15 febbraio 1898 – Nasceva Totò, il Principe della risata – Un ricordo…

 

 

Totò

 

.

.

seguiteci sulla pagina Facebook Curiosity 

.

.

 

15 febbraio 1898 – Nasceva Totò, il Principe della risata – Un ricordo…

Antonio De Curtis, a tutti più noto come Totò, nasce a Napoli il 15 febbraio 1898, in via Santa Maria Antesaecula al rione Sanità, al secondo piano del civico 109.

La madre, Anna Clemente, lo registra all’anagrafe come Antonio Clemente e solo nel 1921 sposa il padre naturale, il marchese Giuseppe De Curtis che successivamente riconosce Antonio come suo figlio.

Nel 1933 il marchese Francesco Maria Gagliardi adotta Antonio trasmettendogli i suoi titoli gentilizi.

Solo a partire dal 1946 il tribunale di Napoli gli riconosce il diritto a fregiarsi dei nomi e dei titoli di: Antonio Griffo Focas Flavio Dicas Commeno Porfirogenito Gagliardi De Curtis di Bisanzio, altezza imperiale, conte palatino, cavaliere del sacro Romano Impero, esarca di Ravenna, duca di Macedonia e di Illiria, principe di Costantinopoli, di Cicilia, di Tessaglia, di Ponte di Moldavia, di Dardania, del Peloponneso, conte di Cipro e di Epiro, conte e duca di Drivasto e Durazzo.

È la madre la “inventrice” del nome Totò. È lei infatti che gli affibbia il celebre nomignolo. E la stessa madre tentò invano di introdurre il giovane figlio alla vita ecclesiastica. Spesso diceva  «Meglio ‘nu figlio prevete ca ‘nu figlio artista»…

Totò, particolarmente vivace e pieno di vita, all’età di quattordici anni lascia gli studi e diventa aiutante di mastro Alfonso, un pittore di appartamenti. L’amore per il teatro è l’altra causa del suo abbandono scolastico. Fra l’altro, nel collegio dove studiava venne colpito con un ceffone da un precettore che gli deviò il setto nasale. In seguito ciò portò all’atrofizzazione della parte sinistra del naso e quindi quella particolare asimmetria che caratterizza il volto del comico in maniera così inconfondibile.

Totò inizia a recitare giovanissimo in piccoli e scalcinati teatri di periferia proponendo al pubblico imitazioni e macchiette accolte inizialmente con poco entusiasmo.

A soli sedici anni ha l’amara impressione che la sua passione non può avere sbocchi significativi e si arruola come volontario nell’esercito, in cui però ben presto si trova a soffrire per le differenze gerarchiche che quella carriera comporta. Con un escamotage riesce a farsi ricoverare evitando di finire in prima linea allo scoppio della grande guerra. Sembra che fu proprio l’esperienza nell’esercito a ispirargli il motto “Siamo uomini o caporali

Alla fine della guerra Totò riprende la sua attività teatrale a Napoli, ancora con poco successo ma nel 1922 si trasferisce a Roma con la famiglia. Qui riesce a farsi assumere nella compagnia comica di Giuseppe Capece per poche lire. Quando chiede un aumento della paga Capece non apprezza la pretesa e lo licenzia.

Decide allora di presentarsi al Teatro Jovinelli dove debutta recitando il repertorio di Gustavo De Marco. E’ il successo. In breve tempo i manifesti riportano il suo nome a caratteri cubitali e fioccano le scritture nei teatri più famosi come, solo per citarne alcuni, il Teatro Umberto, il Triaton, il San Martino di Milano e il Maffei di Torino.

La vera consacrazione avviene a Napoli grazie alla rivista “Messalina” (accanto a Titina de Filippo). Intanto era anche nata la figlia Liliana dall’unione con Diana Bandini Rogliani, che sposerà nel 1935 (divorzierà quattro anni dopo in Ungheria, ma vivranno comunque insieme fino al 1950).

La forza di Totò sta principalmente nel forte carisma, cosa che lo differenzia notevolmente dagli altri attori. Nel suo spettacolo Totò non si limita a far ridere le persone ma trascina letteralmente il pubblico in un vortice di battute e situazioni, entusiasmandolo fino al delirio.

Il suo volto rappresenta davvero una maschera unica anche grazie alla capacità di utilizzare quell’asimmetria che caratterizza il suo mento per sottolineare momenti comici. Bisogna dire però che se il successo popolare è eccezionale ed indiscutibile, la stampa non gli risparmia critiche più o meno giustificate, sicuramente contrassegnate da un’eccessiva severità, dimostrando in questo di non capire il suo genio comico fino in fondo (viene tacciato di buffoneria e di ripetere troppo spesso le stesse battute).

Tuttavia per molti anni Totò è padrone del palcoscenico, recitando accanto ad attori famosissimi quali Anna Magnani e i fratelli De Filippo, in molte riviste di successo, continuando poi la sua carriera, com’è fisiologico, anche nel mondo del cinema. Già nel 1937 aveva debuttato nel cinema con “Fermo con le mani” e fino al 1967 interpreterà circa un centinaio di film.

Totò ha scritto anche diverse canzoni, fra cui vi è annoverata la celeberrima “Malafemmena”.

Nel 1952 si innamora di Franca Faldini cui resterà legato fino alla morte (dalla loro unione nasce un bambino che purtroppo muore poche ore dopo). Nel 1956 torna al teatro con la rivista di Nelli e Mangini “A prescindere”. Gli impegni della tournee gli impediscono di curare una broncopolmonite virale che gli provoca una grave emorragia all’occhio destro, l’unico da cui vedesse dopo il distacco della retina avvenuto per l’altro occhio vent’anni prima.

Pubblica anche una raccolta di poesie “‘A livella”, che fa seguito alla biografia “Siamo uomini o caporali?” di alcuni anni prima.

Nel 1966 il sindacato Nazionale Giornalisti Cinematografici gli assegna il secondo “Nastro d’argento” per l’interpretazione del film “Uccellacci e uccellini”, di Pier Paolo Pasolini, un grande intellettuale a cui si deve per certi versi lo “sdoganamento” di Totò. Per questo film Totò riceve anche una menzione speciale al Festival di Cannes. Ormai quasi cieco partecipa al film “Capriccio all’italiana” in due episodi: “Il mostro” e “Che cosa sono le nuvole” (sempre di Pier Paolo Pasolini).

Totò morì nella sua casa di Via dei Monti Parioli, 4; alle 3:35 del mattino (l’ora in cui era solito coricarsi era le 3:30 circa) del 15 aprile 1967, all’età di 69 anni: venne stroncato da un infarto dopo una lunga agonia, tanto sofferta che lui stesso pregò i familiari e il medico curante di lasciarlo morire. Proprio la sera del 13 aprile confessò al suo autista Carlo Cafiero: «Cafiè, non ti nascondo che stasera mi sento una vera schifezza». Secondo la figlia Liliana, le sue ultime parole furono: «Ricordatevi che sono cattolico apostolico romano», mentre a Franca Faldini disse: «T’aggio voluto bene Franca, proprio assai.»

Alle 11:20 del 17 Aprile 1967 la salma è trasportata nella chiesa di Sant’Eugenio in Viale delle Belle Arti. Sulla bara, la bombetta con cui aveva esordito e un garofano rosso. Alle 16:30 la sua salma giunge a Napoli accolta, già all’uscita dell’autostrada e alla Basilica del Carmine, da una folla enorme.

Viene sepolto nella cappella De Curtis al Pianto, nel cimitero sulle alture di Napoli, in località Capodichino.

Totò e la politica

Sebbene non si conosca con certezza il pensiero politico di Totò, si sa da fonti accertate che era fermamente contrario a qualsiasi forma di dittatura e supremazia (anche per le sue esperienze personali e per i suoi sbeffeggiamenti del potere), e sembra che, a detta di Franca Faldini, fosse di idee fondamentalmente anarchiche ed addirittura filo-comuniste.

In contrapposizione a ciò, ci sarebbe una fotografia del tedesco Eugenio Haas risalente al 1943, scattata sul set di Due cuori fra le belve e pubblicata sulla rivista “Film”, e che raffigurava l’attore con la “cimice”, ossia il distintivo del Partito Nazionale Fascista. Si racconta però che Totò sia stato costretto a posare per quella foto, la cui intenzione sarebbe stata quella di “punire l’audacia del comico”, poiché scherniva e derideva il regime fascista nei suoi spettacoli teatrali, cosa che difatti gli causò molti problemi durante la guerra.

D’altra parte la sua distanza dal regime è dimostrato dal suo continuo mettere in evidenza, in vari dei suoi film, la ridicola e grottesco realtà del ventennio fascista.

Il suo scandaloso «Viva Lauro!», esclamato durante Il Musichiere, venne naturalmente mal interpretato. Essendo un periodo delicato, in prossimità delle elezioni politiche, non era tollerabile che un personaggio conosciuto come Totò osannasse il capo di un partito politico, ma l’unico motivo della sua esclamazione era dovuto al fatto che Lauro avesse provvisto di case e alimenti gli abitanti dei “bassi” (le dimore più povere) di Napoli. Totò apprezzò solamente il gesto, essendo fortemente attaccato alla sua città natale.

 

Amarcord – 29 gennaio 1951, il primo Festival di Sanremo – Da un semplice tentativo di rilancio turistico ad evento musicale entrato nel nostro costume – Amato o odiato, sempre messo in discussione, resta comunque un appuntamento fisso degli Italiani.

 

Festival di Sanremo

 

 

.

seguiteci sulla pagina Facebook Curiosity 

.

.

 

Amarcord – 29 gennaio 1951, il primo Festival di Sanremo – Da un semplice tentativo di rilancio turistico ad evento musicale entrato nel nostro costume – Amato o odiato, sempre messo in discussione, resta comunque un appuntamento fisso degli Italiani.

Da un semplice tentativo di rilancio turistico a tradizione tricolore. Questa l’evoluzione del Festival di Sanremo, l’evento musicale entrato nel costume italiano in un giorno di pieno inverno del 1951

L’intento era principalmente quello di incrementare il turismo sanremese, di avvicinare visitatori anche nei mesi invernali: un’idea del 1945 concretizzatasi solo sei anni più tardi, il 29 gennaio, grazie ad un’iniziativa del maestro Giulio Razzi, il direttore della Radio Italiana che desiderava rinnovare una programmazione musicale ancora troppo legata ai gusti classici.

È così che il Festival della Canzone Italiana prende vita. Un concorso che apre le porte a tutte le case editrici musicali: delle 240 composizioni proposte, soltanto 20 hanno l’onore di essere eseguite tra le mura del Salone delle Feste, nel Casinò della città dei fiori, e interpretate dai quattro artisti partecipanti: Nilla Pizzi, Achille Togliani e il Duo Fasano, composto dalle sorelle Dina e Delfina Fasano.

Il tutto, di fronte ad uno scarso pubblico pagante, comodamente seduto a cena tra i tipici tavolini di un vecchio caffè parigino e il via vai dei camerieri.

“Miei cari amici vicini e lontani, buonasera ovunque voi siate!”, questa la frase d’esordio di Nunzio Filogamo, il conduttore radiofonico ingaggiato come presentatore del primo Festival, trasmesso in diretta dalla Rai sulla Rete Rossa della Radio. L’emittente pubblica segue interamente l’evento, nelle sue tre serate, interropendo però il collegamento dopo l’ultima esecuzione senza attendere il verdetto finale, deciso dai voti del pubblico in sala. La giuria assegna la vittoria al brano “Grazie dei fiori”, cantata da Nilla Pizzi, che non tarderà a diventare un grande classico della nostra canzone. Secondo posto per “La luna si veste d’argento”, intepretata dalla stessa Pizzi in compagnia di Togliani, giunto terzo con “Serenata d’autunno”.

Per aver vinto la prima edizione del Festival, alla Pizzi non spetta altro che un bouquet di garofani e 30mila lire di straordinario per la trasferta serale.

Nelle settimane seguenti, il 78 giri di “Grazie dei fiori” raggiunge le 36mila copie vendute, un successo sorprendentemente inatteso, che assicura alla manifestazione canora un posto nel cuore degli italiani per molti, molti anni.

Qualcuno, nel dopoguerra, lo aveva definito come “la grande evasione”. Una nuova e gioiosa colonna sonora di un’Italia che, con ottimismo e speranza, si affacciava al futuro e alla modernità. E si sà, quando si è ottimisti si è allegri, si fischietta, si canticchia. Da quel 29 gennaio del ’51 sono trascorsi parecchi anni. Il Festival ha fatto molta strada, ha cambiato location, stile musicale, presentatori, scaletta, fino a trasformarsi in un format tanto prestigioso quanto costoso. Amato, odiato, sempre messo in discussione e sotto l’occhio attento della critica.

Eppure, per 5 giorni, con i suoi fiori, abiti e note, resta pur sempre una “grande evasione”.

4 gennaio 1968 – Debutta in radio, sul Secondo Programma Rai, La Corrida dell’indimenticabile Corrado

 

La Corrida

 

 

.

seguiteci sulla pagina Facebook Curiosity 

.

.

 

4 gennaio 1968 – Debutta in radio, sul Secondo Programma Rai, La Corrida dell’indimenticabile Corrado

Le prima edizione de La Corrida venne trasmesse in Radio dal Secondo Programma Rai (attuale Radio2) a partire dal 4 gennaio 1968, e vedeva già allora la partecipazione del Maestro Roberto Pregadio (con il suo complesso musicale).

La trasmissione nasceva come un vero e proprio talent destinato ai giovani, come testimoniato dall’annuncio dei casting pubblicato nei mesi precedenti sul Tv RadioCorriere.

Salutiamo La Corrida che apre la sua serie di trasmissioni con l’anno nuovo. Il titolo ci dice un po’ tutto, La corrida è la lotta di un uomo contro il toro. E il toro è rappresentato dal pubblico che, quando vuole essere severo e implacabile, riesce a fare impallidire gli abituali avversari di Manuel Benitez detto “El cordobes”. Più che una corrida una vera occasione per i giovani che ambiscono fare carriera nel mondo dello spettacolo. Proprio loro devono a tutti i costi  cercare di non perdere l’appuntamento con questo originale concorso. Cantanti, attori, imitatori, fantasisti, presentatori, complessi, comici, solisti di musica leggera e chi più ne ha più ne metta, attenzione al momento magico. Se avete doti artistiche prendete carta e penna e indirizzate subito una domanda di partecipazione a: La Corrida, casella postale 400, Torino. Tutte le domande verranno sorteggiate e i fortunati vincitori saranno chiamati a “toreare” in un auditorio della Rai, di fronte a un grande pubblico. Ma attenzione non si tratta di un pubblico  addomesticato, messo in sala per far scena. Tutt’altro. Questo è davvero un pubblico che non si lascia addomesticare. Aggiungiamo che giudico unico, o se volete arbitro della situazione, è Corrado. Non ci saranno vincitori per categoria, ma un vincitore assoluto: il più bravo, davvero, di tutti.

Il successo della trasmissione fu tale che dopo nemmeno un anno gli aspiranti “Kamikaze della radio”, così li definiva la stampa dell’epoca, erano già diverse migliaia. Tra le tante domande pervenute non solo quelle di giovani artisti ma anche numerose richieste di persone decisamente avanti negli anni ma con altrettanta voglia e determinazione di mettersi in gioco e mostrare al pubblico il proprio talento artistico. Un’invasione di over che portò il programma ad allargare la partecipazione trasmissione a persone di ogni età. Partita al giovedì, visti i grossi consensi di pubblico, La Corrida venne dal 1970 spostata al sabato, e proseguì ininterrottamente in radio sino al 1° gennaio 1977.

Il successo del programma fu tale da far pensare da subito ad una trasposizione televisiva, ma fu proprio Corrado a non voler portare il programma sul piccolo schermo sostenendo che il programma fosse esclusivamente “sonoro” e poco adatto alla tv.

Ci vollero ben 18 anni per convincerlo e far sì che La Corrida arrivasse in televisione. La prima stagione televisiva debuttò la sera del 5 luglio 1986 arricchendosi per l’occasione di ospiti vip e momenti di spettacolo, ma soprattutto confermando il successo del format.

Seguirono altre due edizioni nelle estati del 1987 e 1988.

Nel 1990 arrivò la promozione nel palinsesto primaverile, collocazione che venne confermata anche negli anni successivi, sino ad arrivare alle ultime due edizioni in onda nella stagione autunnale del 1995 e 1997.

Un totale di dieci edizioni accomunate da grandi ascolti e consensi di critica che si conclusero con la puntata del 20 dicembre 1997 nella quale un commosso Corrado si congedò al pubblico con un’intensa poesia che riassumeva, non senza qualche polemica, la sua trentennale esperienza a La Corrida.

Abbiamo cominciato un po’ in sordina
questa Corrida, decima edizione.
Ci siamo detti: “moh, andrà come prima”.
E invece è stato un vero successone.

Non è che prima avesse brutti ascolti, no…
Si sa che si è difesa sempre bene,
ma mai come quest’anno, a conti fatti,
davvero in tanti siamo stati insieme.

Abbiamo fatto un record di ascolti,
e sotto sotto, è dispiaciuto a molti.
Ospiti illustri contro strana gente,
che quasi sempre non sa fare niente.

Ma poi, come è finita lo si sa:
ha vinto questo nostro varietà
e dico varietà, badate bene,
e fatto pure come tv comanda.

Perché vi giuro, ho un po’ le tasche piene,
di udire la peggiore delle offese
che alla Corrida fanno la domanda
(come qualcuno scrisse a suo tempo),
soprattutto gli scemi del paese.

È gente che si vuole divertire.
Hanno una dote che non è pazzia,
e ce l’hanno in pochi: si chiama autoironia!
In quanto a me, sono stato fortunato
perché ho trovato collaboratori
che forse più di me hanno sudato
e più di me meritano gli allori.

Sono tanti e i nomi non li posso fare,
vorrei, ma finirei con l’annoiare.
È andata bene pure grazie a loro
perché un successo non si fa da solo.

E adesso la Corrida finirà,
forse per sempre, forse, chi lo sa…?
Qualcuno, e questa è ormai un’istituzione
tra un poco ne farà un’imitazione.
Pazienza, io mi sono divertito per tanti anni
ed è arrivato il tempo di dare il mio commosso benservito,
ma chi lo sa se poi non me ne pento?

Lo so, mi mancherete e pure tanto.
E se c’è stato uno scemo del paese
Oh! M’ha insegnato, non sapete quanto,
a sorridere e a non aver pretese.

 

5 curiosità su La Corrida di Corrado

1 – La Corrida è stata un trampolino di lancio per diversi personaggi. Tra questi Gigi Sabani, Neri Marcorè ed Emanuela Aureli.

2 – Una figura fissa di tutte le edizioni è stata la valletta. Tra le tante alternatesi sul palco si ricordano Miriana Trevisan e una giovanissima Lorena Bianchetti, ma soprattutto Antonella Elia, presente per ben 4 edizioni e protagonista di numerosi siparietti comici con lo stesso Corrado.

3 – Tra i concorrenti più famosi de La Corrida di Corrado il più amato è stato senza dubbio Leonardo Vitelli, il pensionato che si esibiva in numeri musicali realizzando dei suoni con le proprie ascelle. Il signor Vitelli, che Corrado definiva “custodia” dello strumento, si è presentato al programma per la prima volta nel 1988, ed è poi tornato ad esibirsi nel 1991 e 1994. In tutte le occasioni, suscitando inevitabilmente ilarità tra il pubblico, il Maestro Pregadio veniva suo malgrado coinvolto nella procedura di accordatura dello strumento.

4 – Nel 1991 alcuni concorrenti che avevano partecipato alle precedenti edizioni suonando oggetti o imitando i suoni degli strumenti musicali costituirono la New Economic Orchestra. La curiosa formazione tornò ad esibirsi fuori gara in alcune puntate del programma.

5 – Il format de La Corrida è stato venduto in Spagna e adattato per il canale TVE, dove è andato in onda con il titolo El semáforo dal 1995 al 1997. La trasmissione è approdata nello stesso periodo anche in Francia e soltanto lo scorso dicembre in Polonia.

Un ricordo – Buon Anno con lo spot di Asti Cinzano 1986 – Oh Happy Day

 

Oh Happy Day

 

 

.

seguiteci sulla pagina Facebook Curiosity 

.

.

 

Un ricordo – Buon Anno con lo spot di Asti Cinzano 1986 – Oh Happy Day

Spot della Asti Cinzano che utilizzava quale propria colonna sonora “Oh Happy Day”; in Italia venne adottato come inno natalizio, anche se in realtà il testo è una celebrazione della Pasqua (“Oh Happy day, He washed my sins away”).

Oggi tutti i brindisi si fanno con lo spumante, quelli più raffinati con lo champagne. Sembra impossibile fare senza, eppure c’è stato un tempo in cui era perfettamente naturale brindare con quello che si era sempre bevuto: vino bianco o rosso più o meno dolce, e di solito non frizzante. Quel tempo era fino agli anni Ottanta.

Certo, il vino frizzante è vecchio come il mondo (vedi il lambrusco), ma se negli anni Settanta prendevi un francese o un siciliano e gliene facevi bere un bicchiere, ti chiedevano se ci avevi messo dentro l’acqua frizzante…

Ma non divaghiamo… Buon Anno con questo stupendo ricordo…

 

L’intramontabile Last Christmas dei Wham compie 35 anni

 

Last Christmas

 

 

.

seguiteci sulla pagina Facebook Curiosity 

 

.

 

L’intramontabile Last Christmas dei Wham compie 35 anni

L’avreste mai detto che sono passati ben trentacinque anni da quando i Wham! di George Michael e Andrew Ridgley hanno proposto uno dei brani più belli e indimenticabili legati al Natale? Ebbene sì, Last Christmas è stato pubblicato il 15 dicembre del 1984 e, ad oggi, è il pezzo del Natale più ascoltato e amato in ogni angolo del Mondo.

Un classico intramontabile

Era il 15 dicembre del 1984 quando due giovanissimi artisti di talento, George Michael e Andrew Ridgley, i Wham! proponevano uno dei brani più iconici di sempre, Last Christmas. Il successo del brano è stato così potente e travolgente che, ad oggi, si tratta di una delle canzoni natalizie più ascoltate di tutti i tempi. Per celebrare il trentacinquesimo anniversario della canzone, dunque, è stata pubblicata una ristampa  in edizione limitatissima della versione originale del singolo su vinile bianco da collezione. Il brano, inoltre, è anche nella colonna sonora dell’omonimo film con Emilia Clarke, uscito nelle sale proprio in questi giorni.

Il successo del pezzo è stato davvero incredibile: all’indomani della sua pubblicazione, ha raggiunto la posizione numero due della classifica di vendita, battuto solo da Do They Know It’s Christmas del charity supergroup ‘Band Aid’, a cui aveva preso parte anche lo stesso George Michael. Una curiosità per voi: Last Christmas è il pezzo più venduto a non aver mai raggiunto il vertice della classifica ufficiale dei singoli.

Ammettetelo, quante volte avete cantato Last Christmas nel periodo natalizio?

 

 

 

fonte: https://www.greenme.it/vivere/arte-e-cultura/last-christmas-nalale-35-anni/

5 ottobre 2011, addio Genio – Le ultime parole di Steve Jobs – Il grande, fantastico testamento spirituale di un uomo eccezionale

 

Steve Jobs

 

.

.

seguiteci sulla pagina Facebook Curiosity 

.

.

5 ottobre 2011, addio Genio – Le ultime parole di Steve Jobs – Il grande, fantastico testamento spirituale di un uomo eccezionale

– Le ultime parole di Steve Jobs –

Ho raggiunto l’apice del successo nel mondo degli affari.

Agli occhi altrui la mia vita è stata il simbolo del successo.

Tuttavia, a parte il lavoro, ho una piccola gioia. Alla fine, la ricchezza è solo un dato di fatto al quale mi sono abituato.

In questo momento, sdraiato sul letto d’ospedale e ricordando tutta la mia vita, mi rendo conto che tutti i riconoscimenti e le ricchezze di cui andavo così fiero, sono diventati insignificanti davanti alla morte imminente.

Nel buio, quando guardo le luci verdi dei macchinari per la respirazione artificiale e sento il brusio dei loro suoni meccanici, riesco a sentire il respiro della morte che si avvicina…

Solo adesso ho capito, una volta che accumuli sufficiente denaro per il resto della tua vita, che dobbiamo perseguire altri obiettivi che non sono correlati alla ricchezza.

Dovrebbe essere qualcosa di più importante:
per esempio le storie d’amore, l’arte, i sogni di quando ero bambino…

Non fermarsi a perseguire la ricchezza potrà solo trasformare una persona in un essere contorto, proprio come me.

Dio ci ha dato i sensi per farci sentire l’amore nel cuore di ognuno di noi, non le illusioni costruite dalla fama.

I soldi che ho guadagnato nella mia vita non li posso portare con me.

Quello che posso portare con me sono solo i ricordi rafforzati dall’amore.

Questa è la vera ricchezza che ti seguirà, ti accompagnerà, ti darà la forza e la luce per andare avanti.

L’amore può viaggiare per mille miglia. La vita non ha alcun limite. Vai dove vuoi andare. Raggiungi gli apici che vuoi raggiungere. E’ tutto nel tuo cuore e nelle tue mani.

Qual è il letto più costoso del mondo? Il letto d’ospedale.
Puoi assumere qualcuno che guidi l’auto per te, che guadagni per te, ma non puoi avere qualcuno sopporti la malattia al posto tuo.

Le cose materiali perse possono essere ritrovate. Ma c’è una cosa che non può mai essere ritrovata quando si perde: la vita.

In qualsiasi fase della vita siamo in questo momento, alla fine dovremo affrontare il giorno in cui calerà il sipario.

Fate tesoro dell’amore per la vostra famiglia, dell’amore per il vostro coniuge, dell’amore per i vostri amici…

Trattatevi bene. Abbiate cura del prossimo.

Amarcord – 23 giugno 1994, Forrest Gump compie 25 anni – Il racconto di trent’anni di Storia aspettando il bus sulla panchina…

 

Forrest Gump

 

 

.

.

seguiteci sulla pagina Facebook Curiosity 

.

.

 

Amarcord – 23 giugno 1994, Forrest Gump compie 25 anni – Il racconto di trent’anni di Storia aspettando il bus sulla panchina…

Il film di Robert Zemeckis festeggia 25 anni: sei Oscar tra cui miglior film e regia, sceneggiatura a Eric Roth e protagonista maschile a Tom Hanks

Inizia tutto su una panchina, alla fermata dell’autobus: il candido narratore intrattiene alcuni ignari vicini raccontando piccoli grandi eventi vissuti nella sua giovane vita. Nelle sue parole scorrono trent’anni di Storia americana attraverso incontri e avvenimenti cruciali di cui è stato inconsapevole testimone. Forrest Gump incanta i suoi interlocutori parlando di Elvis Presley e John Lennon, della guerra in Vietnam e dello scandalo Watergate, di segregazione razziale e Black Panther, oltre alle svariate visite alla Casa Bianca dove ha incontrato i presidenti  Kennedy, Johnson e Nixon.

Il film di Robert Zemeckis, presentato a Los Angeles il 23 giugno 1994 e uscito nelle sale il 6 luglio, segnò uno dei più alti record d’incasso della stagione con quasi 678 milioni di dollari globali. Fu il maggior successo dell’anno negli Stati Uniti e il secondo complessivo in tutto il mondo dopo Il re leone uscito nelle sale Usa il 15 giugno. Zemeckis aveva già lasciato il segno con una serie di successi straordinari, dalla trilogia di Ritorno al futuro alla fusione tra attori e cartoon in Chi ha incastrato Roger Rabbit?, sperimentazioni premiate più volte con gli Oscar per gli innovativi effetti visivi e sonori. Ma conForrest Gump, tra tredici candidature, il regista conquista la preziosa statuetta per la miglior regia oltre a quella per il miglior film, per il protagonista Tom Hanks (che lo aveva vinto anche l’anno precedente per Philadelphia), per la sceneggiatura di Eric Roth, per il montaggio e naturalmente per gli effetti speciali.

Oggi al cinema non stupisce più nulla, il digitale ci ha abituati alla perfezione. Ma 25 anni fa le sperimentazioni in Cgi di Zemeckis fecero scalpore: in particolare le sequenze in cui il personaggio di Forrest è inserito in filmati di repertorio, arrivando anche a stringere la mano a John Fitzgerald Kennedy dicendogli “Devo fare pipì”, e appare in un’intervista accanto a John Lennon durante la quale gli suggerisce uno spunto per Imagine. Le incursioni nel passato hanno fatto il successo del film e permettono a Forrest Gump di incidere, pur senza rendersene conto, in alcuni degli eventi della seconda metà del XX secolo, come quando entra all’università l’11 giugno 1963 insieme a Vivian Malone e James Hood, i primi due studenti neri scortati dalla Guardia Nazionale, oppure quando si trova al Watergate Hotel e chiama la reception perché vede “gente strana nell’appartamento di fronte” dando il via allo scandalo che portò alle dimissioni di Nixon.

Qualche curiosità:

Bill MurrayJohn Travolta e Chevy Chase hanno rifiutato il ruolo di Forrest Gump. Travolta, più tardi, ammise che era stato un errore.

Tom Hanks ha firmato il contratto dopo un’ora e mezza aver letto la sceneggiatura, ma ha accettato solo a condizione che il film fosse storicamente accurato.

La famosa panchina del film si trova nel centro storico di Savannah, in Georgia, in Chippewa Square. La panca è stata rimossa e collocata in un museo per evitare che fosse distrutta dal maltempo, o rubata.

Ad ogni passaggio dell’età di Forrest, una cosa rimane la stessa: nella prima scena di ogni transizione indossa una camicia blu a quadri.

La frase “La vita è come una scatola di cioccolatini: non sai mai quello ti capita” è stata votata come la citazione numero 40 dall’American Film Institute della top100.

La barca che pescava gamberi ora si trova nel Planet Hollywood a Downtown Disney, presso il Resort Disneyworld in Florida. Inoltra una delle racchette da ping-pong usate nel film e firmata da Tom Hanks è appesa su una delle pareti del ristorante.

Il film è stato selezionato dalla Library of Congress per la preservazione nel National Film Registry nel dicembre 2011 come “culturalmente, storicamente o esteticamente significativo”.

Amarcord – 17 giugno 1970, 49 anni fa, la mitica semifinale Italia-Germania 4-3. Da allora all’ingresso dello stadio Azteca di Città del Messico è apposta la targa “El partido del siglo”

 

Italia-Germania

 

 

.

seguiteci sulla pagina Facebook Curiosity 

.

.

Amarcord – 17 giugno 1970, 49 anni fa, la mitica semifinale Italia-Germania 4-3. Da allora all’ingresso dello stadio Azteca di Città del Messico è apposta la targa “El partido del siglo”

Italia-Germania 4-3: una brutta partita che fece la storia

Perfino chi non era ancora nato la porta nel cuore, sente un po’ di esserci stato. Perché Italia-Germania 4-3, semifinale del Mondiale 1970, è stata epica. In barba al gioco non strepitoso e agli errori. Ma grazie a un carattere che ci piacerebbe avere in tutti i momenti difficili

La partita fra azzurri e tedeschi occidentali è leggenda per il modo in cui i fatti si susseguono e per una serie di coincidenze che forse non sono tali, ma che in ogni caso arricchiscono una trama già ricca e complessa. Del resto, se ancor oggi all’interno dello stadio Azteca di Città del Messico una targa commemora “Italia y Alemania” come “el partido del siglo” (la partita del secolo), un motivo pure ci sarà.

È il 17 giugno di 45 anni fa, ci sono oltre 102mila spettatori sugli spalti, mentre altre centinaia di milioni di abitanti del pianeta sono collegati in Mondovisione. In palio c’è un posto in finale, dove il Brasile (che nel frattempo ha sconfitto per 3-1 l’Uruguay nell’altro confronto di semifinale) attende di sapere contro chi dovrà scendere in campo per giocarsi la Coppa Rimet domenica 21 giugno 1970. Sono le 16, ore locali, di un mercoledì in apparenza come altri. Il caldo – riportano le cronache – è piuttosto torrido, ma pochi sembrano farci caso. In Italia è tarda sera, nessuno capace di intendere e di volere vuole perdersi lo spettacolo.

Il gol di Boninsegna dopo otto minuti incanala l’incontro nella direzione che l’Italia preferisce: far fare gioco agli avversari e ripartire in contropiede. Ma, siamo due minuti oltre il 90°, All’ultimo assalto tedesco, la difesa italiana dà segni di cedimento ma in effetti manca pochissimo. Dal limite sinistro dell’area azzurra Grabowski lascia partire un cross al centro. Si avventa sul pallone il difensore Schnellinger, uno che avrà segnato tre volte in vita sua. La difesa azzurra lo lascia inspiegabilmente libero. Colpo quasi in spaccata e al 92’ e 30’’ la Germania pareggia.

E qui finisce la storia ed inizia la leggenda.

Muller porta in vantaggio i tedeschi.

Burgnich, che ancora oggi non sa cosa rispondere a chi gli chiede cosa facesse nell’area di rigore tedesca, pareggia al 98′.

Sinistro di Riva, al 104′: 3-2 sembra fatta. Sembra…

Sembra perché Rivera è troppo elegante per vestire la tuta di operaio: causa il 3-3 al 110′ “scansandosi” su un colpo di testa di Seeler.

Si farà perdonare trenta secondi dopo, calciando il pallone del 4-3 nell’immediato capovolgimento di fronte.

Ricorda Gianni Brera:

«I tedeschi sono battuti. Beckenbauer con braccio al collo fa tenerezza ai sentimenti. Ben sette gol sono stati segnati. Tre soli su azione degna di questo nome: Schnellinger, Riva, Rivera. Tutti gli altri, rimediati. Due autogol italiani (pensa te!). Un autogol tedesco (Burgnich). Una saetta di Bonimba ispirata da un rimpallo fortunato […]
Come dico, la gente si è tanto commossa e divertita. Noi abbiamo rischiato l’infarto, non per scherzo, non per posa. Il calcio giocato è stato quasi tutto confuso e scadente, se dobbiamo giudicarlo sotto l’aspetto tecnico-tattico. Sotto l’aspetto agonistico, quindi anche sentimentale, una vera squisitezza, tanto è vero che i messicani non la finiscono di laudare (in quanto di calcio poco ne san masticare, pori nan).
I tedeschi meritano l’onore delle armi. Hanno sbagliato meno di noi ma il loro prolungato errore tattico è stato fondamentale. Noi ne abbiamo commesse più di Ravetta, famoso scavezzacollo lombardo. Ci è andata bene. Siamo stati anche bravi a tentare sempre, dopo il grazioso regalo fatto a Burgnich (2-2). L’idea di impiegare i dioscuri Mazzola e Rivera è stata un po’ meno allegra che nell’amichevole con il Messico. Effettivamente Rivera va tolto dalla difesa. Io non ce l’ho affatto con il biondo e gentile Rivera, maledetti: io non posso vedere il calcio a rovescio: sono pagato per fare questo mestiere. Vi siete accorti o no del disastro che Rivera ha propiziato nel secondo tempo?»

Così scriveva Gianni Brera all’indomani della mitica semifinale (QUI l’articolo completo)

Per la cronaca, l’Italia perse la finale col Brasile per 1 a 4. Ma il primo tempo terminò 1-1 e le squadre si equivalsero… Il Brasile avava avuto un giorno di riposo in più e l’Italia una semifinale massacrante… Col senno di poi, se Schnellinger non avesse pareggiato a tempo ormai scaduto, ci saremmo persi la “partita del secolo”, ma forse avremmo avuto una finale diversa…

By Eles

Buon compleanno Stanlio – Il 16 giugno del 1890 nasceva il mitico Stan Laurel, il nostro ricordo tra risate, curiosità e nostalgia

 

Stan Laurel

 

 

.

seguiteci sulla pagina Facebook Curiosity 

.

.

Buon compleanno Stanlio – Il 16 giugno del 1890 nasceva il mitico Stan Laurel, il nostro ricordo tra risate, curiosità e nostalgia

Stan Laurel, pseudonimo di Arthur Stanley Jefferson (Ulverston, 16 giugno 1890 – Santa Monica, 23 febbraio 1965), è stato un attore, comico, regista, produttore cinematografico e sceneggiatore britannico.

Stan Laurel, meglio conosciuto per il ruolo di Stanlio del duo comico Stanlio & Ollio (Laurel & Hardy), «è considerato uno dei più grandi attori comici di tutti i tempi; agilissimo nella sua fisicità e geniale nell’invenzione comica, ha innovato profondamente il modo di recitare la comicità per le sue capacità di rendere ricco di particolari intriganti un individuo “apparentemente stupido”.» I suoi giochi di parole molto spesso erano frasi semplici, ma venivano espresse con variopinte e bizzarre combinazioni.

Stanlio e il Travaso del vino (da Noi siamo zingarelli, 1936)

Nel novero delle icone umoristiche in grado di affermarsi nell’immaginario popolare come geni artistici a tutto tondo, a Stanlio e Ollio è riservato un posto d’onore. Dietro allo step finale della risata si muovevano gli ingranaggi di un vero e proprio laboratorio artigianale, dove la scrittura e l’interpretazione si mescolavano alla regia e al montaggio. Pochi attori hanno saputo raccontare il popolo facendolo innamorare come loro:“Il mondo è pieno di persone come Stanlio e Ollio. Basta guardarsi attorno: c’è sempre uno stupido al quale non accade mai niente, e un furbo che in realtà è il più stupido di tutti. Solo che non lo sa” amava affermare più volte Hardy.
Il 1º maggio esce nelle sale italiane il film sul celebre duo comico interpretato sontuosamente da Steve Coogan e John C. Reilly, che si calano perfettamente nei panni di Laurel e Hardy senza mai scadere nella macchietta, mostrando delle eccellenti doti mimetiche. Un film di cui abbiamo parlato anche nella nostra recensione di Stanlio e Ollio che non assolve soltanto alla mera funzione nostalgica ma che riesce a raccontare ed entrare nel cuore di un’amicizia solida, profonda e imprescindibile per il successo professionale e che permise di superare momenti bui e i pochi attriti. In occasione dell’uscita del film di Jon S. Baird ricordiamo 10 curiosità su Stanlio e Ollio, ma prima vogliamo spendere due parole sul periodo e le circostanze in cui si svolge il film.

Nel 1950 Stan Laurel e Oliver Hardy stanno compiendo un viaggio in Europa. Si tratta di un breve tour per promuovere il loro prossimo film, Atollo K. Sarà l’ultimo lungometraggio a cui parteciperà la coppia. Nel corso di un’intervista, a Oliver Hardy viene chiesto del suo interesse verso lo stile slapstick della comicità, legato al linguaggio del corpo e alle gag, di cui Laurel e Hardy erano tra i più fulgidi esponenti:“È interessante ma ormai se ne vede poco. La gente vuole ridere ma la comicità di oggi è poco comica. I produttori vogliono il drammatico, non il comico. Anche perché è difficile fare un film comico”. Parole che scorrono all’interno di una conversazione qualunque ma che fotografano alla perfezione ciò che la comicità – e quindi gli stessi Laurel e Hardy – stava passando in quel periodo. Un passaggio di consegne generazionale che stava ormai modificando in maniera sostanziale le dinamiche umoristiche nel mondo dello spettacolo in relazione a ciò che il pubblico e l’industria cinematografica stessa richiedevano in quel periodo.

Dieci curiosità
1) DUE CARATTERI DIVERSI

Tra le differenze principali che caratterizzavano Stan Laurel e Oliver Hardy, la più evidente era il carattere. Lo schema ben definito dei personaggi di Stanlio e Ollio non ricalcava la personalità dei due interpreti. Entrambi perennemente in abito scuro con bombetta incorporata, i personaggi di Stanlio e Ollio si sono affermati come due icone immortali della comicità cinematografica. Corpulento, saccente, gentiluomo maldestro e costantemente impegnato nel dimostrare la superiorità intellettiva rispetto all’amico, Ollio si palesa ogni volta più sciocco di Stanlio; quest’ultimo, lagnoso, fisico minuto e longilineo, subisce inizialmente l’arroganza di Ollio, salvo poi uscire indenne da ogni situazione, contribuendo a mettere nei guai il compare. La dialettica, la mimica e l’uso del corpo di Stanlio e Ollio hanno innovato in maniera significativa il mondo della comicità. Ma nella vita l’indole di Stan Laurel e Oliver Hardy era profondamente diversa; Laurel era il vero regista e burattinaio della coppia, autore delle gag, artigiano tuttofare. Hardy era il braccio destro operativo, magistrale esecutore delle indicazioni dell’amico, che integrava con soluzioni altrettanto brillanti. Una differenza caratteriale che li ha spesso fortificati; la puntigliosità e l’impulsività di Laurel, noto per la sua complicata personalità, era compensata dall’atteggiamento maggiormente conciliante e diplomatico di Hardy.

2) VITA PRIVATA

I tumulti della vita privata hanno contraddistinto entrambe le vite private di Stan Laurel e Oliver Hardy. Nei film, Stanlio e Ollio sono spesso sposati con donne benestanti e dispotiche. Nella realtà Stan Laurel ha vissuto svariati e tormentati matrimoni, perfettamente in linea con il saliscendi emotivo che lo caratterizzava anche sul lavoro. Si sposò otto volte, ebbe due figli, e in alcuni casi le separazioni erano talmente repentine che rischiò di essere accusato di bigamia. Meno prolifica ma altrettanto altalenante la vita sentimentale di Oliver Hardy; in seguito al divorzio richiesto dalla prima consorte conobbe la futura seconda moglie sul set di The Flying Deuces, con la quale rimase sposato fino alla morte. La turbolenta vita privata di Laurel e Hardy fu uno dei motivi di dissidio con il celebre produttore Hal Roach, che mal sopportava questo genere di notizie in prima pagina.

3) IL DOPPIAGGIO ITALIANO

Altrettanto famoso in Italia è il doppiaggio italiano che ha caratterizzato i personaggi di Stanlio e Ollio. Le varie storpiature fonetiche tuttavia nascono dalla produzione multilingue che Hal Roach aveva espressamente richiesto per non perdere potenziali guadagni all’estero, soprattutto in nazioni dove l’inglese non veniva parlato. A questo proposito scelse di far ripetere in prima persona le battute agli attori con l’ausilio di madrelingua per la pronuncia corretta da utilizzare. Un lavoro piuttosto laborioso e complicato che contribuì involontariamente al successo del doppiaggio italiano, che decise di mantenere i vari errori d’accentazione senza modificarli, aumentando di fatto la fama di Stanlio e Ollio in Italia, grazie anche all’interpretazione vocale dei diversi doppiatori che si sono alternati negli anni.Tra i più noti si ricordano Mauro Zambuto e il suo caratteristico pianto in falsetto conferito a Stanlio e Alberto Sordi – che vinse un concorso indetto dalla MGM anche per le sue qualità canore – per Ollio, attribuendogli un registro vocale più basso rispetto a quello originale di Hardy.

4) GAG E STILE

Le avventure di Stanlio e Ollio, pur variando in base alle trame differenti nei vari film, mantengono lo stesso tipo di canovaccio. Soprattutto uno stile ben riconoscibile delle gag contribuisce a delineare maggiormente il profilo dei due personaggi. Solitamente Stanlio e Ollio sono due amici sposati a donne ricche e tiranniche, che tentano di uscire da una quotidianità che non li valorizza abbastanza, cercando di migliorare le proprie condizioni di vita, soprattutto a livello economico. Il risultato è quasi sempre disastroso. Una delle gag più riconoscibili è il camera look di Ollio: ogniqualvolta Stanlio esce indenne da una situazione critica il rimprovero dell’amico si traduce in uno sguardo sconsolato in camera, per coinvolgere ulteriormente lo spettatore e cercare consolazione dalle proprie disgrazie. Altre caratteristiche preponderanti sono il pianto esagerato di Stanlio, in seguito a qualche critica eccessiva di Ollio, e le risate contemporanee, un escamotage che nasce anche da situazioni malinconiche o tristi come ne Lo sbaglio e Frà Diavolo.

 

5) MUSICA E BALLETTI

Le sequenze musicali nei film di Stanlio e Ollio hanno impreziosito diverse avventure del duo, soprattutto mettendo in luce le doti canore di Oliver Hardy, dato il suo registro tenorile, e i balletti improvvisati in diversi film, con alcune musiche diventate dei cult per i fan. La canzone più ricordata è The Cuckoo Song, ideale colonna sonora simbolo delle peripezie di Stanlio e Ollio, composta da Marvin Hatley, presente per la prima volta nel film del 1930, I ladroni. Impareggiabile è il balletto in I diavoli volanti, dove Ollio si leva la bombetta e intona la canzone dal titolo Guardo gli asini che volano nel ciel, con Stanlio che improvvisa un comico passo di danza, in seguito supportato dall’amico. La canzone italiana è cantata da Alberto Sordi mentre in originale Hardy intona la famosa Shine On, Harvest Moon di Nora Bayes e Jack Norworth. Grazie a questo intermezzo musicale I diavoli volanti è tutt’oggi uno dei film più famosi della coppia.

6) GLI ESORDI CON CANE FORTUNATO

1921, sul set del cortometraggio diretto da Jesse Robbins, Cane fortunato. Stan Laurel e Oliver Hardy incrociarono per la prima volta le loro strade in quell’occasione. Stan era il protagonista designato del film, nei panni di uno sbadato giovanotto giramondo che viene tallonato da un corpulento bandito, interpretato da Oliver Hardy. Il corto è ricordato per essere l’esordio ufficiale di Stan Laurel e Oliver Hardy nello stesso film ma i due non lavoreranno più insieme fino al 1926, quando Stan Laurel avrebbe dovuto dirigere Get ‘Em Young, con Oliver Hardy nel cast. Un incidente domestico di Hardy costrinse Laurel a sostituirlo e lasciare la regia del progetto. La tensione del momento sfociò in ilarità quando la reazione goffa e arrabbiata di Laurel colpì il produttore Hal Roach, che nel 1927 decise di creare ufficialmente la coppia.

7) VINCOLI E LIBERTÀ

Proprio Hal Roach fu una figura fondamentale, nel bene e nel male, nella lunga carriera di Stan Laurel e Oliver Hardy. In particolare il rapporto con Stan Laurel fu piuttosto travagliato, con Roach che non sopportava il ruolo fin troppo invasivo di Laurel, che lavorava ai film non solo come interprete ma spesso anche come sceneggiatore, regista e montatore. La prima rottura avvenne nel 1935, quando Laurel venne licenziato e poi riassunto qualche mese dopo. Preludio alla rottura definitiva nel 1938, quando Roach e Laurel si divisero soprattutto per la mancanza di libertà di Stan in fase di scrittura. Nel periodo di lontananza di Stan Laurel dalla MGM, Hal Roach affiancò a Oliver Hardy una star del muto come Harry Langdon per il film Zenobia, senza ottenere i risultati sperati. La conseguenza fu il ritorno di Laurel con un contratto annuale nel 1939. Nel 1940 i rapporti terminarono definitivamente e Stan Laurel e Oliver Hardy firmarono un contratto con la 20th Century Fox ma i tempi erano ormai cambiati. Nella major Laurel sperimentò per la prima volta le ferree tempistiche del cinema formato industria, che lavora sulla quantità e sulla velocità di produzione.

8) STANLIO, OLLIO E LO SPETTATORE

Una delle peculiarità di Stan Laurel e Oliver Hardy era il rapporto magnetico che sapevano instaurare con lo spettatore, in maniera più solida e diretta rispetto ad altri grandi comici dell’epoca. Non solo l’espediente del camera-look ma anche l’ingenuità con la quale Stanlio e Ollio riescono a cacciarsi sempre nei guai aumentava il legame con lo spettatore; la semplicità delle gag, la spontaneità dei due protagonisti, in perenne disagio nei confronti del mondo che li circonda è un escamotage funzionale al coinvolgimento di chi assiste alle loro disgrazie dall’altra parte dello schermo. 
Un legame che funziona anche oggi, proprio grazie a queste caratteristiche.

9) L’AMICIZIA

Il film di Jon S. Baird approfondisce il legame affettivo, tra alti e bassi, tra Stan Laurel e Oliver Hardy. Un’amicizia che è durata nel tempo e non si è mai interrotta ma che sapeva adattarsi al differente carattere e allo stile di vita di entrambi. Totalmente dedito al lavoro, al punto di sacrificare il futuro della propria vita privata, Stan Laurel viveva costantemente immerso nei progetti cinematografici, una vera e propria ossessione. Al contrario, Oliver Hardy era un personaggio festaiolo, amante del golf e dei party. Le modalità diverse con le quali conducevano le loro vite mai impedirono di mantenere un’amicizia sempre molto salda.

10) UNA COSA SOLA

Oliver Hardy girò pochissimi film senza Stan Laurel. Oggi pensare a Laurel senza Hardy e viceversa pare quasi una forzatura. L’incredibile alchimia di Stanlio e Ollio nella lunghissima filmografia che li riguarda ha rafforzato l’immaginario di una coppia che rappresenta un’unica identità. Stanlio e Ollio cercano di arrivare a fine giornata in simbiosi, come simbiotica era l’amicizia fra Stan Laurel e Oliver Hardy. Quando Hardy venne colpito da un ictus nel settembre 1956, subì una semi paralisi che gli impedì di comunicare; l’amico non si perse d’animo e i due riuscirono a capirsi grazie al loro talento gestuale. Ragionavano come se fossero una cosa sola, Laurel e Hardy, tanto che Stan scrisse altri soggetti per la coppia anche dopo la morte di Hardy, nel 1957. Non recitò mai più, perché senza Babe, tutto era finito. Senza Ollio era morto anche Stanlio.

Guardo gli asini che volano nel ciel – Il famoso balletto di Stanlio & Ollio, da “I diavoli volanti” del 1939.

Stanlio e Ollio – 1956 – Ultimo filmato insieme. L’ultimo filmato che vede i due comici insieme girato in super 8 da un loro ammiratore

 

16 giugno 1980 – In prima assoluta a Chicago esordiva il mitico film The Blues Brothers – Un cult che rimarrà per sempre nella storia del cinema.

 

The Blues Brothers

 

.

seguiteci sulla pagina Facebook Curiosity 

.

.

 

16 giugno 1980 – In prima assoluta a Chicago esordiva il mitico film The Blues Brothers – Un cult che rimarrà per sempre nella storia del cinema.

Il 16 giugno in anteprima a Chicago e poi il 20 giugno 1980 in circa 600 cinema americani veniva proiettato per la prima volta il film The Blues Brothers, il film che avrebbe fatto la storia del cinema.

Il Film

(USA 1980, colore, 130m); regia: John Landis; produzione: Robert K. Weiss per Universal; sceneggiatura: Dan Aykroyd, John Landis; fotografia: Stephen M. Katz; montaggio: George Folsey Jr.; scenografia: John J. Lloyd; costumi: Deborah Nadoolman; coreografie: Carlton Johnson; musica: Elmer Bernstein.

Chicago, penitenziario Joliet, all’alba. Jake Blues esce di prigione e ad attenderlo, su un’auto truccata chiamata Bluesmobile, trova suo fratello Elwood, da cui apprende che l’orfanotrofio in cui entrambi sono stati allevati rischia di essere chiuso per cinquemila dollari di tasse arretrate. La madre superiora li diffida dal ricorrere a mezzi illegali per trovare il denaro: i due decidono allora di riunire il loro vecchio gruppo blues e guadagnare la cifra necessaria con la musica. L’impresa è ostacolata dalla polizia stradale (che insegue Elwood per innumerevoli violazioni al codice della strada), dall’ufficiale di controllo di Jake (che è in libertà condizionata), da una donna misteriosa che cerca ripetutamente di far fuori i due fratelli con un inesauribile arsenale di armi, da una country-band cui Jake ed Elwood hanno rubato la scena, e infine da un gruppo di neonazisti la cui manifestazione è stata rovinata dal passaggio della Bluesmobile. Nonostante le resistenze dei vecchi compagni, la banda viene finalmente ricostituita e rifornita di strumenti musicali: però è ben presto chiaro che l’idea di guadagnare cinquemila dollari suonando nei locali pubblici è irrealizzabile. Con un piccolo ricatto, Jake ed Elwood ottengono di tenere un concerto nel gigantesco Palace Hotel e grazie a una propaganda capillare riescono a riempirlo di spettatori. Dopo un inizio incerto, lo spettacolo è un trionfo suggellato da un ricco contratto discografico: però il tempo utile per pagare le tasse volge al termine e i due fratelli fuggono dalla sala con il denaro. Dopo un inseguimento apocalittico e una vera strage di automobili, i Blues Brothers fanno appena in tempo a saldare il debito. L’orfanotrofio è salvo e i fratelli, arrestati con tutta la banda, si ritrovano in carcere a suonare Jailhouse Rockscatenando un happening che i secondini si affrettano a reprimere.

Si nasconde nel finale la differenza più sostanziale fra The Blues Brothers, così come conosciuto e apprezzato da una generazione di spettatori, e la versione originale del film, cui produzione e distribuzione impongono tagli di quasi mezz’ora prima dell’uscita in sala: si tratta di poche inquadrature, che rovesciano però completamente il senso trionfale del numero conclusivo. Chi vede il film nella sua versione ‘tradizionale’ ne esce caricato dall’energia liberatoria di un classico del rock messo in scena in uno scatenato happeningcarcerario: ma la versione definitiva, reintegrata negli anni Novanta con dodici minuti fortunosamente ritrovati, si chiude invece con le immagini delle guardie che accorrono a sedare la rivolta musicale dei protagonisti, colpevoli non tanto dei numerosi reati commessi nel corso della vicenda, ma soprattutto di rappresentare una cultura musicale non allineata ai gusti commerciali dell’epoca disco (e sarà proprio la resistenza degli esercenti a programmare una pellicola giudicata troppo ‘black’ e troppo ‘blues’ a imporre i tagli). Concepito da John Landis e Dan Aykroyd come “un incrocio fra Singin’ in the Rain e Ben Hur“, il film nasce dal desiderio della Universal di sfruttare al cinema il successo televisivo e discografico di una coppia di personaggi creati da Aykroyd & Belushi ma, in luogo di limitarsi a portare sullo schermo i modi e i ritmi delle performances televisive, sceglie di farne figure di uno spessore leggendario che l’ironia di fondo tempera solo parzialmente.

The Blues Brothers è un film costruito sulle proprie contraddizioni, su un’anarchia produttiva autorizzata dal sistema stesso (viene messo in produzione senza un budget approvato e viene scritto e realizzato in fretta e furia: nemmeno dieci mesi fra la prima bozza di soggetto e la copia campione), sul continuo cambio di marcia fra temi e stili cinematografici diversi e apparentemente incompatibili, unificati in una mimesi postmoderna che reinventa lo stile del film scena per scena, lungo un catalogo di situazioni unificate solo dal proprio appartenere, appunto, al patrimonio visivo e narrativo di ottant’anni di cinema. Trionfo di un catastrofismo spettacolare che accosta la dinamica del cartone animato a un’ambientazione sorprendentemente realistica (lo Spielberg di 1941 ‒ 1941 Allarme a Hollywood, 1979, aveva puntato invece su un’iperrealtà interamente ricostruita) e a una musica autenticamente popolare, The Blues Brothers rilancia da solo un intero genere musicale e riscuote un buon successo in tutto il mondo, consentendo a Landis di realizzare l’anno seguente il più personale An American Werewolf in London (Un lupo mannaro americano a Londra). La morte prematura di John Belushi, avvenuta nel 1982, contribuisce a conferire al film uno status di cult che garantisce una notevole longevità musicale anche alla band radunata per l’occasione. Nel 1998, Landis & Aykroyd realizzeranno insieme Blues Brothers 2000 (Blues Brothers ‒ Il mito continua), un elegiaco ‘vent’anni dopo’ sull’irripetibilità del passato, rimasto incompreso da un pubblico e da una critica che si merita i finali edulcorati dalla produzione.

Qualche curiosità

  1. La scena in cui la band compare in una sauna, con indosso solo gli asciugamani, è una citazione della foto di copertina dell’album No Sweatdel 1973 dei Blood Sweat & Tears, in cui la band appare in una sauna in identica posa. Lou Marini e Tom Malone, due dei membri della Blues Brothers Band, erano anche in Blood Sweat & Tears e compaiono in entrambe le scene.
  2. Elwood si toglie il cappello tre volte nel film: quando va a dormire nella sua stanza, per rompere la finestra per raggiungere l’hotel Palace, e verso la fine del film quando la Bluesmobile cade a pezzi. Jake si toglie gli occhiali da sole una volta, quando sta parlando con Carrie Fisher, ma non si toglie mai il cappello.
  3. Quando i fratelli nascondono la macchina sotto il ponte, sul muro si vede un graffito: John *cuore* Deborah. E’ un riferimento al regista John Landis e a sua moglie, la costumista Deborah Nadoolman.
  4. Durante le riprese sono state distrutte 103 auto. Era un record fino al 1998 quando fu girato Blues Brothers 2000e le macchine distrutte salirono a 104.
  5. La Bluesmobile è una Dodge Monaco 1974. I veicoli utilizzati nel film sono macchine della polizia acquistate dalla California Highway Patrol. 12 Bluesmobiles sono state usate nel film, tra cui una che è stata costruita solo per cadere a pezzi. Diverse repliche sono state costruite dai collezionisti, ma originale è di proprietà del cognato di Dan Aykroyd.
  1. Durante le riprese in una delle scene notturne, John Belushi è scomparso. Dan Aykroyd si guardò intorno e vide una casetta con le luci accese. Bussò e prima che potesse dire qualcosa il proprietario della casa chiese: “Sei qui per John Belushi, non è vero?” L’uomo disse loro che Belushi aveva chiesto se poteva avere un bicchiere di latte e un panino e poi si era schiantato sul divano.
  2. Durante le riprese della scena di apertura, le guardie di sicurezza della prigione hanno sparato all’elicottero che filmava l’edificio pensando che stasse tentando di spiare sulla struttura.
  3. Il Soul Food Cafe, dove Aretha Franklin canta Think, era il Nate’s Delidi Chicago. Ora è un parcheggio.
  4. Nel seminterrato di Cab Calloway e nel negozio di musica di Ray Charles potete vedere foto incorniciate di di Martin Luther King, Malcolm X e John e Robert Kennedy. Si tratta di un chiaro omaggio all’attivismo per i diritti civili del 1960.
  5. Il guardaroba dei Blues Brothers è nato durante alcuni episodi di Saturday Night Live dove Dan Aykroyd e John Belushi interpretavano degli agenti dei servizi segreti. Come band invece fecero il loro debutto nello show il 22 aprile 1978.
  6. Per il 30esimo anniversario del film, il giornale del Vaticano L’Osservatore Romanolo ha definito “un film cattolico“.
  7. Carrie Fisher si è fidanzata con Dan Aykroyd durante le riprese dopo che lui l’aveva salvata dal soffocamento usando la manovra di Heimlich.
  8. Dan Aykroyd ha collaborato alla sceneggiatura insieme al regista John Landis.
  9. Quando il film uscì non fu accolto molto bene dalla critica: il New York Times lo definì addirittura una “saga presuntuosa”.
  10. Nel 2004 la BBC ha dichiarato la colonna sonora di Blues Brothers come “la più bella della storia del cinema”.
THE BLUES BROTHERS – LA SCENA DEL RISTORANTE

THE BLUES BROTHERS – LA MITICA SCENA DELLE SCUSE

THE BLUES BROTHERS – IO LI ODIO I NAZISTI DELL’ILLINOIS