“Io sono un delfino finito per caso a vivere sulla terra, ma il mio elemento è il mare” – Il 6 agosto di 26 anni fa l’addio a Domenico Modugno.

 

Domenico Modugno

 

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“Io sono un delfino finito per caso a vivere sulla terra, ma il mio elemento è il mare” – Il 6 agosto di 26 anni fa l’addio a Domenico Modugno.

Artista ineguagliabile dopo l’ictus che lo aveva costretto alla sedia a rotelle da senatore del Partito Radicale spese gli ultimi anni a occuparsi degli ultimi.

 

«Se potessero vedermi i miei genitori… »: questa frase Domenico Modugno, il bambino di Polignano a Mare e il ragazzo di San Pietro Vernotico, non l’aveva pronunciata quando aveva trionfato a Sanremo ed era diventato Mister Volare. L’aveva pronunciato quando, costretto dall’ictus su una sedia a rotelle, era diventato senatore della Repubblica e presidente del Partito Radicale ed aveva avuto l’onore di cantare al Teatro dell’Opera di Roma.

 

Come senatore radicale si era preso il compito di sostenere i diritti dei portatori di handicap, dei malati di mente, dei carcerati: si presentava senza preavviso all’ingresso dei manicomi, delle carceri e pretendeva di entrare mostrando il suo tesserino di parlamentare, per constatare le condizioni in cui versavano quegli istituti. Le visite si concludevano immancabilmente con clamorose denunce.
Mimmo aveva ripreso con la sua vita ‘eccessiva’, sempre a passo di carica. «Il mio cervello è rimasto svelto, è il mio corpo che è diventato lento, insopportabilmente lento» si lamentava con Franca perché non riusciva a dare alla sua vita il ritmo di una volta.
«Nei primi anni ha seguito le prescrizioni dei medici ma poi, quando ha ripreso a vivere» racconta Franca «non ha voluto vivere più da malato, voglio prendere dalla vita tutto quello che può ancora darmi, diceva». E quello che la vita poteva ancora dargli erano l’impegno sociale, l’amore della famiglia, i sapori, i colori, la natura, il mare. L’amatissimo mare. «Io sono un delfino» diceva «finito per caso a vivere sulla terra ma il mio elemento è il mare».
La sua ultima canzone, che volle incidere con suo figlio Massimo, dice che nel mare della vita loro sono delfini e quindi per loro vivere è “un gioco da bambini”.
Come deve essere stato “un gioco da bambini” morire, per Domenico Modugno, in una stupenda giornata di sole, il 6 agosto del 1994, nella sua villa di Lampedusa, accanto alla sua donna, di fronte al mare dove aveva nuotato poco prima per due ore, come un ritorno nel mare di Polignano dell’infanzia, come un ritorno nel liquido amniotico del grembo materno.

 

17 luglio 1936 – inizia la “Guerra Civile Spagnola”, sono le prove generali alla Seconda guerra mondiale

 

Guerra Civile Spagnola

 

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17 luglio 1936 – inizia la “Guerra Civile Spagnola”, sono le prove generali alla Seconda guerra mondiale

La guerra civile spagnola scoppia a causa dell’insurrezione guidata dai militari di ideologia fascista che sotto la guida del generale Francisco Franco si oppongono al Fronte popolare, che aveva vinto le elezioni nella giovane Repubblica iberica. Questa guerra dura dal 1936 al 1939 e rappresenta sotto alcuni aspetti un preludio alla Seconda guerra mondiale, di cui in Spagna si delineano già quelli che saranno i due opposti schieramenti: da un lato i fascismi e dall’altro tutti coloro che ad essi si oppongono. Inoltre in questa guerra si sperimentano quelle tecniche che diverranno tristemente note nel conflitto mondiale, come i bombardamenti sulle città, le rappresaglie e i rastrellamenti.

La Spagna dei primi anni ’30 e la vittoria del Frente Popular

Tra il 1923 e il 1930 in Spagna aveva governato il generale Miguel Primo de Rivera, che aveva instaurato un regime semi-dittatoriale con l’appoggio del re Alfonso XIII. Nel 1930 de Rivera è costretto a dimettersi a causa delle proteste interne e nel 1931 si svolgono le elezioni che segnano una netta vittoria delle forze di sinistra. A questo punto il re decide di abbandonare il paese e il 9 dicembre del 1931 viene proclamata la Repubblica. Il paese si trova in una situazione sociale ed economica di grande arretratezza: permangono rapporti sociali di tipo feudale poiché la maggior parte delle terre è in mano a grandi proprietari terrieri, tra cui la Chiesa Cattolica, che in Spagna in questi decenni si caratterizza per una visione del mondo particolarmente reazionaria.

Le prime riforme del governo repubblicano si concentrano quindi sulla riforma agraria e la laicizzazione dello stato, provocando una netta reazione dell’opposizione che nell’estate del 1932 tenta un colpo di stato. Il tentativo fallisce ma nel novembre del 1933 le elezioni vengono vinte una coalizione formata da gruppi monarchici e cattolici: il nuovo governo di destra attua una dura repressione sociale, in particolare soffocando nel sangue un’insurrezione anarchica verso la fine del 1934.

Alle nuove elezioni del febbraio 1936 le forze di sinistra si presentano unite: i comunisti si schierano con socialisti e repubblicani nella coalizione di Frente popular, seguendo la nuova politica dettata dall’URSS nel congresso del Comintern dell’agosto 1935 che riteneva prioritaria la lotta contro il fascismo, indicato come il principale nemico. Il Frente popular vince le elezioni e in tutto il paese scoppiano le prime rivolte: da un lato la collera popolare si rivolge contro il clero e i grandi proprietari terrieri; dall’altro le forze reazionarie reagiscono con violenza, perpetuata in particolare dai gruppi fascisti del partito della Falange, nato nel 1933 per iniziativa di José Antonio Primo de Rivera, figlio dell’ex dittatore.

La guerra civile

La contrapposizione interna si trasforma in guerra civile tra il 17 e il 19 luglio del 1936, quando un gruppo di militari guidati da cinque generali, tra cui spicca Francisco Franco, inizia una ribellione armata partendo dal Marocco spagnolo. Inizialmente il governo repubblicano pare avere la meglio, in quanto riesce a mantenere il controllo su gran parte della marina e dell’aviazione e può contare sull’appoggio di un’intensa mobilitazione popolare. Così mentre gli insorti conquistano la Spagna occidentale, il governo riesce a mantenere il controllo delle zone più ricche e industrializzate, ovvero la capitale e le regioni del nord-est.

Il ribaltamento degli equilibri in questa guerra dipende molto dal ruolo giocato dalle potenze europee. Germania e Italia decidono fin da subito di appoggiare la ribellione di Franco, che si rifà all’ideologia fascista: Hitler invia soprattutto aerei, armi e rifornimenti, mentre Mussolini organizza un contingente di 50.000 uomini, ufficialmente volontari ma in realtà membri dei reparti regolari.

Sul fronte opposto la Francia, governata anch’essa dal Fronte popolare, vorrebbe intervenire ma viene di fatto bloccata dall’opposizione dell’alleato inglese: la Gran Bretagna minaccia infatti di non aiutare la Francia in caso di attacco tedesco se questa interverrà in Spagna. Gli inglesi temono che una vittoria della coalizione repubblicana in Spagna possa essere il preludio per la sua trasformazione in uno stato socialista, inoltre non desiderano giungere ad una rottura con Germania e Italia e per questo spingono la Francia a non intervenire. Il governo francese decide quindi di proporre agli stati europei un patto di non intervento: sottoscritto nell’agosto del 1936 anche da Hitler e Mussolini, non viene però rispettato dai due regimi fascisti che continuano a supportare il generale Franco.

Anche l’URSS aderisce in un primo tempo al “patto di non intervento” ma in ottobre, visto il crescente impegno italo-tedesco in Spagna, decide di intervenire direttamente inviando aiuti al governo repubblicano e favorendo la formazione delle Brigate internazionali: composte da più di 30.000 volontari provenienti da tutta Europa vedono la partecipazione anche di alcuni grandi intellettuali come Ernest Hemingway e George Orwell. Un ruolo importante è svolto dagli antifascisti italiani che vedono nella guerra spagnola un’occasione per lottare apertamente contro il fascismo mussoliniano, incitati dal motto di Carlo Rosselli “oggi in Spagna, domani in Italia”. Gli italiani costituiscono il Battaglione Garibaldi e la partecipazione al conflitto li porterà a  combattere anche contro i loro connazionali impegnati sul fronte fascista.

Nel settembre del 1936 Francisco Franco riesce ad impadronirsi della zona di San Sebastián, isolando i territori repubblicani dal confine francese. Alla fine del mese il caudillo[fnIl termine spagnolo ]caudillo significa “condottiero, capo militare”; l’appellativo dato a Francisco Franco che può essere paragonabile all’uso di “Duce” in Italia e di “Führer” in Germania.[/fn] viene proclamato capo del legittimo Stato spagnolo dalla giunta militare, creando così una divisione di fatto del territorio iberico. Inoltre Franco dà vita anche ad un nuovo partito che unisce tutti i gruppi di destra che lo appoggiano: dall’unione tra l’originario partito falangista di Primo de Rivera e le altre componenti reazionarie nasce la Falange Nazionalista. Franco ottiene anche l’appoggio della gerarchia ecclesiastica e di una parte della borghesia moderata.

D’altra parte nel fronte repubblicano, al cui interno si erano compattate una serie di forze composite, da tutti i partiti democratici di sinistra ai movimenti autonomisti basco e catalano, iniziano a farsi strada divisioni interne. In particolare una parte della borghesia repubblicana si allontana dalla coalizione, impaurita dagli eccessi di violenza mostrati soprattutto dal settore anarchico del fronte, mentre crescono i contrasti interni riguardanti l’organizzazione della società nei territori controllati. Le tensioni interne sfociano in un confronto armato nella primavera del 1937, a Barcellona: esponenti anarchici e appartenenti al partito antistalinista del POUM si scontrano con comunisti ed esercito repubblicano. I secondi hanno la meglio e al termine dello scontro danno il via ad una serie di persecuzioni, il cui modus operandi le avvicina a quelle staliniane: tra il 1937 e il 1938 numerosi militanti anarchici scompaiono, mentre il POUM viene di fatto liquidato grazie anche all’intervento di agenti sovietici. La situazione della Repubblica spagnola è quindi sempre più compromessa: nella primavera del 1938 i franchisti riescono a dividere il territorio repubblicano, isolando così Madrid dalla Catalogna, mentre i repubblicani vengono via via lasciati soli dai loro alleati fino al ritiro delle Brigate internazionali nell’autunno dello stesso anno.

Nonostante questo i repubblicani resistono strenuamente ancora alcuni mesi, fino a quando nel marzo del 1939, dopo un assedio durato un anno, Madrid cade. Questo avvenimento stabilisce di fatto la fine della Repubblica spagnola e l’inizio della dittatura di Franco.

La guerra civile lascia la Spagna provata dalle distruzioni e con un grave dissesto economico. I morti sono stati più di 500.000 e alto è anche il numero degli emigrati per motivi politici. Pochi mesi dopo il mondo si sarebbe trovato davanti ad un altro enorme conflitto, di cui la guerra civile spagnola era stata una sorta di tragico preludio.

La grande, grande, grande lezione di Chitetsu Watanabe, l’uomo più vecchio del mondo: “Mantenete sempre il sorriso”

 

 

l’uomo più vecchio del mondo

 

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La grande, grande, grande lezione di Chitetsu Watanabe, l’uomo più vecchio del mondo: “Mantenete sempre il sorriso”

Il segreto di una lunga vita è “non arrabbiarsi e mantenere sempre il sorriso sul volto”, parola di Chitetsu Watanabe, l’uomo più vecchio del mondo che con i suoi 112 anni di età è entrato nel Guinness World Records. Nato a Niigata il 5 marzo del 1907, Chitetsu Watanabe infatti può contare sulla veneranda età di 112 anni e si appresta a festeggiare il suo 113esimo compleanno.

Per vivere a lungo bisogna arrabbiarsi il meno possibile e soprattutto mantenere sempre il sorriso  sulle labbra, parola di Chitetsu Watanabe, l’uomo più vecchio del mondo che con i suoi 112 anni di età è entrato nel Guinness World Records.

L’anziano giapponese è stato di recente ufficialmente inserito nel libro dei record con una cerimonia ufficiale durante la quale ha ricevuto l’attestato di uomo vivente più anziano attualmente sulla terra.

Un traguardo raggiunto dopo il decesso del precedente detentore del titolo, Masazo Nonaka, un altro giapponese morto il mese scorso a 112 anni e 266 giorni.

Nato a Niigata, nel nord-ovest del Giappone, il 5 marzo del 1907 Chitetsu Watanabe infatti può contare sulla veneranda età di 112 anni e dunque per lui quello del record rappresenta un regalo anticipato per il suo 113esimo compleanno che arriverà il  mese prossimo.

Di professione contadino, Watanabe da tempo è in pensione e attualmente vive in una casa di riposo nella sua città natale dove è avvenuta la cerimonia di consegna della certificazione del Guinness.

Padre di cinque figli, per decenni ha lavorato in una piantagione di canna da zucchero prima di andare in pensione e continuare a coltivare frutta e verdura nella fattoria di famiglia fino a 105 anni. Proprio i dolci sembrano essere la sua passione visto che, come lui stesso ha ammesso, ancora oggi si concede ogni tanto un budino al caramello, anche perché è tra i pochi dolci che non hanno bisogno di essere masticati visto che ormai non ha più denti

“Non l’ho mai visto alzare la voce o arrabbiarsi. Fin quando ha vissuto in famiglia si pendeva anche cura di nipoti e pronipoti e ha sempre contribuito a mantenere il sorriso e l’armonia tra i suoi parenti” ha raccontato una nuora”. Watanabe al momento è ancora lontano dal record mondiale per la longevità maschile, appannaggio di un altro giapponese, Jiroemon Kimura, morto nel 2013 poco dopo il suo 116esimo compleanno. Inarrivabile almeno per il momento l’attuale decano dell’umanità, Kane Tanaka, pensionata giapponese che ha celebrato il suo 117esimo compleanno il mese scorso.

fonte: https://www.fanpage.it/esteri/la-lezione-di-chitetsu-watanabe-luomo-piu-vecchio-del-mondo-mantenete-sempre-il-sorriso/
https://www.fanpage.it/

15 febbraio 1898 – Nasceva Totò, il Principe della risata – Un ricordo…

 

 

Totò

 

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15 febbraio 1898 – Nasceva Totò, il Principe della risata – Un ricordo…

Antonio De Curtis, a tutti più noto come Totò, nasce a Napoli il 15 febbraio 1898, in via Santa Maria Antesaecula al rione Sanità, al secondo piano del civico 109.

La madre, Anna Clemente, lo registra all’anagrafe come Antonio Clemente e solo nel 1921 sposa il padre naturale, il marchese Giuseppe De Curtis che successivamente riconosce Antonio come suo figlio.

Nel 1933 il marchese Francesco Maria Gagliardi adotta Antonio trasmettendogli i suoi titoli gentilizi.

Solo a partire dal 1946 il tribunale di Napoli gli riconosce il diritto a fregiarsi dei nomi e dei titoli di: Antonio Griffo Focas Flavio Dicas Commeno Porfirogenito Gagliardi De Curtis di Bisanzio, altezza imperiale, conte palatino, cavaliere del sacro Romano Impero, esarca di Ravenna, duca di Macedonia e di Illiria, principe di Costantinopoli, di Cicilia, di Tessaglia, di Ponte di Moldavia, di Dardania, del Peloponneso, conte di Cipro e di Epiro, conte e duca di Drivasto e Durazzo.

È la madre la “inventrice” del nome Totò. È lei infatti che gli affibbia il celebre nomignolo. E la stessa madre tentò invano di introdurre il giovane figlio alla vita ecclesiastica. Spesso diceva  «Meglio ‘nu figlio prevete ca ‘nu figlio artista»…

Totò, particolarmente vivace e pieno di vita, all’età di quattordici anni lascia gli studi e diventa aiutante di mastro Alfonso, un pittore di appartamenti. L’amore per il teatro è l’altra causa del suo abbandono scolastico. Fra l’altro, nel collegio dove studiava venne colpito con un ceffone da un precettore che gli deviò il setto nasale. In seguito ciò portò all’atrofizzazione della parte sinistra del naso e quindi quella particolare asimmetria che caratterizza il volto del comico in maniera così inconfondibile.

Totò inizia a recitare giovanissimo in piccoli e scalcinati teatri di periferia proponendo al pubblico imitazioni e macchiette accolte inizialmente con poco entusiasmo.

A soli sedici anni ha l’amara impressione che la sua passione non può avere sbocchi significativi e si arruola come volontario nell’esercito, in cui però ben presto si trova a soffrire per le differenze gerarchiche che quella carriera comporta. Con un escamotage riesce a farsi ricoverare evitando di finire in prima linea allo scoppio della grande guerra. Sembra che fu proprio l’esperienza nell’esercito a ispirargli il motto “Siamo uomini o caporali

Alla fine della guerra Totò riprende la sua attività teatrale a Napoli, ancora con poco successo ma nel 1922 si trasferisce a Roma con la famiglia. Qui riesce a farsi assumere nella compagnia comica di Giuseppe Capece per poche lire. Quando chiede un aumento della paga Capece non apprezza la pretesa e lo licenzia.

Decide allora di presentarsi al Teatro Jovinelli dove debutta recitando il repertorio di Gustavo De Marco. E’ il successo. In breve tempo i manifesti riportano il suo nome a caratteri cubitali e fioccano le scritture nei teatri più famosi come, solo per citarne alcuni, il Teatro Umberto, il Triaton, il San Martino di Milano e il Maffei di Torino.

La vera consacrazione avviene a Napoli grazie alla rivista “Messalina” (accanto a Titina de Filippo). Intanto era anche nata la figlia Liliana dall’unione con Diana Bandini Rogliani, che sposerà nel 1935 (divorzierà quattro anni dopo in Ungheria, ma vivranno comunque insieme fino al 1950).

La forza di Totò sta principalmente nel forte carisma, cosa che lo differenzia notevolmente dagli altri attori. Nel suo spettacolo Totò non si limita a far ridere le persone ma trascina letteralmente il pubblico in un vortice di battute e situazioni, entusiasmandolo fino al delirio.

Il suo volto rappresenta davvero una maschera unica anche grazie alla capacità di utilizzare quell’asimmetria che caratterizza il suo mento per sottolineare momenti comici. Bisogna dire però che se il successo popolare è eccezionale ed indiscutibile, la stampa non gli risparmia critiche più o meno giustificate, sicuramente contrassegnate da un’eccessiva severità, dimostrando in questo di non capire il suo genio comico fino in fondo (viene tacciato di buffoneria e di ripetere troppo spesso le stesse battute).

Tuttavia per molti anni Totò è padrone del palcoscenico, recitando accanto ad attori famosissimi quali Anna Magnani e i fratelli De Filippo, in molte riviste di successo, continuando poi la sua carriera, com’è fisiologico, anche nel mondo del cinema. Già nel 1937 aveva debuttato nel cinema con “Fermo con le mani” e fino al 1967 interpreterà circa un centinaio di film.

Totò ha scritto anche diverse canzoni, fra cui vi è annoverata la celeberrima “Malafemmena”.

Nel 1952 si innamora di Franca Faldini cui resterà legato fino alla morte (dalla loro unione nasce un bambino che purtroppo muore poche ore dopo). Nel 1956 torna al teatro con la rivista di Nelli e Mangini “A prescindere”. Gli impegni della tournee gli impediscono di curare una broncopolmonite virale che gli provoca una grave emorragia all’occhio destro, l’unico da cui vedesse dopo il distacco della retina avvenuto per l’altro occhio vent’anni prima.

Pubblica anche una raccolta di poesie “‘A livella”, che fa seguito alla biografia “Siamo uomini o caporali?” di alcuni anni prima.

Nel 1966 il sindacato Nazionale Giornalisti Cinematografici gli assegna il secondo “Nastro d’argento” per l’interpretazione del film “Uccellacci e uccellini”, di Pier Paolo Pasolini, un grande intellettuale a cui si deve per certi versi lo “sdoganamento” di Totò. Per questo film Totò riceve anche una menzione speciale al Festival di Cannes. Ormai quasi cieco partecipa al film “Capriccio all’italiana” in due episodi: “Il mostro” e “Che cosa sono le nuvole” (sempre di Pier Paolo Pasolini).

Totò morì nella sua casa di Via dei Monti Parioli, 4; alle 3:35 del mattino (l’ora in cui era solito coricarsi era le 3:30 circa) del 15 aprile 1967, all’età di 69 anni: venne stroncato da un infarto dopo una lunga agonia, tanto sofferta che lui stesso pregò i familiari e il medico curante di lasciarlo morire. Proprio la sera del 13 aprile confessò al suo autista Carlo Cafiero: «Cafiè, non ti nascondo che stasera mi sento una vera schifezza». Secondo la figlia Liliana, le sue ultime parole furono: «Ricordatevi che sono cattolico apostolico romano», mentre a Franca Faldini disse: «T’aggio voluto bene Franca, proprio assai.»

Alle 11:20 del 17 Aprile 1967 la salma è trasportata nella chiesa di Sant’Eugenio in Viale delle Belle Arti. Sulla bara, la bombetta con cui aveva esordito e un garofano rosso. Alle 16:30 la sua salma giunge a Napoli accolta, già all’uscita dell’autostrada e alla Basilica del Carmine, da una folla enorme.

Viene sepolto nella cappella De Curtis al Pianto, nel cimitero sulle alture di Napoli, in località Capodichino.

Totò e la politica

Sebbene non si conosca con certezza il pensiero politico di Totò, si sa da fonti accertate che era fermamente contrario a qualsiasi forma di dittatura e supremazia (anche per le sue esperienze personali e per i suoi sbeffeggiamenti del potere), e sembra che, a detta di Franca Faldini, fosse di idee fondamentalmente anarchiche ed addirittura filo-comuniste.

In contrapposizione a ciò, ci sarebbe una fotografia del tedesco Eugenio Haas risalente al 1943, scattata sul set di Due cuori fra le belve e pubblicata sulla rivista “Film”, e che raffigurava l’attore con la “cimice”, ossia il distintivo del Partito Nazionale Fascista. Si racconta però che Totò sia stato costretto a posare per quella foto, la cui intenzione sarebbe stata quella di “punire l’audacia del comico”, poiché scherniva e derideva il regime fascista nei suoi spettacoli teatrali, cosa che difatti gli causò molti problemi durante la guerra.

D’altra parte la sua distanza dal regime è dimostrato dal suo continuo mettere in evidenza, in vari dei suoi film, la ridicola e grottesco realtà del ventennio fascista.

Il suo scandaloso «Viva Lauro!», esclamato durante Il Musichiere, venne naturalmente mal interpretato. Essendo un periodo delicato, in prossimità delle elezioni politiche, non era tollerabile che un personaggio conosciuto come Totò osannasse il capo di un partito politico, ma l’unico motivo della sua esclamazione era dovuto al fatto che Lauro avesse provvisto di case e alimenti gli abitanti dei “bassi” (le dimore più povere) di Napoli. Totò apprezzò solamente il gesto, essendo fortemente attaccato alla sua città natale.

 

Amarcord – 29 gennaio 1951, il primo Festival di Sanremo – Da un semplice tentativo di rilancio turistico ad evento musicale entrato nel nostro costume – Amato o odiato, sempre messo in discussione, resta comunque un appuntamento fisso degli Italiani.

 

Festival di Sanremo

 

 

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Amarcord – 29 gennaio 1951, il primo Festival di Sanremo – Da un semplice tentativo di rilancio turistico ad evento musicale entrato nel nostro costume – Amato o odiato, sempre messo in discussione, resta comunque un appuntamento fisso degli Italiani.

Da un semplice tentativo di rilancio turistico a tradizione tricolore. Questa l’evoluzione del Festival di Sanremo, l’evento musicale entrato nel costume italiano in un giorno di pieno inverno del 1951

L’intento era principalmente quello di incrementare il turismo sanremese, di avvicinare visitatori anche nei mesi invernali: un’idea del 1945 concretizzatasi solo sei anni più tardi, il 29 gennaio, grazie ad un’iniziativa del maestro Giulio Razzi, il direttore della Radio Italiana che desiderava rinnovare una programmazione musicale ancora troppo legata ai gusti classici.

È così che il Festival della Canzone Italiana prende vita. Un concorso che apre le porte a tutte le case editrici musicali: delle 240 composizioni proposte, soltanto 20 hanno l’onore di essere eseguite tra le mura del Salone delle Feste, nel Casinò della città dei fiori, e interpretate dai quattro artisti partecipanti: Nilla Pizzi, Achille Togliani e il Duo Fasano, composto dalle sorelle Dina e Delfina Fasano.

Il tutto, di fronte ad uno scarso pubblico pagante, comodamente seduto a cena tra i tipici tavolini di un vecchio caffè parigino e il via vai dei camerieri.

“Miei cari amici vicini e lontani, buonasera ovunque voi siate!”, questa la frase d’esordio di Nunzio Filogamo, il conduttore radiofonico ingaggiato come presentatore del primo Festival, trasmesso in diretta dalla Rai sulla Rete Rossa della Radio. L’emittente pubblica segue interamente l’evento, nelle sue tre serate, interropendo però il collegamento dopo l’ultima esecuzione senza attendere il verdetto finale, deciso dai voti del pubblico in sala. La giuria assegna la vittoria al brano “Grazie dei fiori”, cantata da Nilla Pizzi, che non tarderà a diventare un grande classico della nostra canzone. Secondo posto per “La luna si veste d’argento”, intepretata dalla stessa Pizzi in compagnia di Togliani, giunto terzo con “Serenata d’autunno”.

Per aver vinto la prima edizione del Festival, alla Pizzi non spetta altro che un bouquet di garofani e 30mila lire di straordinario per la trasferta serale.

Nelle settimane seguenti, il 78 giri di “Grazie dei fiori” raggiunge le 36mila copie vendute, un successo sorprendentemente inatteso, che assicura alla manifestazione canora un posto nel cuore degli italiani per molti, molti anni.

Qualcuno, nel dopoguerra, lo aveva definito come “la grande evasione”. Una nuova e gioiosa colonna sonora di un’Italia che, con ottimismo e speranza, si affacciava al futuro e alla modernità. E si sà, quando si è ottimisti si è allegri, si fischietta, si canticchia. Da quel 29 gennaio del ’51 sono trascorsi parecchi anni. Il Festival ha fatto molta strada, ha cambiato location, stile musicale, presentatori, scaletta, fino a trasformarsi in un format tanto prestigioso quanto costoso. Amato, odiato, sempre messo in discussione e sotto l’occhio attento della critica.

Eppure, per 5 giorni, con i suoi fiori, abiti e note, resta pur sempre una “grande evasione”.

24 gennaio – Nasceva oggi John Belushi, il più grande talento comico americano, il mitico Jake dei The Blues Brothers…

 

John Belushi

 

 

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24 gennaio – Nasceva oggi John Belushi, il più grande talento comico americano, il mitico Jake dei The Blues Brothers…

John Adam Belushi nasce il 24 gennaio 1949 a Chicago – John Adam Belushi, figlio di Anastos e di Agnes, fratello di Miriam, Billy e soprattutto di Jim, che ne porta l’eredità. Un figlio dell’immigrazione anche, in una famiglia che non ha mai dimenticato la terra d’origine, l’Albania, e che è eternamente grata alla città d’adozione, Chicago.

John, il più grande talento comico degli Stati Uniti all’epoca dello splendente Saturday Night Live, morì 33 anni fa, a causa dei suoi eccessi. Al mondo ha lasciato due capolavori, The Blues Brothers e Animal House, due film che hanno fatto storia perché uno è diventato un cult indimenticabile, l’altro ha aperto un genere cinematografico nuovo: i college movie.

Fin da ragazzo John Belushi coltiva tre passioni: il baseball, il teatro e il rock ‘n’ roll. Ai tempi della scuola John Belushi è uno studente modello; si diploma nel 1967 presso la Wheaton Central High School, della cui squadra di football è capitano. E’ questo il periodo in cui conosce e si innamora di Judith Jacklin, sua futura sposa.

La sua carriera inizia a soli 22 anni quando dopo un provino viene reclutato dalla “Second City Comedy”, storica compagnia di Chicago dedita agli sketch improvvisati. In questi anni John Belushi conosce a Toronto Dan Aykroyd, con il quale instaura un solido rapporto lavorativo, oltre a una profonda amicizia.

Nel 1975 la NBC dà vita ad una delle trasmissioni destinate a rivoluzionare la televisione americana: “Saturday Night Live“. Dopo essersi fatto conoscere per la sua comicità demenziale in spettacoli teatrali prima, e alla radio poi, John Belushi viene reclutato nel cast di “Saturday Night Live”, e la sua popolarità si impenna. Sullo stesso palco si alternano rockstar, attori e comici in un clima informale. Belushi aggiorna di puntata in puntata il suo repertorio di personaggi. La sera del 22 aprile 1978 John Belushi e Dan Aykroyd si presentano davanti alla telecamera nei panni di Joliet Jake ed Elwood, con abito e cravatta neri, occhiali da sole e cappello modello “fedora”: cantano un pezzo blues accompagnandolo con frenetici balletti e capriole. Sarebbe stato il preludio del fenomeno mondiale “Blues Brothers”.

Nella sua carriera cinematografica sono cinque i film a cui il suo nome è rimasto legato da un doppio filo; due di questi sono divenuti vero e proprio culto: “Animal House” (1978) e “The Blues Brothers” (1980), entrambi diretti da John Landis. Nel primo John Belushi interpreta la parte del repellente Bluto Blutarski, capo di una banda di goliardi, nel secondo è Jake, ex galeotto, con il cui fratello Elwood (Dan Aykroyd) si dedica al blues e alla beneficenza (“in missione per conto di Dio”); a contibuire a rendere leggenda quest’ultimo film sono le partecipazioni di mostri sacri del genere musicale quali James Brown, Ray Charles, Aretha Franklin e John Lee Hooker.

Negli altri tre film John Belushi non veste quelle sue maschere-icona per le quali è ricordato. In questi film interpreta ruoli più terreni: in “1941: allarme a Hollywood” (1979) di Steven Spielberg è un pilota, in “Chiamami aquila” (1981) di Michael Apted, veste i panni di un giornalista di Chicago innamorato di una ornitologa, e infine in “I vicini di casa” (1981) di John Avildsen, interpreta un paranoico teso alla difesa della sua privacy.

L’attore muore a soli 33 anni. La mattina del 5 marzo 1982 John Belushi viene ritrovato in un bungalow di un complesso alberghiero. Già in cattive condizioni fisiche dovute all’obesità e all’eccesso di alcool, la morte è sopraggiunta a causa di un’iniezione letale di cocaina ed eroina.

La sua salma riposa all'”Abel’s Hill Cemetery” a Martha’s Vineyard, nel Massachusetts.

10 delle sue grandi frasi:

  • “Quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare” [Animal House, 1978]
  • “I miei personaggi dicono che va bene essere incasinati. La gente non deve necessariamente essere perfetta. Non deve essere intelligentissima. Non deve seguire le regole. Può divertirsi. La maggior parte dei film di oggi fa sentire la gente inadeguata. Io no”
  • “Oh un pensiero molto carino. Il giorno che io esco di prigione, il mio unico fratello mi viene a prendere con una macchina della polizia!” [The Blues Brothers, 1980]
  • “Vivi veloce, muori giovane e cerca di lasciare dietro di te un cadavere gradevole”
  • “Tutta la mia vita è preordinata da altri, io devo solo esserci”
  • “La scena è il solo posto in cui sono consapevole di ciò che sto facendo”
  • “Cosa? È finita? Hai detto finita? Non finisce proprio niente se non l’abbiamo deciso noi. È forse finita quando i TEDESCHI bombardarono Pearl Harbor? Col cazzo che è finita!” [Animal House, 1978]
  • “Pensi che a nessuno importa se sei vivo o morto? Prova a non pagare per due mesi la rata della macchina…”
  • “Quello che non mi convince è che mi baci e mi guardi come se io stessi per morire” [Chiamami aquila, 1981]
  • “La gente vuole apparire per ciò che non è. Tutti vogliono essere sempre perfetti, intelligentissimi, belli. Ma pensare solo a divertirsi e basta proprio non vi va?”

 

4 gennaio 1968 – Debutta in radio, sul Secondo Programma Rai, La Corrida dell’indimenticabile Corrado

 

La Corrida

 

 

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4 gennaio 1968 – Debutta in radio, sul Secondo Programma Rai, La Corrida dell’indimenticabile Corrado

Le prima edizione de La Corrida venne trasmesse in Radio dal Secondo Programma Rai (attuale Radio2) a partire dal 4 gennaio 1968, e vedeva già allora la partecipazione del Maestro Roberto Pregadio (con il suo complesso musicale).

La trasmissione nasceva come un vero e proprio talent destinato ai giovani, come testimoniato dall’annuncio dei casting pubblicato nei mesi precedenti sul Tv RadioCorriere.

Salutiamo La Corrida che apre la sua serie di trasmissioni con l’anno nuovo. Il titolo ci dice un po’ tutto, La corrida è la lotta di un uomo contro il toro. E il toro è rappresentato dal pubblico che, quando vuole essere severo e implacabile, riesce a fare impallidire gli abituali avversari di Manuel Benitez detto “El cordobes”. Più che una corrida una vera occasione per i giovani che ambiscono fare carriera nel mondo dello spettacolo. Proprio loro devono a tutti i costi  cercare di non perdere l’appuntamento con questo originale concorso. Cantanti, attori, imitatori, fantasisti, presentatori, complessi, comici, solisti di musica leggera e chi più ne ha più ne metta, attenzione al momento magico. Se avete doti artistiche prendete carta e penna e indirizzate subito una domanda di partecipazione a: La Corrida, casella postale 400, Torino. Tutte le domande verranno sorteggiate e i fortunati vincitori saranno chiamati a “toreare” in un auditorio della Rai, di fronte a un grande pubblico. Ma attenzione non si tratta di un pubblico  addomesticato, messo in sala per far scena. Tutt’altro. Questo è davvero un pubblico che non si lascia addomesticare. Aggiungiamo che giudico unico, o se volete arbitro della situazione, è Corrado. Non ci saranno vincitori per categoria, ma un vincitore assoluto: il più bravo, davvero, di tutti.

Il successo della trasmissione fu tale che dopo nemmeno un anno gli aspiranti “Kamikaze della radio”, così li definiva la stampa dell’epoca, erano già diverse migliaia. Tra le tante domande pervenute non solo quelle di giovani artisti ma anche numerose richieste di persone decisamente avanti negli anni ma con altrettanta voglia e determinazione di mettersi in gioco e mostrare al pubblico il proprio talento artistico. Un’invasione di over che portò il programma ad allargare la partecipazione trasmissione a persone di ogni età. Partita al giovedì, visti i grossi consensi di pubblico, La Corrida venne dal 1970 spostata al sabato, e proseguì ininterrottamente in radio sino al 1° gennaio 1977.

Il successo del programma fu tale da far pensare da subito ad una trasposizione televisiva, ma fu proprio Corrado a non voler portare il programma sul piccolo schermo sostenendo che il programma fosse esclusivamente “sonoro” e poco adatto alla tv.

Ci vollero ben 18 anni per convincerlo e far sì che La Corrida arrivasse in televisione. La prima stagione televisiva debuttò la sera del 5 luglio 1986 arricchendosi per l’occasione di ospiti vip e momenti di spettacolo, ma soprattutto confermando il successo del format.

Seguirono altre due edizioni nelle estati del 1987 e 1988.

Nel 1990 arrivò la promozione nel palinsesto primaverile, collocazione che venne confermata anche negli anni successivi, sino ad arrivare alle ultime due edizioni in onda nella stagione autunnale del 1995 e 1997.

Un totale di dieci edizioni accomunate da grandi ascolti e consensi di critica che si conclusero con la puntata del 20 dicembre 1997 nella quale un commosso Corrado si congedò al pubblico con un’intensa poesia che riassumeva, non senza qualche polemica, la sua trentennale esperienza a La Corrida.

Abbiamo cominciato un po’ in sordina
questa Corrida, decima edizione.
Ci siamo detti: “moh, andrà come prima”.
E invece è stato un vero successone.

Non è che prima avesse brutti ascolti, no…
Si sa che si è difesa sempre bene,
ma mai come quest’anno, a conti fatti,
davvero in tanti siamo stati insieme.

Abbiamo fatto un record di ascolti,
e sotto sotto, è dispiaciuto a molti.
Ospiti illustri contro strana gente,
che quasi sempre non sa fare niente.

Ma poi, come è finita lo si sa:
ha vinto questo nostro varietà
e dico varietà, badate bene,
e fatto pure come tv comanda.

Perché vi giuro, ho un po’ le tasche piene,
di udire la peggiore delle offese
che alla Corrida fanno la domanda
(come qualcuno scrisse a suo tempo),
soprattutto gli scemi del paese.

È gente che si vuole divertire.
Hanno una dote che non è pazzia,
e ce l’hanno in pochi: si chiama autoironia!
In quanto a me, sono stato fortunato
perché ho trovato collaboratori
che forse più di me hanno sudato
e più di me meritano gli allori.

Sono tanti e i nomi non li posso fare,
vorrei, ma finirei con l’annoiare.
È andata bene pure grazie a loro
perché un successo non si fa da solo.

E adesso la Corrida finirà,
forse per sempre, forse, chi lo sa…?
Qualcuno, e questa è ormai un’istituzione
tra un poco ne farà un’imitazione.
Pazienza, io mi sono divertito per tanti anni
ed è arrivato il tempo di dare il mio commosso benservito,
ma chi lo sa se poi non me ne pento?

Lo so, mi mancherete e pure tanto.
E se c’è stato uno scemo del paese
Oh! M’ha insegnato, non sapete quanto,
a sorridere e a non aver pretese.

 

5 curiosità su La Corrida di Corrado

1 – La Corrida è stata un trampolino di lancio per diversi personaggi. Tra questi Gigi Sabani, Neri Marcorè ed Emanuela Aureli.

2 – Una figura fissa di tutte le edizioni è stata la valletta. Tra le tante alternatesi sul palco si ricordano Miriana Trevisan e una giovanissima Lorena Bianchetti, ma soprattutto Antonella Elia, presente per ben 4 edizioni e protagonista di numerosi siparietti comici con lo stesso Corrado.

3 – Tra i concorrenti più famosi de La Corrida di Corrado il più amato è stato senza dubbio Leonardo Vitelli, il pensionato che si esibiva in numeri musicali realizzando dei suoni con le proprie ascelle. Il signor Vitelli, che Corrado definiva “custodia” dello strumento, si è presentato al programma per la prima volta nel 1988, ed è poi tornato ad esibirsi nel 1991 e 1994. In tutte le occasioni, suscitando inevitabilmente ilarità tra il pubblico, il Maestro Pregadio veniva suo malgrado coinvolto nella procedura di accordatura dello strumento.

4 – Nel 1991 alcuni concorrenti che avevano partecipato alle precedenti edizioni suonando oggetti o imitando i suoni degli strumenti musicali costituirono la New Economic Orchestra. La curiosa formazione tornò ad esibirsi fuori gara in alcune puntate del programma.

5 – Il format de La Corrida è stato venduto in Spagna e adattato per il canale TVE, dove è andato in onda con il titolo El semáforo dal 1995 al 1997. La trasmissione è approdata nello stesso periodo anche in Francia e soltanto lo scorso dicembre in Polonia.

Un ricordo – Buon Anno con lo spot di Asti Cinzano 1986 – Oh Happy Day

 

Oh Happy Day

 

 

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Un ricordo – Buon Anno con lo spot di Asti Cinzano 1986 – Oh Happy Day

Spot della Asti Cinzano che utilizzava quale propria colonna sonora “Oh Happy Day”; in Italia venne adottato come inno natalizio, anche se in realtà il testo è una celebrazione della Pasqua (“Oh Happy day, He washed my sins away”).

Oggi tutti i brindisi si fanno con lo spumante, quelli più raffinati con lo champagne. Sembra impossibile fare senza, eppure c’è stato un tempo in cui era perfettamente naturale brindare con quello che si era sempre bevuto: vino bianco o rosso più o meno dolce, e di solito non frizzante. Quel tempo era fino agli anni Ottanta.

Certo, il vino frizzante è vecchio come il mondo (vedi il lambrusco), ma se negli anni Settanta prendevi un francese o un siciliano e gliene facevi bere un bicchiere, ti chiedevano se ci avevi messo dentro l’acqua frizzante…

Ma non divaghiamo… Buon Anno con questo stupendo ricordo…

 

Domenica 27 dicembre 1908 – In edicola il primo numero del Corriere dei Piccoli – Nasce così il fumetto italiano.

 

Corriere dei Piccoli

 

 

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Domenica 27 dicembre 1908 – In edicola il primo numero del Corriere dei Piccoli – Nasce così il fumetto italiano.

Nasce il fumetto italiano: Nell’Italia di re Vittorio Emanuele III e del terzo Governo Giolitti apparve in edicola il Corriere dei Piccoli, supplemento settimanale illustrato del Corriere della Sera. Questa data venne considerata in seguito come l’inizio del fumetto italiano.

Fondato e diretto da Silvio Spaventa Filippi, che era partito da un’idea della pedagogista e scrittrice Paola Lombroso, il Corrierino (variante familiare usata dai suoi giovanissimi lettori) introdusse nel contesto italiano i personaggi dei fumetti americani, presentati all’interno di tavole illustrate, ognuna suddivisa solitamente in quattro strisce di due vignette ciascuna.

Ma in questo primo numero trovò spazio anche uno dei personaggi più popolari lanciati dal settimanale: Bilbolbul, un bambino africano protagonista di storie surreali. A disegnarlo fu Attilio Mussino che insieme ad Antonio Rubino (ideatore di Quadratino, altro personaggio storico) rappresentarono le colonne portanti del Corrierino fino agli inizi degli anni Cinquanta.

In questa prima fase le “nuvolette parlanti” (il termine inglese è balloon) erano rigorosamente vietate, perché ritenute diseducative. Al loro posto c’erano i sottotitoli composti da filastrocche in rima baciata, dal tono moraleggiante. Siamo certamente lontani dall’idea moderna di fumetto.

Le tavole illustrative erano permeate di valori pedagogici, patriottici e risorgimentali, in perfetta sintonia con la mentalità di allora che non ammetteva l’esistenza di libri per ragazzi concepiti esclusivamente per il loro intrattenimento. Tutto doveva avere un fine educativo, e ciò spiega perché la maggior parte dei contenuti fosse costituita da racconti, poesie e brevi testi teatrali.

Il successo del primo numero fu straordinario, al punto che venne stampato in 80.000 copie. Ciò lo rese subito un riferimento per bambini e adolescenti. Nel 1917 fu la volta di un altro protagonista storico di quegli anni: il Signor Bonaventura nato dalla matita di Sergio Tofano.

Dieci anni dopo, presero piede le nuvolette – che sul Corrierino si affermarono solamente a partire dagli anni Sessanta – grazie a nuove pubblicazioni che segnarono l’evoluzione moderna del fumetto made in Italy: dal primo numero di Topolino (edito nel 1932 da Giuseppe Nerbini) ai settimanali L’Avventuroso (che portò dagli Usa Mandrake e Flash Gordon) e Intrepido (che inaugurò il genere romantico e sentimentale).

Dopo il grande avvento, nel Dopoguerra, delle riviste dedicate a un singolo personaggio – il più amato fu Tex Willer di Sergio Bonelli, uscito nel 1948 – si arrivò agli anni Sessanta che portarono alla ribalta i “cattivi”, gli antieroi per eccellenza come Diabolik delle sorelle Giussani (1962), accanto a fumetti d’autore come l’insuperabile Corto Maltese, che Ugo Pratt lanciò in “Una ballata del mare salato”.

Pratt e Benito Jacovitti (padre del famoso cowboy Cocco Bill) furono gli artefici della stagione d’oro del Corrierino, vissuta dalla seconda metà degli anni Sessanta alla prima metà dei Settanta, suggellata dagli esordi di Lupo Alberto (pubblicato da Silver sul Corriere dei Ragazzi, nato come costola del Corriere dei Piccoli da cui si distaccò nel 1972) e di La Pimpa (creata nel 1975 da Altan e considerata il più fortunato fumetto italiano per bambini in età prescolare).

Gli anni ’80 coincisero con il periodo di crisi del settore, fortemente condizionato dall’avvento dei manga giapponesi in TV, che col passare del tempo presero il sopravvento anche nelle riviste di fumetti, la prima delle quali fu Zero (1990), interamente dedicata ai manga.

Nel 2008 venne celebrato un secolo di storia del fumetto, partendo dalla prima uscita del Corriere dei Piccoli che, sebbene avesse smesso le pubblicazioni da gennaio del 1996, venne celebrato come il periodico dedicato all’infanzia più longevo d’Italia.

tratto da: http://www.mondi.it/almanacco/voce/9206

L’intramontabile Last Christmas dei Wham compie 35 anni

 

Last Christmas

 

 

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L’intramontabile Last Christmas dei Wham compie 35 anni

L’avreste mai detto che sono passati ben trentacinque anni da quando i Wham! di George Michael e Andrew Ridgley hanno proposto uno dei brani più belli e indimenticabili legati al Natale? Ebbene sì, Last Christmas è stato pubblicato il 15 dicembre del 1984 e, ad oggi, è il pezzo del Natale più ascoltato e amato in ogni angolo del Mondo.

Un classico intramontabile

Era il 15 dicembre del 1984 quando due giovanissimi artisti di talento, George Michael e Andrew Ridgley, i Wham! proponevano uno dei brani più iconici di sempre, Last Christmas. Il successo del brano è stato così potente e travolgente che, ad oggi, si tratta di una delle canzoni natalizie più ascoltate di tutti i tempi. Per celebrare il trentacinquesimo anniversario della canzone, dunque, è stata pubblicata una ristampa  in edizione limitatissima della versione originale del singolo su vinile bianco da collezione. Il brano, inoltre, è anche nella colonna sonora dell’omonimo film con Emilia Clarke, uscito nelle sale proprio in questi giorni.

Il successo del pezzo è stato davvero incredibile: all’indomani della sua pubblicazione, ha raggiunto la posizione numero due della classifica di vendita, battuto solo da Do They Know It’s Christmas del charity supergroup ‘Band Aid’, a cui aveva preso parte anche lo stesso George Michael. Una curiosità per voi: Last Christmas è il pezzo più venduto a non aver mai raggiunto il vertice della classifica ufficiale dei singoli.

Ammettetelo, quante volte avete cantato Last Christmas nel periodo natalizio?

 

 

 

fonte: https://www.greenme.it/vivere/arte-e-cultura/last-christmas-nalale-35-anni/