Amarcord – Il 1 giugno 1980 – 39 anni fa – debuttava in Tv il telefilm che ha fatto sognare un’intera generazione: Love Boat

 

Love Boat

 

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Amarcord – Il 1 giugno 1980 – 39 anni fa – debuttava in Tv il telefilm che ha fatto sognare un’intera generazione: Love Boat

Cosa resterà degli anni ‘80” cantava Raf, una delle più belle, e nel contempo malinconiche, canzoni della mia infanzia, un vero e proprio inno di quell’epoca che ancora oggi amo ascoltare.

Vivendo in una famiglia teledipendente, degli anni ’80 mi è rimasto il ricordo dei tanti telefilm che trasmettevano in quel periodo, un ricordo che, sono sicura, anche molti di voi conservano ancora. Tra i preferiti di mia madre c’era sicuramente la serie televisiva americana “Love Boat”.

Love Boat è una serie televisiva statunitense ambientata su una nave da crociera, prodotta tra il 1977 e il 1987.

In Italia la serie è andata in onda dal 1º giugno 1980 su Canale 5. Nel 2010 è stata riproposta in versione restaurata sul canale Fox Retro della piattaforma satellitare Sky Italia e in chiaro su Rai 2.

La serie si svolge usualmente sulla nave Pacific Princess, in cui i passeggeri e l’equipaggio hanno avventure romantiche e divertenti. In alcune puntate furono usate altre navi: la gemella Island Princess, la Stella Solaris (per una crociera nel Mediterraneo), la Pearl of Scandinavia (per una crociera cinese), la Royal Viking Sky (per crociere in Europa) e la Royal Princess (per una crociera ai Caraibi). 

La particolarità della serie era costituita dal fatto che il cast dei passaggeri, che cambiava di puntata in puntata, era costituito da attori molto conosciuti, per la maggior parte negli Stati Uniti d’America.

I personaggi fissi della serie erano i membri dell’equipaggio, ossia il capitano Merrill Stubing, la direttrice di crociera Julie McCoy (sostituita nelle ultime stagioni da Judie McCoy), il barman Isaac Washington, la figlia del capitano Vicky Stubing (aggiuntasi successivamente), il dottore Adam Bricker e Burl Gopher Smith. Questi personaggi fissi avevano ruoli e caratteri ben definiti.

Un altro aspetto peculiare di Love Boat era il suo formato di scrittura: la puntata era divisa in segmenti differenti, e ogni segmento veniva scritto da un gruppo differente di autori, che lavorava sul proprio gruppo di attori e sulla propria storia.

Love Boat – Curiosità
  • La serie è basata sul film tv The Love Boat del 1976, a sua volta ispirato dal romanzo The Love Boats di Jeraldine Saunders, una vera direttrice di crociera.
    In seguito il film tv ebbe due sequels The Love Boat II e The New Love Boat, entrambi del 1977.
  • Nel 1990 venne prodotto un film per la TV, The Love Boat: A Valentine Voyage
  • Una seconda serie, Love Boat – The Next Wave venne prodotta tra il 1998 e il 1999. Il ruolo del protagonista venne affidato a Robert Urich come Capitano Jim Kennedy, un ufficiale della marina americana in pensione. Alcuni membri del cast della serie originale presero parte ad un episodio, nel quale viene rivelato che Julie Mc Coy e “Doc” Adam Bricker sono sempre stati segretamente innamorati, ma trattenuti dal fatto di essere, a quei tempi, colleghi, ed alla fine del quale diventano finalmente una coppia.

  • In Italia, il programma venne presentato con una sigla italiana, cantata da Little Tony. Questa sigla è diventata molto famosa ed entrò in hit parade.
  • La cantautrice australiana Kylie Minogue ha scritto ed interpretato un brano dedicato alla celebre serie televisiva, chiamato appunto Loveboat.
  • La Pacific Princess, ferma dall’Ottobre del 2008 anni presso il porto di Genova per delle riparazioni, sara’ venduta all’asta. Il broker delegato sara’ Andrea Fertonani della Ferrando & Massone di Genova.    Al termine di una lunga, tristissima trattativa, ciò che resta della “Love Boat” è stata venduta a una società turca, la Cemsan, specializzata in demolizioni, per poco più di due milioni e mezzo di euro.
  • E proprio questa, la demolizione, sarà con ogni probabilità la fine imminente della nave che, smessi i panni della star televisiva (nome d’arte, Love Boat, nome reale “Pacific Princess”) si era dedicata alle crociere in Sudamerica, prima di essere venduta a una società spagnola, con l’obiettivo di concludere in bellezza la sua carriera nel Mediterraneo. La nave, costruita nel 1971 in un cantiere navale dell’allora Germania Ovest, era prima di proprietà della statunitense Princess Cruises. Fu poi venduta nel 2001 ad una compagnia spagnola che, in seguito a dei problemi economici, se la vide pignorare. Dal 2008, era ormeggiata presso i cantieri navali San Giorgio del Porto a Genova in attesa di un restyling. Nel luglio del 2013 la nave fu trasferita in Turchia per essere dismessa e smantellata ma alcuni problemi tecnici, che hanno determinato la morte di due uomini e il ferimento di molti altri, hanno ritardato tale operazione ed ora la nave risulta sotto sequestro.

Nel corso degli anni la “Love Boat” ha trasportato centinaia di passeggeri lungo la costa pacifica del Messico, in crociere piuttosto brevi. Per gli standard di oggi è una nave piuttosto piccola: è lunga 167 metri e pesa circa 20mila tonnellate – le attuali navi da crociera pesano tra le 120mila e le 250mila tonnellate – e, come ha detto anche Mike Driscoll, direttore della pubblicazione di settore Cruise Weeknon c’era niente da fare a bordo, se non bersi qualche birra per far passare il tempo. In pratica la demolizione della nave è inevitabile, scrive NBC, anche perché non c’è modo di renderla competitiva nel mercato di oggi.

Un Cult: Frankenstein Junior – A.B. Norme…

 

Frankenstein Junior

 

 

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Un Cult: Frankenstein Junior – A.B. Norme…

AB-Norme

Tutto ha inizio quando Igor (Marty Feldman), impegnato nel procurare un cervello umano al Dr. Frederick Frankenstein da inserire nella Creatura, rompe accidentalmente il barattolo selezionato, portando al dottore un altro cervello, quello di un tale “AB-Norme”…
La Creatura al suo risveglio dà però segni di violenza e follia, e ciò porterà inevitabilmente al celebre scambio di battute tra Igor (o Aigor, che dir si voglia) e Frankenstein qui di seguito.

Frederick: Aigor, posso parlarti un momento?
Igor: Certamente!
Frederick: Siediti, vuoi?
Igor: Grazie. [si siede a terra]
Frederick: No, no! Più su!
Igor: Oh! Grazie. [si siede su uno sgabello]
Frederich: Dimmi, quel cervello che mi hai portato era di Hans Delbrück?
Igor: No.
Frederick: Ah! Be’… Ehm, ti dispiacerebbe dirmi di chi era il cervello che gli ho messo dentro?
Igor: Non si arrabbierà, eh?
Frederick: No, io non mi arrabbierò!
Igor: A.B. qualcosa…
Frederich: “A.B. qualcosa”? “A.B.” chi?
Igor: A.B… Norme.
Frederick: “A.B. Norme”?
Igor: Sono quasi sicuro che era quello il nome.
Frederick: Vorresti dire che io ho messo un cervello “abnorme”… in un energumeno lungo due metri e venti… e largo come un armadio a due ante?! [comincia ad urlare] Canaglia! [inizia a strangolarlo come precedentemente aveva fatto il mostro con lui] È questo che vorresti dirmi?!

Il video

In lingua originale:

Una storia triste: mi sono fatto ibernare nel ’94 e mi sono risvegliato oggi…!

 

storia triste

 

 

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Una storia triste: mi sono fatto ibernare nel ’94 e mi sono risvegliato oggi…!

Ciclicamente vivo periodi di introspezione conditi da sprazzi di scarsa tolleranza nei confornti del prossimo. Giorni in cui mi sveglio e mi sento un alieno. Ecco la mia triste storia:

Corre l’anno 1994. Berlusconi, con Fini e Bossi, vince le elezioni ed io non posso accettarlo. Mi chiedo come sia possibile che la gente abbia cacciato a calci in culo dall’Italia uno come Craxi, perché rubava, ed accetti senza problemi il suo vassallo Silvio. Mi chiedo come sia possibile che in una nazione intelligente come la nostra, che per anni si è fatta guerra per unirsi sotto un’unica bandiera, possa vincere un partito secessionista come quello di Bossi. Mi chiedo come sia possibile che in una nazione che decenni prima aveva appeso a testa in giù un fascita come Mussolini dare di nuovo il proprio voto a gente dello stesso partito. Follia! Che problema ha la gente?

Internet è agli albori e Google ancora non esiste. La maggior parte delle persone non ha ancora un telefonino da mettere in tasca. La vecchia politica è oramai andata, i grandi eroi come Falcone e Borsellino sono passati a miglior vita. Si prospettano anni bui e per questo motivo contatto un mio amico negli Stati Uniti che anni prima mi aveva parlato di una tecnica criogenica messa a punto da alcune aziende americane:

– Ehi, ciao! Hai letto? Qui in Italia ce la passiamo un po’ male
– Yes cavolo, my friend, non vi invidio!
– Senti, ti ricordi di quando mi hai parlato di quelle società in cui è possibile farsi congelare in attesa che si trovi una cura alla propria malattia?
– Sure! È nella mia city! Ma why me lo chiedi?
– Perché non c’è cura alla mia orticaria, ai bruciori di stomaco e al giramento di palle che mi provoca il vivere in questa nazione! A condividere la stessa aria con questo popolo demente. Voglio ricorrere al trattamento criogenico e farmi risvegliare quando Berlusconi, Bossi e Fini non saranno più al potere!
– Cavolo, è una scelta drastica, ne sei sure?
– Cazzo, si! Mettimi in contatto con loro immediatamente!

Segue un lungo scambio di lettere tra me e l’azienda, spiego le mie forti motivazioni e loro accettano.
Passa ancora qualche mese, sento il suono del campanello di casa, apro e mi ritrovo davanti questi scienziati americani che mi avvertono di salutare i miei cari, di raccogliere solo il necessario e di seguirli al loro laboratorio.
Il cuore mi batte forte, finalmente il mio sogno si avvera!
Li seguo, entro in macchina, mi bendano come nei film. Segue un lungo viaggio, parlano tra di loro, non capisco un cazzo! Dannata inutile ora di inglese a scuola, dopo 10 anni so solo intrattenere conversazioni il cui soggetto sia la penna sul tavolo!
Il viaggio dura un bel po’’. Si fermano, mi fanno scendere, mi tengono per le braccia. Una strada sterrata seguita da scalini e poi in ascensore. Arriviamo al piano, mi tolgono la benda. Cazzo che luce! Non ci vedo più. Si avvicina a me un dottore, mi visita e da l’ok. Mi mostrano una specie di contentiore con tanti tubi intorno, mi dicono di spogliarmi e di stendermi all’interno. Lo faccio.
Passano alcuni minuti, arriva un nuovo scienziato che sa parlare italiano:

– Buongiorno Signor Christian
– Buongiorno
– Le diamo il benvenuto presso il nostro laboratorio. non si deve preoccupare, la criogenia è oramai una pratica sicura al 100%. La addormenteremo e il computer la risveglierà non appena ci sarà una cura per la sua orticaria e per il suo giramento di palle cronico. La sveglieremo come da sua richiesta presumibilmente quando Berlusconi and friends non saranno più al potere.
– Che dire? Grazie! Grazie per questa fantastica opportunità, grazie per avermi salvato la vita!

Il sarcofago si chiude, arriva il freddo, tanto freddo, la luce si spegne. Chiudo gli occhi. Che cazzo di freddo!

zzzzzzz…
zzzzzz…….
zz….
Tlin…tlin…beep…beep…beeeeeep!

Che cos’è questo rumore? Riapro gli occhi. Qualcosa secondo me non ha fuznionato. Il sarcofago si riapre, passati gli effetti della luce accecante riesco ad intravedere delle figure. La vista mi ritorna, “Cazzo, sono tutti più vecchi!”:

– Bentornato Sig. Christian e benvenuto nel 2018! Sono passati 24 anni!
– …eh? Ma cosa dice? Saranno passati si e no 10 minuti!
– Per Lei forse si, ma si fidi, sono trascorsi 24 anni!

Non ci credo, ma poi mi portano un giornale, è esattamente il 26 settembre del 2018, Grande Giove!

– Sig. Christian abbiamo una buona notizia! Berlusconi, Fini e Bossi non sono più al potere!
– Oddiooooooooooo, allora sono in paradiso!!!

Tutto il team ride.

Mi riaccompagnano a casa, i miei sono invecchiati, mio padre mi viene incontro e mi abbraccia.
Passati i convenevoli inizia a spiegarmi di come si sia evoluto il mondo:

– Internet è il luogo in cui è racchiusa tutta la conoscenza umana e tu puoi accedervi grazie allo Smartphone!
– Porca troia che bello!
– Si ma per la maggior parte del tempo lo userai con i giochini
– Ah…
– Hanno inventato dei luoghi in cui puoi dar sfogo a la tua rabbia, a tutte le tue frustrazioni e alle tue insicurezze. Si chiamano Social Network.
– Per la puttana miseria! Finalmente un mondo migliore!
– Per niente! È peggio di prima, prima se eri scemo te lo tenevi per te, adesso ne fai sfoggio senza vergogna
– Ma che cazzo dici?
– Si! È così, mi spiace! Oggi la gente crede di sapere tutto ma non sa un cazzo e se glielo fai notare ti offende
– Oddio…
– La TV tradizionale è quasi morta…
– …finalmente una buona notizia…
– Ma c’è gente che si arricchisce con inutili filmini amatoriali su Youtube
– Cazzo! Be’ almeno gli scienziati mi hanno detto che Berlusconi, Fini e Bossi non ci sono più…
– …nsomma…
– In che senso “insomma”?
– Ricordi Beppe Grillo?
– Chi, il comico?
– Si, ha creato un partito politico fatto da gente che non capisce un cazzo di politica e fa politica. Ha creato un partito di gente che non capisce un cazzo di medicina e parla di medicina…
– Ma papà, cosa stai dicendo? Mi stai facendo venire i brividi!
– I “presidenti del consiglio”…
– …guarda che secondo la Costituzione in Italia c’è un solo presidente del coniglio…
– …adesso ne abbiamo 2 in pratica…
– …ho paura, dimmi chi sono!
– Luigi Di Maio del partito di Beppe Grillo, prima di diventare un politico vendeva hot dog alle partite di calcio. Una garanzia per questo paese. L’altro è Salvini della Lega…
– …della Lega Nord?
– No, della Lega, ha cambiato nome così da prendere voti in tutta Italia. Infatti lo hanno votato pure al Sud. L’Italia ha molti più problemi di prima
– Papà mi stai mentendo, sto leggendo i giornali su internet e vedo che non esiste più la Mafia, almeno questa è una conquista!
– Non è che non esiste più, semplicemente non ne parlano più! Salvini e il suo partito danno, per ogni cosa, la colpa agli immigrati e ai rifugiati…
– …del resto il nero sta bene su tutto no?
– Fai lo spiritoso tu, ma puntano il dito verso chi è diverso solo per non parlare più di disoccupazione, corruzione, delle mafie. Hai fatto una scelta sbagliata, ti sei fatto congelare per metterti alle spalle anni che ti sembravano bui per ritorvare al tuo risveglio anni ancora più cupi. Oggi è uno schifo. Ti ricordi dell’Africa, della gente in fila per farsi vaccinare? Qui in Italia li consideriamo arretrati ma poi abbiamo il problema opposto, da qualche anno infatti ci sono i NOVAX, gente che si batte per non far vaccinare i propri figli. Ti rendi conto?
– Papà mi presti 3.000 Euro?
– Cazzo ci devi fare?

Adesso è il 28 settembre 2018, sono volato in Svizzera. Grazie ad Internet ho scoperto che esistono cliniche specializzate nell’eutanasia. Dentro è appena entrato il paziente numero 18, tra un poco tocca a me.

Addio.

 

fonte: http://www.conlecorna.it/una-storia-triste-mi-sono-fatto-ibernare-nel-94-e-mi-sono-risvegliato-oggi/

Dal Giappone le turbine sottomarine: dalle onde del mare 10 volte l’energia di una centrale nucleare, pulita ed economica!

energia

 

 

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Dal Giappone le turbine sottomarine: dalle onde del mare 10 volte l’energia di una centrale nucleare, pulita ed economica!

 

LE TURBINE SOTTOMARINE CHE PRODUCONO DALLE ONDE 10 VOLTE PIÙ ENERGIA DI UNA CENTRALE NUCLEARE

Produrre energia pulita sfruttando le onde del mare. Un’idea non del tutto nuova ma in Giappone è realtà e promette di produrre 10 volte più energia rispetto a quella del nucleare.

Un’idea nata nel 2012 grazie agli scienziati dell’Okinawa Institute of Science and Technology Graduate University (OIST) in Giappone col un progetto intitolato “Sea Horse”. L’obiettivo? Sfruttare l’energia della corrente oceanica Kuroshio.

Quest’ultima è la seconda corrente oceanica più grande del mondo, dopo quella circumpolare antartica. Nasce nell’Oceano Pacifico al largo delle coste di Taiwan e si sposta verso il Giappone, dove si uanisce alla corrente del Pacifico settentrionale. Il suo soprannome è “corrente nera”, traduzione letterale di kuroshio, per via del colore intenso e scuro delle sue acque.

Nel tratto di costa giapponese lambito da questa corrente, gli scienziati giapponesi puntano a produrre energia pulita grazia a queste turbine sommerse ancorate al fondo del mare attraverso i cavi di ormeggio. Le turbine sono in grado di convertire l’energia cinetica delle correnti naturali di Kuroshio in elettricità, poi trasmessa a terra attraverso cavi sottomarini.

La fase iniziale del progetto ha avuto successo. Da allora il team ha avuto un’altra idea: sfruttare i tetrapodi, strutture spesso poste lungo la linea costiera per indebolire la forza delle onde in arrivo e proteggere le rive dall’erosione.

“Sorprendentemente, il 30% della riva del mare in Giappone è coperto da tetrapodi e sistemi di protezione contro le onde” spiega il professor Tsumoru Shintake a capo della ricerca.

Basta sostituirli o ancorare ad essi delle turbine per generare energia pulita e contemporaneamente proteggere le coste.

“Utilizzando solo l’1% delle coste del Giappone si possono generare circa 10 gigawatt di energia, pari a 10 centrali nucleari”.

Per affrontare questa idea, i ricercatori dell’OIST nel 2013 hanno lanciato il progetto WEC che prevedeva l’immissione di turbine in punti chiave della linea costiera per generare energia. Ogni postazione avrebbe consentito alle turbine di essere esposte alle condizioni ideali sia per generare energia pulita e rinnovabile che per proteggere la costa dall’erosione.

Le turbine stesse sono state costruite per resistere alle forti spinte delle onde. Molto flessibili e leggere, secondo gli scienziati sono state progettate per non danneggiare la vita marina visto che le pale ruotano a una velocità accuratamente calcolata, che consente alle creature eventualmente intrappolate di fuggire.

Ora, il professor Shintake e i ricercatori dell’unità hanno completato i primi passi del progetto e stanno preparando l’installazione dei modelli di turbine dal diametro di 0.70 metri, per il loro primo esperimento commerciale. Il progetto prevede l’installazione di due turbine che alimenteranno i LED per una dimostrazione.
“Immagino il pianeta tra duecento anni. Spero che queste [turbine] lavoreranno sodo e bene, su ogni spiaggia su cui sono state installate” ha detto Shintake.

 

Francesca Mancuso da: https://www.greenme.it/informarsi/energie-rinnovabili/25145-turbine-giapponesi-oceano

 

Buon compleanno Gaetano – Il 25 maggio del ’53 nasceva l’indimenticabile Gaetano Scirea. Oggi avrebbe compiuto 66 anni, se…

 

Gaetano Scirea

 

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Buon compleanno Gaetano – Il 25 maggio del ’53 nasceva l’indimenticabile Gaetano Scirea. Oggi avrebbe compiuto 66 anni, se…

 

La Domenica Sportiva del 3 settembre 1989 tutta incentrata sulla seconda giornata di Serie A e sulla sorprendente vittoria della Lazio sul terreno del Milan viene interrotta bruscamente mentre il rullo che manda in onda i servizi sui match è già partito. Un affranto Sandro Ciotti spiega la ragione. Gaetano Scirea, il libero campione del mondo con maglia azzurra nella magica notte di Madrid è morto in un incidente stradale, in Polonia, dopo esser andato a visionare in qualità di allenatore in seconda dei bianconeri il Górnik Zabrze, innocua squadra della Slesia che verrà sconfitta 1-0 in Polonia e 4-2 a Torino nel primo turno di Coppa UEFA 1989/90.

Marco Tardelli in studio alla Domenica Sportiva, compagno di tante avventure con Scirea, si copre il volto con le mani…

Nato in provincia di Milano nel 1953, Scirea disputa due stagioni in prima squadra con l’Atalanta, esordendo in A a solo 19 anni in un Cagliari-Atalanta 0-0. Scelto per sostituire Salvadore, passa nella stagione 1974/75 alla corte di Madama a cui legherà il nome fino al giorno della morte e oltre. Quattordici stagioni, 377 presenze e 24 gol in campionato, l’ultimo dei quali da subentrante al 90′ in un Sampdoria-Juventus dell’aprile 1988 che vale ai bianconeri allenati da Marchesi un immeritato 2-2. Sette scudetti, solo uno in meno di Furino cui succede come capitano. E poi due Coppe Italia e un esemplare di ciascuna delle cinque coppe internazionali.
Anche la nazionale arriva assai presto, il 30 dicembre 1975 nell’amichevole Italia-Grecia. Presenza inamovibile nella nazionale di Bearzot colleziona in tutto 78 presenze, 10 delle quali da capitano, e soprattutto il titolo mondiale di Spagna ’82.

Di ruolo libero, ma con i piedi buoni, Gaetano Scirea chiude la carriera con l’invidiabile record di non aver mai ricevuto un’espulsione in carriera, di solito i centravanti avversari escono dal campo stringendogli la mano quasi in segno di riverenza, i tifosi avversari quelle rare volte che esce dal campo in anticipo invece le mani gliele battono per ammirazione, mai fuori tempo, mai scomposto, elegante come un Rolex in mezzo ad un’esposizione di Swatch.

Raccontarne le gesta non è semplice, anche perché, come disse Sandro Ciotti quel tremendo 3 settembre ai microfoni della Domenica Sportiva, è inutile spendere parole per illustrare un uomo che si è illustrato da solo per tanti anni sui campi del mondo, che ha conquistato un titolo mondiale con pieno merito, che era un campione non soltanto di sport ma soprattutto di civiltà.

Ce lo porta via un incidente stradale in Polonia.

E tutta l’Italia allora lo pianse, ora lo ricorda…

 

 

“La libertà è un lusso di pochi” – Il 13 maggio di due anni fa ci lasciava il grande Oliviero Beha. Un uomo libero…

 

Oliviero Beha

 

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“La libertà è un lusso di pochi” – Il 13 maggio di due anni fa ci lasciava il grande Oliviero Beha. Un uomo libero…

La “libertà è un lusso di pochi” ripeteva spesso alla figlia…

Oliviero Beha stava antipatico a molti, quasi a tutti. Soprattutto ai giornalisti. Solo dopo ai politici e al potere – che lo rispettavano e lo temevano – ma prima ai giornalisti: per la sua intelligenza, irriverenza a tratti arrogante, la sua sferzante capacità di mettere in scacco semplicemente combinando insieme “le tessere del mosaico”.

Con Oliviero Beha il 13 maggio del 2017 abbiamo perso un paladino della libertà di parola.

Da sempre in guerra per denunciare il deserto di valori e la mafiosità della classe dirigente e degli intellettuali troppo spesso al seguito del potente di turno, non è mai stato tenero con nessuno. E per questo ha pagato. Ha pagato duramente questa sua libertà di parola.

Autore di trasmissioni di successo, è stato mal sopportato dalla Rai e considerato sempre molto scomodo da tutti i direttori di giornali con cui ha lavorato perché diceva quello che pensava e aveva il coraggio di mettere davanti a tutti le verità più indicibili, come quella della combina da lui scoperta e documentata, della partita tra Italia e Camerun ai Mondiali del 1982. Non volle tenere la bocca chiusa e questo gli valse il posto a la Repubblica.

Ma, come ha spesso ricordato la figlia Germana “Papà non aveva paura e per questo era libero”

Mia Martini, ventiquattro anni dopo quel tragico 12 maggio 1995. La cattiveria e le maldicenze la uccisero, ma il suo talento è immortale e Lei resterà per sempre un mito.

 

Mia Martini

 

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Mia Martini, ventiquattro anni dopo quel tragico 12 maggio 1995. La cattiveria e le maldicenze la uccisero, ma il suo talento è immortale e Lei resterà per sempre un mito.

12 maggio 1995: Mimì muore nella sua casa. È sola, in testa ha le cuffie del walkman. “Era serena”, scriveranno. Aveva vissuto sui palchi, si era isolata, tra estremi, senza compromessi. Vittima delle malelingue, sostenuta dagli amici come Renato Zero e dalla sorella Loredana, stimata dai colleghi Fossati, Mina, De André. Storia di una voce che l’Italia non ha mai smesso di  amare.

Nessuno risponde. Il campanello non smette di suonare, ma nessuno risponde. Nando Sepe, professione manager, tiene il dito incollato sul citofono, ma nulla. Eppure la Citroën verde di Mimì è parcheggiata lì fuori, all’esterno di quella palazzina di due piani in via Liguria 2, a Cardano del Campo, Varese. E in quella mattina del 14 maggio di venti anni fa, Sepe chiama la padrona di casa, si fa dare le chiavi di riserva. Ma la porta è chiusa dall’interno. Quando poche ore dopo i pompieri la sfondano, Mia Martini è stesa sul letto, le cuffie del walkman sulle orecchie. “L’espressione serena”, diranno. È morta da quarantotto ore. La notizia sbriciola i palinsesti televisivi. Renato Zero chiama Loredana Berté, la sorella di Mimì: “Spegni tutto, sto arrivando”. I cronisti appostati sotto casa della Bertè ricordano ancora le urla. E, di ricordo in ricordo, dopo vent’anni nessuno ha dimenticato quella voce magnetica, dolce, scura, emozionante e quelle melodie che Mia Martini ha regalato alla musica italiana.

“Ci sarebbero pure ‘sti due amici”. Funzionava così: era la frase classica che completava una strategia infallibile. Roma, 1968, Loredana Berté in minigonna a chiedere l’autostop. E poi Mimì, con l’immancabile bombetta, quasi uscita da un film di Fellini, che con Renato sbucava sulla strada per prendere al volo il passaggio conquistato. Inseparabili, i tre. Cercavano di mettere su un gruppo musicale. Per la Martini, ventunenne, era già la fase due della carriera: aveva iniziato nei primi anni Sessanta. Un viaggio in treno da Ancona verso Milano, Etta James nel cuore, Carlo Alberto Rossi che le fa incidere i primi singoli. Poi i concerti sulla riviera romagnola, qualcuno con Pupi Avati alla batteria. Qualche piccolo successo, ma la carriera da ragazza ye-ye non decolla. Mimì sta per lasciare, inizia a lavorare al sindacato dei musicisti, ma la passione per la musica è troppo forte. Quella Roma le restituirà la voglia di continuare. Diventa amica di Gabriella Ferri. Sperimenta con piccoli gruppi jazz. Sta per farcela. Poi in Sardegna, nel 1969, l’arresto per possesso di hashish e la condanna a quattro mesi di carcere. Le cambieranno la vita.

Una dinamica maledetta di ombre e di luce, di pace e di dannazione, di sorrisi e di lacrime. La vita e la carriera di Mia Martini si sono sempre mosse tra gli estremi, saltando le vie di mezzo, i compromessi, la sciatteria, la mediocrità. Dopo l’arresto Mimì torna a Roma, sbarca a Civitavecchia in una giornata di pioggia. Entra in un bar, prende un cappuccino e inizia a berlo sotto il diluvio. E sorridendo decide di non rinunciare al suo sogno. Sceglie il jazz. Ritorna a essere “Domenica” (il suo nome completo è Domenica Rita Adriana Berté) e con il trio di Totò Torquati conquista il pubblico del Titan di via della Meloria, del Piper di via Tagliamento. L’occasione della vita le capita nel febbraio del 1971. Deve correre al Piper di Viareggio, c’è da improvvisare una serata. Il pubblico resta a ballare fino alle quattro di mattina. Alberigo Crocetta, proprietario del Piper e mentore di Patty Pravo, si offre di produrla. Mimì rifiuta una prima volta. Poi cede. “Dobbiamo cambiare nome però. Ci vuole un nome italiano riconoscibile nel mondo. Ho pensato a Martini”, dice Crocetta. “Va bene: però mi chiamerò Mia, come Mia Farrow”. La storia ha inizio.

Gli anni Settanta saranno i suoi anni. Inizia a collaborare in modo stabile con Baldan Bembo, Bruno Lauzi, Claudio Baglioni. Con Franco Califano scatta l’alchimia musicale. C’è questa canzone, Minuetto, ma nessuno riesce a scrivere le parole giuste per Mia. Lei e Califano escono una sera a cena. Parlano tanto. E “il Califfo” ritorna il giorno dopo con un testo che sembra un pezzo pregiato di sartoria artigianale: perfetto per la Martini. “E vieni a casa mia, quando vuoi, nelle notti più che mai / dormi qui, te ne vai, sono sempre fatti tuoi”. Nell’Italia dove maistream fa rima con piccolo-borghese le parole, il volto, l’immagine della Martini sono come un metallo pregiato, come un diamante: l’autenticità professata come valore assoluto. La sensibilità come guida. Talmente forte che le piccole, idiote e meschine armi che lo show business inventa per fermare la Martini diventano tanti colpi. Le dicerie sul suo “portar jella” iniziano allora. Non si fermeranno mai. Mimì prima ci sorride. Poi ci sta male. Crisi cicliche. Sempre più pesanti.

“Una monomaniaca della musica”: Mimì secondo Ivano Fossati, che con lei ha condiviso una pezzo importante di vita. A lei regalò “E non finisce il cielo”, una delle canzoni d’amore più intense della musica pop italiana, con cui Mia Martini partecipò per la prima volta al Festival di Sanremo nel 1982 ottenendo il Premio della Critica, istituito in quell’anno appositamente per lei e a lei intitolato dopo la sua morte. Ironia della sorte, il premio attribuito non fu mai consegnato alla cantante e venne ritirato, postumo, dalla sorella Loredana Berté durante la serata finale del Festival di Sanremo 2008.

Fino alla decisione di ritirarsi dalle scene, nei primi anni Ottanta. Non bastano la stima, l’affetto, l’amore che le manifestano Charles Aznavour, Ivano Fossati, Pino Daniele, Paolo Conte, Fabrizio De Andrè. Non basta il Premio della Critica istituito apposta per lei al Festival di Sanremo nel 1982, quando ipnotizza tutti con E non finisce mica il cielo. Non basta la sfrontatezza di Loredana con cui collabora per Non sono una signora. Non basta neanche la venerazione che tanti giovani talenti, da Ramazzotti in giù – per il cantautore romano inciderà i cori del ritornello di Terra promessa – le manifestano. Mia decide di darci un taglio. Si rifugia da Leda, la sorella più grande. Cerca una vita ordinaria. È il 1985. Sparisce per quattro anni, si trasferisce a Calvi, in Umbria, solo piccoli concerti di provincia, pochissimi. Poi una sera del dicembre del 1988 un incidente. La sua macchina scivola su una lastra di ghiaccio e la Martini ne esce miracolosamente illesa. Tornata a casa, prima il panico, le lacrime. Poi una risata liberatoria. Decide di ritornare. Di riprendersi il suo mondo.

“Sai, la gente è strana, prima si odia e poi si ama, cambia idea improvvisamente, come fosse niente, sai la gente è matta, forse è troppo insoddisfatta, segue il mondo ciecamente, quando la moda cambia, lei pure cambia continuamente e scioccamente”: un testo rimasto nel cassetto. Dietro questa “lettera” che sembra una dichiarazione d’amore, gli autori Bruno Lauzi e Maurizio Fabrizio, nel 1972, anticipavano i tempi contestando la cieca frenesia di una società dedica al consumo. Depositato soltanto nel 1979, rimase inedito a lungo, fino a quando nel 1989 arrivò a Mimì, che la presentò al Festival di Sanremo di quell’anno. Ancora un Premio della Critica, avrebbe meritato di vincere.

1989, 21 febbraio, Sanremo. Per capire è necessario il contesto. È necessario inscrivere quel piccolo miracolo in un prima e in un dopo. Il prima è rappresentato dai “figli di papà”: Rosita Celentano, Paola Dominguin, Danny Quinn e Gianmarco Tognazzi, che presentano il festival in puro stile anni Ottanta. Dinoccolati e cotonati. Dopo c’è Jovanotti, cappello da cowboy, aria casinista e “No Vasco, no Vasco, io non ci casco”. In mezzo, un angelo. Mia Martini entra sul palco sorridendo, attacca Almeno tu nell’universo. Al ritornello alza i pugni al cielo, accompagna presenti e telespettatori su una melodia magnifica, su parole struggenti. Ed è una bomba, pelle d’oca collettiva. Rivince il premio della critica. Ritorna dal suo pubblico. Ricomincia a vivere e respirare. Verranno La nevicata del ’56Gli uomini non cambiano. Verrà il successo, di nuovo.

“Piccere’, canta”. Roberto Murolo le sorride nella sua casa napoletana. I due, è il 1992, stanno provando una canzone di Enzo Gragnaniello, Cu ‘mme. Quattro minuti e mezzo di magia, uno spazio in cui si dispongono tradizione, rabbia, commozione, rimpianto, voglia di vivere, paure e desideri. A quarantacinque anni Mia Martini è ormai patrimonio indiscusso della canzone italiana. Nel 1993, dopo un decennio di reciproci silenzi, corre da Loredana ricoverata in ospedale. Baci e carezze e un progetto: ritornare insieme a Sanremo. Lo faranno l’anno successivo. Poi quello che sarà il suo testamento. Un disco di cover registrato dal vivo – prodotto dal suo amico Shel Shapiro – dei “suoi” cantautori: La musica che mi gira intorno. Ancora Fossati, Mimì sarà di De Gregori, Fiume di Sand Creek di De Andrè. In Dillo alla luna di Vasco Rossi l’interpretazione più intensa. Tutto sembra andare. Tutto s’interromperà il 12 maggio. Poi i funerali, vagonate di parole. Le polemiche postume. Il ruolo del padre nella sua vita e nella sua morte. Le indagini, l’autopsia, i medici che mettono nero su bianco le cause del decesso: overdose di cocaina. Patina. Che nulla toglie alla voce di Mimì. “Una monomaniaca della musica”, secondo Ivano Fossati che con lei ha condiviso una pezzo importante di vita. Mina: “Per fortuna il suo talento dolente e intenso è rimasto qui, nei suoi dischi. Io ho anche fatto un suo pezzo, Almeno tu nell’universo, ma meglio la sua versione”. E un giorno Fabrizio De André, forse, ha sintetizzato il sentire comune, definendosi “innamorato totale della sua arte e della sua umanità”. Lo siamo ancora, vent’anni dopo: totalmente innamorati di Mimì.

 

tratto da:

http://www.repubblica.it/spettacoli/musica/2015/05/12/news/mia_martini-114019951/#gallery-slider=113880139

Conversando con Josè Pepe Mujica: una voce fuori dal coro

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Conversando con Josè Pepe Mujica: una voce fuori dal coro

Non veniamo al mondo per lavorare o per accumulare ricchezza, ma per vivere. E di vita ne abbiamo solo una.

Erano tante le persone che martedì 8 novembre si sono ritrovate all’auditorium Unipol Banca di Bologna ad ascoltare Pepe Mujica, colui che ha ricoperto la carica di presidente dell’Uruguay dal 2010 al 2015. Io sono potuto arrivare con un certo anticipo, e per questo sono riuscito a trovare uno degli ultimi posti a sedere nella sala della conferenza. Molte più persone, soprattutto tanti giovani, sono rimasti fuori dalla sala e si sono dovuti accontentare di seguire la conferenza su 2 maxi schermi allestiti nell’ampio atrio in previsione della grande affluenza. E mi ha fatto molto piacere vedere quei giovani che erano lì per lui, per Mujica. Per ascoltare le parole del “presidente povero”. Al suo ingresso nella sala lo accogliamo con una vera e propria standing ovation, un caldissimo e lungo applauso pieno d’entusiasmo e di calore. Era accompagnato dall’inseparabile moglie Lucia, conosciuta negli anni in cui entrambi combattevano la dittatura militare che governò il Paese tra il 1973 e il 1985. Facevano parte del famoso gruppo armato dei Tupamaros, che era il Movimiento de Libaraciòn Nacional.

Per loro quelli furono anni duri. Per più di un decennio furono reclusi e torturati nelle prigioni del regime. A quei tempi il motto di Mujiaca era: “Il mondo ci divide; l’azione ci unisce”.

Ed è proprio della vita avventurosa e della lunga vicenda politica e umana dell’ex presidente uruguaiano, che si parla nel libro che rappresenta il motivo della conferenza: “Una pecora nera al potere. Pepe Mujica, la politica della gente”, scritto da Andres Danza e Ernesto Tulbovitz, ora pubblicato in Italia dal Gruppo Editoriale Lumi.

Il libro vuole farci conoscere meglio questo personaggio carismatico, che ha antenati baschi e la nonna materna italiana, nata in una famiglia molto modesta di Favale di Malvaro, paesino di montagna sopra Rapallo. Il presidente povero, che da Presidente dell’Uruguay ha sempre devoluto il 90% dello stipendio ai poveri e alle organizzazioni di solidarietà sociale,ostinandosi a continuare ad usare il suo vecchio maggiolone azzurro del 1987. E per questo, e grazie ad alcuni valori importanti per un leader quali coerenza, sobrietà e passione, la sua fama ha valicato i confini del Paese, e sempre ha suscitato un sentimento di grande amore e rispetto da parte del popolo uruguagio.

Quel suo essere una voce fuori dal coro l’ha accompagnato per tutta la sua vita, a partire dal suo legame fortissimo con la terra e la vita semplice, anche quando era Presidente. L’ha sempre dimostrato nei suoi atteggiamenti, nel modo di comunicare, nelle scelte economiche e di ogni genere operate a volte sconvolgendo i più comuni atti di protocollo. Nella vita sociale, durante i suoi cinque anni al governo, ha legalizzato in Uruguay l’aborto, le droghe leggere e i matrimoni gay. Ma Mujica è stato anche il presidente che non usava Twitter, portava i jeans e, come un normalissimo contadino, vendeva i prodotti della sua terra in un mercatino popolare la domenica.

Quando comincia a parlare mi colpisce la sua naturalezza, la sua semplicità, dalle quali però emergono un grande amore per la cultura, e la filosofia. E secondo lui un grave problema dell’economia e della politica è proprio quello di aver abbandonato il campo della filosofia.

Afferma questo con quello sguardo ironico e furbetto di chi ha visto tanto, riuscendo a parlare al cuore delle persone in modo diretto, senza troppi giri di parole.

Nella prima parte dell’intervista, che comunque mantiene sempre i toni di una chiacchierata tra amici, Mujica parla dell’importanza della sobrietà. E nelle sue conferenze ripete spesso la frase: “Abbiamo inventato una montagna di consumi superflui. E viviamo comprando e buttando… E quello che stiamo sprecando è tempo di vita perché quando compri qualcosa non lo fai con il denaro, ma con il tempo di vita che hai dovuto utilizzare per guadagnare quel denaro. L’unica cosa che non si può comprare è la vita. La vita si consuma. Ed è da miserabili consumare la vita per perdere la libertà”. Un altro modo di affermare che secondo lui “poveri sono quelli che rincorrono i soldi”.

Può apparire strano per un ex-tupamaros, ma Mujica quando racconta i passaggi più duri della sua vita, traspaia una visione profondamente radicata alle teorie della non violenza. Dichiara che non ha mai sentito odio per i militari, li vedeva come strumenti di una fase storica.

E per questo cita una frase di Nelson Mandela, che come lui visse l’esperienza del carcere: “Sapevo che l’oppressore era schiavo quanto l’oppresso, perché chi priva gli altri della libertà è prigioniero dell’odio, è chiuso dietro le sbarre del pregiudizio e della ristrettezza mentale. L‘oppressore e l’oppresso sono entrambi derubati della loro umanità”.

Nella ricerca di un mondo migliore, Mujica intende la storia come una cosa viva, che ci insegna che l’unica cosa permanente è proprio la dimensione del cambiamento. Il cambiamento ci sollecita a saper leggere la realtà, senza per questo voltare pagina, ma trovando una nuova dimensione della realtà, per essere capaci di crescere ed evolvere con il tempo, per essere adeguati al passo del tempo, al passo della vita.

Interrogato sulla sua attuale visione politica, Mujica in modo molto realistico vede la storia degli uomini come un’alternanza tra spinte conservatrici e spinte di rinnovamento egualitarie. La lotta per il progresso non finisce mai. Per Mujica il limite del liberalismo, non inteso esclusivamente in termini economici, è che ci ha portato il principio di libertà e uguaglianza relativa tra gli uomini, dove non ci sono più differenze di origine e di sangue, e c’è libertà di pensiero. Però quella rivoluzione liberale ci ha promesso qualcosa che poi non riesce a garantirci completamente, ovvero l’uguaglianza.

Secondo Mujica esiste una forte connessione tra visione libertaria e liberismo, e confessa che nel profondo del suo cuore si sente un po’ anarchico. La conferenza prosegue poi su temi legati ai problemi dell’attualità politica internazionale: elezioni americane, temi di economia mondiale, i flussi migratori, la crisi dell’America Latina, i problemi endemici del continente africano. E spesso il parlare di Mujica è stato interrotto dai nostri calorosi applausi.

Un incontro bello e profondo, che ha dato molto a tutte le persone che hanno potuto essere presenti e ascoltare una persona che ha fatto della sua sobrietà e normalità, qualità straordinarie ed ispiratrici. Grazie Presidente!

Vorrei però concludere questo articolo citando un fatto accaduto la sera prima a Modena, dove Mujica dopo la sua conferenza è stato avvicinato da un amico di Vivere Sostenibile, il meteorologo Luca Lombroso che gli ha chiesto un parere sui cambiamenti climatici in atto nel nostro pianeta.

Gli abbiamo fatto qualche domanda, per schiarirci le idee. Ecco una sintesi della risposta che Mujica ha dato a Luca, che ringraziamo per la collaborazione:

La tragedia dei cambiamenti climatici sostanzialmente dipende dagli uomini che vogliono cambiare la natura a loro vantaggio. Dobbiamo impegnarci per fermare le atrocità inflitte alla natura,imponendo serie restrizioni per abbassare considerabilmente i livelli di anidride carbonica e metano prodotti dalle attività umane. Questo colpisce però l’interesse economico di molto industrie, e queste fanno resistenza con la loro influenza e potere sui governo dei loro paesi.

L’umanità si è avviata verso una specie di olocausto collettivo, con danni e sacrifici che si sta moltiplicando progressivamente. Non capiamo la gravità della situazione. Non credo che il surriscaldamento climatico sia un problema solo di un gruppo di tecnici e di portavoce, non è solo responsabilità degli uomini che ci comandano. E’ una responsabilità di tutti noi. Siamo chiamati a fare in modo di che i governi mondiali stabiliscano accordi adeguati. E’ assolutamente necessario, è in ballo il futuro dell’umanità.

 

 

fonte: https://viveresostenibileroma.wordpress.com/2017/02/02/conversando-con-jose-pepe-mujica-una-voce-fuori-dal-coro/

Gli indigeni Waorani vincono contro i petrolieri: salvi dalle trivelle 200mila ettari di Amazzonia

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Gli indigeni Waorani vincono contro i petrolieri: salvi dalle trivelle 200mila ettari di Amazzonia

Le terre ancestrali non sono in vendita per lo sfruttamento petrolifero. Una sentenza storica riconosce agli indios Waorani i loro diritti e impedisce la trivellazione di 200mila ettari di Amazzonia.

Waorani-petrolieri, uno a zero, perché finalmente la Corte dà ragione ai popoli indigeni stabilendo che le terre ancestrali non potranno più essere sfruttate a piacimento delle multinazionali.

Con la sentenza, i Waorani acquistano il diritto ad essere interpellati ogni qualvolta qualcuno decida di varcare le loro terre ancestrali e secondo il tribunale qualsiasi lottizzazione o speculazione, da adesso in poi, deve prevedere delle consultazioni con gli indigeni.

Ma non solo. A Puyo in Ecuador, dopo anni e anni di battaglie, le terre dei circa 4800 Waorani rimangono interdette alle trivelle perché gli indigeni hanno il diritto “inalienabile, non revocabile e indivisibile” di mantenere il possesso delle loro terre ancestrali.

Da tempo i petrolieri con promesse di regali cercano di portare dalla loro parte gli indigeni con il solo fine di accedere al petrolio che giace nella foresta. Come tutti gli altri nativi, i Waorani non si sono mai arresi e non hanno mai ceduto alle lusinghe delle multinazionali, preferendo sempre le loro terre.

Guidati da Nemonte Nenquimo, l’attivista di etnia Waorani, adesso finalmente bloccano le trivelle. La sentenza tuttavia potrebbe essere ribaltata in appello. Ma gli indigeni non hanno dubbi: continueremo a lottare per le nostre terre.

 

tratto da: https://www.greenme.it/vivere/costume-e-societa/31505-indigeni-waorani-petrolio-amazzonia

…E poi, la maratona “vietata ai neri” l’ha vinta proprio Noel: ruandese con sei fratelli morti nel genocidio…!

 

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…E poi, la maratona “vietata ai neri” l’ha vinta proprio Noel: ruandese con sei fratelli morti nel genocidio…!

La maratona “vietata ai neri” l’ha vinta propria Noel: ruandese con sei fratelli morti nel genocidio

Infanzia difficile, come tanti suoi coetanei. A 4 anni, durante i terribili mesi del genocidio, perde il padre e sei fratelli.

Dopo l’altolà agli atleti africani, i timori di sfruttamento e caporalato nell’atletica, gli organizzatori hanno capito che il rimedio era peggio del male e hanno chiamato un pugno di runner di colore. Racconta tutto sul Corriere.it, Riccardo Bruno.
Noel Hitimana si è presentato alla 24esima Trieste Half Marathon e ha tagliato il traguardo da solo dopo un’ora 3 minuti 28 secondi. «I veri ostacoli sono stati la pioggia e il vento. Le polemiche? Ho saputo, ma credo che sia giusto far partecipare tutti. Poi io sono contento di essere qui e di allenarmi in Italia». Ha una voce calma, quasi delicata. Risponde al telefono in inglese, sta rientrando in treno a Siena dove vive dagli inizi di aprile. Fa parte del gruppo di atleti gestiti da Enrico Dionisi, manager storico del running. Vivono in tre appartamenti, due per gli uomini, uno per le donne. Attualmente ci sono 5 ruandesi e 9 keniani, 10 uomini e 4 donne. Paolo Traversi è colui che l’ha scoperto in Africa. «Ha iniziato a correre tardi, quattro anni fa. Quest’anno ha fatto i mondiali di cross, poi è venuto con noi».

Infanzia difficile, come tanti suoi coetanei. A 4 anni, durante i terribili mesi del genocidio, perde il padre e sei fratelli. «Non ho avuto la possibilità di crescere con loro, per fortuna ho avuto una madre bravissima». Finite le elementari è costretto ad abbandonare gli studi per le ristrettezze economiche. Ha la passione del ballo, ha un discreto talento, diventa danzatore dell’Urukerereza, il balletto nazionale. Ma quando vede la Kigali International Peace Marathon, la gara più importante della nazione, decide che il suo futuro è nella corsa. «Non una scelta scontata — aggiunge Traversi —. Il Rwanda dal punto di vista sportivo è il più europeo dei Paesi africani. I bambini giocano a calcio, fanno ciclismo, basket e volley».I primi risultati non sono pari all’entusiasmo. Fino al 20 maggio dell’anno scorso, primo alla mezza maratona di Kigali, il sogno di una vita. Consacrazione tra gli atleti nazionali, porte aperte per gli ingaggi all’estero.

fonte: https://www.globalist.it/sport/2019/05/06/la-maratona-vietata-ai-neri-l-ha-vinta-propria-noel-ruandese-con-sei-fratelli-morti-nel-genocidio-2040993.html