La grande, grande, grande lezione di Chitetsu Watanabe, l’uomo più vecchio del mondo: “Mantenete sempre il sorriso”

 

 

l’uomo più vecchio del mondo

 

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La grande, grande, grande lezione di Chitetsu Watanabe, l’uomo più vecchio del mondo: “Mantenete sempre il sorriso”

Il segreto di una lunga vita è “non arrabbiarsi e mantenere sempre il sorriso sul volto”, parola di Chitetsu Watanabe, l’uomo più vecchio del mondo che con i suoi 112 anni di età è entrato nel Guinness World Records. Nato a Niigata il 5 marzo del 1907, Chitetsu Watanabe infatti può contare sulla veneranda età di 112 anni e si appresta a festeggiare il suo 113esimo compleanno.

Per vivere a lungo bisogna arrabbiarsi il meno possibile e soprattutto mantenere sempre il sorriso  sulle labbra, parola di Chitetsu Watanabe, l’uomo più vecchio del mondo che con i suoi 112 anni di età è entrato nel Guinness World Records.

L’anziano giapponese è stato di recente ufficialmente inserito nel libro dei record con una cerimonia ufficiale durante la quale ha ricevuto l’attestato di uomo vivente più anziano attualmente sulla terra.

Un traguardo raggiunto dopo il decesso del precedente detentore del titolo, Masazo Nonaka, un altro giapponese morto il mese scorso a 112 anni e 266 giorni.

Nato a Niigata, nel nord-ovest del Giappone, il 5 marzo del 1907 Chitetsu Watanabe infatti può contare sulla veneranda età di 112 anni e dunque per lui quello del record rappresenta un regalo anticipato per il suo 113esimo compleanno che arriverà il  mese prossimo.

Di professione contadino, Watanabe da tempo è in pensione e attualmente vive in una casa di riposo nella sua città natale dove è avvenuta la cerimonia di consegna della certificazione del Guinness.

Padre di cinque figli, per decenni ha lavorato in una piantagione di canna da zucchero prima di andare in pensione e continuare a coltivare frutta e verdura nella fattoria di famiglia fino a 105 anni. Proprio i dolci sembrano essere la sua passione visto che, come lui stesso ha ammesso, ancora oggi si concede ogni tanto un budino al caramello, anche perché è tra i pochi dolci che non hanno bisogno di essere masticati visto che ormai non ha più denti

“Non l’ho mai visto alzare la voce o arrabbiarsi. Fin quando ha vissuto in famiglia si pendeva anche cura di nipoti e pronipoti e ha sempre contribuito a mantenere il sorriso e l’armonia tra i suoi parenti” ha raccontato una nuora”. Watanabe al momento è ancora lontano dal record mondiale per la longevità maschile, appannaggio di un altro giapponese, Jiroemon Kimura, morto nel 2013 poco dopo il suo 116esimo compleanno. Inarrivabile almeno per il momento l’attuale decano dell’umanità, Kane Tanaka, pensionata giapponese che ha celebrato il suo 117esimo compleanno il mese scorso.

fonte: https://www.fanpage.it/esteri/la-lezione-di-chitetsu-watanabe-luomo-piu-vecchio-del-mondo-mantenete-sempre-il-sorriso/
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15 febbraio 1898 – Nasceva Totò, il Principe della risata – Un ricordo…

 

 

Totò

 

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15 febbraio 1898 – Nasceva Totò, il Principe della risata – Un ricordo…

Antonio De Curtis, a tutti più noto come Totò, nasce a Napoli il 15 febbraio 1898, in via Santa Maria Antesaecula al rione Sanità, al secondo piano del civico 109.

La madre, Anna Clemente, lo registra all’anagrafe come Antonio Clemente e solo nel 1921 sposa il padre naturale, il marchese Giuseppe De Curtis che successivamente riconosce Antonio come suo figlio.

Nel 1933 il marchese Francesco Maria Gagliardi adotta Antonio trasmettendogli i suoi titoli gentilizi.

Solo a partire dal 1946 il tribunale di Napoli gli riconosce il diritto a fregiarsi dei nomi e dei titoli di: Antonio Griffo Focas Flavio Dicas Commeno Porfirogenito Gagliardi De Curtis di Bisanzio, altezza imperiale, conte palatino, cavaliere del sacro Romano Impero, esarca di Ravenna, duca di Macedonia e di Illiria, principe di Costantinopoli, di Cicilia, di Tessaglia, di Ponte di Moldavia, di Dardania, del Peloponneso, conte di Cipro e di Epiro, conte e duca di Drivasto e Durazzo.

È la madre la “inventrice” del nome Totò. È lei infatti che gli affibbia il celebre nomignolo. E la stessa madre tentò invano di introdurre il giovane figlio alla vita ecclesiastica. Spesso diceva  «Meglio ‘nu figlio prevete ca ‘nu figlio artista»…

Totò, particolarmente vivace e pieno di vita, all’età di quattordici anni lascia gli studi e diventa aiutante di mastro Alfonso, un pittore di appartamenti. L’amore per il teatro è l’altra causa del suo abbandono scolastico. Fra l’altro, nel collegio dove studiava venne colpito con un ceffone da un precettore che gli deviò il setto nasale. In seguito ciò portò all’atrofizzazione della parte sinistra del naso e quindi quella particolare asimmetria che caratterizza il volto del comico in maniera così inconfondibile.

Totò inizia a recitare giovanissimo in piccoli e scalcinati teatri di periferia proponendo al pubblico imitazioni e macchiette accolte inizialmente con poco entusiasmo.

A soli sedici anni ha l’amara impressione che la sua passione non può avere sbocchi significativi e si arruola come volontario nell’esercito, in cui però ben presto si trova a soffrire per le differenze gerarchiche che quella carriera comporta. Con un escamotage riesce a farsi ricoverare evitando di finire in prima linea allo scoppio della grande guerra. Sembra che fu proprio l’esperienza nell’esercito a ispirargli il motto “Siamo uomini o caporali

Alla fine della guerra Totò riprende la sua attività teatrale a Napoli, ancora con poco successo ma nel 1922 si trasferisce a Roma con la famiglia. Qui riesce a farsi assumere nella compagnia comica di Giuseppe Capece per poche lire. Quando chiede un aumento della paga Capece non apprezza la pretesa e lo licenzia.

Decide allora di presentarsi al Teatro Jovinelli dove debutta recitando il repertorio di Gustavo De Marco. E’ il successo. In breve tempo i manifesti riportano il suo nome a caratteri cubitali e fioccano le scritture nei teatri più famosi come, solo per citarne alcuni, il Teatro Umberto, il Triaton, il San Martino di Milano e il Maffei di Torino.

La vera consacrazione avviene a Napoli grazie alla rivista “Messalina” (accanto a Titina de Filippo). Intanto era anche nata la figlia Liliana dall’unione con Diana Bandini Rogliani, che sposerà nel 1935 (divorzierà quattro anni dopo in Ungheria, ma vivranno comunque insieme fino al 1950).

La forza di Totò sta principalmente nel forte carisma, cosa che lo differenzia notevolmente dagli altri attori. Nel suo spettacolo Totò non si limita a far ridere le persone ma trascina letteralmente il pubblico in un vortice di battute e situazioni, entusiasmandolo fino al delirio.

Il suo volto rappresenta davvero una maschera unica anche grazie alla capacità di utilizzare quell’asimmetria che caratterizza il suo mento per sottolineare momenti comici. Bisogna dire però che se il successo popolare è eccezionale ed indiscutibile, la stampa non gli risparmia critiche più o meno giustificate, sicuramente contrassegnate da un’eccessiva severità, dimostrando in questo di non capire il suo genio comico fino in fondo (viene tacciato di buffoneria e di ripetere troppo spesso le stesse battute).

Tuttavia per molti anni Totò è padrone del palcoscenico, recitando accanto ad attori famosissimi quali Anna Magnani e i fratelli De Filippo, in molte riviste di successo, continuando poi la sua carriera, com’è fisiologico, anche nel mondo del cinema. Già nel 1937 aveva debuttato nel cinema con “Fermo con le mani” e fino al 1967 interpreterà circa un centinaio di film.

Totò ha scritto anche diverse canzoni, fra cui vi è annoverata la celeberrima “Malafemmena”.

Nel 1952 si innamora di Franca Faldini cui resterà legato fino alla morte (dalla loro unione nasce un bambino che purtroppo muore poche ore dopo). Nel 1956 torna al teatro con la rivista di Nelli e Mangini “A prescindere”. Gli impegni della tournee gli impediscono di curare una broncopolmonite virale che gli provoca una grave emorragia all’occhio destro, l’unico da cui vedesse dopo il distacco della retina avvenuto per l’altro occhio vent’anni prima.

Pubblica anche una raccolta di poesie “‘A livella”, che fa seguito alla biografia “Siamo uomini o caporali?” di alcuni anni prima.

Nel 1966 il sindacato Nazionale Giornalisti Cinematografici gli assegna il secondo “Nastro d’argento” per l’interpretazione del film “Uccellacci e uccellini”, di Pier Paolo Pasolini, un grande intellettuale a cui si deve per certi versi lo “sdoganamento” di Totò. Per questo film Totò riceve anche una menzione speciale al Festival di Cannes. Ormai quasi cieco partecipa al film “Capriccio all’italiana” in due episodi: “Il mostro” e “Che cosa sono le nuvole” (sempre di Pier Paolo Pasolini).

Totò morì nella sua casa di Via dei Monti Parioli, 4; alle 3:35 del mattino (l’ora in cui era solito coricarsi era le 3:30 circa) del 15 aprile 1967, all’età di 69 anni: venne stroncato da un infarto dopo una lunga agonia, tanto sofferta che lui stesso pregò i familiari e il medico curante di lasciarlo morire. Proprio la sera del 13 aprile confessò al suo autista Carlo Cafiero: «Cafiè, non ti nascondo che stasera mi sento una vera schifezza». Secondo la figlia Liliana, le sue ultime parole furono: «Ricordatevi che sono cattolico apostolico romano», mentre a Franca Faldini disse: «T’aggio voluto bene Franca, proprio assai.»

Alle 11:20 del 17 Aprile 1967 la salma è trasportata nella chiesa di Sant’Eugenio in Viale delle Belle Arti. Sulla bara, la bombetta con cui aveva esordito e un garofano rosso. Alle 16:30 la sua salma giunge a Napoli accolta, già all’uscita dell’autostrada e alla Basilica del Carmine, da una folla enorme.

Viene sepolto nella cappella De Curtis al Pianto, nel cimitero sulle alture di Napoli, in località Capodichino.

Totò e la politica

Sebbene non si conosca con certezza il pensiero politico di Totò, si sa da fonti accertate che era fermamente contrario a qualsiasi forma di dittatura e supremazia (anche per le sue esperienze personali e per i suoi sbeffeggiamenti del potere), e sembra che, a detta di Franca Faldini, fosse di idee fondamentalmente anarchiche ed addirittura filo-comuniste.

In contrapposizione a ciò, ci sarebbe una fotografia del tedesco Eugenio Haas risalente al 1943, scattata sul set di Due cuori fra le belve e pubblicata sulla rivista “Film”, e che raffigurava l’attore con la “cimice”, ossia il distintivo del Partito Nazionale Fascista. Si racconta però che Totò sia stato costretto a posare per quella foto, la cui intenzione sarebbe stata quella di “punire l’audacia del comico”, poiché scherniva e derideva il regime fascista nei suoi spettacoli teatrali, cosa che difatti gli causò molti problemi durante la guerra.

D’altra parte la sua distanza dal regime è dimostrato dal suo continuo mettere in evidenza, in vari dei suoi film, la ridicola e grottesco realtà del ventennio fascista.

Il suo scandaloso «Viva Lauro!», esclamato durante Il Musichiere, venne naturalmente mal interpretato. Essendo un periodo delicato, in prossimità delle elezioni politiche, non era tollerabile che un personaggio conosciuto come Totò osannasse il capo di un partito politico, ma l’unico motivo della sua esclamazione era dovuto al fatto che Lauro avesse provvisto di case e alimenti gli abitanti dei “bassi” (le dimore più povere) di Napoli. Totò apprezzò solamente il gesto, essendo fortemente attaccato alla sua città natale.