua piu di quanto non potessimo permetterci.

Dal 1950 ad oggi abbiamo tirato su dal mare 6 miliardi di pesci, grazie alla pesca industriale, sostiutendoli con plastica.

Il 90% dei coralli a livello mondiale e’ a rischio di estinzione.

Abbiamo abbattuto le foreste per farci piantagioni di soya o di olio di palma.

Nella savana tropicale ogni due mesi scompare un area grande quanto Londra.

Le meta’ delle orche assassine morira’ per inquinamento chimico nel mare.

Il risultato di queste nostre azioni e’ del tutto consequenziale: il numero di animali che vivono allo stato selvaggio e’ in declino, con la scomparsa del 60% delle specie animali nel corso degli scorsi 40 anni.

Sono cifre impressionanti, rilasciate dal WWF mondiale Living Planet Report 2018. 

Lo studio ha coinvolto 59 scienziati in tutto il pianeta ed ha concluso che noi uomini stiamo distuggendo gli equilibri che in milioni di anni ci hanno permesso di sviluppare la nostra civita’, basata su acqua pulita e aria respirabile.

Sono stati studiati gli impatti dell’attivita’ umana su popolazioni di mammiferi, uccelli, pesci, anfibi e rettili, dal 1970 al 2014, e l’analisi ha riguardato 4,005 specie animali distinte, con 16,704 esemplari in totale. di Appunto, il 60% delle specie selvagge e’ andato estinto.

Le popolazioni di rinoceronti sono calate del 63% fra il 1980 e il 2006 a causa del mercato illegale delle loro corna.

Le popolazioni di orsi polari, gia’ in declino, caleranno del 30% entro il 2050 a causa dello scioglimento delle nevi.

Le popolazioni di squali nell’oceano indiano e in quello pacifico sono scese del 63% negli scorsi 75 anni.

Le popolazioni di pappagalli grigi africani nel Ghana sono calate del 98% fra il 1992 e il 2014 a causa della perdita di habitat.

Le popolazioni di pulcinelle di mare, uccelli acquatici, in Europa caleranno del 79% fra il 2000 e il 2065.

Le specie piu a rischio sono nei Caraibi e nell’America centrale e meridionale, con il declino dell’83% delle specie animali selvagge e dei pesci, dal 1970 al 2014. A rischio oranghi-tanghi, rinoceronti, elefanti, e altre specie della foresta tropicale.

La cosa importante da ricordare e’ che le foreste non sono terra sprecata, di nessuno, oppure un qualche cosa di carino, ma tutto sommato nonesseniziale. La natura ci consente di vivere, e’ il nostro habitat.

Le foreste mantengono un sacco di equilibri climatici, con gli alberi e l’assorbimento di CO2. Ma gli alberi sono la casa di tante specie animali che vivono in simbiosi con lei: gli animali fertlizzano la terra, e aiutano a diffondere i semi; estinti gli animali, la foresta ne soffre, e viceversa, senza foresta gli animali selvatici non hanno casa.
Perche’ non ne parliamo troppo della diversita’ che continua a declinare? Perche’ e’ un processo incerementale, che accade lontano. Non ce ne accorgiamo, gli squali e gli orsi sono fuori dagli occhi, fuori dal cuore.

E invece occorrerebbe ripensare lo status quo, smettere il sovrasfruttamento del pianeta e dei costi in tutto quello che facciamo. Le risorse naturali, si calcola, se dovessero essere quantificate in una cifra economica sarebbero $125 trillioni di dollari.

Tutto quello che abbiamo cercato di fare finora, non e’ stato sufficente ed occorre fare di piu’.

Si e’ gia’ parlato della sesta estinzione di massa, causata da noi uomini.

Perche’ la cosa migliore e’ mangiare meno carne? Perche’ la deforestazione e’ dovuta alla produzione di soya spesso esportata per dare da mangiare a maiali e a galline. Anche i corpi d’acqua, fiumi e laghi sofforono perche’ l’acqua viene usata a scopi di irrigazione per queste enormi piantagioni.
Il mondo parlera’ di tutte queste cose nel 2020, ad un meeting all’ONU per discutere ancora, di cambiamenti climatici, di oceani e biodiversita’.
Chissa’ quante altre specie saranno perse in questi due anni che ci stanno avanti.  Chissa’ quante parole nel frattempo.
tratto da: https://dorsogna.blogspot.com/

 

Che strani i visi pallidi… Uno straordinario pensiero di Toro Seduto

 

Toro Seduto

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Che strani i visi pallidi… Uno straordinario pensiero di Toro Seduto

 

“Che strani gli uomini bianchi…
I visi pallidi vogliono arare la terra e sono malati di avidità.
Hanno fatto molte leggi,
e queste leggi i ricchi possono infrangerle,
ma i poveri no.
Nella loro religione i poveri pregano, i ricchi no.
Tolgono denaro ai poveri e ai deboli
per sostenere i ricchi e i potenti.“

Toro Seduto

 

Chi era Toro Seduto…

Toro seduto: la storia di un uomo leggendario

Toro Seduto nacque nei pressi del Grand River (Sud Dakota), nel 1831 (circa), e morì nei medesimi luoghi nel 1890.

E’ universalmente considerato il più celebre capo indiano, perché durante la sua vita seppe incarnare le virtù degli indiani delle pianure, che, unite ad una grande forza e ad un immenso coraggio, lo resero un condottiero amato dai suoi amici e temuto dai suoi avversari.

Toro seduto guidò l’alleanza di tutte le tribù Sioux nella resistenza indiana contro l’invasione dei bianchi nelle Grandi Pianure. Non si fidò mai degli “americani” e non firmò mai con loro alcun trattato. Sotto la sua bandiera si raccolse la più grande coalizione di pellerossa di ogni tempo, che riuscì a sconfiggere l’esercito guidato dal Generale Custer.

Non divenne famoso per il suo coraggio o per i suoi atti eroici, ma per le sue capacità tattiche e organizzative nell’insurrezione contro gli americani, di cui sarebbe diventato il nemico più accanito e pericoloso.

Era un uomo forte, un po’ tarchiato, con un viso intenso ricoperto da cicatrici, pelle piuttosto chiara e capelli castani che portava legati in due grandi trecce. Era un “politico” di razza; aveva il dono di affascinare chi gli stava vicino e di sapersi contornare di uomini capaci, valorosi e fedeli. Come oratore, grazie alle sue argomentazioni chiare e convincenti, possedeva una grande forza di persuasione. Veniva interpellato in molte occasioni, anche politiche, tanto che era diventato il punto di riferimento principale per risolvere le controversie tra Sioux.

La vita di Toro Seduto è conosciuta perché la illustrò personalmente attraverso la scrittura pittorica. E dai disegni si evince che fino al 1870 aveva preso parte a sessantatré battaglie (la prima a 14 anni), sia contro la tribù dei Corvi (i nemici storici), che contro gli invasori bianchi. Più tardi era diventato un allevatore di cavalli e poi nominato stregone degli Hunkpapa.

Nel 1863 fece visita alla tribù dei Santee nella riserva destinata loro dai bianchi; vedendo come erano miseramente trattati, in lui aumentò la rabbia e il rancore per i coloni americani. Da quel momento combattè con ogni mezzo i soldati che, infischiandosene delle promesse e dei trattati, continuavano a invadere e occupare i territori dei Sioux. Ancor giovane, Toro Seduto divenne il leader della Società dei Guerrieri Coraggiosi e, più tardi, membro autorevole dei Silent Eaters – Mangiatori Silenziosi – un gruppo responsabile del benessere tribale.

Nel giugno del 1863 avvenne il suo primo scontro con i soldati americani.

Nel 1865 guidò l’assedio a Fort Rice, da poco insediato nei territori dell’odierno Nord Dakota.

Rispettato ormai da tutti per la intelligenza e la sua audacia, nel 1868 divenne capo della Nazione Lakota.

Nel 1872, durante una battaglia contro i soldati, nei pressi della ferrovia dello Yellowstone River, Toro Seduto (con altri quattro guerrieri) si sedette con tranquillità tra le due linee che combattevano, fumò la pipa mentre le pallottole fischiavano sopra la sua testa, la arrotolò quando finì e, con estrema noncuranza andò via camminando. Dopo quel gesto il coraggio di Toro Seduto divenne leggendario.

Nel 1874, una spedizione di coloni scoprì ingenti quantità d’oro nelle Black Hills (Colline Nere), situate nel territorio Dakota, su un’area sacra a molte tribù e preclusa agli insediamenti colonici dal Trattato di Fort Laramie (stipulato tra i bianchi e alcune tribù pellerossa nel 1868). In barba a quel divieto i cercatori d’oro invasero le Colline Nere provocando la reazione dei Lakota. Quando il successivo tentativo del Governo degli Stati Uniti di acquistare le Black Hills fallì, il trattato di Fort Laramie fu messo da parte e il commissario americano per gli affari indiani decretò che tutti i Lakota al di fuori delle riserve dopo il 31 gennaio 1876 sarebbero stati considerati ostili.

Non volendo cedere alle prepotenze dei bianchi, Toro Seduto riunì le tribù Lakota, Cheyenne e Arapaho e le guidò nella Danza del Sole, offrendo preghiere a Wakan Tanka, il Grande Spirito, e tagliando le sue braccia cento volte in segno di sacrificio. Durante la cerimonia ebbe la visione di soldati che cadevano nel campo dei Lakota, come cavallette dal cielo.

Ispirato dalla visione, il capo guerriero degli Oglala Lakota, il celeberrimo Cavallo Pazzo, condusse in battaglia 500 guerrieri, e il 17 giugno 1876 colse di sorpresa le truppe di Crook, costringendole alla ritirata. Per celebrare la vittoria, i Lakota si diressero nella valle del fiume Little Big Horn, dove furono raggiunti da altri 3000 indiani che avevano lasciato le riserve per unirsi a Toro Seduto.

In quel luogo, il 25 giugno, furono attaccati dal Settimo Cavalleggeri comandato dal Generale Custer, che però venne interamente annientato (come aveva predetto Toro Seduto nella sua visione).

La sete di vendetta portò gli americani a concentrare in quell’area migliaia di soldati, e i rapporti di forza si ribaltarono al punto che la maggioranza dei capi Lakota, che nel frattempo s’erano di nuovo divisi, nel giro di un anno dovettero arrendersi.

Toro Seduto non fu tra questi, e nel maggio 1877 riparò con la sua gente in Canada. Poco dopo il Generale Terry gli offrì, in cambio del perdono, di farlo stabilire in una riserva, ma il grande Capo indiano non prese neanche in considerazione l’ipotesi.

Quattro anni più tardi, tuttavia, il 19 luglio 1881, viste le enormi difficoltà nello sfamare la sua tribù (il Bisonte in quelle zone era ormai quasi estinto), Toro Seduto si arrese. Consegnò il fucile al comandante di Fort Buford in Montana e chiese di attraversare il confine canadese e di risiedere in una riserva sul Little Missouri River, presso le Colline Nere. In un primo tempo fu inviato alla Riserva di Standing Rock e, successivamente, temendo nuove rivolte, a Fort Randall, dove trascorse due anni come prigioniero di guerra.

Infine, il 10 maggio 1883, Toro Seduto potè ricongiungersi alla sua gente a Standing Rock.

Nel 1885 lasciò la riserva (su permesso degli americani) per lavorare nel Buffalo Bill’s Wild West (lo spettacolo del leggendario Buffalo Bill), dove veniva pagato 50 dollari la settimana per un giro a cavallo dell’arena (guadagnando anche con gli autografi e le fotografie). Quattro mesi dopo però abbandonò il Circo e fece ritorno tra la sua gente, incapace com’era di integrarsi nella società dell’uomo bianco.

Tornato a Standing Rock si stabilì sul Grande Fiume, dove era nato, rifiutando di rinunziare alle sue tradizioni, come imponevano i regolamenti della riserva. Continuò a vivere con due mogli e a rifiutare la cristianità, ma non mancò di mandare i suoi figli a una vicina scuola cristiana, convinto com’era dell’importanza dell’istruzione per le future generazioni Lakota.

Nell’autunno del 1890, un Lakota Miniconjou di nome Orso Scalciante gli recò notizia della preparazione di una Danza degli Spiriti, che avrebbe scacciato i bianchi dalle loro terre e ristabilito il modo di vivere degli indiani. Le autorità bianche di Standing Rock, temendo che Toro Seduto potesse partecipare al rito, inviarono 43 poliziotti Lakota a prelevarlo. Il 15 dicembre 1890, prima dell’alba, i poliziotti irruppero nella cabina di Toro Seduto e lo trascinarono all’esterno, dove i suoi seguaci stavano accorrendo per proteggerlo. Nel conflitto a fuoco che seguì un poliziotto Lakota lo colpì al capo ferendolo a morte, e giustiziando a sangue freddo anche suo figlio diciassettenne, che aveva implorato di essere risparmiato.

Toro Seduto probabilmente non venne ucciso incidentalmente, dato che i bianchi, visto il suo carisma, lo percepivano come un pericolo costante per la loro sicurezza.

Come successe ad altri capi indiani, anche Toro Seduto cadde per mano di un appartenente al suo stesso popolo. Fu sepolto a Fort Yates, in Nord Dakota, e nel 1953 i suoi resti furono trasferiti a Mobridge, nel Sud Dakota, dove riposano sotto un cippo di granito che segna la sua tomba.

 

 

Buon compleanno Bud – Il 31 ottobre di 90 anni fa nasceva il mitico Bud Spencer. Vogliamo ricordarlo, insieme a Terence Hill, con una delle più divertenti scene del cinema Italiano – da: “Lo chiamavano Trinità”, la partita di poker.

 

Bud Spencer

 

 

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Buon compleanno Bud – Il 31 ottobre di 90 anni fa nasceva il mitico Bud Spencer. Vogliamo ricordarlo, insieme a Terence Hill,  con una delle più divertenti scene del cinema Italiano – da: “Lo chiamavano Trinità”, la partita di poker.

 

Bud Spencer e Terence Hill in uno dei loro più celeberrimi spaghetti-western siedono al tavolo verde. Un pezzo epocale tutta da vedere.  Terence Hill sfida una leggenda delle carte al tavolo. Indimenticabile la sfida di “smazzate” iniziale, preludio delle mazzate successive ed ad un finale con il botto. Ma la chicca è il Bid Spencer – Bambino sornione e indolente… Grandiosi.

 

Le notizie che ci piace dare – Il grande cuore di Napoli, tutti in fila al Plebiscito per salvare il piccolo Alex…

 

Napoli

 

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Le notizie che ci piace dare – Il grande cuore di Napoli, tutti in fila al Plebiscito per salvare il piccolo Alex…

 

Da Il Mattino:

Il grande cuore di Napoli, tutti in fila al Plebiscito per salvare il piccolo Alex: «Ma i tamponi stanno finendo»

I giovani di Napoli in fila per aiutare Alex. Hanno tra i 16 e i 36 anni i ragazzi e le ragazze che da questa mattina hanno affollato piazza Plebiscito per dare una speranza ai genitori di Alessandro Maria Montresor, il bimbo che ha urgente bisogno di un trapianto di midollo a causa di una rara malattia genetica. Sono la generazione dei social social network, che «per una volta – spiega una ragazza in attesa della tipizzazione – riescono a coinvolgere le persone per delle iniziative importanti come questa».

Già dalle 8.30 di questa mattina una folla di persone si era compattata in una lunga fila che da Palazzo Reale arrivava fino al colonnato della Basilica di San Francesco di Paola. Una grande risposta di solidarietà, che dopo tre ore ha già visto utilizzati 700 tamponi su una fornitura complessiva di 1.150, con il rischio di non risucire a portare a termine le operazioni per la ricerca del donatore. È per questo che Michele Franco, presidente Admo Campania, ha lanciato un appello alle associazioni di donatori di sangue. «Siamo venuti qui con 1.150 tamponi salivari, ce ne restano solo altri 300. Facciamo un appello alle associazioni dei donatori di sangue, Avis, Croce Rossa, Frates, Fidas: se hanno a disposizione delle autoemoteche per fare il prelievo di sangue, li aspettiamo in piazza. Ci sono tanti ragazzi, e noi stiamo terminando i tamponi. Abbiamo già messo in campo tutte le nostre forze».

Napoli ha risposto con un cuore così grande all’appello lanciato attraverso i social dai genitori del bimbo, che già a metà mattinata i volontari dell’Admo si sino resi conto che i kit a loro disposizione non sarebbero bastati fino alle fine della giornata. «Per i prossimi appuntamenti sono in arrivo altri 3.500 tamponi che dovrebbero arrivare tra lunedì e martedì, perché nel weekend i trasportatori non lavorano – ha spiegato Franco –  Domani dovremmo essere a Caserta, se non avremo tamponi proseguiremo solo con le adesioni per il registro dei donatori e poi le persone saranno chiamate per un altro evento. Lunedì e martedì saremo in università e abbiamo in programma tante altre iniziative in Campania che però abbiamo messo in stand by finché non arriveranno altri tamponi salivari». Ieri la presidente nazionale Admo aveva lanciato un appello al ministro della salute Grillo. «Ha assicurato che sarebbero arrivati 2000 tamponi ma al momento non abbiamo ricevuto nulla – ha continuato il presidente Admo Campania – Se ci fossero già stati recapitati oggi saremmo arrivati anche a un numero di 3.000 persone».

Le possibilità di trovare un donatore di midollo compatibile con quello di Alex sono una su 100mila. «Un’impresa non semplice – ha commentato Ugo Ricciardi, presidente dell’associazione Aile, che dal 2015 si occupa di promuovere la ricerca per combattere la stessa malattia rara che ha colpito il piccolo Alessandro. Oggi Alex non trova un donatore compatibile nella banca dati mondiale, si sta sottoponendo a un protocollo che tra cinque settimane avrà fine. Ma non è detto che non sarà più con noi». Le sue difese immunitarie però saranno indebolite, e anche un semplice raffreddore a quel punto potrebbe essergli fatale.
fonte: https://www.ilmattino.it/napoli/cronaca/napoli_tutti_fila_plebiscito_per_salvare_alex-4067732.html

Creme antirughe, alcune funzionano veramente, altre sono spazzatura. Ecco l’interessantissimo test della rivista francese 60 Millions de Consommateurs

 

Creme antirughe

 

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Creme antirughe, alcune funzionano veramente, altre sono spazzatura. Ecco l’interessantissimo test della rivista francese 60 Millions de Consommateurs

 

Creme antirughe, tre su dieci funzionano davvero

Chi non sogna di avere una pelle liscia e senza rughe anche in età avanza alzi la mano. Il mercato offre tanti prodotti cosmetici molti dei quali avrebbero effetti miracolosi. Purtroppo, però, nella maggior parte dei casi, mentono. E’ quanto ha messo in evidenza l’ultimo test della rivista francese 60 Millions de Consommateurs che ha confrontato 10 creme antirughe. Solo tre prodotti sono stati promossi perché superano la prova dell’efficacia: la crema Caudalia, Nuxe e Lei Cosmetique (il marchio Carrefour). Per valutarne l’efficacia, gli esperti della rivista hanno misurato gli effetti sulle rughe del viso di 20 persone che hanno utilizzato la crema per 28 giorni. L’ispessimento delle rughe è stato misurato con un dispositivo, il DermaTOPHE.

(continua dopo l’immagine)

Bocciate le altre 7 creme, principalmente perché hanno fallito nella prova regina (quella dell’efficacia) ma gli ultimi due, Nivea e Cien (Lidl) hanno deluso anche per la presenza di un filtro solare all’interno della loro composizione. Anche non considerando i filtri
UV, la maggior parte delle creme non brilla per gli ingredienti utilizzati. Le liste degli ingredienti, in molti casi, rivelano nomi di sostanze poco raccomandabili come allergeni e fenossietanolo, un conservante controverso.

 

fonte: https://ilsalvagente.it/2018/10/26/creme-antirughe-tre-su-dieci-funzionano-davvero/42324/

Se non vi vergognate già abbastanza di far parte della “razza umana”, leggete un po’ questo: “Leoni allevati in Sudafrica per diventare ingredienti di dolci, vino e medicine”

 

Leoni

 

 

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Se non vi vergognate già abbastanza di far parte della “razza umana”, leggete un po’ questo: “Leoni allevati in Sudafrica per diventare ingredienti di dolci, vino e medicine”

 

In Sudafrica succede che animali selvatici come leoni vengano allevati per poi commercializzare le loro ossa. Nonostante l’indignazione internazionale da parte delle organizzazioni per la conservazione, tutto ciò continua ad accadere. Ecco cosa viene denunciato in due report.

Nel 2017, il ministro dell’Ambiente sudafricano, Edna Molewa aveva fissato a quota 800 il numero di leoni da abbattere, ma nel 2018 lo stesso ministro ha quasi raddoppiato a 1500 e il Dipartimento per gli affari ambientali non ha mai specificato i motivi su cui stabilire o espandere la quota.

 A denunciarlo sono due ricerche investigative che raccontano il triste mondo dell’allevamento di leoni in cattività in Sudafrica dove gli animali selvatici ‘servono’ per il commercio di ossa, legale e illegale, in Asia.

Il primo report è The Extinction Business curato dalla EMS Foundation con BAN, Animal Trading, il secondo è The economics of captive predator breeding in South Africa prodotto dal South African Institute of International Affairs (SAIA).

Secondo i report si stima che tra 7mila e 8mila leoni vivano in cattività in 300 strutture, letteralmente sono allevati per la cosiddetta ‘caccia in scatola’, ovvero per le loro ossa che vengono poi utilizzate nella medicina cinese.

In realtà, le ossa di leone sono spacciate nel mercato nero come ossa di tigre che secondo i cinesi, avrebbero il potere di curare reumatismi e impotenza. Vengono poi utilizzate per produrre un dolce, una barretta fatta anche con guscio di tartaruga e il vino di ossa di tigre che conferirebbe a chi lo beve energia e vigore.

Il tutto è documentato nei report dove si sottolinea che nessun altro paese, oltre il Sudafrica è autorizzato ad esportare le ossa di leone. C’è poi da dire, denunciano i report, che non esiste un database, quindi non si sa neanche quante strutture ci siano o un numero reale dei leoni in cattività.

“Sono decisamente costernato perché non esistono legittime motivazioni scientifiche per esportare gli scheletri”, dice Luke Hunter, direttore della conservazione di Panthera, gruppo internazionale per la conservazione dei grandi felini.

Come funziona?

Lo scheletro di un leone può arrivare a costare fino a 1500 dollari, le ossa sono vendute a quasi 800 dollari al chilo. Queste vengono importate in Asia e poi rivendute a peso d’oro. Una relazione di CITES sostiene che nel 2017 sono stati esportati 3469 scheletri.

 

tratto da: https://www.greenme.it/informarsi/animali/29089-leoni-ossa-sudafrica

In arrivo la Cometa della morte: l’asteroide a forma di teschio che sfiorerà la Terra appena dopo Halloween

 

Cometa

 

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In arrivo la Cometa della morte: l’asteroide a forma di teschio che sfiorerà la Terra appena dopo Halloween

Un teschio appena dopo Halloween. Non è uno scherzetto che arriverà la sera del 31 ottobre, ma un asteroide che sfiorerà la Terra l’11 novembre, già soprannominato la Cometa della morte. Ufficialmente noto come l’asteroide 2015 TB145, passerà a “soli” 40 milioni di chilometri circa dal nostro Pianeta. Ma nessun pericolo per noi, nonostante la macabra forma.

L’osservazione era avvenuta nel 2015 tramite l’Infrared Telescope Facility (IRTF) della Nasa a Mauna Kea, nelle Hawaii, ma poi anche da strumentazioni ottiche e radar di tutto il mondo, dalle quali si erano ottenuti ancora più dati, tra cui le prime visualizzazioni ravvicinate della sua superficie e il calcolo del suo diametro, di circa 610 metri.

Il corpo celeste era stato soprannominato la Cometa della morte anche perché probabilmente l’oggetto è una cometa che ha perso la sua coda e la sua “vitalità” dopo i numerosi passaggi vicino al Sole. E certo la forma di teschio non aiuta a trovare un nome più allegro.

“Abbiamo scoperto che l’oggetto riflette circa il sei percento della luce che riceve dal Sole – aveva spiegato Vishnu Reddy, ricercatore Nasa presso il Planetary Science Institute di Tucson, in Arizona – È simile all’asfalto fresco, e mentre qui sulla Terra pensiamo che sia piuttosto scuro, è in realtà più luminoso di una tipica cometa che riflette solo il 3-5% della luce, il che suggerisce che potrebbe essere di origine cometaria, ma poiché non è una cometa evidente, la conclusione è che sia una cometa morta.

E ora, dai calcoli della stessa Nasa, passerà di nuovo vicino a noi, a “soli” 40 milioni di chilometri, l’11 novembre. Forse questa giornata si potrebbe considerare lontana da Halloween, ma qualcuno potrebbe osservare la coincidenza con l’estate di San Martino, leggenda che narra l’arrivo in modo inaspettato di splendide giornate di sole, mentre invece ci si aspetterebbe un brusco abbassamento delle temperature in vista dell’inverno che si avvicina.

Teschio come minaccia? Leggende e coincidenze a parte, evento sicuramente curioso ma del tutto scientifico, e che comunque non rappresenta alcuna minaccia per noi. Questa distanza, inoltre, non permetterà all’astro di essere più di un piccolo punto luce in cielo.

tratto da: https://www.greenme.it/informarsi/universo/29006-cometa-morte-halloween-teschio