Francesco Guccini – Auschwitz, la struggente “Canzone del bambino nel vento”

 

Guccini

 

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Francesco Guccini – Auschwitz, la struggente “Canzone del bambino nel vento”

Canzone del bambino nel vento – Uno struggente capolavoro di Francesco Guccini… Non c’è bisogno di alcun commento… Si può solo leggerne il testo e ascoltare… In silenzio…

Canzone del bambino nel vento

Son morto con altri cento,
son morto chr ero bambino,
passato per il camino
e adesso sono nel vento
e adesso sono nel vento

Ad Auschwitz c’era la neve,
il fumo saliva lento
nel freddo giorno d’inverno
e adesso sono nel vento,
e adesso sono nel vento

Ad Auschwitz tante persone,
ma un solo grande silenzio:
è strano non riesco ancora a sorridere qui nel vento,
a sorridere qui nel vento…

Io chiedo come può l’uomo
uccidere un suo fratello
eppure siamo a milioni
in polvere qui nel vento,
in polvere qui nel vento

Ancora tuona il cannone
ancora non è contenta
di sangue la bestia umana
e ancora ci porta il vento
e ancora ci porta il vento

Io chiedo quando sarà
che l’uomo potrà imparare
a vivere senza ammazzare
e il vento si poserà
e il vento si poserà

Io chiedo quando sarà
che l’uomo potrà imparare
a vivere senza ammazzare
e il vento si poserà
e il vento si poserà
e il vento si poserà…

Francesco Guccini

 

Giorno della memoria – Per non dimenticare – Liliana Segre e Auschwitz: “Mio padre si scusò per avermi messa al mondo”

 

Giorno della memoria

 

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Giorno della memoria – Per non dimenticare – Liliana Segre e Auschwitz: “Mio padre si scusò per avermi messa al mondo”

La senatrice a vita: “Il sapore della libertà è quello di un’albicocca secca, lanciata dagli americani”

Mio padre mi disse “Ti chiedo scusa di averti messa al mondo”. Ma io ho avuto la fortuna, nella disgrazia, di vivere questa tragedia da figlia”. Lo ha detto la senatrice Liliana Segre, stasera ospite a Che tempo che fa da Fabio Fazio. “Io rispondevo ‘sono contenta di essere qui con te”.

Segre ricorda il viaggio verso Auschwitz. “Il viaggio durava una settimana con altri disgraziati. Ricordo che il treno arrivato ad Auschwitz prima si fermò: noi vedemmo un orologio grande che era sulla facciata della stazione ferroviaria vera. Poi il treno proseguì, la prima era una stazione artificiale, preparata per i treni che arrivano da tutta l’Europa occupata dai nazisti. Era un enorme spiazzo pieno di neve con i binari morti e dei treni in cui nessun ferroviere si è chiesto come mai arrivassero pieni e tornassero vuoti. Lì venivamo sbattuti con una violenza inaudita giù dai vagoni. Avevano deportato dalla casa di riposo di Venezia tutti gli ospiti, tra cui una signora di 98 anni. La deportazione dei vecchi, con le sue limitazioni, le ho capite solo ora: trovarsi 8 giorni dentro quel vagoni, era difficile, era faticosa anche la discesa e venivano buttati giù dalla carrozza bestiame per poi essere uccisi. C’era una grandissima confusione, era uno di quei momenti in cui esci da te stesso e dici: ‘ma sono proprio io che sono qui?’ Un incubo: invece era tutto vero”.

Liliana Segre ha raccontato in un altro passaggio che allora aveva 13 anni, “ero abbastanza consapevole di quel che accadeva, ma ero molto semplice, avevo vissuto” il tentativo di espatrio “quasi come un’avventura, ma già quella sera eravamo nella camera di sicurezza per la colpa di essere nato”.

Ed ancora: “Avevo lottato per resistere e non cadere, a 13 anni avevo provato a farcela ma il ritorno fu una delusione terribile. Tornata a Milano ho trovato parenti, buone persone che mi volevano bene ma c’era un mondo così diverso da quello che avevo sognato, non avevo più la mia casa, nè tanti visi intorno a me, nè papà, nè i nonni. Mi sentivo vecchia pur avendo solo 16 anni, ero molto più vecchia allora di quanto non mi senta ora, che ho trovato l’amore e sono diventata nonna”. Per Liliana Segre, il sapore della libertà “è quello di una albicocca secca: sono stata testimone della storia che cambiava: l’ultimo giorno della mia prigionia, il 1 maggio 1945, avevamo visto gli ufficiali tedeschi mettersi in borghese, fuggivano, c’era un cambio di ruolo. Improvvisamente arrivò la prima camionetta americana, non sapevamo chi fossero questi fantastici soldati. Buttavano dai camion cioccolata, sigarette e ricordo una albicocca secca. Allora pesavo 32 chili: con fatica la raccolsi, era fantastica, era il sapore della libertà”.