La dolorosa storia del vero Dumbo, che dovresti conoscere prima di vedere il film

 

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La dolorosa storia del vero Dumbo, che dovresti conoscere prima di vedere il film

Ha debuttato al cinema il film Dumbo, la nuova attesa versione on live-action di Tim Burton. Ma in pochi sanno realmente che l’elefantino triste è realmente esistito. Tuttavia la sua storia non ha alcun lieto fine.

Il suo vero nome era Jumbo e nacque nel 1860 in Sudan. Dopo la morte della mamma, uccisa dai cacciatori, il piccolo venne catturato da un altro cacciatore di elefanti sudanese, Taher Sheriff. Fu poi venduto a Lorenzo Casanova, commerciante ed esploratore di animali italiano.

Noto anche come Jumbo the Elephant e Jumbo the Circus Elephant, fu un elefante africano strappato alla sua terra natale e portato a Jardin des Plantes, uno zoo a Parigi, per poi essere trasferito nel 1865 allo zoo di Londra, in Inghilterra.

Qui il povero elefante subì la rottura di entrambe le zanne schiantandosi contro la pietra del suo recinto. I suoi viaggi non finirono qui. Dopo essere stato portato dall’Africa all’Europa, nonostante le numerose proteste, Jumbo fu venduto al circo Barnum & Bailey. Anche allora la sua storia, quella vera, toccò i cuori di tutti: 100.000 bambini scrissero alla regina Vittoria implorandola di non vendere l’elefante ma il povero animale fu portato comunque negli Stati Uniti. A New York, Barnum espose Jumbo al Madison Square Garden sponsorizzando l’evento come “Jumbo, l’animale più grande del mondo” e guadagnando abbastanza in tre settimane da recuperare i soldi spesi per comprarlo.

Jumbo, il povero elefante ‘pazzo’

Purtroppo, l’animale è tristemente noto anche come l’elefante pazzo. Se di giorno era l’immagine vivente della gentilezza e trasportava in groppa anche i bambini, di notte Jumbo aveva esplosioni di violenza e distruggeva l’area in cui veniva rinchiuso per dormire.

La spiegazione di Bartlett, direttore dello zoo, era alquanto discutibile. Jumbo stava raggiungendo i 20 anni, la colpa era dei suoi ormoni. Il suo custode era Matthew Scott, che per calmare l’animale spesso gli dava del whisky. Lo stesso Scott ne raccontò la storia nella sua autobiografia.

Il trucco funzionava perché l’elefante si ubriacava. Oggi sappiamo che gli attacchi di rabbia erano causati dall’assunzione costante di dolci, così dannosi e lontani rispetto alla dieta che avrebbe dovuto seguire. Fu questa la conclusione raggiunta da Richard Thomas, archeologo dell’Università di Leicester nel Regno Unito, dopo aver esaminato i resti di Jumbo in occasione del documentario della BBC “Attenborugh and The Giant Elephant”.

L’analisi dello scheletro da parte degli archeologi inglesi ha stabilito che “Jumbo” aveva “ferite che dovevano essere molto dolorose, probabilmente causate dall’onere di trasportare migliaia di visitatori”

Thomas ha anche scoperto che, oltre ai denti, altre parti del suo corpo avevano caratteristiche insolite, in particolare le articolazioni. Jumbo a 20 anni aveva in realtà lo scheletro di un elefante di 50.

La sua altezza fino alla spalla era di circa 3,23 metri al momento della sua morte, anche se Barnum sosteneva fosse di 4 m. Era una mezza verità. Jumbo aveva, sicuramente, una grande taglia per la sua età, superiore ai tre metri, quando la maggior parte dei suoi simili erano alti 2,70 m. Probabilmente se non fosse morto giovane avrebbe raggiunto quell’altezza.

La sua tragica morte

La sua morte, come la sua vita, fu triste. Era il 1885. Il circo aveva finito lo spettacolo a Saint Thomas, una città canadese. Gli animali erano già nelle loro gabbie, pronti a partire. Qui esistono due versioni. La prima sostiene che all’appello mancavano solo Jumbo e un cucciolo di elefante. Improvvisamente, una locomotiva apparve in direzione del piccolo. Jumbo cerco di proteggerlo col suo corpo e morì all’istante. La seconda racconta che mentre Jumbo saliva sul treno, un’altra locomotiva che veniva nella direzione opposta la spinse in avanti, ferendo l’animale e causandogli un’emorragia interna che lo avrebbe portato alla morte a soli 24 anni.

Una storia davvero molto triste, priva del lieto fine della versione prodotta da Walt Disney.

fonte: https://www.greenme.it/informarsi/animali/31044-jumbo-dumbo-vera-storia

A partire dalla Cina, è boom del traffico di pelle di elefante – La carogna umana è riuscita a trovare il modo più rapido per far estinguere questa stupenda specie…!

 

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A partire dalla Cina, è boom del traffico di pelle di elefante – La carogna umana è riuscita a trovare il modo più rapido per far estinguere questa stupenda specie…!

Gli esemplari vengono uccisi soprattutto in Birmania, ma anche in Laos, Tailandia e Malesia. I bracconieri uccidono i pachidermi con arco e freccia intrise di pesticidi, provocando la morte dell’animale in tempi rapidi ma tra atroci sofferenze. E il commercio avviene anche online, senza nessun controllo

Il commercio illegale di pelle di elefante sta aumentando. Vertiginosamente. Nel rapporto Skinned: The growing appetite for Asian Elephants, frutto di anni di ricerche sul campo e contatti diretti con i trafficanti, l’ong inglese Elephant Family ha acceso i riflettori sul fenomeno, in costante crescita a partire dal 2010. E lo ha fatto alla vigilia della conferenza sui traffici illeciti di specie animali protette che si terrà a Londra la prima settimana di ottobre.

Teatro di questo traffico è soprattutto la giungla birmana, ma casi simili sono stati riportati anche in Laos, Tailandia e Malesia. La Birmania vanta la seconda più numerosa comunità di pachidermi asiatici dopo quella tailandese. Solo nell’ultimo anno nel triangolo d’oro, la zona di confine tra Laos e Tailandia, sono state ritrovate 59 carcasse di elefante, un numero che mette a rischio estinzione i circa 2000 esemplari rimasti in cattività in Birmania. Da lì i carichi entrano in Cina transitando per Mong La, piccola cittadina e ormai avamposto cinese in Birmania ed epicentro di attività illegali sulla via per Kunming.

Il traffico pelle di elefante è molto più insidioso di quello di avorio, questione a cui la Cina, dopo essere finita nell’occhio del ciclone, ha di recente cercato di porre rimedio. Solo gli esemplari maschi dell’elefante asiatico sono dotati di zanne quindi, benché grave, il danno è limitato e non ha conseguenze significative sulle comunità di elefanti che sono poligame. Il traffico di pelle invece non discrimina per sesso od età, mettendo egualmente in pericolo maschi, femmine e giovani esemplari e rappresentando “il modo più efficace per portare una specie all’estinzione nel più rapido tempo possibile”, come ha affermato il biologo dello Smithsonian Institute Peter Leimgruber. In più, causa delle severe leggi birmane sul possesso di armi da fuoco, i bracconieri uccidono i pachidermi con arco e freccia intrise di pesticidi, provocando la morte dell’animale in tempi rapidi ma tra atroci sofferenze.

Da sempre utilizzata nelle zone tribali del Sud est asiatico come unguento per curare l’eczema, la destinazione del traffico di pelle di elefante oggi è però un mercato ben più vasto e complesso, quello cinese. Nella medicina tradizionale la pelle di elefante è essiccata e ridotta in polvere come ingrediente per preparati contro i problemi di stomaco e della pelle. Ma viene anche impiegata nella fabbricazione di gioielli e oggettistica in generale: monili, suppellettili fino alla scoperta di gioielli fatti di perline di pelle di elefante dal caratteristico e ricercato colore rosso sangueper via dei vasi sanguigni presenti nello strato più superficiale dell’epidermide degli animali.

Un fenomeno quello del commercio di parti animali che si inscrive nella logica del wenwan, letteralmente “giocattoli di cultura”. Si tratta di un hobby con le caratteristiche ormai della sottoculturain Cina. Il possesso di oggetti rari, esotici, vietati e quindi costosi e di difficile reperibilità rimanda a un ideale di sofisticatezza e unicità nel gusto che molti nuovi ricchi perseguono. In questa logica, il prestigio dell’oggetto e la sua desiderabilità vanno di pari passo con le difficoltà nel procacciarselo. Il cultore del wenwan si riferisce alla triade “nero, rosso, bianco” per indicare: il ricercatissimo corno di rinoceronte, il becco rosso del bucero dall’elmo e il bianco dell’avorio degli elefanti come aspirazione massima.

Il commercio di pelle di elefante si nutre di sistemi di collusione interni al territorio birmanotrafficanti e guide conniventi e trova nelle piattaforme di e-commerce come Baidu  ma anche Amazon le vetrine ideali, senza l’ombra di un controllo.

Nel frattempo il WWF ha creato una squadra di ranger in grado di bloccare i bracconieri e il governo di Yangon, da anni sotto i riflettori internazionali per la questione della minoranza musulmana dei Rohingya e di recente per l’arresto dei giornalisti della Reuters, è stato ben contento di dare il proprio appoggio alla campagna, progettando un piano di intervento per la conservazione delle specie animali in pericolo da implementare quanto prima.

Di ChinaFiles per ilfattoquotidiano.it

 

tratto da: https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/10/09/cina-traffico-di-pelle-di-elefante-e-boom-il-modo-piu-rapido-per-estinguere-la-specie/4641584/