Quando in america i bambini di colore venivano usati come esca per cacciare i coccodrilli…

 

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Quando in america i bambini di colore venivano usati come esca per cacciare i coccodrilli…

Tra la fine del diciannovesimo e l’inizio del ventesimo secolo, la pelle di coccodrillo era particolarmente apprezzata negli Stati Uniti dove era molto usata per fabbricare scarpe, borse e cinture.
Catturare un alligatore non era però un’attività priva di rischi ed erano molti i casi di cacciatori che perdevano un braccio, una gamba o che riportavano altre ferite durante la caccia.

In Florida i cacciatori ebbero un’idea raccapricciante: affittare bambini neri da usare come esche vive per i coccodrilli.

Sembra incredibile, ma durante la schiavitù e sotto le leggi Jim Crow, abrogate solo nel 1965, negli Stati Uniti gli afroamericani furono brutalizzati e maltrattati in ogni maniera immaginabile.
Gli afroamericani erano infatti considerati come “sub-umani” e rappresentati come creature selvagge e prive di valore.

Se esisteva un modo per schiavizzare, torturare, opprimere o uccidere una persona dalla pelle nera, questo veniva quasi sicuramente messo in pratica, per quanto brutale fosse.

In questo terribile contesto, tra le tante atrocità commesse dai bianchi contro i neri in quel periodo, ci fu anche quella di utilizzare i bambini per cacciare i coccodrilli.

Il Jim Crow Museum, in Michigan, raccoglie oggetti legati all’opprimente discriminazione razziale dei neri, tra cui una fotografia dell’epoca in cui sono mostrati nove bambini neri, senza abiti, la cui legenda recita “Alligator Bait”, cioè “esca per coccodrillo”.

Alligator bait

Nell’era più buia della segregazione razziale, i cacciatori noleggiavano i bambini dalle famiglie in cambio di due dollari, per buttarli in acqua allo scopo di attirare i coccodrilli.

Dagli articoli di giornale dell’epoca, i sostenitori di questa tremenda iniziativa, dichiaravano che non ci fosse nulla di terribile nell’utilizzare i bambini come esche, che uscivano dall’acqua solo un po’ bagnati ma divertiti pronti per essere restituiti sani e salvi alle loro madri.

Bambini neri esche per alligatori

I bambini di pelle nera erano usati anche dalle guardie degli zoo per riuscire a spostare gli alligatori nelle aree dei parchi. Nel 1908 il Washington Times riferì che un custode del Giardino Zoologico di New York attirò gli alligatori, per farli uscire dal loro rifugio invernale,  utilizzando i pickaninnies, termine dispregiativo cui ci si riferiva ai bambini di colore.

Sebbene non si trattasse di una prassi diffusa, quella di utilizzare i bambini come esche per i coccodrilli era comunque una pratica abbastanza comune, tanto che il termine “alligator bait” veniva usato anche come insulto nei confronti degli afroamericani.

Che dire, davvero una pagina buia della storia della Florida e dell’umanità.

 

fonte: https://www.greenme.it/vivere/speciale-bambini/bambini-neri-usati-come-esche/

Amazzonia: i Guardiani della Foresta lottano, e muoiono, per tutti noi

 

Amazzonia

 

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Amazzonia: i Guardiani della Foresta lottano, e muoiono, per tutti noi

Fisso la foto di Paulo Paulino Guajajara scattata qualche mese fa, al termine di una spedizione notturna con i guardiani Guajajara alla ricerca dei trafficanti di legno. Mi avevano invitato a unirmi a loro come attivista e ricercatrice di Survival International, il movimento mondiale per i popoli indigeni che da anni sostiene il lavoro dei Guardiani e li aiuta a diffondere la loro voce nel mondo.

Dopo avervi fatto due buchi per gli occhi, Paulino usava il mio cappellino come passamontagna per coprirsi il volto e non essere riconosciuto dai taglialegna. Diceva che avrebbe potuto salvargli la vita. Ma quando il pericolo passava, tornava a scoprire il suo sorriso contagioso.

Indossava il mio cappellino anche quel drammatico 1° novembre. Ma questa volta non è servito a proteggerlo. Lui e l’amico Tainaky Tenetehar non si sentivano in pericolo perché stavano semplicemente andando a caccia. Non stavano pattugliando l’area alla ricerca dei trafficanti di legno, come facevano nelle missioni per proteggere la propria terra e i vicini Awà incontattati. Tainaky è riuscito miracolosamente a sopravvivere all’attacco, anche se è stato gravemente ferito. Ma per Paulino non c’è stato nulla da fare e io continuo a fissare la fotografia, con dolore e sgomento.

Era aprile e la tensione tra chi voleva distruggere la foresta e chi la voleva proteggere era allarmante. I taglialegna avevano già assassinato tre guardiani. E arrivavano puntualmente nuove minacce di morte.

Quel giorno la rabbia e l’urgenza erano palpabili. Non potevamo aspettare il mattino perché i taglialegna erano lì intorno. E così siamo partiti di notte. “Ci stanno osservando”, hanno sussurrato i Guardiani dell’Amazzonia mentre percorrevamo chilometri al buio nella foresta verso un centro di disboscamento illegale. “Ma noi stiamo osservando loro e questa è la nostra foresta. La conosciamo perfettamente. Li prenderemo!”.

Man mano che avanzavamo incontravamo macchie di foresta appena distrutte. Decine di alberi giacevano come cadaveri, pronti per il mercato nero. Paulino era preoccupato. “Mi fa impazzire vedere tutto questo! Questa gente pensa di poter venire qui, nella nostra casa e servirsi liberamente della nostra foresta? No. Non glielo permetteremo. Noi non facciamo irruzione nelle loro case e non le derubiamo, giusto? Mi ribolle il sangue. Sono tanto arrabbiato.”

 Abbiamo allestito il campo dove si incrociavano due sentieri di disboscamento. Per terra c’erano rametti spezzati poche ore prima. I trafficanti di legno erano vicini. Abbiamo dormito intorno a un piccolo fuoco e al tramonto siamo ripartiti. Ci stavamo avvicinando: le tracce degli invasori erano frequenti. Alcune ore più tardi, finalmente, abbiamo individuato la base. Avanzavamo con cautela, ma non c’era più nessuno. I taglialegna erano fuggiti in fretta e furia. E così i Guardiani hanno dato fuoco al campo. Con ogni probabilità gli invasori erano stati informati dalle loro spie. Consapevoli dell’efficacia delle operazioni dei Guardiani, che spesso riescono a cacciare i taglialegna e a bruciare le attrezzature, avevano preferito fuggire e abbandonare i preziosi tronchi.

Quella notte ci trovavamo nel cuore di Arariboia, nel Nordest dell’Amazzonia. Guardando le immagini satellitari si resta impressionati dal contrasto dei colori lungo i suoi confini: è un’isola verde in mezzo a un mare di devastazione. Ma questa non è una sorpresa: i popoli indigeni si prendono cura della propria terra meglio di chiunque altro.

I Guardiani rispettano e proteggono la foresta come parte integrante della loro vita, perché dà cibo, protezione, medicine. È il loro tutto. “Noi popoli indigeni conosciamo la nostra foresta meglio di chiunque altro. Combatteremo fino a che avremo vita”, diceva Tainaky. “Non abbiamo altra scelta”.

Brasile: l’attacco di Bolsonaro e la reazione dei popoli indigeni

Paulino ha pagato con la vita l’impegno per salvare la foresta. Arariboia viene distrutta a una velocità allarmante. Gli Awá rischiano l’estinzione e le parole razziste del presidente Bolsonaro, insieme alle sue proposte genocide di rubare terra indigena, incoraggiano i trafficanti di legno. Da quando Bolsonaro si è insediato, il numero di invasioni di territori indigeni e di attacchi alle comunità è schizzato alle stelle. “Il Presidente ha chiarito che non proteggerà neanche un millimetro in più di terra indigena. Vogliono ucciderci tutti e prendersi la nostra terra”, mi spiegava Tainaky.

La presidenza di Bolsonaro ha aumentato l’attenzione sulla foresta: ma se da un lato sono aumentati gli occhi di coloro che la vogliono depredare, dall’altra sono cresciuti anche quelli di chi la vuole proteggere. Per il futuro di Arariboia e di altre terre indigene – i luoghi a maggiore biodiversità sulla terra e àncora di salvezza per tutti noi – dobbiamo continuare a mantenere i nostri occhi sulla foresta e a sostenere gli occhi indigeni nella foresta.

Dobbiamo onorare la vita di Paulino e di altri come lui che non sapranno mai quanto gli siamo grati, così come noi non capiremo mai quanto gli dobbiamo davvero. In prima linea nella lotta per i popoli indigeni, la natura e l’umanità ci sono loro. Ma a noi resta il compito importante di unirci a loro e restare al loro fianco per dire #StopBrazilsGenocide.

di Sarah Shenker, SURVIVAL INTERNATIONAL per IL FATTO QUOTIDIANO

 

tratto da: https://raiawadunia.com/amazzonia-i-guardiani-della-foresta-lottano-e-muoiono-per-tutti-noi/

 

 

Il circo che ha stupito il mondo con gli ologrammi al posto degli animali

 

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Il circo che ha stupito il mondo con gli ologrammi al posto degli animali

Domatori di leoni, cerchi infuocati, acrobati. Il Circo Roncalli ha tutto ciò a cui la tradizione circense ci ha abituati. Meno gli animali. Quelli veri, perlomeno. Dal 2018 il circo fondato nel 1976 da Bernhard Paul e André Heller ha scelto di sostituire tigri, elefanti e cavalli con ologrammi.

Ologrammi al posto degli animali in carne e ossa: è questa l’idea portata avanti dal Circus Roncalli, La compagnia circense ha deciso di bandire l’impiego dei cavalli negli spettacoli, dopo aver eliminato le esibizioni di animali selvatici già negli anni ’90. Per non rinunciare del tutto agli animali, ma boicottando ogni forma di sfruttamento, lo spettacolo viene fatto con un sofisticato sistema di ologrammi.

Pesci, cavalli, elefanti sono proiezioni luminose elaborate dai computer e animate da appositi speciali proiettori al laser.

Grazie a undici proiettori collocati intorno alla pista, gli animali prendo vita e si esibiscono in evoluzioni straordinarie quanto realistiche insieme ad acrobati e giocolieri. In questo modo la direzione del Roncalli ha preso una posizione netta circa l’utilizzo degli animali all’interno dei numeri circensi, da tempo messa in discussione per gli aspetti etici legati al loro sfruttamento.

 

Imparare ad essere una donna – Il nuovo singolo di Fiorella Mannoia che rappresenta un bellissimo messaggio a tutte le donne: continuare ad imparare vuol dire essere vive.

 

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Imparare ad essere una donna – Il nuovo singolo di Fiorella Mannoia che rappresenta un bellissimo messaggio a tutte le donne: continuare ad imparare vuol dire essere vive.

Non c’è un’età in cui ci siede sugli spalti e ci si rassegna a guardare la vita che corre; non c’è un’età nemmeno per smettere di far sentire la propria voce e il proprio dissenso; non c’è un tempo per vivere e un altro per subire: questo racconta Fiorella Mannoia nel suo nuovo brano, Imparare ad essere una donna, contenuto nel suo ultimo disco di inediti, Personale.

Fiorella Mannoia, nelle sue canzoni, ha raccontato spesso le donne, la loro tenacia e la loro fragilità, il dolore vissuto con dignità, la libertà di non dover inseguire un concetto astratto di perfezione. Imparare ad essere una donna è una canzone matura, consapevole, intensa e densa di vita. Non poteva che cantarla e scriverla (ne è l’autrice insieme a Federica Abbate e Cheope) una donna risoluta e sensibile come Fiorella Mannoia, che a questo brano – oltre a dare la voce e la penna – offre le proprie consapevolezze e il punto di vista della persona che è oggi. Per questo, è un pezzo intimo, ma nel contempo universale; racconta la sua storia, ma – senza pretenderlo – può essere considerato un manifesto.

Non è un’apologia delle donne, anche perché la Mannoia, da sempre un’interprete intelligente, sensibile, attenta, sa bene che un’esaltazione cieca risulterebbe quasi sminuente, sarebbe solo mera esaltazione, quasi una presa di posizione. Invece, in questo brano, si racconta dalla propria prospettiva e svela una verità condivisibile. Fiorella rivela, in questo modo, tutte le sfaccettature di una donna adulta, che sa commuoversi, che si arrabbia, che non si accontenta, che si cerca in tutte le donne che è stata, che impara ancora a vivere, perché la vita è in divenire e fermarsi significa non comprenderla appieno.

Il messaggio di Imparare ad essere una donna

A dire il vero, al brano è possibile dare una lettura più universale: non è un inno alle donne, ma alla vita, perché ognuno di noi salvaguardi il proprio entusiasmo, la voglia di lasciarsi sorprendere e, qualche volta, persino ammutolire; ciò che conta è esserne parte attiva, non spettatori, nemmeno arbitri. Il messaggio di Imparare ad essere una donna è chiaro sin dai primi versi; il brano, infatti, si apre così: “A mani nude, a piedi scalzi, affrontare la vita sul campo e mai dagli spalti”.

È il racconto di una donna che ha “più passato che futuro”, che ha fatto i conti con i propri sbagli e, col tempo, ha saputo farne un monito, non un limite. La donna raccontata dalla Mannoia, infatti, non si è lasciata inaridire dal dolore: sa ancora concedersi lacrime di rabbia e commozione, non rinnega i ricordi, che sono pulsanti e travolgenti, ma vive saldamente nel presente, guarda in avanti e impara ogni giorno a essere una donna, sopportandone il peso e accogliendone la bellezza.

Testo

Il testo di Imparare ad essere una donna è diretto e genuino e l’interpretazione di Fiorella, come sempre, è intensa, raffinata, personale. L’originalità del brano sta nel fatto che racconta una donna inedita, raramente presa in esame nelle canzoni: non quella che s’affaccia alla vita per la prima volta, non quella che è vittima, nemmeno quella che è forte a tutti i costi, non una mamma, non una figlia, non una persona innamorata e neanche una ferita. Racconta una donna che ha un imponente vissuto alle spalle, più ricordi che ambizioni, ma una sola, incrollabile certezza: c’è sempre qualcosa da imparare, perché vivere vuol dire non essere mai sazi di conoscenza, di curiosità e di bellezza.

Ecco il testo del brano:

Imparare ad essere una donna

A mani nude, a piedi scalzi
Affrontare la vita sul campo e mai dagli spalti
Senza risparmi
Andando sempre comunque avanti
E niente è mai sicuro
E quando hai più passato che futuro
Sai che hai imparato dagli altri anche i peggiori sbagli
Per giorni, mesi, anni
Ma ancora mi commuovo
Per un bacio lontano, una foto ricordo
Per la notte che piano ridiventa giorno
Ogni emozione mi attraversa il respiro
E piango di gioia oppure senza motivo
Ci sono giorni in cui vorrei sparire
E altri che la felicità non ha una fine
Ogni emozione mi attraversa il respiro
E rido di gioia oppure senza motivo
Convinta che alla fine tutto torna
Con il peso e la bellezza di imparare
Ad essere una donna
E camminare sui vetri rotti
Di mille scelte sbagliate da bruciare gli occhi
E nonostante i colpi
Non dare peso alle ragioni, ai torti
E ancora mi commuovo
Ogni volta che aspetto la primavera
Quando incrocio lo sguardo di una persona vera
Ogni emozione mi attraversa il respiro
E piango di gioia oppure senza motivo
Ci sono giorni in cui vorrei sparire
Altri che la felicità non ha una fine
Ogni emozione mi attraversa il respiro
E rido di gioia oppure senza motivo
Convinta che alla fine tutto torna
Con il peso e la bellezza di imparare
Ad essere una donna
Ogni emozione mi attraversa il respiro
E rido di gioia oppure senza motivo
Convinta che alla fine tutto torna
Con il peso e la bellezza di imparare
Ad essere una donna
Una donna

Fiorella Mannoia

 

FONTE: https://www.greenme.it/vivere/arte-e-cultura/fiorella-mannoia-donne-imparare/