Amarcord – 17 giugno 1970, 49 anni fa, la mitica semifinale Italia-Germania 4-3. Da allora all’ingresso dello stadio Azteca di Città del Messico è apposta la targa “El partido del siglo”

 

Italia-Germania

 

 

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Amarcord – 17 giugno 1970, 49 anni fa, la mitica semifinale Italia-Germania 4-3. Da allora all’ingresso dello stadio Azteca di Città del Messico è apposta la targa “El partido del siglo”

Italia-Germania 4-3: una brutta partita che fece la storia

Perfino chi non era ancora nato la porta nel cuore, sente un po’ di esserci stato. Perché Italia-Germania 4-3, semifinale del Mondiale 1970, è stata epica. In barba al gioco non strepitoso e agli errori. Ma grazie a un carattere che ci piacerebbe avere in tutti i momenti difficili

La partita fra azzurri e tedeschi occidentali è leggenda per il modo in cui i fatti si susseguono e per una serie di coincidenze che forse non sono tali, ma che in ogni caso arricchiscono una trama già ricca e complessa. Del resto, se ancor oggi all’interno dello stadio Azteca di Città del Messico una targa commemora “Italia y Alemania” come “el partido del siglo” (la partita del secolo), un motivo pure ci sarà.

È il 17 giugno di 45 anni fa, ci sono oltre 102mila spettatori sugli spalti, mentre altre centinaia di milioni di abitanti del pianeta sono collegati in Mondovisione. In palio c’è un posto in finale, dove il Brasile (che nel frattempo ha sconfitto per 3-1 l’Uruguay nell’altro confronto di semifinale) attende di sapere contro chi dovrà scendere in campo per giocarsi la Coppa Rimet domenica 21 giugno 1970. Sono le 16, ore locali, di un mercoledì in apparenza come altri. Il caldo – riportano le cronache – è piuttosto torrido, ma pochi sembrano farci caso. In Italia è tarda sera, nessuno capace di intendere e di volere vuole perdersi lo spettacolo.

Il gol di Boninsegna dopo otto minuti incanala l’incontro nella direzione che l’Italia preferisce: far fare gioco agli avversari e ripartire in contropiede. Ma, siamo due minuti oltre il 90°, All’ultimo assalto tedesco, la difesa italiana dà segni di cedimento ma in effetti manca pochissimo. Dal limite sinistro dell’area azzurra Grabowski lascia partire un cross al centro. Si avventa sul pallone il difensore Schnellinger, uno che avrà segnato tre volte in vita sua. La difesa azzurra lo lascia inspiegabilmente libero. Colpo quasi in spaccata e al 92’ e 30’’ la Germania pareggia.

E qui finisce la storia ed inizia la leggenda.

Muller porta in vantaggio i tedeschi.

Burgnich, che ancora oggi non sa cosa rispondere a chi gli chiede cosa facesse nell’area di rigore tedesca, pareggia al 98′.

Sinistro di Riva, al 104′: 3-2 sembra fatta. Sembra…

Sembra perché Rivera è troppo elegante per vestire la tuta di operaio: causa il 3-3 al 110′ “scansandosi” su un colpo di testa di Seeler.

Si farà perdonare trenta secondi dopo, calciando il pallone del 4-3 nell’immediato capovolgimento di fronte.

Ricorda Gianni Brera:

«I tedeschi sono battuti. Beckenbauer con braccio al collo fa tenerezza ai sentimenti. Ben sette gol sono stati segnati. Tre soli su azione degna di questo nome: Schnellinger, Riva, Rivera. Tutti gli altri, rimediati. Due autogol italiani (pensa te!). Un autogol tedesco (Burgnich). Una saetta di Bonimba ispirata da un rimpallo fortunato […]
Come dico, la gente si è tanto commossa e divertita. Noi abbiamo rischiato l’infarto, non per scherzo, non per posa. Il calcio giocato è stato quasi tutto confuso e scadente, se dobbiamo giudicarlo sotto l’aspetto tecnico-tattico. Sotto l’aspetto agonistico, quindi anche sentimentale, una vera squisitezza, tanto è vero che i messicani non la finiscono di laudare (in quanto di calcio poco ne san masticare, pori nan).
I tedeschi meritano l’onore delle armi. Hanno sbagliato meno di noi ma il loro prolungato errore tattico è stato fondamentale. Noi ne abbiamo commesse più di Ravetta, famoso scavezzacollo lombardo. Ci è andata bene. Siamo stati anche bravi a tentare sempre, dopo il grazioso regalo fatto a Burgnich (2-2). L’idea di impiegare i dioscuri Mazzola e Rivera è stata un po’ meno allegra che nell’amichevole con il Messico. Effettivamente Rivera va tolto dalla difesa. Io non ce l’ho affatto con il biondo e gentile Rivera, maledetti: io non posso vedere il calcio a rovescio: sono pagato per fare questo mestiere. Vi siete accorti o no del disastro che Rivera ha propiziato nel secondo tempo?»

Così scriveva Gianni Brera all’indomani della mitica semifinale (QUI l’articolo completo)

Per la cronaca, l’Italia perse la finale col Brasile per 1 a 4. Ma il primo tempo terminò 1-1 e le squadre si equivalsero… Il Brasile avava avuto un giorno di riposo in più e l’Italia una semifinale massacrante… Col senno di poi, se Schnellinger non avesse pareggiato a tempo ormai scaduto, ci saremmo persi la “partita del secolo”, ma forse avremmo avuto una finale diversa…

By Eles

Un Cult: Frankenstein Junior – A.B. Norme…

 

Frankenstein Junior

 

 

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Un Cult: Frankenstein Junior – A.B. Norme…

AB-Norme

Tutto ha inizio quando Igor (Marty Feldman), impegnato nel procurare un cervello umano al Dr. Frederick Frankenstein da inserire nella Creatura, rompe accidentalmente il barattolo selezionato, portando al dottore un altro cervello, quello di un tale “AB-Norme”…
La Creatura al suo risveglio dà però segni di violenza e follia, e ciò porterà inevitabilmente al celebre scambio di battute tra Igor (o Aigor, che dir si voglia) e Frankenstein qui di seguito.

Frederick: Aigor, posso parlarti un momento?
Igor: Certamente!
Frederick: Siediti, vuoi?
Igor: Grazie. [si siede a terra]
Frederick: No, no! Più su!
Igor: Oh! Grazie. [si siede su uno sgabello]
Frederich: Dimmi, quel cervello che mi hai portato era di Hans Delbrück?
Igor: No.
Frederick: Ah! Be’… Ehm, ti dispiacerebbe dirmi di chi era il cervello che gli ho messo dentro?
Igor: Non si arrabbierà, eh?
Frederick: No, io non mi arrabbierò!
Igor: A.B. qualcosa…
Frederich: “A.B. qualcosa”? “A.B.” chi?
Igor: A.B… Norme.
Frederick: “A.B. Norme”?
Igor: Sono quasi sicuro che era quello il nome.
Frederick: Vorresti dire che io ho messo un cervello “abnorme”… in un energumeno lungo due metri e venti… e largo come un armadio a due ante?! [comincia ad urlare] Canaglia! [inizia a strangolarlo come precedentemente aveva fatto il mostro con lui] È questo che vorresti dirmi?!

Il video

In lingua originale:

Un cult: la sveglia di Fantozzi ed il tram a volo – Una delle scene più divertenti della storia del cinema italiano…

 

Fantozzi

 

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Un cult: la sveglia di Fantozzi ed il tram a volo – Una delle scene più divertenti della storia del cinema italiano…

Voce narrante – Per arrivare a timbrare il cartellino d’entrata alle 8 e 30 precise, Fantozzi, sedici anni fa, cominciò col mettere la sveglia alle 6 e un quarto: oggi, a forza di esperimenti e perfezionamenti continui, è arrivato a metterla alle 7:51… vale a dire al limite delle possibilità umane! Tutto è calcolato sul filo dei secondi: cinque secondi per riprendere conoscenza, quattro secondi per superare il quotidiano impatto con la vista della moglie, più sei per chiedersi – come sempre senza risposta – cosa mai lo spinse un giorno a sposare quella specie di curioso animale domestico. Tre secondi per bere il maledetto caffè della signora Pina – tremila gradi Fahrenheit! –, dagli otto ai dieci secondi per stemperare la lingua rovente sotto il rubinetto […], due secondi e mezzo per il bacino a sua figlia Mariangela, caffellatte con pettinata incorporata, spazzolata dentifricio mentolato su sapore caffè, provocante funzioni fisiologiche che può così espletare nel tempo di valore europeo di sei secondi netti. Ha ancora un patrimonio di tre minuti per vestirsi e correre alla fermata del suo autobus che passa alle 8:01. Tutto questo naturalmente salvo tragici imprevisti…

…E l’imprevisto c’è. La rottura della stringa. Dopo un rapido cambio la decisione:

Fantozzi – Allora prenderò l’autobus al volo!

Pina – No Ugo l’autobus al volo no!

Mariangela – No Papà!

Fantozzi – Si saltando dal terrazzino guadagnerò almeno 2 minuti!

Pina – No Ugo non l’hai mai fatto, non hai il fisico adatto! (Pina)

Fantozzi – Non l’ho mai fatto, ma l’ho sempre sognato!

Il resto è tutto da vedere…

4 aprile del 1978, una data storica – Arrivava sulla Tv Italiana Goldrake, il cartone giapponese che rivoluzionò – a colpi di alabarda spaziale – la televisione e la cultura italiana…

 

Goldrake

 

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4 aprile del 1978, una data storica – Arrivava sulla Tv Italiana Goldrake, il cartone giapponese che rivoluzionò – a colpi di alabarda spaziale – la televisione e la cultura italiana…

40 anni di Goldrake, 5 motivi che lo hanno reso fondamentale

Il 4 aprile del 1978 arrivava su Rai 2 Goldrake, il cartone giapponese che avrebbe cambiato per sempre la cultura pop italiana

Il 4 aprile 1978 è stato un giorno fondamentale per la televisione italiana, alle 18:45 su Rai 2 veniva trasmessa per la prima volta una puntata di Goldrake, opera di Go Nagai preceduta da una spiegazione di Maria Giovanna Elmi che cercava di contestualizzare il cartone animato.

Inizialmente in Italia il cartone animato si è chiamato Atlas Ufo Robot a causa di un madornale errore di traduzione. Visto che la serie fu acquistata non direttamente dal Giappone, ma dai network francesi, il suo nome sulla guida tv transalpina era Atlas Ufo Robot, solo che Atlas era il nome della guida stessa.

Dopo l’arrivo in Italia di GoldrakeGrendizer in originale, la televisione italiana non fu più la stessa. Tutte le concezioni che avevamo sui cartoni animati, sull’animazione giapponese e sulla divisione manichea tra cultura alta e cultura bassa, tra intrattenimento per bambini e quelle per adulti, furono spazzate via con un colpo di alabarda spaziale. Sono stati scritti un sacco di libri, soprattutto in Italia, sulla sua importanza, pagine e pagine di cultura pop che mostrano gli effetti e il cammino di avvicinamento a questo tsunami cognitivo. Ecco a voi alcuni punti che cercano di riassumerne l’importanza.

1. Il primo robot

Potrà sembrare banale, ma Goldrake era il primo robot giapponese a fare la sua comparsa nella televisione italiana e probabilmente anche uno dei primi cartoni giapponesi. E la prima, volta, si sa, non si scorda mai. Fu preceduto da KimbaHeidi, i Barbapapà, ma un gigantesco robot che prende a pugni mostri grandi come lui non s’era mai visto, fu un vero e proprio shock culturale, un imprinting che ha legato a doppio filo Goldrake con l’Italia. Ogni generazione ha ovviamente avuto il suo robot preferito e ogni spettatore e legato in particolare a quel cartone che per primo lo ha emozionato, ma Ufo Robot è stato il primo a mostrarci supermosse, personaggi incredibili, mostri spaziali e poi c’era quella sigla che diventò in poco tempo la più cantata in tutte le scuole.

2. Una storia diversa

Fino a quel momento i cartoni animati erano considerati fondamentalmente roba per bambini. Certo, alcune fiabe potevano avere momenti più drammatici, ma tendenzialmente un cartone animato era una storia allegra con disegni colorati, personaggi semplici e lieto fine. Goldrakeinvece ci mostrava un personaggio tormentato che combatteva nemici che arrivavano dallo spazio. Il tema di Actarus, straniero in terra straniera, che cerca di aiutare il popolo che lo ospita conteneva il potenziale per scatenare riflessioni filosofico-politiche che fino a quel momento erano ben lontane dalle serie animate. Goldrake era un cartone con moltissimi livelli di lettura, non era una roba per bambini, era la prova che si poteva fare intrattenimento d’evasione senza per questo rinunciare a qualcosa di più alto, senza tradire a dei contenuti che potessero piacere a più fasce di pubblico. Ecco perché, vuoi per la novità, vuoi per la sua universalità, lo guadavano anche spettatori molto più grandi.

3. Le polemiche

Proprio per questa dissonanza tra l’immagine di un cartone animato e i contenuti Goldrake fu al centro di furiose polemiche. In parte questo era anche legato al fatto che rappresentava qualcosa di nuovo, completamente diverso e quindi non incasellabile secondo i costumi dell’epoca, quindi andava rigettato. Come spesso accade un esercito di genitori preoccupati, benpensanti, educatori, giornalisti e ovviamente politici iniziarono un bombardamento di fila che culminò con una interrogazione parlamentareche puntava alla chiusura della trasmissione. Seguì poi la famigerata “Crociata di Imola” in cui 600 genitori della città emiliana inscenarono una protesta con tanto di raccolta firme che finì sui principali giornali.

La polemica si sparse a macchia d’olio e ovviamente Goldrake e i cartoni giapponesi furono accusati di traviare le giovani menti, ispirare violenza e intaccare l’italico valore di storie nostrane, come Pinocchio. Ignoranza e terrorismo psicologico, veicolato anche attraverso leggende metropolitane di bambini che si lanciavano dalla finestra fingendosi Actarus, erano all’ordine del giorno. Per fortuna i dirigenti Rai e delle tv private tennero duro, aiutati da ascolti e indici di gradimento mai visti. Fra i pochi che cercano di analizzare il fenomeno senza paranoie c’è, a sorpresa, Gianni Rodari, che con un guizzo non da poco paragonò Goldrake a Ercole e agli eroi classici, intuendone le somiglianze mitologiche e la capacità di creare una nuova narrativa epica.

4. Spezzare l’egemonia

Goldrake fu anche fondamentale perché fu il grimaldello con cui la televisione italiana spezzò l’egemonia degli Stati Uniti nell’influenza del nostro immaginario. Dopo Goldrake infatti i cartoni animati giapponesi investirono come un fiume in piena le nostre televisioni, soprattutto quelle private, che non vedevano l’ora di riempire gli spazi vuoti del proprio palinsesto. Fu una svolta nel panorama dei mass media europei che si slegava dall’occidente e si apriva a una cultura completamente nuova che vedeva nei cartoni animati una forma di intrattenimento differente. Se il racconto occidentale ci parlava di draghi, quello giapponese ci descriveva anche il tormento del drago, se da una parte il bene e il male erano chiari dall’altra c’era sempre spazio per le zone di grigio.

In un certo senso si può dire che proprio grazie a queste trasmissioni la tv privata iniziò a prosperare, offrendo, con adattamenti spesso drammatici, una mole di contenuti che fino a quel momento ci era completamente sconosciuta. Fu un po’ come scoprire l’intera gamma della cucina mondiale dopo aver mangiato per anni solo brodo di pollo.

5. Una cultura di massa

Gli effetti di Goldrake e dei suoi successori in Italia li vediamo ancora oggi. Non esiste quarantenne che non conosca i circuiti di mille valvole e l’insalata di matematica, che non conosce l’alabarda spaziale e che non sia in qualche modo legato ai cartoni animati giapponesi. Fu uno dei primi cartoni a sdoganare un merchandising a 360° che ancora oggi alimenta mercatini di appassionati e ricerche nelle proprie camerette di gioventù. La permeabilità di Goldrake e compagni nella società italiana ha avuto un effetto curioso e interessante: li ha resi una lingua franca che travalica le classi sociali, il livello di istruzione e l’ambiente lavorativo. Il fornaio e l’avvocato possono non aver alcun punto in comune, ma mettili uno di fronte all’altro a parlare di Goldrake e Mazinga e stai sicuro che potranno andare avanti per ore discutendo su quale fosse il loro cartone preferito, quale la sigla che ricordano meglio e quale il giocattolo che, insospettabilmente, fa bella mostra di sé su una mensola, recuperato dalla cantina.

tratto da: https://www.wired.it/play/televisione/2018/04/04/40-anni-goldrake-italia/?refresh_ce=

Un Cult – Mariangela Melato e Giancarlo Giannini in “Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto”

 

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Un Cult – Mariangela Melato e Giancarlo Giannini in “Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto”

Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto con Mariangela Melato e Giancarlo Giannini, regia di Lina Wermuller fu un vero cult degli anni ’70.

Tra le parti più indimenticabili del film sono gli insulti di Gennarino nei confronti di Raffaella, ingiurie in cui si ritrova tutta l’amarezza e la rabbia della classe operaia nei confronti della “razza padrona”. Fra i due, Gennarino è forse il personaggio più complesso: rappresenta il proletariato sfruttato del sud che si ribella all’oppressione del capitalismo industriale del nord. Ma Gennarino non riesce veramente, come molti suoi contemporanei, a stare al passo coi tempi. Non comprende che la rivoluzione operaia dovrebbe andare di pari passo con altre rivoluzioni, una fra tutte quella femminista, e quindi da una parte riscatta la sua classe oppressa ma dall’altra continua a molestare e tormentare Raffaella non solo in quanto rappresentante del capitalismo industriale, ma anche in quanto donna.

Secondo la filosofia pratica di Gennarino, le donne servono solo per lavare le mutande degli uomini. Quindi se da una parte ridiamo, nostro malgrado, quando Gennarino impartisce la sua punizione fatta di calci e schiaffi a Raffaella mentre declama il catalogo delle colpe della sua classe per l’aumento della carne, del parmigiano, della benzina, per gli ospedali che non funzionano, per l’evasione fiscale, dall’altra non possiamo non sentire un profondo disagio quando lo stesso Gennarino schiavizza Raffaella facendole lavare la sua biancheria, facendosi servire, schiaffeggiandola e violentandola. Gennarino non capisce che il sessismo è una forma di oppressione equiparabile allo sfruttamento del proletariato.

Raffaella, d’altra parte, è politicamente conservatrice e razzista, anticlericale ma anche sessualmente emancipata. La sua trasformazione e sottomissione sull’isola, per quanto difficili da comprendere, rappresentano una liberazione dalle convenzioni della sua vita precedente. Forse solo una volta arrivata su un’isola deserta Raffaella si rende conto di quanto sia stata infelice per tutta la sua vita precedente. La teme ma, una volta tornata, non può non riaccostarvisi.

Il film offre uno spaccato di vita impossibile, il ritorno a una condizione primitiva che la regista ha definito ritorno alla natura, ai ruoli tradizionali di uomo e donna. A quarantacinque anni di distanza i due naufraghi fanno ancora discutere: Gennarino a causa del suo atteggiamento violento e sessista e Raffaella per i suoi modi razzisti. Ma, a pensarci bene, non sono poi così anacronistici. Basta dare uno sguardo alle prime pagine per trovare tanti personaggi fin troppo simili a Raffaella e Gennarino anche nel nostro secolo.

Ricordava la mitica Mariangela Melato “per due mesi Lina (Wermuller) ci obbligava, me e Giancarlo, a pestarci a sangue, come ricorderà chi ha visto il film. E non erano botte tanto finte, da cinema, ma erano sberle, calci, spintoni, slogature vere, si era in pieno realismo e ci sono rimaste le ammaccature e i lividi anche tornati a Roma». Nel film la Melato è una ricca signora snob alla milanese e Giannini il proletario al suo servizio: naufraghi, sarà un redde rationem sociale senza esclusione di colpi.

 

 

 

Un Cult: Frankenstein Junior – La mitica cena e la frase motivatrice di Igor…

 

Frankenstein Junior

 

 

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Un Cult: Frankenstein Junior – La mitica cena e la frase motivatrice di Igor…

Una delle scene più divertenti… A cena dopo l’esperimento fallito:

Inga: Oh, dottore, lei non deve torturarsi in questo modo, deve cercare di evitare di pensarci. Guardi lì, non ha nemmeno toccato suo cibo!

Frederick: … ecco! [sbatte le mani sul suo piatto] ora lo ho toccato, contenta?!

Igor: E già… [Con tono pacato e confidenziale] Eh già, non dimenticherò mai il mio povero babbo. Quando questo capitava a lui, be’, sa che cosa soleva dirmi?

Frederick: …Cosa diceva?

Igor: …”Quando la sorte ti è contraria e mancato ti è il successo, smetti di far castelli in aria e va a piangere sul…!”

 

Mostro: Mmm!

Igor: Questo cos’è?

Dr. Frankenstein: Torta di mele della nonna.

Mostro: Mmm!

Dr. Frankenstein: Ti piace eh? Io non vado matto per i dolci, sai, però ti capisco.

Igor: Ma a chi sta parlando?

Dr. Frankenstein: A te. Hai fatto un verso da ghiottone, quindi ti piace il dolce.

Igor: Io non ho fatto nessun verso, ho solo chiesto che cos’era.

Dr. Frankenstein: Ma sì, ti ho sentito.

Igor: Non ero io.

Inga: Io nemmeno.

Dr. Frankenstein: Ah scusate ma, se non eri tu e neppure…

Mostro: Mmm! Mmm! 

Amarcord – “La storia infinita”, il capolavoro di Michael Ende, il libro cult dei ragazzi negli anni Ottanta e Novanta, compie 40 anni.

 

La storia infinita

 

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Amarcord – “La storia infinita”, il capolavoro di Michael Ende,  il libro cult dei ragazzi negli anni Ottanta e Novanta, compie 40 anni.

“La storia infinita”: il capolavoro scritto da Michael Ende compie 40 anni

Divenuto famoso soprattutto grazie al lungometraggio di Wolfgang Petersen, il romanzo di Michael Ende è ormai un vero e proprio classico della letteratura per ragazzi: ma quando uscì quarant’anni fa, “La storia infinita” fu molto più di questo. L’indimenticabile regno abitato dai Mordipietra ha dimostrato che, attraverso la fantasia, pensare un altro mondo era possibile.

Esiste un libro che, per chi era ragazzo negli anni Ottanta e Novanta (e non solo), è stato un vero e proprio best seller: si tratta de “La storia infinita”, del tedesco Michael Ende. In Italia arriva nel 1981, poco prima del celeberrimo adattamento cinematografico di Petersen, ma la prima edizione risale al 1979: esattamente quarant’anni fa. Un best seller in senso classico, con 10 milioni di copie vendute e traduzioni in oltre 40 lingue. Ma anche in senso più ampio, perché ha letteralmente reinventato un genere letterario e, soprattutto, perché ha parlato ai più giovani e non di una risorsa fondamentale ma spesso taciuta e dimenticata dall’essere umano: la fantasia.

“Restituire al mondo il suo segreto sacro e all’uomo la sua dignità” e “ridare alla vita magia e mistero”: questa è stata l’ispirazione che ha spinto Ende a scrivere un romanzo che, oltre che ai bambini, parla anche e soprattutto agli adulti. E lo fa non per risvegliare l’infante nascosto dentro ognuno di noi, né per spronarci a guardare il mondo con i suoi occhi: ma per ricordare che, sia da bambini che da adulti, rinnegare l’enorme potere della fantasia e dell’immaginazione non aiuta ad affrontare il mondo in modo più lucido e consapevole. È, secondo Ende, proprio nel guardare alla realtà come se fosse un mondo fantastico che possiamo in ogni momento modificare che sta il vero cambiamento.

Bastiano, l’eroe del libro nel libro

I ventisei capitoli scritti da Ende sono ricchissimi di avventure, personaggi e avvenimenti collegati l’uno agli altri da un abile gioco combinatorio: lo stesso romanzo altro non è che un libro nel libro. È proprio attraverso le pagine di un vecchio tomo rilegato che avviene l’incontro fra il piano “reale” e quello “fantastico”: Bastiano sta scappando dall’ennesimo brutto scherzo dei suoi compagni di classe quando si ritrova nella libreria del signor Coriandoli dove ruba, incuriosito, un misterioso libro intitolato “La storia infinita”.

Bastiano è un bambino solitario e chiuso in se stesso: l’improvvisa morte della madre e l’incomunicabilità con il padre lo spingono a rifugiarsi nella lettura di storie fantastiche. Nel mondo immaginato da Ende è in qualche modo il libro a trovare lui perché, anche se inconsapevolmente, il bambino ha già dentro di sé la scintilla del cambiamento. Un cambiamento che avverrà entrando, letteralmente, nel mondo di Fantàsia, e partecipando attivamente alle sue avventure: leggendo, Bastiano si trova di fronte ad un mondo in pericolo, dove il Nulla rischia di inghiottire tutte le forme di vita e gli abitanti.

Come sempre accade, anche questa storia ha un eroe: inizialmente Bastiano lo identifica in Atreiu, coraggioso bambino guerriero del popolo dei Pelleverde, al quale l’Imperatrice Bambina affida il compito di salvare il suo regno. Proseguendo con la lettura Bastiano si accorge di esserne egli stesso protagonista, riuscendo ad influenzare gli eventi narrati: è qui che i due piani del reale e del fantastico si sdoppiano, quando cioè il bambino si accorge di essere egli stesso l’eroe che salverà Fantàsia.

Ma come ogni atto eroico, anche questo comporta un sacrificio: più si immedesima nella storia, più Bastano perde il contatto con la propria realtà. Quanto più diventa simile ad Atreiu, coraggioso e forte, quanto più perde la cosa più preziosa che ha: i suoi ricordi. Sarà solo alla fine di una lunghissima serie di difficoltà e consapevolezze che Bastiano comprenderà che la vera missione è quella di salvare se stesso, e non Fantàsia.

Vivere la fantasia o fuggire la realtà?

“Ma ci sono cose che non si possono capire con la riflessione, bisogna viverle”: quest’unica frase, tratta dal romanzo, riassume appieno il senso del libro. L’insegnamento più importante che Ende ha regalato alle generazioni cresciute con “La storia infinita” è stato quello che anche la fantasia può essere vissuta: vissuta e sfruttata per creare qualcosa di nuovo, e non semplicemente per fuggire ciò che già esiste e non va come vorremmo. Bastiano vive sulla propria pelle il potere rivoluzionario della fantasia, e riesce a farlo perché essa non è un mero esercizio stilistico o una banale uscita d’emergenza dalla vita.

Michael Ende impiegò molto più tempo del previsto a scrivere il suo romanzo. Alle pressanti richieste dell’editore, raccontava, si trovava a dover rispondere: “Non posso darti niente, Bastiano non torna più indietro. Cosa devo fare? Devo aspettare il momento giusto, quando emergerà dal personaggio stesso la necessità di ritornare”. Ed è stato il ricordo, e quindi il suo legame con il suo essere più profondo e non privo di contraddizioni, a far sì che Bastiano finalmente tornasse.

In questo senso “La storia infinita” è molto più che un fantasy fiabesco, o un libro per ragazzi: molti lo hanno definito un vero e proprio romanzo di formazione. Ma c’è ancora qualcosa che sfugge a questa etichetta: negli anni in cui Ende scrive il libro, le giovani generazioni stanno iniziando a scoprirsi figlie di un mondo che non esiste più, ma che ha lasciato delle tracce indelebili, dolorose, nella loro vita. Molti di questi stessi giovani accusarono lo scrittore di “escapismo”, ovvero di aver suggerito che l’unica alternativa possibile fosse fuggire da quel mondo: Ende non la pensava così. Ende credeva che la fantasia, insieme al ricordo, non cancella l’identità, semmai la forma per il futuro. È soltanto chi non è capace di assumere su di sé tutto il peso di questa avventura impossibile ma estremamente reale, che non esce più da essa.

fonte: https://www.fanpage.it/la-storia-infinita-il-capolavoro-scritto-da-michael-ende-compie-40-anni/

Un Cult: Banana Joe alle prese con la burocrazia…

 

Banana Joe

 

 

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Un Cult: Banana Joe alle prese con la burocrazia…

 

Banana Joe – L’idea del film venne allo stesso attore protagonista Bud Spencer che la propose a Steno chiedendogli se poteva essere interessante per trarne una commedia leggera e divertente. Steno trovò nell’idea eccellente. Una degna continuazione della serie di Piedone.

Bud Spencer con la sua idea denunciava, in modo neanche velato, l’invasione del capitalismo, l’industrializzazione incombente e la burocrazia inefficiente; una critica della società e di alcune tipologie di esseri umani che erano già alla base della saga poliziesca di Piedone.

Bud, una novità, firmò il soggetto con il suo vero nome, Carlo Pedersoli, mentre la sceneggiatura venne scritta da Mario Amendola, Bruno Corbucci e Steno.

Una curiosità: il film uscito l’8 Aprile del 1982 in Italia non ebbe un clamoroso successo, piazzandosi solo al 90° posto dei film più visti della stagione 1981/82. Ebbe un colossale ritorno, invece, in Germania, Spagna ed in Sudamerica, dove è divenuto un vero e proprio cult, tanto che in Germania non è affatto difficile imbattersi in persone che indossano la maglietta o un indumento con la serigrafia di Banana Joe.

Ecco Banana Joe alle prese con la burocrazia…

Un Cult – Da Amici miei, la mitica supercazzola al vigile…

 

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Un Cult – Da Amici miei, la mitica supercazzola al vigile…

In Amici miei la prima vittima di una supercazzola è il vigile Paolini, in procinto di multare in via dei Renai 17 a Firenze (dinanzi al bar Necchi) il Melandri per aver utilizzato in modo inopportuno il clacson. Il malcapitato è impossibilitato a compilare il verbale a causa della proverbiale entrata in scena del conte Mascetti (un Tognazzi leggendario), che gli si rivolge così: “Tarapia tapioco! Prematurata la supercazzola o scherziamo? No, mi permetta, no io… Scusi, noi siamo in quattro, come se fosse antani anche per lei soltanto in due oppure in quattro anche scribai con cofandina, come antifurto, per esempio”.

Preso in contropiede, il vigile porge l’indice al conte, sentendosi dire che il dito “stuzzica e prematura anche”. A dare manforte all’elegante Mascetti ci penserà il giornalista Perozzi, il quale, dinanzi all’ira del vigile, esclama: “No! Attenzione, no, pastène soppaltate secondo l’articolo 12, abbia pazienza, sennò posterdati per due anche un pochino antani in prefettura!”.

“Parola o frase senza senso, pronunciata con serietà per sbalordire e confondere l’interlocutore”; la definisce il dizionario. La dizione corretta della parola tuttavia sembra essere supercazzora: nel libro omonimo Amici miei (Rizzoli 1976), scritto dagli stessi autori della sceneggiatura (Leonardo Benvenuti, Piero De Bernardi e Tullio Pinelli), si legge “supercazzora” (oltre a “brematurata” al posto di “prematurata”), e nel sequel Amici miei atto III diretto da Nanni Loy il Melandri riceve una videocassetta che inizia con una schermata recitante: “La Supercazzora 69 presenta”. Dietro l’invenzione della supercazzola, però, ci sarebbe la figura del palermitano Corrado Lojacono, paroliere, cantante e attore, inventore di alcuni formidabili giochi di parole.

Amarcord – Emil, il ragazzo terribile che ha rallegrato la nostra infanzia

 

Emil

 

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Amarcord – Emil, il ragazzo terribile che ha rallegrato la nostra infanzia

Nei pomeriggi della mia infanzia a metà degli anni 70 ricordo che in TV seguivo un bellissimo telefilm dal titolo “Emil”.

Emil era un bambino che aveva più o meno la mia età, viveva a Katthult in una fattoria con i genitori, la sorellina Ida, il garzone Alfred e la serva Lina! C’era anche la vecchia e saggia Tata Marta che andava ad aiutare nella fattoria e spesso raccontava a Emil e Ida storie di folletti!

Emil era un bambino molto vivace e combinava molti guai… era un vero monello! Per scappare alle botte del Babbo si rifugiava nella falegnameria dove passava il tempo a intagliare statuine in legno aspettando che il Babbo si calmasse!

Emil è una serie televisiva per bambini prodotta nei primi anni settanta e tratta da una serie di romanzi dell’autrice svedese Astrid Lindgren, iniziati negli anni sessanta e incentrati sul personaggio di Emil (in svedese Emil i Lönneberga).

La serie è ambientata in una fattoria nei pressi del villaggio di Lönneberga, nella regione dello Småland, tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX secolo.

Il protagonista è Emil Svensson (Jan Ohlsson), un bambino molto vivace e combinaguai tanto da essere chiuso in castigo nella falegnameria della fattoria, dove trascorre il tempo intagliando statuine di legno. Verso la fine della storia, quella che sta per rivelarsi la sua peggiore monelleria si rivela un atto eroico, grazie al quale il ragazzino è completamente riabilitato.

per rinfrecarvi la memoria, ecco il primo episodio… In rete ne potrete trovare altri.