Buon compleanno Alda – Oggi 21 marzo nasceva Alda Merini, poetessa d’amore e di follia, i veri ingredienti della vita.

 

Alda Merini

 

 

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Buon compleanno Alda – Oggi 21 marzo nasceva Alda Merini, poetessa d’amore e di follia, i veri ingredienti della vita.

Alda Merini è stata una delle più importanti scrittrici italiane del Novecento. Nasce il 21 marzo 1931 a Milano, città che l’ha ospitata sino alla morte, avvenuta il 1° novembre 2009.

Alda Giuseppina Angela Merini passa l’infanzia in viale Papiniano, dove si trova la casa dei suoi genitori: padre dipendente presso un’agenzia assicurativa, madre casalinga e due fratelli. Le condizioni economiche in cui la futura poetessa cresce sono modeste, la famiglia umile. Di questi primi anni non si sa molto, se non quel poco che la stessa Merini ha raccontato: ama suonare il pianoforte, ma soprattutto lo studio, che da sempre ha rappresentato un aspetto essenziale della sua vita. Brava e ambiziosa studentessa tenta di accedere al Liceo Manzoni – istituto storico di Milano -, inutilmente in quanto non supera il test di italiano. Lei, una delle più grandi penne della letteratura italiana novecentesca, valutata insufficiente proprio in questa prova! Ben presto verrà però risarcita da tale delusione: grazie ad una professoressa delle medie, che aveva colto la scintilla della Merini, conosce Giacinto Spagnoletti, che le fa da mentore mentre lei muove i primi passi nel mondo della letteratura.

All’età di sedici anni, però, un’ombra nera si fa strada nell’esistenza della Merini: nel 1947 è ricoverata in una clinica milanese, dove le viene diagnosticato un disturbo bipolare. Da questo momento in poi la vita della poetessa sarà scandita periodicamente dalla permanenza in centri e ospedali psichiatrici.

Ero matta in mezzo ai matti. I matti erano matti nel profondo, alcuni molto intelligenti. Sono nate lì le mie più belle amicizie. I matti son simpatici, non così i dementi, che sono tutti fuori, nel mondo. I dementi li ho incontrati dopo, quando sono uscita.

Dopo la reclusione del ’47 si apre però un momento di serenità e felicità per la scrittrice: la Merini ottiene le sue prime pubblicazioni e si sposa con Ettore Carniti, proprietario e gestore di alcune panetterie milanesi. L’amore con quest’uomo è stato totalizzante, entusiasmante, sofferto e a tratti penoso. Le quattro figlie da lui avute (Emanuela, Flavia, Simona, Barbara) raccontano di quanto la madre si disperasse per il marito, che viene descritto come un uomo semplice, indefesso lavoratore, ma con il vizio dell’alcol. Da ubriaco lui la picchiava. E lei stava male. Soffriva, soffriva profondamente non tanto per le ferite reali quanto più per vedere infranta una volta di più la speranza che lui cambiasse. Nonostante tutto, Carniti è stato il grande amore della Merini, che gli ha dedicato alcune delle parole più dolci della sua produzione, come quelle della poesia Ieri sera era amore (a Ettore):

Ieri sera era amore,
io e te nella vita
fuggitivi e fuggiaschi
con un bacio e una bocca
come in un quadro astratto:
io e te innamorati
stupendamente accanto.
Io ti ho gemmato e l’ho detto:
ma questa mia emozione
si è spenta nelle parole.

È stato proprio Carniti a fare internare nuovamente la moglie nel 1961: la Merini, come ha raccontato lei stessa, sotto stress per il molto lavoro e per le condizioni economiche precarie, ha dato «in escandescenze». La scrittrice è così costretta a scontrarsi nuovamente con la terribile esperienza della psichiatria, che riporta in alcuni suoi scritti, fra cui La Terra Santa L’altra verità. Diario di una diversa.  Le considerazioni che la poetessa milanese fa sulla permanenza al Paolo Pini confermano l’immagine comune del manicomio come teatro degli orrori. L’ospedale viene descritto dalla Merini come un labirinto da cui avrebbe fatto fatica ad uscire, e ancora come «un’istituzione falsa, una di quelle istituzioni che, altro non servono che a scaricare gli istinti sadici dell’uomo». Nel momento in cui vi mette piede, la scrittrice sente di impazzire per davvero. Quel luogo è vera follia. La mancanza di libertà, l’impossibilità di autodeterminarsi, l’essere privata dei propri affetti, l’allontanamento dal mondo “reale”.

Dai miei visceri partì un urlo lancinante, un’ invocazione spasmodica diretta ai miei figli e mi misi a urlare e a calciare con tutta la forza che avevo dentro, con il risultato che fui legata e martellata di iniezioni calmanti. 

Ma può essere davvero questa la “soluzione” ad un male così oscuro, che silenziosamente si impossessa della mente e la offusca? Il totale allontanamento dalla vita, l’elettroshock, terapie farmacologiche aggressive possono realmente giovare a chi di contatto con il mondo ha forse più bisogno di chiunque altro?

Ciò che è certo è che la Merini, con la sua estrema sensibilità e con un’audacia senza paragoni, non si è lasciata intimorire da questa esperienza claustrofobica ed estraniante. Il mostro della malattia, sempre incombente, non le ha impedito di amare la vita e le gioie che essa le ha regalato. Anzi, trasformare questo male da una condizione limitante ad uno “stato di grazia”, che le ha garantito uno sguardo diverso e più profondo sul mondo, è forse la prima testimonianza del coraggio e della grandezza di questa mente immensa. 

di Francesca De Fanis per MIfacciodiCultura

Un ricordo – Il 21 marzo 6 anni fa ci lasciava Pietro Mennea, la Freccia del Sud più veloce del mondo – La sua fantastica storia.

 

Pietro Mennea

 

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Un ricordo – Il 21 marzo 6 anni fa ci lasciava Pietro Mennea, la Freccia del Sud più veloce del mondo – La sua fantastica storia.

Ecco tutta la storia di Pietro Mennea, il più grande velocista europeo della storia. Fu per 17 ani primatista mondiale dei 200 metri.

Nel mondo dell’atletica leggera italiana è stato un mito. Il campione più acclamato nonostante un carattere schivo e, a volte, anche spigoloso.
Ma lui, Pietro Menea, la cosiddetta Freccia del Sud, orgoglio di Barletta, della Puglia e di tutta l’Italia è rimasto nei cuori degli sportivi per il suo talento, la sua perseveranza, la sua voglia di vincere fatta di tanti sacrifici e di allenamenti durissimi.

La sua storia

Nasce in una modesta famiglia di Barletta. Il padre è sarto e la mamma casalinga. Dopo le medie si iscrive a ragioneria. A 15 anni, su uno stradone di Barletta, sfidava in velocità una Porsche color aragosta e un’Alfa Romeo 1750 rossa: a piedi, sui 50 metri, batteva l’una e l’altra e guadagnava le 500 lire per pagarsi un cinema o un panino. Prosegue gli studi all’Isef.

Sposa Manuela Olivieri, avvocatessa. Si laurea a Bari una prima volta in scienze politiche, su consiglio di Aldo Moro, allora ministro degli Esteri. Poi consegue anche le lauree in giurisprudenza, scienze dell’educazione motoria e lettere. Pietro Mennea esercitava la professione di avvocato ed è stato autore di venti libri.

Nel 2000 il nome di Mennea tornò agli onori delle cronache quando l’Università degli Studi dell’Aquila, presso cui aveva partecipato a un concorso per la cattedra di Sistematica, regolamentazione e organizzazione dell’attività agonistica presso la facoltà di Scienze motorie, gli propose l’assunzione, essendosi classificato primo in graduatoria, ma, giudicando la posizione di professore a contratto (istituto di diritto privato) incompatibile con la carica di membro del Parlamento europeo (carica di natura pubblica), gli chiese le dimissioni da quest’ultimo. La vicenda provocò polemiche e interrogazioni parlamentari. Tuttavia il Governo Amato II, rappresentato dall’allora Sottosegretario di Stato per l’Università e la Ricerca Scientifica e Tecnologica on. Luciano Guerzoni, diede ragione all’Università.

Mennea è stato docente a contratto di Legislazione europea delle attività motorie e sportive presso la Facoltà di Scienze dell’Educazione Motoria dell’Università “Gabriele d’Annunzio” di Chieti-Pescara.

Nel 2006 ha dato vita insieme alla moglie alla “Fondazione Pietro Mennea”, onlus di carattere filantropico, che effettua donazioni e assistenza sociale a enti caritatevoli o di ricerca medico-scientifica, associazioni culturali e sportive, attraverso progetti specifici. Lo scopo secondario è di carattere culturale e consiste nel diffondere lo sport e i suoi valori, nonché promuovere la lotta al doping.

Oltre alla carriera sportiva, ha operato come curatore fallimentare e insegnante di educazione fisica, eurodeputato (a Bruxelles dal 1999 al 2004) e commercialista.

Nel 2010, insieme alla consorte (entrambi legali con studio a Roma, ubicato vicino al tribunale civile), si occupa di class action negli Stati Uniti per difendere alcuni risparmiatori italiani finiti nel crac della Lehman Brothers.

Nel marzo del 2012 la città di Londra, nell’ambito delle iniziative connesse ai Giochi olimpici di Londra 2012, dedica all’ex atleta barlettano, una stazione della metropolitana cittadina (High Street Kensington).

Muore il 21 marzo 2013, in una clinica di Roma, a causa di una grave malattia. Avrebbe compiuto a giugno 61 anni.

La carriera sportiva

Mennea iniziò la sua lunga carriera atletica internazionale nel 1971, quando debuttò ai Campionati europei con un terzo posto nella staffetta 4×100 metri e un sesto nei 200 metri. Fece il suo debutto olimpico a Monaco di Baviera, ai Giochi olimpici estivi del 1972, dove raggiunse la finale dei 200 m, la specialità nella quale era più forte.[2] Tagliò il traguardo al terzo posto, dietro al sovietico Valerij Borzov e all’americano Larry Black. A questa sarebbero seguite altre tre finali olimpiche nella stessa specialità.

Ai Campionati europei del 1974, Mennea vinse l’oro nei 200 m davanti al pubblico di casa di Roma, e si piazzò secondo nei 100 m (dietro a Borzov, suo rivale storico) e nella staffetta veloce. Dopo alcune prestazioni deludenti, nel 1976 Mennea decise di saltare i Giochi olimpici, ma il pubblico italiano protestò e Mennea andò a Montréal. Riuscì a qualificarsi per la finale dei 200 m, ma vide l’oro finire nelle mani del giamaicano Don Quarrie, mentre lui finì ai piedi del podio, quarto. Lo stesso risultato, mancando di poco il bronzo, venne raggiunto nella staffetta 4×100 metri. Nel 1978, a Praga, difese con successo il suo titolo europeo dei 200 m, ma mostrò le sue doti anche sulla distanza più breve, vinta anch’essa. In quell’anno si aggiudicò anche l’oro nei 400 metri piani agli europei al coperto.

Nel 1979, Mennea, studente di scienze politiche, prese parte alle Universiadi, che si disputavano sulla pista di Città del Messico. Il tempo con cui il 12 settembre vinse i 200 metri piani, 19″72, era il nuovo record del mondo: esso resistette per ben 17 anni, ma va tenuto conto del fatto che fu ottenuto correndo a oltre duemila metri di quota come del resto il precedente primato, stabilito da Tommie Smith sempre a Città del Messico (si noti comunque che Mennea detenne anche il record del mondo a livello del mare dal 1980 al 1983, con 19″96, tempo stabilito nella sua città natale, Barletta). Il record venne battuto da Michael Johnson ai trials statunitensi per le Olimpiadi del 1996.

In quanto detentore del primato mondiale, Mennea era senz’altro uno dei favoriti per l’oro olimpico a Mosca anche a causa del boicottaggio statunitense delle Olimpiadi del 1980. Nella finale dei 200 m, Mennea affrontò il campione uscente Don Quarrie e il campione dei 100 m Allan Wells. Wells sembrò dirigersi verso una vittoria netta ma Mennea gli si avvicinò sul rettilineo e lo sopravanzò negli ultimi metri, aggiudicandosi l’oro per 2 centesimi di secondo. Vinse anche il bronzo con la staffetta staffetta 4×400 metri.

Mennea, soprannominato la Freccia del Sud, nel 1981 annunciò il suo ritiro concedendosi più tempo per lo studio. Successivamente ritornò sui suoi passi e l’anno dopo prese parte agli europei gareggiando però solo nella 4×100 che arrivò quarta.

Il 22 marzo 1983 stabilì il primato mondiale (manuale) dei 150 metri piani, con 14″8 sulla pista dello stadio di Cassino: questo primato è ancora imbattuto, perché il tempo di 14″35 stabilito il 17 maggio 2009 da Usain Bolt a Manchester non è stato omologato dalla Federazione in quanto stabilito su pista rettilinea.

Successivamente partecipò alla prima edizione dei mondiali che si svolse ad Helsinki dove vinse la medaglia di bronzo nei 200 e quella d’argento con la staffetta 4×100. Un anno dopo, scese in pista nella sua quarta finale olimpica consecutiva dei 200 m, primo atleta al mondo a compiere tale impresa. In quest’occasione, anche se campione uscente, terminò al settimo posto e, a fine stagione, si ritirò dalle competizioni per la seconda volta.

Ancora una volta, Mennea fece il suo ritorno e gareggiò nelle sue quinte Olimpiadi a Seul nel 1988, sempre nei 200 metri, dove si ritirò dopo aver superato il primo turno delle batterie. In quest’edizione dei Giochi fu alfiere portabandiera della squadra azzurra durante la cerimonia d’apertura.

Dal punto di vista tecnico Mennea (come in seguito Carl Lewis ) aveva una partenza dai blocchi relativamente lenta ma progressivamente accelerava riuscendo a raggiungere velocità di punta superiori a qualunque atleta. Questa partenza lenta ha relativamente penalizzato le sue prestazioni sui 100 metri (dove comunque ha primeggiato a livello europeo), mentre le gare sui 200 si concludevano spesso con rimonte ai limiti del prodigioso (come la finale delle olimpiadi di Mosca). Sempre grazie alla sua eccezionale velocità di punta le ultime frazioni e le relative rimonte di Mennea nella 4×100 (nelle quali partiva lanciato) erano impressionanti per la superiorità sugli altri atleti.