Gli esseri umani costituiscono solo lo 0,01% della vita sulla Terra, ma hanno sterminato l’83% dei mammiferi selvatici

 

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Gli esseri umani costituiscono solo lo 0,01% della vita sulla Terra, ma hanno sterminato l’83% dei mammiferi selvatici

 

È quanto emerso da uno studio che ha valutato la biomassa degli organismi viventi e ha confermato ancora una volta lo spropositato impatto della nostra specie.

Siamo, in termini di biomassa, una specie insignificante. I 7,6 miliardi di Homo sapiens che popolano il pianeta rappresentano infatti appena lo 0,01 per cento di tutti gli esseri viventi. Eppure il nostro impatto sulle altre forme di vita è devastante e senza precedenti, abbiamo nel corso della nostra storia gradualmente svuotato il pianeta di piante e animali selvatici per rimpiazzarli con il bestiame.

Quanto pesano gli esseri viventi

È quanto rivelato da uno studio condotto da un gruppo di ricercatori guidato dal professor Ron Milo, del Weizmann Institute of Science di Israele, e pubblicato sulla rivista Pnas. L’obiettivo della ricerca, la prima analisi completa della distribuzione della biomassa di tutti gli organismi del pianeta, inclusi i virus, era confrontare, basandosi appunto sulla massa della sostanza vivente, il peso di ogni organismo sul pianeta. I ricercatori hanno calcolato le stime della biomassa utilizzando i dati di centinaia di studi. “Spero che questo studio possa fornire alle persone una prospettiva sul ruolo dominante che l’umanità ora ricopre sulla Terra”, ha affermato Ron Milo.

Pianeta verde

Dalla ricerca sono emersi dati interessanti e poco prevedibili, i batteri ad esempio sono una forma di vita importante è costituiscono il 13 per cento degli esseri viventi. La parte del leone però la fanno le piante che rappresentano l’82 per cento degli organismi in termini di biomassa. Le creature restanti, dagli insetti ai funghi, dai pesci agli animali, costituiscono solo il 5 per cento della biomassa mondiale.

Un’ecatombe di mammiferi selvatici

Fino a poche decine di migliaia di anni fa, un battito di ciglia dal punto di vista evolutivo, il pianeta era popolato da creature colossali, come rinoceronti lanosi, uri, mammut, orsi delle caverne e bradipi giganti. In un arco di tempo relativamente breve, coinciso con l’avvento della nostra specie, questi animali si sono estinti. Da quando ha fatto la sua comparsa sul pianeta l’Homo sapiens, secondo lo studio, ha causato l’estinzione dell’83 per cento delle specie di mammiferi selvatici e della metà delle piante.

L’onnipresenza del bestiame

Mentre il numero e la varietà di specie selvatiche si sta drammaticamente assottigliando, il bestiame allevato dall’uomo è in crescita costante. Lo studio rivela infatti che il pollame oggi rappresenta il 70 per cento di tutti gli uccelli del pianeta. I numeri dei mammiferi sono ancora più desolanti: il 60 per cento è composto da bestiame, il 36 per cento da esseri umani e solo il quattro per cento da animali selvatici.

Un impatto insostenibile

La dissennata distruzione degli ecosistemi terrestri e marini ha rapidamente svuotato il pianeta della sua antica e cangiante varietà biologica. Si ritiene che circa la metà degli animali sia stata persa negli ultimi cinquanta anni. “È decisamente sorprendente il nostro sproporzionato impatto sul pianeta – ha dichiarato Milo. – Quando faccio un puzzle con le mie figlie, di solito c’è un elefante accanto a una giraffa accanto a un rinoceronte. Ma se fosse più realistico dovrebbe raffigurare una mucca accanto a una mucca accanto a una mucca accanto a un pollo”.

Virus e vermi pesano più di noi

A dispetto del titolo di specie dominante che l’uomo si è assegnato da solo, il nostro peso è davvero scarso. In termini di biomassa i virus, ad esempio, hanno un peso combinato tre volte superiore a quello degli umani, così come i vermi. I pesci pesano dodici volte di più mentre la biomassa dei funghi è duecento volte più grande.

L’importanza delle nostre scelte

Considerato l’elevato impatto della nostra specie, le nostre scelte di consumatori possono essere determinanti. “Le nostre scelte alimentari hanno un grande effetto sugli habitat di animali, piante e altri organismi – ha affermato Milo. – Spero che questo studio possa servire alle persone per rivedere la loro visione del mondo e di come consumano”.

fonte: https://www.lifegate.it/persone/news/uomo-sterminato-83-per-cento-mammiferi-selvatici

Buon compleanno Emergency, l’associazione fondata il 15 maggio del 1994 da Gino Strada compie 26 anni durante i quali ha curando oltre 8 milioni di persone in 17 Paesi.

 

Emergency

 

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Buon compleanno Emergency, l’associazione fondata il 15 maggio del 1994 da Gino Strada compie 26 anni durante i quali ha curando oltre 8 milioni di persone in 17 Paesi.

 

Emergency è un’associazione umanitaria italiana, fondata il 15 maggio 1994 a Milano da Gino Strada e dalla moglie Teresa Sarti, insieme a Carlo Garbagnati e Giulio Cristoffanini.

Ha ottenuto il riconoscimento giuridico di organizzazione non lucrativa di utilità sociale (ONLUS) nel 1998 e di organizzazione non governativa (ONG) nel 1999.

Dal 2006 Emergency è partner ufficiale del Dipartimento dell’informazione pubblica delle Nazioni Unite, dal 2015 ha uno stato consultivo speciale presso il Consiglio Economico e Sociale delle Nazioni Unite (ECOSOC).

Gli obiettivi dichiarati di Emergency sono offrire cure mediche e chirurgiche gratuite e di alta qualità alle vittime della guerra, delle mine antiuomo e della povertà; anche grazie al coordinamento e all’attività dei volontari sul territorio, l’associazione promuove attivamente i valori di pace, solidarietà e rispetto dei diritti umani.

Nata per fornire soccorso chirurgico nei paesi in guerra, l’associazione ha nel tempo esteso il raggio delle sue attività alla cura delle vittime della povertà in paesi in cui non esistono strutture sanitarie gratuite. Dal 2005 Emergency opera anche in Italia, per garantire a tutti il rispetto del diritto a essere curati sancito anche dalla Costituzione.

L’attuale presidente della ONG è Rossella Miccio, chiamata a ricoprire la carica nel luglio del 2017; Alessandro Bertani ricopre la carica di vicepresidente. In precedenza, hanno ricoperto la carica di presidente Teresa Sarti Strada (dal 1994 al 2009) e Cecilia Strada (dal 2009 al 2017).

Emergency gestisce strutture sanitarie in Afghanistan, Iraq, Repubblica Centroafricana, Sierra Leone, Sudan e Italia. Sono invece stati portati a termine i programmi in Ruanda, in Eritrea, a Jenin in Palestina, a Medea in Algeria, in Kosovo, in Angola, in Libia, in Nicaragua, in Sri Lanka e in Cambogia.

Tra i vari interventi realizzati, l’associazione ha costruito e ancora adesso gestisce ospedali dedicati alle vittime di guerra e alle emergenze chirurgiche, centri di riabilitazione fisica e sociale, posti di primo soccorso per il trattamento delle emergenze, centri sanitari per l’assistenza medica di base, centri pediatrici, centri di maternità, poliambulatori e ambulatori mobili per migranti e persone disagiate, centri di eccellenza. Oltre alla realizzazione dei nuovi centri sanitari, l’ONG italiana ha collaborato, in concerto con le autorità locali e con altre organizzazioni, all’ammodernamento e all’equipaggiamento di strutture già esistenti.

Particolarmente importante e innovativo è il Centro Salam di cardiochirurgia in Sudan, attivo dal 2007: una struttura di eccellenza a vocazione regionale in cui l’associazione opera gratuitamente pazienti provenienti da tutta l’Africa (e non solo). Il Centro Salam è il fulcro del “Programma regionale di pediatria e cardiochirurgia” che Emergency sta costruendo in Africa: una rete di strutture dove i cardiologi dell’associazione effettuano gli screening di pazienti cardiopatici da operare presso il Salam di Khartoum ed effettuano i necessari controlli post-operatori. Laddove Emergency non è presente con sue strutture, queste missioni di screening hanno luogo in ospedali locali.
Con lo scopo di realizzare in Africa nuovi ospedali modellati sull’esperienza del Centro Salam, Emergency ha promosso nel 2009 l’istituzione dell’ANME (African Network of Medical Excellence – Rete sanitaria d’eccellenza in Africa), a cui hanno aderito i governi di 11 paesi africani.

In Italia, a Palermo, dall’aprile 2006 Emergency ha reso operativo e gestisce un poliambulatorio, che fornisce assistenza sanitaria gratuita agli immigrati e ad altri bisognosi; successivamente ha aperto strutture analoghe a Marghera, Polistena, Castel Volturno e Ponticelli. Sono inoltre presenti nel territorio italiano ambulatori mobili, che lavorano principalmente nelle zone agricole dell’Italia del sud per offrire assistenza ai migranti impiegati come stagionali nell’agricoltura. Tra il 2005 e il 2007 l’associazione ha portato avanti un programma di assistenza sanitaria in alcune carceri laziali.

Programma Italia è il nome con cui Emergency si riferisce al complesso dei suoi interventi nel paese.

Interventi umanitari

Emergency è intervenuta, dal 1994, in 17 paesi, curando oltre 8 milioni di persone.

 Programmi in corso:
Afghanistan

Emergency è presente in Afghanistan con 3 centri chirurgici (a Kabul, Anabah e Lashkar Gah), un centro di maternità con reparto pediatrico (ad Anabah) e una rete di 30 Posti di primo soccorso e Centri sanitari collegati ai suoi ospedali. Inoltre, Emergency garantisce assistenza medica ai detenuti delle principali carceri della capitale Kabul.

Iraq

In Iraq, Emergency gestisce un centro di produzione protesi, riabilitazione e reintegrazione sociale a Sulaymaniyya (Kurdistan iracheno), aperto nel 1998. Inoltre, organizza dei corsi di formazione professionale per i pazienti e li aiuta nell’avvio di botteghe e piccole cooperative artigiane.

Italia

In Italia, Emergency gestisce 3 poliambulatori, 3 ambulatori, 3 ambulatori mobili, 2 unità mobili e uno sportello di orientamento socio-sanitario:

  • Nel 2006 Emergency ha aperto in Sicilia, a Palermo, un Poliambulatorio per garantire assistenza sanitaria gratuita ai migranti, con o senza permesso di soggiorno, e a tutti coloro che ne abbiano bisogno. Un secondo Poliambulatorio ha cominciato le attività a Marghera, in provincia di Venezia, il 2 dicembre 2010. Il 15 luglio 2013 ha aperto il Poliambulatorio di Polistena, in provincia di Reggio Calabria, situato in un palazzo confiscato alla ‘ndrangheta. Da marzo 2015 è attivo anche il Poliambulatorio di Castel Volturno, e dal 1º settembre 2015 quello di Napoli, nel quartierePonticelli.
  • Tre ambulatori mobili portano assistenza sanitaria dove più c’è bisogno; essi prestano servizio per periodi definiti in aree a forte presenza di migranti: si tratta di due “Polibus” e un “Politruck”. Due unità mobili offrono informazione e prevenzione per le prostitute che lavorano nel casertanoe servizi di orientamento socio-sanitario a Bologna.
  • A metà dicembre 2012 Emergency ha aperto a Sassariuno sportello di orientamento socio-sanitario, che da gennaio 2016 funziona anche da ambulatorio. A luglio 2016 è stato aperto uno sportello informativo a Brescia.
  • Dal luglio 2013 Emergency offre assistenza socio-sanitaria ai migranti sbarcati sulle coste italiane; in particolare opera in Sicilianei porti di Augusta, Pozzallo, Porto Empedocle e nei centri di accoglienza di Priolo, Villa Sikania e Rosolini.
Repubblica Centrafricana

In Repubblica Centrafricana, Emergency dal 2009 gestisce un Centro pediatrico nella capitale Bangui; il centro offre assistenza di base e di emergenza ai bambini fino ai 14 anni, assistenza prenatale e attività di educazione igienico-sanitaria rivolta alle famiglie.

Inoltre dal 2013, a seguito delle violenze dopo il colpo di stato, è attivo un team per la chirurgia di guerra e di emergenza, che ha riattivato le sale operatorie dell’ospedale pediatrico cittadino.

Sierra Leone

In Sierra Leone, Emergency gestisce un Centro chirurgico (dal 2001) e un Centro pediatrico (dal 2002) a Goderich, nei sobborghi della capitale Freetown. A settembre 2014, per far fronte all’epidemia di Ebola nel Paese ha aperto un Centro per la cura dei malati di Ebola a Lakka, a pochi chilometri da Freetown, realizzato in collaborazione col DFID, l’agenzia per la cooperazione internazionale del Regno Unito. Nei mesi successivi sono stati aperti un Posto di primo soccorso a Waterloo e un Centro di cura da 100 posti a Goderich.

Sudan

In Sudan Emergency gestisce dal 2007 il Centro Salam di cardiochirurgia a Khartum (nei pressi di Soba Hilla) e 2 centri pediatrici: uno (dal 2005) nel campo profughi di Mayo, nei sobborghi della capitale, e uno a Port Sudan, sul mar Rosso (dal 2011).

Altri Programmi completati
Afghanistan

Programma di aiuti alle vedove di guerra con la distribuzione di bestiame per l’allevamento a 400 famiglie della Valle del Panshir (2001).
Avvio di un laboratorio di produzione di tappeti per favorire l’autonomia economica di donne, vedove o indigenti, della Valle del Panshir (2003-2007).

Algeria

Avvio di un Centro di riabilitazione e produzione protesi a Medea (2003) trasferito alle autorità locali nel 2004.

Angola

Ristrutturazione, equipaggiamento e gestione per oltre un anno di due centri sanitari; formazione del personale nazionale (2003).

Cambogia

Costruzione e gestione di un Centro chirurgico a Battambang e di 5 Posti di primo soccorso nel distretto di Samlot (1998). Nel 2012, con la consegna in gestione del centro di Battambang alle autorità locali, Emergency ha concluso il suo intervento in Cambogia. I posti di primo soccorso erano stati anch’essi consegnati alle autorità locali negli anni precedenti.

Eritrea

Invio di un team chirurgico nell’ospedale Mekane Hiwet di Asmara, su richiesta della Cooperazione Italiana. Il personale di Emergency ha curato le vittime del conflitto tra Etiopia ed Eritrea (2000).

Iraq

Costruzione e gestione di due centri chirurgici per vittime di guerra a Sulaymaniyya (1996) ed Erbil (1998) e di 22 posti di primo soccorso. Nel 2005 queste strutture sono state date in consegna alle autorità locali.
Costruzione di un Centro di riabilitazione e produzione protesi a Diana (2000), dato in consegna alle autorità sanitarie locali.
Fornitura di farmaci, materiali di consumo e combustibile per i generatori all’ospedale Al-Kindi di Bagdad e di farmaci e materiale sanitario all’ospedale di Karbala, a sud di Baghdad (2001).
Costruzione di un Centro di riabilitazione e produzione protesi a Dohuk (2003), ora gestito dalle autorità sanitarie locali.
Sostegno alla popolazione di Fallujah durante l’assedio della città, con distribuzione di generi di prima necessità, acqua e farmaci ai rappresentanti della comunità e all’ospedale cittadino (2004).

Italia

Assistenza sanitaria in alcune carceri laziali (2005-2007).

Nell’ambito del progetto “Sviluppo di percorsi di salute e percorsi di integrazione” del Fondo Europeo per l’Integrazione sono stati aperti cinque sportelli informativi: uno a Catania, uno a Messina e tre in provincia di Ragusa (Scicli, Santa Croce Camerina, Vittoria). L’obiettivo del programma, attivo tra il 2013 e il 2014, era quello di facilitare l’accesso ai servizi sanitari pubblici da parte dei migranti

Dal 2013 al 2015 due ambulatori mobili (“minivan”) prestavano cure gratuite e servizi di orientamento socio sanitario nelle campagne pugliesi e in particolare nell’area di Capitanata.

Dal 1º giugno 2016 e per 2 mesi uno staff dell’associazione ha garantito assistenza medica a bordo della nave Topaz Responder dell’associazione MOAS (Migrant Offshore Aid Station) per il soccorso e salvataggio dei migranti in mare[24][25][26].

Libia

Programma di chirurgia di guerra nella città di Misurata sotto assedio (2011).

Dall’ottobre 2015 all’agosto 2016 Emergency ha attivato un Centro chirurgico per vittime di guerra a Gernada, su richiesta del ministero della Sanità del governo di Tobruk. Il programma è stato interrotto per la mancata assicurazione da parte della autorità sui requisiti minimi di sicurezza dell’ospedale.

Nicaragua

Fornitura di farmaci alla Casa de la mujer, una rete di dispensari che presta assistenza alle donne malate di tumore e diabete (2003-2004).

Palestina

Invio di un team chirurgico presso l’unità ortopedica dell’ospedale pubblico di Jenin (2003-2004).

Ruanda

Primo intervento di Emergency (1994) – Ristrutturazione e riapertura dei reparti di chirurgia e di ostetricia e ginecologia dell’ospedale di Kigali.

Serbia

Sostegno all’orfanotrofio Jova Jovanovic Zmaj di Belgrado (1999).

Sri Lanka

In seguito allo tsunami del 2004, forniture di materiale all’ospedale di Kalutara (2005), distribuzione di barche a motore, canoe e reti da pesca ai pescatori del villaggio di Punochchimunai e di kit scolastici agli studenti (2005), ricostruzione di 91 abitazioni (2005-2008).

Sudan

Ricostruito e allestito il reparto di Chirurgia d’urgenza dell’ospedale di Al Fashir in Nord Darfur (2004). Il reparto è stato trasferito al ministero della Sanità nell’agosto 2005.

Emergency è stata insignita della Medaglia d’oro al merito della sanità pubblica con la seguente motivazione:

«L’Associazione, nata nel 1994 per offrire cure mediche chirurgiche gratuite e di elevata qualità alle vittime delle guerre, delle mine antiuomo e della povertà, fornisce assistenza gratuita a chiunque ne abbia bisogno senza discriminazioni politiche, ideologiche o religiose ed è stata particolarmente impegnata nel prestare cure e assistenza ai malati colpiti dall’epidemia di Ebola nei paesi africani interessati. L’Associazione forma il personale medico e paramedico secondo criteri e standard di alto livello professionale fino al raggiungimento della completa autonomia operativa. L’impegno umanitario di Emergency è reso possibile dal contributo di migliaia di volontari, medici, infermieri che operano in situazioni critiche per le vittime di guerra e per le emergenze chirurgiche.»

Quando josé Mujica spiegò la felicità a Gabanelli e Saviano…

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La felicità spiegata da Mujica a Gabanelli e Saviano…

L’ex presidente dell’Uruguay, José “Pepe” Mujica, è in viaggio in Europa. La tappa italiana, giovedì scorso, è stata dedicata all’incontro con le sue radici. I suoi trisavoli erano contadini italiani che sono arrivati sulle navi in America alla ricerca di fortuna, di una vita migliore. Dopo aver portato a termine una serie di riforme  in Uruguay, Mujica ha lasciato il mondo della politica con l’80% della popolarità. Si è ritirato nella sua fattoria in provincia di Montevideo. È stato 14 anni prigioniero politico, di cui otto con il divieto di leggere libri: “Sono stati gli anni più duri, dovevo lottare con me stesso per non diventare matto. Ma sono stati anche gli anni che più mi sono serviti nella mia vita”.

AUTOBIOGRAFIA IN ITALIANO

Dopo un breve colloquio con Papa Francesco in Vaticano, Mujica ha presentato il libro José “Pepe” Mujica. La felicità al potere (Eir, 2015) nell’albergo Columbus in Via della Concilizione. C’erano tre sale piene, schermi all’uscita per chi non era riuscito a entrare (qui la gallery fotografica di Umberto Pizzi). Presenti cardinali e ambasciatori, nonché ragazzi con la bandiera uruguaiana venuti da tutte le parti di Italia per ascoltare le parole dell’ex presidente. Nessun rappresentante del governo italiano.

LE PAROLE DI PEPE

“Non abbiate paura dell’immigrazione. Gli immigrati non sono un problema, sono la soluzione. Siete troppo impegnati a comprare tv, macchine, vestiti e non avete tempo per fare figli. L’Italia è un Paese vecchio che si ritroverà senza forza di lavoro. Avete abbandonato le montagne, sapete quante pecore ci possono stare lì? Fate lavorare gli immigrati. Vi pagheranno loro la pensione”, ha detto Mujica. Sugli sbarchi di migranti sulle coste italiane, l’ex presidente ha detto che “non sono disperati dell’Africa, ma disperati dell’Umanità. Non è problema dell’Italia, ma del mondo intero”.  Ha ricordato che ogni minuto che passa si spendono nel mondo due milioni di dollari nel settore militare, per cui la mancanza di risorse economiche è una scusa.

PASSO DOPO PASSO

Accanto a lui, “sedotta e affascinata dalla storia di Mujica, come lei stessa ha confessato, c’era la conduttrice di ReportMilena Gabanelli“Come facciamo a tradurre le sue idee nella pratica?”. “Come hanno fatto questo palazzo, così bello e così antico?”, ha risposto Mujica? “Passo dopo passo. Un mattone dopo l’altro. Non siamo Dio, che con un dito può fare miracoli. Possiamo soltanto sommare piccoli sforzi. Possiamo cambiare il mondo solo insieme, cominciando dalla nostra casa, dal nostro quartiere, dalla nostra cultura e dalla nostra testa”“Allora, in sintesi, lei dice che non bisogna credere nei politici che fanno grandi promesse?”, ha chiesto la Gabanelli“No, non ho detto quello. Credo che siano grandi soltanto le strade che ci portano a compiere degli obiettivi. Che sono sempre piccoli e si sommano ad altri piccoli successi e insieme creano cose grandi”.

PER UNO STATO FORTE

Secondo Mujica, siamo tutti capitalisti. Nessuno può dirsi veramente comunista o socialista. “L’Unione sovietica è crollata perché era un elefante che non si sosteneva. Dobbiamo imparare dalla Storia – ha detto l’ex presidente –perché la Storia è radicale nei suoi insegnamenti. Lo Stato deve essere forte e fungere da scudo per la società. Fare concorrenza al settore privato. Altrimenti, finiremo in mano alle mutinazionali e saremo in cattive acque”.

GUERRA AL NARCOTRAFFICO

La Gabanelli gli ha chiesto poi se la liberalizzazione della marijuana sta funzionando nel suo Paese. “In Uruguay non è stata liberalizzata la marijuana. Abbiamo regolato la vendita e il consumo. Noi non diciamo che la marijuana faccia bene. Come l’alcol e il fumo, anche la marijuana fa male. Se io bevo due bicchieri di vino, forse mi fa male ma non muoio. Se bevo un litro di alcol mi devo far curare. Vogliamo fare lo stesso con la marijuana. Se chiedi più delle dosi permesse, un gruppo di recupero ti aiuta a guarire. Se tutto questo accade clandestinamente, non possiamo fare nulla invece”“Si tratta di un laboratorio. Siamo un Paese piccolo e possiamo sperimentare. Se va bene, abbiamo qualcosa da offrire al mondo, se va male, anche. Non si tratta di una guerra alla marijuana, ma al narcotraffico”, ha aggiunto.

SCHIAVI DELL’ODIO

Lo scrittore Roberto Saviano ha detto che, dopo l’approvazione della legge sulla marijuana, i cartelli della droga messicana sono andati via dall’Uruguay: Mujica ha trasformato la comunicazione politica. Non comunica cosa farà, ma comunica fatti compiuti. Qui ci hanno ingannato con promesse che tutto sarebbe cambiato e, i candidati alle elezioni regionali, sono la prova che tutto è rimasto uguale. La situazione campana ne è la prova. Se fosse accaduto con Berlusconi, tutti avrebbero urlato indignati, ma qui nessuno parla. Ci parlano di una ripresa economica, di una crescita dell’occupazione che non esiste”“Non conosco la politica europea e la politica italiana – ha detto Mujica – ma qualcosa mi ha insegnato la vita e penso che funzioni ovunque: non bisogna essere schiavi dell’odio”.

TRA DOLORE E SPERANZA

La Gabanelli ha detto che davanti alla storia di Mujica si sente un “concentrato di banalità”. E ha chiesto all’ex presidente come fare, nella vita quotidiana, per riuscire a portare avanti questa svolta sociale. “Io sono solo un contadino, ma credo che sia necessario sommare le scelte politiche all’impegno dei sindacati, dei collettivi, dei movimenti cittadini, dei giovani impegnati socialmente. Sento molto dolore, ma anche molta speranza. Non bisognare perdere l’entusiasmo di vivere. Dopo ogni errore si deve ricominciare. Avvicinatevi ai giovani, ma i giovani-giovani, non i giovani vecchi. Innamoratevi”. La conduttrice gli ha poi confessato che ogni mattina esce di casa con quel proposito, ma non sempre riesce a realizzarlo. “Allora esca la sera”, le ha consigliato sorridendo Mujica.

 

fonte: http://formiche.net/2015/05/gabanelli-lezione-felicita-mujica/

Ognuno di noi vive circondato da trecentomila oggetti

 

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Ognuno di noi vive circondato da trecentomila oggetti

Ci ho pensato ieri, quasi senza volerlo, quando ho attaccato alla parete del bagno di casa mia un gancio autoadesivo di pura latta: non avevo la minima idea, né la minima possibilità di farmi un’idea, della sua origine. Non avevo modo di sapere chi l’avesse fatto, dove fosse stato fabbricato, come fosse stato il lavoro e quale fosse stato il suo percorso da qualche angolo della Cina fino al cinese del negozio all’angolo. Come quasi tutto quello che usiamo, quel gancio arrivava dal nulla, ed è una cosa che non ci stupisce neanche.

Per migliaia di anni, le cose che avevamo avevano una storia – più o meno – conoscibile. Il proprietario di un martello sapeva che lo aveva fatto Lope, quello della bottega dell’isolato a fianco, il figlio di Trini, la cugina dello zio Pedro. Ora no: e poi abbiamo così tante cose che se ne conoscessimo la storia non avremmo tempo di fare altro.

Viviamo nella civiltà delle migliaia di cose. Negli Stati Uniti (dove fanno conti del genere) un recente studio ha stabilito che in una casa media ci sono 300mila oggetti, “dalle graffette fino all’asse da stiro”. Nel Regno Unito un bambino di dieci anni ha in media 238 giocattoli, anche se gioca con dieci o dodici. E la ricerca di una compagnia di assicurazioni britannica dice che passiamo in media dieci minuti al giorno a cercare cose che perdiamo: in una vita possono essere 200 giorni persi alla ricerca di qualcosa. Quasi nulla, se paragonati ai duemila che passiamo comprando cose.

Il sistema economico mondiale ha bisogno che noi abbiamo bisogno di sempre più cose, perché vive della loro produzione

Abbiamo migliaia di cose e ci sono miliardi di persone che non hanno quasi nulla: noi, il 12 per cento della popolazione che vive in Europa e negli Stati Uniti, consumiamo il 60 per cento dei beni del mondo – inghiottiamo il mondo – mentre il 33 per cento più povero, africano e asiatico, consuma il 3 per cento. Qualche anno fa sono andato a scrivere del Movimento dei sem terra in un angolo dell’Amazzonia.

Una donna di nome Gorette mi ha prestato la sua capanna, e io ho creduto che la miglior descrizione della povertà fosse raccontare quello che mancava: “Nella capanna di Gorette ci sono un machete, quattro piatti di latta, tre bicchieri, cinque cucchiai, due pentole di ottone, due amache, un recipiente pieno d’acqua, tre lattine di latte in polvere zuccherato, sale e latte in polvere, una lattina di olio piena, due lattine di olio vuote, tre asciugamani, una scatola di cartone con qualche vestito, due calendari di qualche negozio con dei paesaggi, un frammento di specchio, due spazzolini, un mestolo, mezzo sacchetto di riso, una radio che non prende quasi niente, due giornali del movimento, il quaderno di scuola, un recipiente di plastica per portare l’acqua dal pozzo, un catino di plastica per lavare i piatti e una bambola di pezza con un vestito rosso e una strana cuffietta. Questi sono i suoi averi nel mondo, insieme a tre tronchi per sedersi, un paio di infradito, una lampada a cherosene e niente più”.

Abbiamo vissuto così per millenni: con poche cose davvero necessarie, ottenute a fatica, che conoscevamo e apprezzavamo. Adesso le cose non significano nulla: si possono buttare, sostituire, non vale la pena aggiustarle o ripararle perché è più facile e più economico comprarne altre. E niente ci piace più di comprare altre cose.

Contro questo inquinamento ultimamente hanno fatto la loro comparsa i “minimalisti”: persone che sostengono che non abbiamo bisogno di così tanta spazzatura per vivere bene, e che la saggezza sta nel non averla.

Il paradosso è che il sistema economico mondiale ha bisogno che noi abbiamo bisogno di sempre più cose, perché vive della loro produzione. Sono le delizie del capitalismo globale, che è come un aereo: se non romba a ottocento chilometri all’ora si schianta. Se dicessimo basta, se ci organizzassimo per fare un uso razionale delle risorse, milioni di persone – operai, imprenditori, impiegati, imprenditori, venditori, imprenditori – avrebbero gravi problemi. O magari inventeremmo qualcosa: a volte succede.

 

El PaísSpagna

Questo articolo è uscito su El País.

(Traduzione di Francesca Rossetti)

tratto da: https://www.internazionale.it/opinione/martin-caparros/2018/04/26/ognuno-circondato-trecentomila-oggetti

18 anni dalla scomparsa di Gino Bartali, il 5 maggio del 2000 – Ecco chi era il “giusto fra i giusti” che salvò gli ebrei e non si arrese ai fascisti

Gino Bartali

 

 

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18 anni dalla scomparsa di Gino Bartali, il 5 maggio del 2000 – Ecco chi era il “giusto fra i giusti” che salvò gli ebrei e non si arrese ai fascisti

Vi racconto Gino Bartali, il ‘giusto fra i giusti’ che salvò gli ebrei e non si arrese ai fascisti

Il Ginettaccio ha avuto la cittadinanza israeliana ad honorem. Per la sua opera rischiò di essere fucilato dalle camicie nere

Oggi il Giro d’Italia parte eccezionalmente da Israele dove Gino Bartali è stato dichiarato “giusto fra i giusti” e qualcuno, nel mondo cattolico, vorrebbe aprire una causa di beatificazione. Onori questi che spettano non soltanto a un grande sportivo ma anche a un grande uomo passato alla storia d’Italia anche per le sue imprese civili.
Un atleta che gli sportivi di tutta Europa hanno chiamato l’uomo di acciaio, per la forza fisica e per l’eccezionale resistenza alla fatica. I francesi che lo hanno temuto e ammirato, lo chiamavano “Le lion de Toscan”. Negli ultimi anni della sua carriera, quando continuava a correre e anche a vincere nonostante fosse vicino ai 40 anni, Bartali diventò l’Intramontabile. Ma fu di volta in volta Ginettaccio e l’uomo del “tutto sbagliato, tutto da rifare” per la sua lingua lunga, per la battuta salace, per la sua verve toscana, che lo mise contro tutti, a cominciare dal regime fascista che non lo ha mai amato, ma anzi lo ostacolò per la sua ostentata appartenenza al mondo cattolico, che a quell’epoca voleva essere l’unico modo per manifestare il proprio dissenso nei confronti del regime.
Se si sa di quello che Gino fu capace di fare durante l’occupazione nazista. Delle sue corse in bicicletta fino ad Assisi, con la scusa dell’allenamento, per procurare documenti agli ebrei e agli antifascisti, che venivano falsificati dai frati e che poi lui portava al Cardinale Dalla Costa, che ebbe un ruolo molto importante nella Resistenza fiorentina. Venni poi a sapere che per questa sua attività fu arrestato dal famigerato maggiore Carità, noto torturatore al servizio dei nazisti, il quale voleva sentire da Gino il nome del Cardinale. Ma Gino resistette anche alla tortura e alle minacce di morte. Fu sua moglie Adriana, una ragazzina poco più che ventenne, a far vacillare il boia fascista. “Tu sei già passato alla storia per le tue efferatezze, ora vuoi passare alla storia anche per aver ucciso il più grande ciclista italiano!” Il boia vacillò di fronte alle parole di quella ragazzina: “vattene via” disse a Gino “tu sei il ciclista che questa Italia di merda si merita”.
Gino non parlava mai di queste sue imprese: oggi sappiamo che insieme al Cardinale Dalla Costa che dirigeva la Resistenza fiorentina, riuscì a mettere in salvo ottocento ebrei, molti nascondendoli a casa sua. In una intervista glie ne chiesi il perché. “Perché queste cose quando si è chiamati si fanno e basta. Io non l’ho fatto per avere dei meriti, l’ho fatto soltanto per fare il mio dovere di uomo, di italiano e di cristiano”.
La fede religiosa fu il faro della vita di Gino Bartali, un uomo che dava del tu a De Gasperi e al quale Papa Giovanni chiese di insegnargli ad andare in bicicletta. Un uomo che fece della fede la forza della sua vita ed anche delle sue grandi imprese sportive.
Quel giorno che andai a trovarlo, dopo una chiacchierata di diverse ore in cui non riuscimmo più a registrare perché avevamo finito le cassette, Gino mi congedò con una delle sue ‘perle’. Nella sua casa c’era una gigantografia della famosa foto in cui i due grandi rivali-amici si scambiano la borraccia. “Come andò”, gli chiesi. “Lei che ne pensa?” “Io vedo che Fausto ha il portaborraccia vuoto e quindi deduco che è lui a dare la borraccia e lei a prenderla. Gino mi guardò con aria ironica e con la sua vociaccia roca ammise: “Quella volta me l’avrà data lui ma chissà quante volte glie l’avrò data io”.
Qualche anno dopo Gino morì. Il giorno dopo il funerale incontrai il presidente del Coni Gianni Petrucci, di ritorno da Firenze. Mi raccontò che all’ospedale di Careggi dove era morto Gino, lui fu indirizzato verso una camera mortuaria. Nella bara c’era un fraticello scalzo. Petrucci pensò di avere sbagliato stanza, ma non era così. Gino Bartali, il grande Bartali, l’uomo di acciaio, si era fatto mettere nella bara come l’ultimo dei carmelitani scalzi.

tratto da: http://www.globalist.it/sport/articolo/2018/05/02/vi-racconto-gino-bartali-il-giusto-fra-i-giusti-che-salvo-gli-ebrei-e-non-si-arrese-ai-fascisti-2023633.html