Costruire con materiali di scarto: quando i rifiuti diventano case biologiche

 

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Costruire con materiali di scarto: quando i rifiuti diventano case biologiche

The Waste House e la casa biologica danese dimostrano che costruire con materiali di scarto è possibile. Quali sono i rifiuti trasformabili in edilizia?

Il comparto dell’edilizia è uno dei più impattanti sull’ambiente. Costruire vuol dire consumare suolo, energia e soprattutto risorse, basti pensare che di tutte le materie prime estratte a livello mondiale, il 25% viene utilizzato nell’edilizia. La produzione stessa di materiali da costruzione provoca ingenti consumi energetici ed idrici, che si sommano a quelli legati al trasporto. L’intero settore è responsabile, in Europa, di circa il 40% dei consumi energetici totali e di più del 50% delle emissioni di CO2. A questi numeri, si uniscono quelli dello scarto: l’edilizia produce orientativamente 500 milioni di tonnellate di rifiuti speciali all’anno. E nel resto del mondo le percentuali sono pressoché le stesse. Davanti a questi numeri è chiaro che le strategie della bioedilizia, gli approcci net-zero e i principi della chimica verde, che promettono di minimizzare l’impatto negativo degli edifici sui nostri sistemi e risorse naturali attraverso l’azione di costruire con materiali di scarto, l’uso di energie da fonti rinnovabili e lo sviluppo di tecniche costruttive innovative e ad alta efficienza, appaiono quanto mai importanti.

Costruire con materiali di scarto, un mantra del greenbuilding

Sebbene la definizione di greenbuilding non sia univoca, nella maggior parte dei casi è previsto un uso privilegiato di materiali da costruzione sostenibile o provenienti da riciclo e un’ottimizzazione dei processi promuovendo pratiche che puntano a una maggiore efficienza e una riduzione degli sprechi. Ma cosa vuol dire costruire con materiali di scarto?

The Waste House: la casa fatta di rifiuti

Uno dei primi prototipi edilizi che ha dimostrato che costruire utilizzando quasi esclusivamente i rifiuti è possibile è la Waste House, realizzata nel campus dell’Università di Brighton sulla base dell’idea dell’architetto e professore Duncan Baker-Brown dello studio BBM. Parliamo di una realizzazione di qualche anno fa ma che è ancora profondamente attuale e soprattutto che è tutt’ora un laboratorio vivente che può essere visitato e dove vengono organizzati workshop rivolti a studenti, professionisti e a chiunque sia interessato a conoscere da vicino le infinite opportunità offerte dal riciclo per il mondo delle costruzioni e del design.

Anche se esistono tentativi precedenti di case costruite a partire dai rifiuti, la Waste House è in realtà la prima ad aver ottenuto tutti i permessi di costruire a norma di legge. Per le fondazioni è stato usato il granulato di scarto prodotto dall’altoforno, per la struttura portante sono state reimpiegate travi e assi in legno dismesse dai vicini cantieri, mentre gli involucri sono costituiti da rifiuti inconsueti come spazzolini da denti, custodie DVD, decorazioni natalizie, vecchie VHS e oltre 2 tonnellate di jeans.

La prima casa biologica al mondo fatta di scarti agricoli

Molto più recente è l’abitazione ecosostenibile inaugurata poche settimane fa a Middelfart, in Danimarca. Definita come il primo esempio di casa biologica al mondo, la struttura, progettata dallo studio Een Til Een per l’ecopark BIOTOPE, è realizzata quasi interamente di scarti agricoli, trasformati in materiali da costruzione.

Oltre al legno, scarti come paglia, alghe ed erba compongono la casa sostenibile al 100% e a impatto zero. La vera novità del prototipo, che di fatto lo rende uno degli esemplari più interessanti per la bioedilizia, risiede innanzitutto nel procedimento di lavorazione della materia prima grezza che non prevede combustione e quindi emissione di gas nocivi in atmosfera. E in secondo luogo nello sviluppo di una tecnologia, chiamata Kebony, che consente di realizzare un rivestimento per l’involucro esterno totalmente eco-compatibile, perché si tratta di una miscela liquida a base di alcol furfurilico, prodotto anch’esso da rifiuti agricoli.

Le mille possibilità del riciclo

E’ chiaro che questi due esempi sono al momento soltanto dei prototipi, che non incideranno sul settore delle costruzioni su larga scala. Ma sono dei piccoli tasselli importanti per scardinare dei preconcetti legati alla bioedilizia e per dimostrare che costruire con materiali da riciclo e riducendo al minimo consumi e sprechi è possibile. D’altra parte esiste un’infinità di prodotti di scarto che potrebbero essere riutilizzati per costruire ma anche per arredare. Un elenco di queste possibilità, che spesso sono frutto del lavoro di start-up e aziende innovative, è stato recentemente pubblicato da Elemental Green, una digital media company specializzata nel green building.    

Tappi in sughero, vecchi giornali, bottiglie di plastica

Solo per fare qualche esempio di come si possa costruire con materiali di scarto, c’è chi, come l’azienda canadese Jelinek Cork Group, realizza pannelli e pavimenti a partire dai tappi in sughero riciclati. Vecchi giornali vengono invece trasformati in legno, ribaltando di fatto il processo tradizionale secondo cui dagli alberi si fa la carta, dai designer olandesi fondatori di NewspaperWood. Poi c’è la società statunitense BarkClad che produce un biadesivo naturale per interni ed esterni ricavato dalla corteggia degli alberi, già abbattuti per altri usi, ovviamente.

E infine i mattoni in plastica riciclata RePlast, prodotti dalla società ByFusion, che fanno bene all’ambiente non solo perché lo ripuliscono dai rifiuti ma anche perché sono dei blocchi atossici e fabbricati senza produrre emissioni nocive.

fonte: http://www.green.it/costruire-materiali-scarto-rifiuti-diventano-case/

Camilleri: “Il prossimo diluvio universale non sarà fatto d’acqua, ma di tutti i nostri rifiuti accumulati nei secoli. Moriremo soffocati dalla nostra stessa merda.”

 

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Camilleri: “Il prossimo diluvio universale non sarà fatto d’acqua, ma di tutti i nostri rifiuti accumulati nei secoli. Moriremo soffocati dalla nostra stessa merda.”

Camilleri: “Il prossimo diluvio universale non sarà fatto d’acqua, ma di tutti i nostri rifiuti accumulati nei secoli. Moriremo soffocati dalla nostra stessa merda.”

Camilleri lo fa pensare al suo Commissario Montalbano: “Il prossimo sdilluvio universale” pinsò “non sarà fatto d’acqua, ma di tutti i nostri rifiuti accumulati nei secoli. Moriremo assuffucati dalla nostra stissa merda.” (da La prima indagine di Montalbano, in Ritorno alle origini, Oscar bestsellers Arnoldo Mondadori Editore, novembre 2005, p. 244).

Un concetto già espresso in passato da un importante commediografo italiano del Novecento troppo presto dimenticato, Ugo Betti.

Betti scrisse attorno agli anni Cinquanta una commedia intitolata «Il Diluvio» nella quale si immaginava che il prossimo diluvio universale non sarebbe stato provocato, come il precedente, dall’acqua caduta dal cielo, bensì dal riaffiorare inarrestabile dalle fogne, dai water, dagli scarichi di tutto il liquame da secoli prodotto da noi stessi. Lentamente ma inesorabilmente quel liquame avrebbe coperto persino i grattacieli.

Il concetto è chiaro e purtroppo concretamente reale: stiamo affogando nella nostra stessa merda!

 

by Eles

 

Orso seduto tra i rifiuti che cerca cibo: la foto simbolo della natura che grida aiuto!

 

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Orso seduto tra i rifiuti che cerca cibo: la foto simbolo della natura che grida aiuto!

Seduto tra i rifiuti in fiamme di una discarica a cielo aperto. E’ un’immagine desolante quella di un orso fotografato in Canada da Troy Moth, che lascia l’amaro in bocca e mostra ancora una volta, il grido d’aiuto della natura distrutta dalla mano dell’uomo.

Una foto che ha fatto il giro del mondo, che fa tenerezza da un lato, rabbia dall’altro. Un orso con aria confusa e spaesata è seduto sopra un letto di immondizia. Una scena quasi surreale, dove bottiglie di plastica, sacchetti e rifiuti di ogni sorta lo circondano.

Alle spalle il bosco che brucia, lui rassegnato rovista in cerca di cibo. La scena è stata immortalata in una discarica a cielo aperto dal fotografo canadese, che si trovava in una comunità dell’Ontario, in Canada, per girare un documentario.

Troy Moth non si aspettava di trovarsi di fronte a una situazione del genere, infatti non è riuscito a scattare subito la sua foto.

“Una volta arrivato in quel luogo incredibile non sono riuscito a scattare. Il giorno dopo son tornato indietro, ero più preparato ad affrontare quella situazione”, scrive su Instagram.

Il fotografo canadese era, come dicevamo, in una comunità dell’Ontario per girare un documentario, ma ciò che l’ha colpito di più è stata un’intera vallata invasa dai rifiuti. Laddove doveva esserci una natura selvaggia c’era la distruzione più totale.

“Ho pianto quando ho scattato la foto, ho pianto quando ci ho lavorato. E di nuovo ho pianto tante volte quando ho ripensato a quel momento. E’ sicuramente la fotografia più straziante che io abbia mai scattato”, continua Moth.

Lo scatto è stato chiamato ‘Invisible Horseman – 2017’, ovvero il cavaliere invisibile, con un chiaro riferimento ai cavalieri dell’apocalisse., il perché lo spiega sempre in un post di Instagram.

“Il tema dell’apocalisse è molto evidente in questa fotografia. L’ho percepito quando ho preso la macchinetta e ho scattato la foto. Mi trovavo in un luogo isolato, non c’era nulla per miglia e miglia, solo rifiuti e natura. In quel momento ho realizzato come tutto quello fosse distante da noi, come tutto quello fosse in realtà invisibile agli occhi umani”.

E questa immagine tristemente ce ne ricorda altre, come quella degli scenari inquietanti del fotografo Nick Pumphrey che durante un viaggio a Nusa Lembongan, al largo della costa di Bali, ha visto da vicino il problema inquinamento da plastica o ancora quello di Justin Hoffman, tra i finalisti del prestigioso concorso Wildlife Photographer of the Year 2017: un cavalluccio marino intento a trascinare un cotton fioc rosa.

Scatti simbolo di un Pianeta che non ce la fa più.

Dominella Trunfio

Foto

Fonte: www.greenme.it