“Qui, in pochi, nuotammo alle vostre spiagge. Ma che razza di uomini è questa?” – La fotografia della crudeltà della nostra civiltà odierna immortalata 2000 anni fa nei versi di Virgilio…

 

Virgilio

 

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“Qui, in pochi, nuotammo alle vostre spiagge. Ma che razza di uomini è questa?” – La fotografia della crudeltà della nostra civiltà odierna immortalata 2000 anni fa nei versi di Virgilio…

Da Fanpage:

“Ma che razza di uomini è questa?”: quei versi pro-migranti nell’Eneide di Virgilio

“Qui, in pochi, nuotammo alle vostre spiagge. Che razza di uomini è questa? O quale patria così barbara permette simile usanza? Ci negano il rifugio della sabbia; dichiarano guerra e ci vietano di fermarci sulla terra più vicina. Se disprezzate il genere umano e le armi degli uomini, temete almeno gli Dei”. Sono i versi dell’Eneide di Virgilio, che dopo duemila anni ci raccontano la tragedia del nostro Mediterraneo oggi.

Nel primo Libro dell’Eneide di Virgilio, mentre Enea e i suoi stanno per raggiungere le coste della Sicilia, dopo sette anni di navigazione, arriva la tempesta. La dea Giunone, da sempre ostile ai troiani, briga con Eolo, re dei venti, a scatenare una tempesta senza precedenti. Ma anche Enea ha i suoi santi in Paradiso e così, sostenuto da Nettuno, dio delle acque, si salva e con sette delle sue venti navi approda nelle coste della Libia. Qui dovrà convincere Didone, la regina di Cartagine, con una famosa orazione, per chiederle ospitalità:

Huc pauci vestris adnavimus oris. Quod genus hoc hominum? quaeve hunc tam barbara morem permittit patria? hospitio prohibemur harenae; bella cient primaque vetant consistere terra. Si genus humanum et mortalia temnitis arma, at sperate deos memores fandi atque nefandi.

Qui, in pochi, nuotammo alle vostre spiagge. Che razza di uomini è questa? O quale patria così barbara permette simile usanza? Ci negano il rifugio della sabbia; dichiarano guerra e ci vietano di fermarci sulla terra più vicina. Se disprezzate il genere umano e le armi degli uomini, temete almeno gli Dei, memori del bene e del male.

Sono i versi da 538 a 543 dell’Eneide di Publio Marone Virgilio, poema composto probabilmente tra il 29 a.C. e il 19 a.C., opera epica alla base della nostra cultura non solo perché narra la nascita di Roma, ma perché da oltre duemila anni racconta la “lotta per la vita” di un uomo e dei suoi compagni, narrando la leggendaria storia di un gruppo di profughi che, sfuggendo dalla guerra, viaggiarono tra tempeste, morti e naufragi per il Mediterraneo fino ad approdare nel Lazio, diventando il progenitore del popolo romano, i fondatori dell’Italia. Quella stessa Italia che oggi nega ad altri disperati l’approdo e, dunque, la salvezza. Che Nettuno sia con loro.

Fonte: https://www.fanpage.it/ma-che-razza-di-uomini-e-questa-quei-versi-pro-migranti-nelleneide-di-virgilio/