1° Febbraio 1876 – il giorno della “Memoria corta” – Gli Stati Uniti d’America dichiarano guerra ai Nativi Americani rei di un crimine imperdonabile: nei loro territori c’era l’oro!

 

 

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1° Febbraio 1876 – il giorno della “Memoria corta” – Gli Stati Uniti d’America dichiarano guerra ai Nativi Americani rei di un crimine imperdonabile: nei loro territori c’era l’oro!

Il 1 febbraio 1876 è una data ancora oggi ignorata o non considerata come dovrebbe dai media e dalle istituzioni ma è il giorno in cui il Ministro degli Interni degli Stati Uniti d’America, dopo la scoperto dell’oro nella zona più importante del territorio Lakota, perché considerato sacro, le Black Hills, decise di perseguitare tutti i Sioux che rifiutarono di trasferirsi nelle riserve. L’ordine di trasferire migliaia di uomini  donne e bambini dal territorio dov’erano arrivò in una stagione dell’anno in cui quelle zone erano innevate e molti indiani erano lontani impegnati nella caccia. L’esercito statunitense non precluse ai minatori l’accesso alle zone di caccia Sioux e attaccò gli indiane che stavano cacciando nella prateria, come loro concesso dai precedenti trattati.

Gli Stati Uniti dichiarano guerra ai Sioux

Il 1 febbraio 1876 il ministro degli Interni degli Stati Uniti d’America dichiarò guerra ai Sioux “ostili”, quelli cioè che non avevano accettato di trasferirsi nelle riserve, dopo che era stato scoperto l’oro nelle Black Hills, il cuore del territorio Lakota.

Come si potevano traferire migliaia di uomini, donne e bambini dalla terra dov’erano nati, in una stagione dell’anno in cui il territorio era coperto di neve? Molti indiani pare neanche ricevettero l’ordine, in quanto impegnati nelle loro attività di caccia, lontano dalla propria residenza.

Quella dichiarazione di guerra del 1 febbraio fu l’inizio del massacro degli Indiani d’America, che culminerà con l’eccidio di Wounded Knee, passato alla storia grazie a canzoni, libri e film. Sul finire del dicembre 1890, la tribù di Miniconjou guidata da Piede Grosso, appresa la notizia dell’assassinio di Toro Seduto, partì dall’accampamento sul torrente Cherry, sperando nella protezione di Nuvola Rossa.

Il 28 dicembre furono intercettati dal Settimo Reggimento, che aveva l’ordine di condurli in un accampamento sul Wounded Knee: 120 uomini e 230 tra donne e bambini furono portati sulla riva del torrente, circondati da due squadroni di cavalleria e trucidati.

“Seppellite il mio cuore a Wounded Knee” di Dee Brown è il libro che ha commosso generazioni di persone e ispirato cantanti di tutte le generazioni e latitudini, fino a Fabrizio De Andrè che compose la canzone “Fiume Sand Creek”, Prince e Luciano Ligabue.

Così racconta il massacro di Wounded Knee: «Brillava il sole in cielo. Ma quando i soldati abbandonarono il campo dopo il loro sporco lavoro, iniziò una forte nevicata. Nella notte arrivò anche il vento. Ci fu una tempesta e il freddo gelido penetrava nelle ossa. Quello che rimase fu un unico immenso cimitero di donne, bambini e neonati che non avevano fatto alcun male se non cercare di scappare via».

I Sioux, che preferiscono chiamarsi Dakota o Lakota, sono la principale tribù degli Stati Uniti, con 25.000 membri. Ora vivono in riserve nei loro antichi territori. Continuare a raccontare la loro storia (pochi giorni fa è stata la Giornata della memoria) è un modo per non dimenticare di cosa è stato capace l’uomo nel corso della storia e fare in modo che episodi simili non si ripetano.

 

Non solo i Nazisti di Hitler – La selezione della razza nell’America del XX secolo e la soluzione finale contro i Nativi Americani iniziata il 31 gennaio del 1876

 

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Non solo i Nazisti di Hitler – La selezione della razza nell’America del XX secolo e la soluzione finale contro i Nativi Americani iniziata il 31 gennaio del 1876

Il 31 gennaio 1876 gli Stati Uniti ordinano ai Nativi Americani di trasferirsi nelle riserve, quasi tutte le tribù erano state decimate, sconfitte e massacrate e la distruzione dei bisonti le avevano private delle fonti di sostentamento dei veri Americani.

Le riserve furono prima dei campi di rieducazione, poi dei ghetti, infine delle isole di residenza, dove gli indiani d’America potevano mantenere le loro usanze. Ma solo a parole. Non avevano diritto al voto (acquisito solo nel 1924).

La prima legge sulla sterilizzazione forzata (che riguardava tutta la popolazione non solo quella indiana) entrò in vigore nel 1907 nell’Indiana. Era un periodo storico dove tale pratica era diffusa anche in stati come Svezia, Norvegia, Danimarca e Finlandia, diffusa al punto che al processo di Norimberga ai tedeschi non fu contestata come crimine contro l’umanità la campagna di sterilizzazione forzata attuata in Germania a partire dal 1938.

Successivamente, questa prassi fu adottata da altri ventinove stati, tra cui la Virginia nel 1924, e continuò fino al 1979. Le leggi imponevano la sterilizzazione alle persone “socialmente inadeguate”: malati di mente, “promiscui”, albini, alcolizzati, talassemici, epilettici, immigrati come irlandesi e italiani, afroamericani e messicani. La sola California sterilizzò oltre 20 mila persone, un vero record. Questa pratica fu imposta pesantemente anche sui nativi americani che dopo le riserve aveva visto la loro popolazione ridursi in modo esponenziale.

Lee Brightman, presidente dei “Nativi Americani Uniti”, stima che su una popolazione nativa di 800 mila persone, il 42 per cento delle donne in età fertile e il 10 per cento degli uomini siano già stati sterilizzati.

La prima inchiesta ufficiale sulla sterilizzazione dei popoli nativi condotta nel 1975 dalla dottoressa Conie Uri, medico choctaw, per l’allora senatore James Abourezk, documento che 3.406 donne indiane erano state sterilizzate nelle strutture per la Sanità indiana di Oklahoma City, Phoenix, Aberdeen.

In pieno secolo XX, gli USA hanno messo in marcia un piano di sterilizzazione forzata delle donne native, chiedendo loro di firmare formulari scritti in una lingua che non comprendevano, minacciandole del taglio dei sussidi o, semplicemente, impedendo loro l’accesso ai servizi sanitari.

Dopo la seconda guerra mondiale, l’opinione pubblica verso l’eugenetica ed i relativi programmi di sterilizzazione è diventata più negativa, alla luce del collegamento con le politiche di genocidio attuate dalla Germania nazista, anche se un numero significativo di sterilizzazioni è proseguito in alcuni stati fino alla fine degli anni sessanta, ed in particolare il Consiglio di eugenetica dell’Oregon, più tardi rinominato commissione di protezione sociale, è esistito fino al 1983, con l’ultima sterilizzazione forzata verificatesi nel 1981.

 

tratto da: https://www.ilmemoriale.it/cultura/2017/09/01/selezione-della-razza-nellamerica-del-xx-secolo.html

“Sono nato sulle Colline Nere, le montagne madri del mio popolo” – Il fantastico discorso di Toro Seduto – Assolutamente da leggere per capire la differenza tra la grandezza dei Nativi Americani e la perfida grettezza dell’uomo bianco…

Toro Seduto

 

 

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“Sono nato sulle Colline Nere, le montagne madri del mio popolo” – Il fantastico discorso di Toro Seduto – Assolutamente da leggere per capire la differenza tra la grandezza dei Nativi Americani e la perfida grettezza dell’uomo bianco…

Sono nato sulle Colline Nere, le montagne madri del mio popolo. Mi chiamarono Lento, ma sapevo che un giorno, mi sarei conquistato un altro nome. Allora non sapevo neppure dell’esistenza dei bianchi. Ero un Indiano, e prima ancora di essere indiano, ero un Lakota, e tra i Lakota appartenevo alla tribù guerriera più valorosa: gli Hunkpapa.La nostra fierezza era immensa.

I nostri guerrieri erano temuti da tutte le tribù vicine. Il nostro territorio di caccia era enorme, nel cuore delle grandi pianure. Avevamo molti cavalli e il nostro popolo non conosceva la fame da molte lune. Sì, posso dirlo, ero fiero di essere un Lakota, fiero di essere un Hunkpapa (…). A quattordici anni non volli più essere un ragazzo. Non ero molto alto, ma ero forte e vigoroso. Mi sentivo un uomo e tutta la tribù doveva sapere quanto ero coraggioso.

Era già passato molto tempo da quando avevo abbattuto da solo il mio primo bisonte, con un arco costruito da mio padre. Così vidi che un gruppo si guerrieri si stava preparando per un’escursione, seppi che era giunto il tempo per farmi notare (…). Guardai i guerrieri che si allontanavano due a due per recarsi al loro appuntamento e quando gli ultimi lasciarono l’accampamento, li seguii senza farmi notare. Ma sulla collina dove si erano radunati, non ero atteso…che cosa ci facevo là? Gli uomini mi ignorarono in silenzio.

Come dovevo essere ridicolo, col mio piccolo arco buono solo per cacciare uccellini. Mio padre mi si avvicinò; tenendo il mio pony per la criniera gli dissi “Veniamo anche noi”. Vidi nel suo sguardo che era fiero di me. Mi disse solo: “Hai un buon cavallo. Cerca di fare qualcosa di valoroso”. Quindi mi diede un ‘bastone da colpi’, una lunga asta con l’estremità ricurva, sulla quale erano attaccate delle piume d’aquila.

Era l’arma suprema del coraggio (…). Avevamo cavalcato a lungo, quando un esploratore ci avvertì che una banda di Crow stava venendo verso di noi. Quindi ci appostammo dietro una collina per prepararci al combattimento. Dipinsi il mio corpo di giallo e il mio pony col rosso di guerra. Gli altri non prestavano attenzione a ciò che facevo. Alcuni coprivano la bocca e le narici dei loro cavalli con l’erba di medicina per renderli veloci come il vento. Altri, con lo scudo al braccio e il corpo nudo attendevano il segnale. “Hoka Hey!”. Spronando il mio pony coi talloni, sfrecciai dritto verso i nemici, col mio bastone da colpi in mano. Dopo un attimo di stupore, anche i guerrieri della nostra banda caricarono per non restare indietro. Ma avevo un buon vantaggio e la mia cavalcatura era veloce. Ero in testa al gruppo.

Ci stavamo avventando sui Crow; colti di sorpresa, si diedero alla fuga. Mi lanciai all’inseguimento come un pazzo, incosciente come poteva esserlo un giovane Hunkpapa. Uno dei nemici capì che l’avrei raggiunto presto e scese a terra per incoccare una freccia. Ma nel mio cuore e nella mia testa non m’importava nulla di quell’arco e quella freccia! Avevo sete di gloria, sete di combattere. Mi scagliai su di lui, mi porsi e lo colpii violentemente all’avambraccio nel momento in cui tese il suo arco. La freccia volò in cielo. Io gridai e urlai a pieni polmoni; “On hey! Io, Lento, l’ho battuto!”. Altri guerrieri riuscirono a raggiungere dei Crow in fuga e quel giorno vi furono famosi combattimenti. Poi radunammo i trofei, prima di rientrare al nostro accampamento.

Giunti in prossimità dei tipì, ci fermammo per attendere l’alba, quindi, con frastuono di zoccoli, il nostro gruppo entrò nell’accampamento gridando vittoria. I cavalli girarono attorno alle capanne e ogni valoroso gridò a voce alta le azioni brillanti di cui era stato capace. Io restai indietro, perché non ero ancora un vero guerriero, ma mio padre venne a cercarmi. Mi mise tra i capelli una penna d’aquila – la penna che ha già toccato le nuvole! – e mi ricoprì da capo a piedi con i colori della vittoria. Quindi mi fece salire su un magnifico cavallo e mi portò con lui gridando: “Mio figlio ha battuto il nemico. E’ valoroso. Gli do il nome di Tatanka Iyotake, Toro Seduto!”.

Non abbassai lo sguardo; al contrario, guardai fiero davanti a me. Meritavo la ricompensa. Non ero stato solo un valoroso che si era mostrato coraggioso, ero stato il primo a toccare il nemico. Quella sera partecipai alla danza della vittoria e mostrai molte volte come avevo battuto il Crow mentre puntava la sua freccia su di me. Mio padre offrì due cavalli in mio onore. Il mio cuore volava come il falco. Le grida delle ragazze, gli applausi degli uomini, gli sguardi di tutti mi montarono la testa e mi inebriarono (…). Mi ero guadagnato un nuovo nome, Toro Seduto, un nome sacro del quale mio padre mi aveva considerato degno. Pronunciai questo nome nella testa e sentii penetrare dentro di me la forza e lo spirito del bisonte, che da allora non mi lasciò più.

Non era un nome come gli altri. Era stato dato a mio padre da un bisonte che si era avvicinato al bivacco allestito con tre compagni di caccia. Il vecchio bisonte, col capo chino verso l’erba mormorava incessantemente: “Bisonte Seduto, Bisonte che Salta, Bisonte che Monta, Bisonte Solitario…rappresentano i quattro stadi della vita del bisonte”. Mio padre era anche uno sciamano rispettato e aveva una grande conoscenza delle cose sacre. Prese per sé il nome di Bisonte Seduto, ma dopo la prima prodezza lo donò a me, per chiamarsi poi fino alla morte Bisonte che Salta. Nel mondo dello Spirito nulla viene lasciato al caso.

So che se mi è stato dato il nome del Bisonte, è per vegliare sul mio popolo come il Sole-Bisonte veglia sugli uomini (…). Dopo la mia prima prodezza da guerriero, mio padre mi portò con sé sulle colline: “La forza del braccio e il coraggio sono grandi cose, ma non sono nulla senza l’aiuto di una ‘visione’. Solo una visione ti concederà alleati tra le creature del cielo, dell’acqua e della terra. Un uomo senza visione è un uomo senza potere”.

Quindi mi condusse da Sognatore del Sole, il più grande sciamano. Poteva trasformarsi in un animale, sapeva predire il futuro e comandava la pioggia. Lui e mio padre mi prepararono a quella che doveva essere la mia prima visione (…). Poco a poco, le pietre, gli alberi, gli animali, tutto il piccolo mondo che mi circondava divenne propizio per la visione.Non lo vedevo con gli occhi dell’abitudine. Avevo l’impressione di comprendere e di divenire di volta in volta la potenza delle rocce, il tronco rugoso degli alberi o le code rosse che volavano sui cedri. E’ una cosa difficile da spiegare, ma vedevo tutte le creature dell’universo in una maniera sacra.

E sentivo le loro voci che supplicavano con me. Il vento soffiava: “Verrà la voce del Grande Mistero”, e i rami che sterminavo ripetevano senza sosta: “Si verrà, verrà, la voce sacra”.Il sole si levò, ma non sapevo più se era l’alba del primo o del secondo giorno. Il tempo sembrava non esistere più, mentre la mia invocazione era diventata rauca come quella di un animale.All’improvviso, un’aquila maculata apparve in cielo da ovest e si mise a volteggiare sopra di me, come fossi stato la preda sulla quale gettarsi. Non era che un punto tra le nuvole, ma i miei occhi potevano vedere ciascuna delle sue piume, il globo lucido del suo occhio e i suoi artigli.

Ogni cerchio che compiva mi aspirava sempre più, finché mi trascinò con sé in cielo. Non sapevo più se ero io stesso o se ero l’aquila. Tra le mie braccia sentivo il fruscio dell’aria e vidi le quattro pertiche ornate coi nastri sacri allungarsi a dismisura. L’aquila e il vento cantavano all’unisono: “Mio padre mi ha donato questa Nazione; è un duro compito proteggerla!”, e la mia bocca ripeteva le stesse parole. Pronunciandole, sentii il ‘potere’ invadermi e sommergermi, spingendo su di me come la pelle nuova di serpente. I miei occhi risplendevano di lacrime, mentre comprendevo il significato profondo di quelle parole. Sapevo che quella sarebbe stata la gloria, ma sarebbe stato anche dolore (…). Come il bisonte, l’aquila è un animale sacro.

Le sue piume sono paragonabili ai raggi del sole e le sue ali le permettono di volare così in alto da poter avvicinare Wakan Tanka ed esserne messaggera. Quel giorno, con al voce dell’aquila, il Grande Spirito mi confidò il destino del mio popolo. M’avvertì in anticipo che sarebbe stata una missione difficile (…). Nei giorni difficili non sono i forti a soffrire di più, ma i deboli, che si ritrovano ogni giorno sempre più bisognosi. Un capo deve sapere ascoltare la sua gente, soprattutto i più indifesi. E’ a loro che deve pensare, non alla sua gloria personale.

Io, che ero pazzo per la guerra, calmo ora la mia collera e la mia sete di combattere per diventare poco a poco un seguace della pace (…). La pace con l’uomo bianco è durata circa otto anni, perché l’uomo rosso è paziente. I bianchi hanno rispettato solo a metà le parole del trattato e noi abbiamo chiuso un occhio (…). Io, Toro Seduto, so sopportare con pazienza, ma quando la misura è colma, guai a chi mi ha fatto salire il fuoco alla testa! Ho riunito il Gran Consiglio, ho chiamato tutta la mia gente alla guerra e ho inviato messaggeri ovunque: “Siamo in guerra, unitevi a me al mio accampamento, uniamoci per una grande battaglia contro i soldati!”. Dalle colline, dalle montagne, dai confini della prateria, i guerrieri mi raggiunsero a migliaia.

Al di là delle nostre differenze, siamo tutti fratelli, e i fratelli si radunano per cacciare il lupo quando si avvicina troppo al tipì. Gli Oglala di Cavallo Pazzo, I Minniconjou di Luna Nera, i Cheyenne di Cavallo Piccolo, gli Arapaho, gli Yanktonais, i Piedi Neri, i Cheyenne del Sud…gli indomiti Santee di Inkpaduta e anche alcuni Brulè che disconobbero il loro capo Coda Maculata. Tutti risposero all’appello della guerra. Giovani valorosi bramosi di combattere, vecchi guerrieri dal passato glorioso e intere famiglie lasciate a morire di fame nelle ‘agenzie’ dell’uomo bianco.

Solo gli Oglala di Nuvola Rossa furono sordi al richiamo, ma Jack, figlio del capo, ci raggiunse senza ascoltare suo padre. L’accampamento non smetteva di crescere e non si contavano le danze e le feste che si tenevano ogni giorno. Gli amici si ritrovavano. Bande di ragazzini andavano e venivano sui loro pony. Le ragazze cercavano quadrifogli nella prateria, come portafortuna per quando i giovani cercano la loro compagna. Eravamo come sciami d’api ronzanti e ogni arrivo di un nuovo gruppo era salutato dagli annunci degli urlatori e dal chiasso di coloro che si ritrovavano.Ma venne il momento di affilare i coltelli e di fabbricare punte per le frecce.

Venne il momento di prepararci a combattere. Due Lune venne scelto per comandare i Cheyenne, mentre io avrei guidato i Lakota. Così decise il Consiglio. Poco dopo feci trasferire l’accampamento in un luogo propizio per una grande Danza del Sole. Era l’epoca in cui il Sole è più alto e tutte le forze della vita sono più potenti. Vi erano tutte le condizioni per una buona Danza che rafforzasse il mio popolo. Fui designato per guidare la cerimonia e fu senza dubbio una delle più grandi Danze del Sole mai eseguite dalla mia gente.

La fierezza invase il mio cuore vedendo il gran numero di guerrieri ai quali venivano dipinti di rosso mani e piedi. Avendo fatto voto di offrire al Grande Mistero una copertura scarlatta, avanzai a torso nudo fino al luogo sacro. Là, davanti a tutti, mio fratello Bisonte che Salta procedette con l’offerta. Con un coltello e un punzone, tagliò cinquanta pezzi di carne da ciascuna delle mie braccia, mentre salmodiavo delle preghiere. L’offerta del proprio corpo è l’unica che possiamo fare a Wakan Tanka, perché solo il nostro corpo ci appartiene. Possiamo sacrificare degli animali o far bruciare del tabacco e delle erbe. Ma non sono cose che ci appartengono veramente. Ecco perché il Grande Spirito ascolta coloro che gli offrono la loro carne.

In questo modo, nulla di buono viene senza dolore. Non vi è primavera senza il freddo dell’inverno che purifica il terreno. Per germogliare, il seme deve perforare il suolo. Quindi danzai fissando il Sole, mentre il sangue colava dalle mie ferite. Ho danzato fino al crepuscolo, tra il frastuono dei tamburi e dei sonagli, in compagnia di tutti i giovani valorosi che offrivano la loro sofferenza per la vita della Nazione.Ho danzato tutta la notte e tutto il giorno seguente, fino all’ora in cui il sole si trovava dritto sopra gli uomini. Il mio spirito non mi apparteneva più e volò oltre le nuvole. Vidi le giubbe blu che arrivavano come un branco di locuste, con la testa in basso perdendo i loro capelli. Caddero proprio nel nostro accampamento.Una voce parlò alla mia testa: “Te li regalo, perché non hanno orecchi”. Sorrisi, poi morii in un istante.

Credo sia stato Luna Nera che mi stese a terra e mi spruzzò con acqua fresca. Quando ritornai tra i vivi, raccontai la mia visione e tutti si rallegrarono. Se i bianchi erano a testa in giù significava che sarebbero morti. Wakan Tanka aveva accettato la mia offerta; eravamo sotto la sua protezione. Ma avvertii i miei: i bianchi che sarebbero morti in battaglia erano un dono del cielo. Non avremmo dovuto spogliarli, né prendere i loro cavalli, altrimenti la maledizione si sarebbe abbattuta su di noi. Guai a chi brama le ricchezze dell’uomo bianco! (…)

Poco dopo, vi fu una grande battaglia in cui massacrammo le truppe di Capelli Lunghi (Custer, n.d.e). Ancora oggi, i bianchi cercano di capire perché abbiamo vinto quel giorno, ma io so che la protezione del Grande Spirito ci guidò e che il nostro popolo si batté per una giusta causa. Le giubbe blu non sono uomini come noi. Combattono perché è il loro mestiere e non hanno nulla da difendere (…). A Forte Buford ho ceduto le armi e i cavalli…quei cavalli sui quali ho galoppato a lungo, battendo i miei nemici. Non ho avuto il coraggio di farlo da solo. E’ stato mio figlio Piede di Corvo che l’ha fatto per me (…). Qualche luna fa ho visitato la città più grande dell’uomo bianco e i prodigi che può offrire mi hanno riempito di ammirazione.

Ma per le vie della città ho visto dei bambini che tendevano la mano come mendicanti. E’ stata una visione così miserabile che il cuore mi doleva e ho dato loro i pochi soldi che avevo in tasca. Come potranno i bianchi prendersi cura dell’uomo rosso se lasciano morire in miseria i loro stessi figli? Sembra che a loro interessino solo il potere e il denaro! Il loro appetito non ha limiti. A loro non basta prendere le nostre colline e le nostre praterie, vogliono rubarci anche l’anima. Mandano i nostri figli nelle loro scuole affinché imparino a vivere come loro. Vogliono che ascoltiamo le parole del loro Dio scritte in un libro, ma il nostro libro sacro sono il vento, la pioggia e le stelle.

Vogliono che diventiamo contadini che lavorano per loro. Porto il nome del bisonte e non sarò mai come un animale domestico rinchiuso. Vogliano che dimentichiamo il potere del cerchio per vivere nelle loro case quadrate; che rinunciamo alle nostre danze e alla nostra ‘medicina’. E alcuni dei nostri sono così disperati che si prestano ad abbandonare la ‘via rossa’ I nostri fratelli dimenticano le forze che sono state in nostro potere: il bisonte, la pipa e il cerchio. E quelle forze ci abbandonano… Il mondo dell’uomo bianco ha l’insolenza dei guerrieri vittoriosi.

Ma solo la pietra dura nel tempo. Può darsi che un giorno il ‘potere’ dell’uomo bianco rinasca, come un albero congelato che ricresce dalle sue radici…

(Toro Seduto)

Toro Seduto (1830-1890) Nacque a Hunkpapas, lungo il Grande Fiume, nel Dakota. Fu uno dei capi principali che negoziarono il Trattato di Fort Laramie, nel 1868, con il quale gli Stati Uniti si impegnavano ad abbandonare diversi forti e a rispettare l’area sacra delle Black Hills.Toro Seduto era noto come un grande guerriero e in tarda età divenne una guida spirituale.

Nel giugno 1876, eseguì la Danza del Sole per trentasei ore consecutive e al termine ebbe una visione secondo la quale le truppe del generale Custer sarebbero state sconfitte nella famosa battaglia di Little Bighorn, in cui il settimo cavalleria fu annientato. Egli disse della battaglia: “Non dite che fu un massacro. Vennero per ucciderci e invece furono loro ad essere uccisi”. Toro Seduto ebbe un vasto consenso da parte del suo popolo e rappresentò un ostacolo enorme per gli sforzi dei bianchi di assoggettare i Sioux.

Dopo varie vicissitudini, che videro progressivamente ridursi le concessioni ottenute con anni di lotte, Toro Seduto fu assassinato con un colpo alla testa, mentre quarantatre poliziotti indiani rinnegati cercavano di arrestarlo, nel dicembre 1890, pochi giorni prima del massacro di Wounded Knee.

Ecco come i Nativi Americani stanno salvando il bisonte dall’estinzione voluta dalla crudeltà, dalla scelleratezza e dalla meschinità dell’uomo bianco

 

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Ecco come i Nativi Americani stanno salvando il bisonte dall’estinzione voluta dalla crudeltà, dalla scelleratezza e dalla meschinità dell’uomo bianco

Nella foto: Una montagna di teschi – Con crudeltà, scelleratezza e meschinità, l’uomo bianco voleva l’estinzione del bisonte per affamare i Nativi Americani…

Leggendo qua e là

…L’Esercito non aveva tra i suoi compito quello di accompagnare i ricconi dell’est a cercare emozioni nelle battute di caccia, ma era molto interessato a tutto ciò perché era tra i suoi interessi quello del controllo dei nativi americani e, se possibile, del loro annullamento e questo era possibile raggiungerlo anche attraverso il controllo dei bisonti che erano fonte primaria di cibo e di mille altre cose per gli indiani…

“Uccidi tutti i bufali che puoi! Ogni bufalo morto è un indiano in meno”.

…Oggi può sembrarci assurdo, eppure al tempo del west i coloni ed i cacciatori americani uccisero bisonti senza sosta fino quasi a portare quella specie animale alla quasi completa estinzione. I turisti dell’est fecero la loro parte, sparando agli animali dai finestrini dei treni come se il massacro potesse durare per sempre…

 

Da GreenMe:

I nativi americani stanno salvando così il bisonte dall’estinzione

Le tribù native americane stanno salvando il bisonte dall’estinzione. Questo mammifero, oltre ad essere una forma di sostentamento, svolge un ruolo fondamentale nella spirituale della tribù, ecco il perfetto equilibrio che si è stabilito nel Nord America.

5mila ettari di praterie non arate nel nord-est del Montana e centinaia di bisonti selvaggi che vagano. Ma questa mandria non si trova in un parco nazionale o in un santuario protetto, ma bensì nelle terre ancestrali delle tribù di Assiniboine e Sioux di Fort Peck Reservation.

Proprio qui c’è il più grande allevamento di bisonti e solo grazie ai nativi. Fino a centinaia di anni fa, sulla Terra vivevano 30milioni di bisonti, un mammifero ricordiamolo, sopravvissuto anche all’Era glaciale, ma non all’intervento dell’uomo.

Dopo il viaggio di Colombo, i colonizzatori bianchi per occupare i territori dei nativi utilizzarono ogni mezzo, compreso quello del massacro dei bisonti, prima fonte si sostentamento delle tribù. Aggiungendo a questo i cambiamenti climatici, nel giro di poche decine di anni, il bisonte è passato da decine di milioni all’orlo dell’estinzione.

Vogliamo riportare questi importanti bisonti nella loro dimora storica delle Grandi Pianure”, dice Jonathan Proctor, direttore del programma di Rockies and Plains dell’Ong Defenders of Wildlife , che lavora accanto alle tribù per salvare questo animale.

Dopo il massacro del 19esimo secolo, erano sopravvissuti solo 23 bisonti in una remota valle di Yellowstone. Oggi la mandria è di 4mila e questi animali vivono allo stato brado, non sono addomesticati né stati fatti accoppiare con altro bestiame, mantenendo così la purezza genetica.

Da anni, le tribù difendono i mammiferi dalla legislazione del Montana che è anti bufali. Ma per i nativi questi animali giganteschi sono una risorsa.

Grazie a loro, abbiamo visto l’ecosistema rivivere. Gli uccelli delle praterie sono tornati, le erbe autoctone prosperano. Li accogliamo con gioia e aspettiamo i benefici che portano nelle nostre terre tribali”, dicono.

Grazie a un trattato con il governo, l’anno scorso, Blackfeet Reservation, sempre nel Montana, ha ricevuto 89 bisonti geneticamente puri da Elk Island in Canada. Adesso le tribù stanno negoziando con i funzionari statali per consentire a questi bufali, che sono sani e senza la temuta brucellosi, di recarsi liberamente nel parco nazionale del ghiacciaio e persino, si spera, un giorno a nord del parco nazionale dei laghi di Waterton.

“Le tribù delle pianure settentrionali sono la guida giusta per il ripristino dei bisonti selvatici in questo momento”, ha detto Proctor.

E tra 50 anni, la comunità di conservazione spera di avere almeno 10 mandrie di bisonti con mille animali.

15 dicembre 1890 – Ricorre oggi l’anniversario dell’assassinio, per mano dei criminali bianchi, di un uomo leggendario: Toro Seduto

 

Toro Seduto

 

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15 dicembre 1890 – Ricorre oggi l’anniversario dell’assassinio, per mano dei criminali bianchi, di un uomo leggendario: Toro Seduto

“Il giorno in cui si sarebbe realizzata la sua visione si stava avvicinando, il governo decise di inviare quarantatrè poliziotti Lakota ad arrestare Toro Seduto. All’atto dell’arresto di fronte alla capanna di Toro Seduto si radunò molta gente che inveì contro i poliziotti che stavano effettuando l’arresto; dalla confusione si passò all’utilizzo delle armi da fuoco, uno dei poliziotti colpì alla testa Toro Seduto, ferendolo a morte.
Correva il quindici dicembre del 1890 quando venne assassinato un grande uomo. Per l’ennesima volta un uomo che non chiedeva altro che poter vivere in pace con la sua gente si spegneva a causa di azioni subdole. I suoi resti vennero sepolti in primo luogo a Forte Yates nel Nord Dakota e nel 1953 alcuni dei suoi discendenti fecero in modo che le spoglie venissero spostate da dove si trovavano per essere sepolte a Mobridge sulle rive del Missouri, qui venne eretta una effige di granito in memoria dell’uomo.”

Toro Seduto nacque nei pressi del Grand River (Sud Dakota), nel 1831 (circa), e morì nei medesimi luoghi nel 1890.

E’ universalmente considerato il più celebre capo indiano, perché durante la sua vita seppe incarnare le virtù degli indiani delle pianure, che, unite ad una grande forza e ad un immenso coraggio, lo resero un condottiero amato dai suoi amici e temuto dai suoi avversari.

Toro seduto guidò l’alleanza di tutte le tribù Sioux nella resistenza indiana contro l’invasione dei bianchi nelle Grandi Pianure. Non si fidò mai degli “americani” e non firmò mai con loro alcun trattato. Sotto la sua bandiera si raccolse la più grande coalizione di pellerossa di ogni tempo, che riuscì a sconfiggere l’esercito guidato dal Generale Custer.

Toro Seduto era figlio di Four Horses, un capo minore della tribù Hunkpapa. Da giovanissimo veniva chiamato Hakada o Jumping Badger (Tasso che salta), ma a dieci anni, dopo aver abbattuto un giovane bisonte con una freccia, gli fu dato il nome “Buffalo Bull Sitting Down”.

Non divenne famoso per il suo coraggio o per i suoi atti eroici, ma per le sue capacità tattiche e organizzative nell’insurrezione contro gli americani, di cui sarebbe diventato il nemico più accanito e pericoloso.

Era un uomo forte, un po’ tarchiato, con un viso intenso ricoperto da cicatrici, pelle piuttosto chiara e capelli castani che portava legati in due grandi trecce. Era un “politico” di razza; aveva il dono di affascinare chi gli stava vicino e di sapersi contornare di uomini capaci, valorosi e fedeli. Come oratore, grazie alle sue argomentazioni chiare e convincenti, possedeva una grande forza di persuasione. Veniva interpellato in molte occasioni, anche politiche, tanto che era diventato il punto di riferimento principale per risolvere le controversie tra Sioux.

La vita di Toro Seduto è conosciuta perché la illustrò personalmente attraverso la scrittura pittorica. E dai disegni si evince che fino al 1870 aveva preso parte a sessantatré battaglie (la prima a 14 anni), sia contro la tribù dei Corvi (i nemici storici), che contro gli invasori bianchi. Più tardi era diventato un allevatore di cavalli e poi nominato stregone degli Hunkpapa.

Nel 1863 fece visita alla tribù dei Santee nella riserva destinata loro dai bianchi; vedendo come erano miseramente trattati, in lui aumentò la rabbia e il rancore per i coloni americani. Da quel momento combattè con ogni mezzo i soldati che, infischiandosene delle promesse e dei trattati, continuavano a invadere e occupare i territori dei Sioux. Ancor giovane, Toro Seduto divenne il leader della Società dei Guerrieri Coraggiosi e, più tardi, membro autorevole dei Silent Eaters – Mangiatori Silenziosi – un gruppo responsabile del benessere tribale.

Nel giugno del 1863 avvenne il suo primo scontro con i soldati americani.

Nel 1865 guidò l’assedio a Fort Rice, da poco insediato nei territori dell’odierno Nord Dakota.

Rispettato ormai da tutti per la intelligenza e la sua audacia, nel 1868 divenne capo della Nazione Lakota.

Nel 1872, durante una battaglia contro i soldati, nei pressi della ferrovia dello Yellowstone River, Toro Seduto (con altri quattro guerrieri) si sedette con tranquillità tra le due linee che combattevano, fumò la pipa mentre le pallottole fischiavano sopra la sua testa, la arrotolò quando finì e, con estrema noncuranza andò via camminando. Dopo quel gesto il coraggio di Toro Seduto divenne leggendario.

Nel 1874, una spedizione di coloni scoprì ingenti quantità d’oro nelle Black Hills (Colline Nere), situate nel territorio Dakota, su un’area sacra a molte tribù e preclusa agli insediamenti colonici dal Trattato di Fort Laramie (stipulato tra i bianchi e alcune tribù pellerossa nel 1868). In barba a quel divieto i cercatori d’oro invasero le Colline Nere provocando la reazione dei Lakota. Quando il successivo tentativo del Governo degli Stati Uniti di acquistare le Black Hills fallì, il trattato di Fort Laramie fu messo da parte e il commissario americano per gli affari indiani decretò che tutti i Lakota al di fuori delle riserve dopo il 31 gennaio 1876 sarebbero stati considerati ostili.

Non volendo cedere alle prepotenze dei bianchi, Toro Seduto riunì le tribù Lakota, Cheyenne e Arapaho e le guidò nella Danza del Sole, offrendo preghiere a Wakan Tanka, il Grande Spirito, e tagliando le sue braccia cento volte in segno di sacrificio. Durante la cerimonia ebbe la visione di soldati che cadevano nel campo dei Lakota, come cavallette dal cielo.

Ispirato dalla visione, il capo guerriero degli Oglala Lakota, il celeberrimo Cavallo Pazzo, condusse in battaglia 500 guerrieri, e il 17 giugno 1876 colse di sorpresa le truppe di Crook, costringendole alla ritirata. Per celebrare la vittoria, i Lakota si diressero nella valle del fiume Little Big Horn, dove furono raggiunti da altri 3000 indiani che avevano lasciato le riserve per unirsi a Toro Seduto.

In quel luogo, il 25 giugno, furono attaccati dal Settimo Cavalleggeri comandato dal Generale Custer, che però venne interamente annientato (come aveva predetto Toro Seduto nella sua visione).

La sete di vendetta portò gli americani a concentrare in quell’area migliaia di soldati, e i rapporti di forza si ribaltarono al punto che la maggioranza dei capi Lakota, che nel frattempo s’erano di nuovo divisi, nel giro di un anno dovettero arrendersi.

Toro Seduto non fu tra questi, e nel maggio 1877 riparò con la sua gente in Canada. Poco dopo il Generale Terry gli offrì, in cambio del perdono, di farlo stabilire in una riserva, ma il grande Capo indiano non prese neanche in considerazione l’ipotesi.

Quattro anni più tardi, tuttavia, il 19 luglio 1881, viste le enormi difficoltà nello sfamare la sua tribù (il Bisonte in quelle zone era ormai quasi estinto), Toro Seduto si arrese. Consegnò il fucile al comandante di Fort Buford in Montana e chiese di attraversare il confine canadese e di risiedere in una riserva sul Little Missouri River, presso le Colline Nere. In un primo tempo fu inviato alla Riserva di Standing Rock e, successivamente, temendo nuove rivolte, a Fort Randall, dove trascorse due anni come prigioniero di guerra.

Infine, il 10 maggio 1883, Toro Seduto potè ricongiungersi alla sua gente a Standing Rock.

Nel 1885 lasciò la riserva (su permesso degli americani) per lavorare nel Buffalo Bill’s Wild West (lo spettacolo del leggendario Buffalo Bill), dove veniva pagato 50 dollari la settimana per un giro a cavallo dell’arena (guadagnando anche con gli autografi e le fotografie). Quattro mesi dopo però abbandonò il Circo e fece ritorno tra la sua gente, incapace com’era di integrarsi nella società dell’uomo bianco.

Tornato a Standing Rock si stabilì sul Grande Fiume, dove era nato, rifiutando di rinunziare alle sue tradizioni, come imponevano i regolamenti della riserva. Continuò a vivere con due mogli e a rifiutare la cristianità, ma non mancò di mandare i suoi figli a una vicina scuola cristiana, convinto com’era dell’importanza dell’istruzione per le future generazioni Lakota.

Nell’autunno del 1890, un Lakota Miniconjou di nome Orso Scalciante gli recò notizia della preparazione di una Danza degli Spiriti, che avrebbe scacciato i bianchi dalle loro terre e ristabilito il modo di vivere degli indiani. Le autorità bianche di Standing Rock, temendo che Toro Seduto potesse partecipare al rito, inviarono 43 poliziotti Lakota a prelevarlo. Il 15 dicembre 1890, prima dell’alba, i poliziotti irruppero nella cabina di Toro Seduto e lo trascinarono all’esterno, dove i suoi seguaci stavano accorrendo per proteggerlo. Nel conflitto a fuoco che seguì un poliziotto Lakota lo colpì al capo ferendolo a morte, e giustiziando a sangue freddo anche suo figlio diciassettenne, che aveva implorato di essere risparmiato.

Toro Seduto probabilmente non venne ucciso incidentalmente, dato che i bianchi, visto il suo carisma, lo percepivano come un pericolo costante per la loro sicurezza.

Come successe ad altri capi indiani, anche Toro Seduto cadde per mano di un appartenente al suo stesso popolo. Fu sepolto a Fort Yates, in Nord Dakota, e nel 1953 i suoi resti furono trasferiti a Mobridge, nel Sud Dakota, dove riposano sotto un cippo di granito che segna la sua tomba.

 

27 novembre 1868 – 151 anni fa la carneficina (impropriamente chiamata battaglia) di Washita – Altra luminosa pagina della gloriosa storia Americana che non conoscete: quando l’esercito comandato da Custer prese di sorpresa e sterminò anziani, donne e bambini Cheyenne che vivono nelle riserve…

 

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27 novembre 1868 – 151 anni fa la carneficina (impropriamente chiamata battaglia) di Washita – Altra luminosa pagina della gloriosa storia Americana che non conoscete: quando l’esercito comandato da Custer prese di sorpresa e sterminò anziani, donne e bambini Cheyenne che vivono nelle riserve…

 

Nel mese di ottobre 1867, il Maggiore Elliot condusse una scorta di consulenti per la Medicine Lodge Creek nel Kansas. Qui firmarono il famigerato trattato di Medicine Creek. Il Congresso però non tenne conto del Trattato sino al luglio 1868, perciò i Cheyennes attesero invano le promesse che in definitiva non arrivarono mai. Durante questo tempo di tensione nelle pianure, il Generale Phillip Sheridan prese il comando del US. Army Department of Missouri nel marzo del 1868.
Presto si segnalarono delle proteste da parte dei Cheyennes che si sentivano nuovamente traditi dal Governo per il non rispetto dei Trattati di Medicine Lodge Creek a sua volta firmati con i Capi Tribù interessati. Perciò il Governo inviò l’ordine all’agente Indiano Wynkoop di recarsi dai Cheyennes per un suo giudizio obbiettivo sulla reale necessità degli Indiani per il rilascio di forniture. Ma l’ordine avvenne troppo tardi. I Cheyennes nel frattempo si misero in stato di guerra contro i coloni nella terra che consideravano la loro, uccidendoli e facendoli prigionieri. Il 22 novembre 1868, George A. Custer ricevette gli ordini dal Generale Sheridan di lasciare Il Campo dei Rifornimenti per 30 giorni di missione di esplorazione. Quando Custer raggiunse il fiume canadese, mandò sui monti il Maggiore Elliot a esplorare. Dodici miglia a monte gli scouts di Elliot trovarono un sentiero indiano tracciato di fresco e quindì lo notificò a Custer che gli ordinò di seguirne le tracce. Tre dei suoi scout trovarono l’esatta posizione di un villaggio Cheyenne costituito da oltre 50 Tipì che erano sistemati sulle rive del fiume Pole Lodge che faceva parte del FiumeWashita.
11 Compagnie del 7° Cavalleria erano sotto il comando del Ten. Col. George A. Custer, di cui 3 Compagnie del 3° Fanteria, 1 del 5° Fanteria, 1 della 38°ma Fanteria e circa 450 carri provenienti dal Territorio Indiano di Fort Dodgefor. 
All’alba di quella rigida mattina del 27 novembre 1868, circa 700 uomini del 7° Cavalleria si prepararono ad attaccare il campo, mentre gli indiani, ignari di quello che stava accadendo erano ancora nel loro sonno. Con le note del “Garry Owen”, Custer si attestò nei pressi del villaggio con i suoi quattro battaglioni: il Maggiore Joel Elliot con le Compagnie G, H e M proveniente da nord-est; il Capitano William Thompson con le Compagnie B ed F, da sud; il Tenente John M. Johnson con la Compagnia E attestata a sud-ovest; Custer con le Compagnie A, C, D e K, da ovest. L’intento di Custer era di assassinare il maggior numero di Indiani da lui considerati “ostili”
Questo campo indiano Cheyenne era guidato dal Capo Black Kettle, un Suhtia. Black Kettle non mise alcun scout a guardia del proprio villaggio perché ritenne che non ce n’era motivo ed era ignaro di un attacco imminente da parte dell’esercito.
Le truppe di Custer irruppero nel villaggio con violenza e determinazione. Gli ordini erano di non risparmiare nessuno. Una pallottola colpì in pieno petto un capitano uccidendolo, i suoi uomini al suo seguito furono feriti all’addome dai fucili indiani. Il Maggiore Elliot si trovò tagliato fuori ma con la sua Compagnia riuscì a farsi breccia a est e inseguì gli indiani fuggitivi. Fu nuovamente tagliato dalla fuori dalla mischia e la sua compagnia fu uccisa. Durante l’attacco i Cheyenne uccisero 4 prigionieri bianchi tenuti ostaggi. Non è chiarto se Custer è stato capace di salvare gli altri due. Nel frattempo la Cavalleria aveva diviso in due il campo e a colpi di sciabola vennero falcidiati tutti gli occupanti dei Tipì, la maggior parte costituita da donne, vecchi e bambini. Le donne incinte furono sventrate e i feti lasciati sul terreno con le loro madri. Donne, bambini e anziani furono inseguiti tra le loro tende e abbattuti uno a uno come animali a colpi di sciabola dai soldati a cavallo, mentre coloro che tentavano di salvarsi venivano prima colpiti dai fucilieri in postazione, poi finiti e sventrati dalle armi bianche dei  soldati. Ai cadaveri delle donne, degli uomini e dei bambini furono tagliati i genitali. I cavalli dei Cheyenne furono macellati così come furono abbattuti 875 pony indiani.
Dopo aver fatto strage del campo, ucciso Black Kettle e Little Rock, dato fuoco ai Tipì e ucciso tutto il bestiame rimanente, Custer il 1° Dicembre, riuscì a portare con sé presso il Campo di Approvvigionamento dell’Esercito, il suo trofeo di guerra costituito da 52 prigionieri, tutte donne e bambini, che furono successivamente trasferiti a Fort Hayes nel Kansas, come prigionieri di guerra. Sul campo di Washita River  l’esercito perse complessivamente 21 uomini e i feriti furono 16.  I militari di Custer contarono sul terreno “nemico” solo i Cheyenne maschi uccisi che furono 103, non tennero conto invece delle donne e dei bambini massacrati, nemmeno dei molti dispersi che finirono annegati nelle acque gelide del Fiume Washita. 
Geroge A. Custer con il massacro di Washita firmò il suo atto di morte, che avvenne nella battaglia del 1876 presso il Fiume Little Big Horn: i Sioux coalizzati si vendicarono dei suoi orrori commessi ai danni dei fratelli Cheyennes.
Custer fu un grande sostenitore dell’idea che la natura dei Nativi era molto più crudele e feroce di qualsiasi bestia selvaggia del deserto. In seguito lui stesso venne giudicato da un suo ufficiale superiore come “crudele, bugiardo e senza principi morali, disprezzato da tutti gli ufficiali del suo reggimento”
Questo inutile massacro, appena quasi quattro anni dopo quello di Sand Creek nel Sud-Est del Colorado nel 1864, spazzò via tutti coloro che a Sand Creek sopravvissero, delle intere famiglie Cheyennes di antiche discendenze, non sopravvisse nessuno.
Secondo George Bent, le persone che furono trucidate nel massacro di Lodge Pole del Washita River furono:
Black Kettle, (Suhtai) Capo Consiglio;  Little Rock, (Cheyenne) Capo Consiglio.
11 guerrieri: Bear Tongue, High Bear, Blind Bear, White Bear, Cranky Man, Blue Horse, Red Thoots, Few Heart, Red Bird, Hawk . Tra di loro ci furono anche 1 Arapaho e 2 Siouxs (Lakota), 16 donne e 9 bambini.
La maggior parte di loro sono stati abbattuti vicino il fiume ghiacciato Washita o uccisi durante il tentativo di fuggire attraverso il ruscello. C’era poca possibilità di fuga. Quelli che furono fortunati a fuggire furono in pochi, molti furono i feriti, in gran parte erano bambini.  Il massacro di Lodge Pole River (Whashita) del 1868 è stato un genocidio deliberato ad opera di George A. Custer.

Che strani i visi pallidi… Uno straordinario pensiero di Toro Seduto

 

Toro Seduto

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Che strani i visi pallidi… Uno straordinario pensiero di Toro Seduto

 

“Che strani gli uomini bianchi…
I visi pallidi vogliono arare la terra e sono malati di avidità.
Hanno fatto molte leggi,
e queste leggi i ricchi possono infrangerle,
ma i poveri no.
Nella loro religione i poveri pregano, i ricchi no.
Tolgono denaro ai poveri e ai deboli
per sostenere i ricchi e i potenti.“

Toro Seduto

 

Chi era Toro Seduto…

Toro seduto: la storia di un uomo leggendario

Toro Seduto nacque nei pressi del Grand River (Sud Dakota), nel 1831 (circa), e morì nei medesimi luoghi nel 1890.

E’ universalmente considerato il più celebre capo indiano, perché durante la sua vita seppe incarnare le virtù degli indiani delle pianure, che, unite ad una grande forza e ad un immenso coraggio, lo resero un condottiero amato dai suoi amici e temuto dai suoi avversari.

Toro seduto guidò l’alleanza di tutte le tribù Sioux nella resistenza indiana contro l’invasione dei bianchi nelle Grandi Pianure. Non si fidò mai degli “americani” e non firmò mai con loro alcun trattato. Sotto la sua bandiera si raccolse la più grande coalizione di pellerossa di ogni tempo, che riuscì a sconfiggere l’esercito guidato dal Generale Custer.

Non divenne famoso per il suo coraggio o per i suoi atti eroici, ma per le sue capacità tattiche e organizzative nell’insurrezione contro gli americani, di cui sarebbe diventato il nemico più accanito e pericoloso.

Era un uomo forte, un po’ tarchiato, con un viso intenso ricoperto da cicatrici, pelle piuttosto chiara e capelli castani che portava legati in due grandi trecce. Era un “politico” di razza; aveva il dono di affascinare chi gli stava vicino e di sapersi contornare di uomini capaci, valorosi e fedeli. Come oratore, grazie alle sue argomentazioni chiare e convincenti, possedeva una grande forza di persuasione. Veniva interpellato in molte occasioni, anche politiche, tanto che era diventato il punto di riferimento principale per risolvere le controversie tra Sioux.

La vita di Toro Seduto è conosciuta perché la illustrò personalmente attraverso la scrittura pittorica. E dai disegni si evince che fino al 1870 aveva preso parte a sessantatré battaglie (la prima a 14 anni), sia contro la tribù dei Corvi (i nemici storici), che contro gli invasori bianchi. Più tardi era diventato un allevatore di cavalli e poi nominato stregone degli Hunkpapa.

Nel 1863 fece visita alla tribù dei Santee nella riserva destinata loro dai bianchi; vedendo come erano miseramente trattati, in lui aumentò la rabbia e il rancore per i coloni americani. Da quel momento combattè con ogni mezzo i soldati che, infischiandosene delle promesse e dei trattati, continuavano a invadere e occupare i territori dei Sioux. Ancor giovane, Toro Seduto divenne il leader della Società dei Guerrieri Coraggiosi e, più tardi, membro autorevole dei Silent Eaters – Mangiatori Silenziosi – un gruppo responsabile del benessere tribale.

Nel giugno del 1863 avvenne il suo primo scontro con i soldati americani.

Nel 1865 guidò l’assedio a Fort Rice, da poco insediato nei territori dell’odierno Nord Dakota.

Rispettato ormai da tutti per la intelligenza e la sua audacia, nel 1868 divenne capo della Nazione Lakota.

Nel 1872, durante una battaglia contro i soldati, nei pressi della ferrovia dello Yellowstone River, Toro Seduto (con altri quattro guerrieri) si sedette con tranquillità tra le due linee che combattevano, fumò la pipa mentre le pallottole fischiavano sopra la sua testa, la arrotolò quando finì e, con estrema noncuranza andò via camminando. Dopo quel gesto il coraggio di Toro Seduto divenne leggendario.

Nel 1874, una spedizione di coloni scoprì ingenti quantità d’oro nelle Black Hills (Colline Nere), situate nel territorio Dakota, su un’area sacra a molte tribù e preclusa agli insediamenti colonici dal Trattato di Fort Laramie (stipulato tra i bianchi e alcune tribù pellerossa nel 1868). In barba a quel divieto i cercatori d’oro invasero le Colline Nere provocando la reazione dei Lakota. Quando il successivo tentativo del Governo degli Stati Uniti di acquistare le Black Hills fallì, il trattato di Fort Laramie fu messo da parte e il commissario americano per gli affari indiani decretò che tutti i Lakota al di fuori delle riserve dopo il 31 gennaio 1876 sarebbero stati considerati ostili.

Non volendo cedere alle prepotenze dei bianchi, Toro Seduto riunì le tribù Lakota, Cheyenne e Arapaho e le guidò nella Danza del Sole, offrendo preghiere a Wakan Tanka, il Grande Spirito, e tagliando le sue braccia cento volte in segno di sacrificio. Durante la cerimonia ebbe la visione di soldati che cadevano nel campo dei Lakota, come cavallette dal cielo.

Ispirato dalla visione, il capo guerriero degli Oglala Lakota, il celeberrimo Cavallo Pazzo, condusse in battaglia 500 guerrieri, e il 17 giugno 1876 colse di sorpresa le truppe di Crook, costringendole alla ritirata. Per celebrare la vittoria, i Lakota si diressero nella valle del fiume Little Big Horn, dove furono raggiunti da altri 3000 indiani che avevano lasciato le riserve per unirsi a Toro Seduto.

In quel luogo, il 25 giugno, furono attaccati dal Settimo Cavalleggeri comandato dal Generale Custer, che però venne interamente annientato (come aveva predetto Toro Seduto nella sua visione).

La sete di vendetta portò gli americani a concentrare in quell’area migliaia di soldati, e i rapporti di forza si ribaltarono al punto che la maggioranza dei capi Lakota, che nel frattempo s’erano di nuovo divisi, nel giro di un anno dovettero arrendersi.

Toro Seduto non fu tra questi, e nel maggio 1877 riparò con la sua gente in Canada. Poco dopo il Generale Terry gli offrì, in cambio del perdono, di farlo stabilire in una riserva, ma il grande Capo indiano non prese neanche in considerazione l’ipotesi.

Quattro anni più tardi, tuttavia, il 19 luglio 1881, viste le enormi difficoltà nello sfamare la sua tribù (il Bisonte in quelle zone era ormai quasi estinto), Toro Seduto si arrese. Consegnò il fucile al comandante di Fort Buford in Montana e chiese di attraversare il confine canadese e di risiedere in una riserva sul Little Missouri River, presso le Colline Nere. In un primo tempo fu inviato alla Riserva di Standing Rock e, successivamente, temendo nuove rivolte, a Fort Randall, dove trascorse due anni come prigioniero di guerra.

Infine, il 10 maggio 1883, Toro Seduto potè ricongiungersi alla sua gente a Standing Rock.

Nel 1885 lasciò la riserva (su permesso degli americani) per lavorare nel Buffalo Bill’s Wild West (lo spettacolo del leggendario Buffalo Bill), dove veniva pagato 50 dollari la settimana per un giro a cavallo dell’arena (guadagnando anche con gli autografi e le fotografie). Quattro mesi dopo però abbandonò il Circo e fece ritorno tra la sua gente, incapace com’era di integrarsi nella società dell’uomo bianco.

Tornato a Standing Rock si stabilì sul Grande Fiume, dove era nato, rifiutando di rinunziare alle sue tradizioni, come imponevano i regolamenti della riserva. Continuò a vivere con due mogli e a rifiutare la cristianità, ma non mancò di mandare i suoi figli a una vicina scuola cristiana, convinto com’era dell’importanza dell’istruzione per le future generazioni Lakota.

Nell’autunno del 1890, un Lakota Miniconjou di nome Orso Scalciante gli recò notizia della preparazione di una Danza degli Spiriti, che avrebbe scacciato i bianchi dalle loro terre e ristabilito il modo di vivere degli indiani. Le autorità bianche di Standing Rock, temendo che Toro Seduto potesse partecipare al rito, inviarono 43 poliziotti Lakota a prelevarlo. Il 15 dicembre 1890, prima dell’alba, i poliziotti irruppero nella cabina di Toro Seduto e lo trascinarono all’esterno, dove i suoi seguaci stavano accorrendo per proteggerlo. Nel conflitto a fuoco che seguì un poliziotto Lakota lo colpì al capo ferendolo a morte, e giustiziando a sangue freddo anche suo figlio diciassettenne, che aveva implorato di essere risparmiato.

Toro Seduto probabilmente non venne ucciso incidentalmente, dato che i bianchi, visto il suo carisma, lo percepivano come un pericolo costante per la loro sicurezza.

Come successe ad altri capi indiani, anche Toro Seduto cadde per mano di un appartenente al suo stesso popolo. Fu sepolto a Fort Yates, in Nord Dakota, e nel 1953 i suoi resti furono trasferiti a Mobridge, nel Sud Dakota, dove riposano sotto un cippo di granito che segna la sua tomba.

 

 

La saggezza dei Nativi Americani – Una leggenda Cherokee che ti fa capire come gestire la rabbia

 

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La saggezza dei Nativi Americani – Una leggenda Cherokee che ti fa capire come gestire la rabbia

Imparare a controllare l’ira non è facile, tanto meno usarla a nostro vantaggio per raggiungere i nostri obiettivi. Quando ci arrabbiamo si produce un sequestro emotivo in piena regola.

L’amigdala prende il sopravvento e smettiamo di pensare, le emozioni negative emergono e ci fanno dire o fare cose di cui ci pentiamo. Ambrose Bierce, uno scrittore americano, non poteva esprimerlo meglio quando disse: “Parla senza controllare l’ira e otterrai il miglior discorso di cui ti potrai pentire“.

Una storia troppo bella per essere vera

In Internet circola una vecchia leggenda Cherokee rispetto al controllo dell’ira. La versione più comune è questa:

Un vecchio indiano disse a suo nipote: “Mi sento come se avessi due lupi combattendo nel mio cuore. Uno dei due è un lupo arrabbiato, violento e vendicativo. L’altro è pieno di amore e compassione“.
Il nipote gli chiede: “Nonno, dimmi quale dei due vincerà?”
Il nonno rispose: “Quello che alimenterai …

Ad ogni modo, nella realtà è quasi impossibile eliminare l’ira che abbiamo dentro, anche senza alimentarla! Ad esempio, a volte le ingiustizie ci fanno arrabbiare, siamo così in sintonia con il dolore degli altri che proviamo rabbia. È perfettamente comprensibile. Tuttavia, per molti anni la società ci ha incoraggiato a nascondere le emozioni negative e vergognarci di provarle, ma in realtà il nostro obiettivo non dovrebbe essere quello di eliminare o sopprimere la rabbia ma imparare a controllarla ed esprimerla in modo più assertivo.

A questo punto vorrei condividere con voi una versione più profonda e con maggiori implicazioni pratiche dell’antica antica leggenda Cherokee.

La leggenda dei due lupi

Un giorno un vecchio Cherokee pensò che era giunto il momento di trasmettere una lezione di vita a suo nipote. Gli chiese di accompagnarlo nella foresta e, dopo essersi seduti sotto un grande albero cominciò a parlargli della lotta in corso nel cuore di ogni persona:

Caro nipote, sappi che nella mente e nel cuore di ogni essere umano c’è una lotta perenne. Se non la conosci, prima o poi ti spaventerà e ti ritroverai in balia delle circostanze. Questa battaglia esiste anche nel cuore di una persona anziana e saggia come me.

Nel mio cuore convivono due enormi lupi, uno bianco e l’altro nero. Il lupo bianco è buono, dolce e amorevole, ama l’armonia e combatte solo quando deve proteggere o difendere chi ama. Il lupo nero, al contrario, è violento e perennemente arrabbiato. Il minimo contrattempo scatena la sua rabbia in modo tale che combatte continuamente senza ragione. La sua mente è piena d’odio, ma la sua rabbia è inutile perché gli provoca solo dei problemi. Ogni giorno, questi due lupi combattono tra di loro nel mio cuore“.

Il nipote chiese al nonno: “Alla fine, quale dei due lupi vince?

Il vecchio rispose: “Entrambi, perché se io alimentassi solo il lupo bianco, il nero si nasconderebbe nel buio aspettando che mi distragga e ne approfitterebbe per attaccare il lupo buono. Al contrario, se gli presto attenzione e cerco di comprendere la loro natura, posso usare la loro forza quando ne ho bisogno. Così, entrambi i lupi possono convivere in armonia.

Il nipote era confuso: “Come è possibile che vincano entrambi?”

Il vecchio Cherokee sorrise e disse: “Il lupo nero ha delle qualità di cui possiamo avere bisogno in determinate situazioni, non ha paura ed è determinato, è anche furbo e i suoi sensi sono particolarmente acuti. I suoi occhi abituati all’oscurità possono avvisarci per tempo del pericolo e salvarci.

Se nutro entrambi, non dovranno combattere ferocemente tra di loro per conquistare la mia mente, così potrò scegliere di volta in volta a quale di loro ricorrere”.

Come controllare la rabbia nella vita quotidiana?

Questa antica leggenda ci dà una lezione preziosa: la rabbia repressa è come un lupo affamato, molto pericoloso. Se non riusciamo a controllarla può prendere il controllo in qualsiasi momento. Pertanto, non dobbiamo cercare di nascondere o sopprimere i sentimenti negativi, ma dobbiamo imparare a capirli e re-indirizzarli. Come farlo?

1. Osservando come la rabbia fluisce

Quando si appoggia un dito sul foro di salita dell’acqua si ottiene un getto più potente che potremo utilizzare a piacimento, ma se si fa troppa pressione o si ostacola l’acqua chiudendo eccessivamente il tubo, allora l’acqua si espanderà in tutte le direzioni e ne perderemo il controllo.

Lo stesso vale quando si tenta di reprimere o nascondere la rabbia, ad un certo punto non sarà più possibile controllare le conseguenze. Qual è la soluzione? Togliere il dito dal rubinetto, lasciare che la rabbia fluisca e osservarla come se fossi un’altra persona. Cercate un posto tranquillo dove potrete sfogarvi liberando la vostra rabbia senza danneggiare nessuno, compresa la vostra persona.

2. Mettendo la situazione in prospettiva

La rabbia ha il potere di influenzare il valore delle cose, quando siamo arrabbiati gli eventi banali vengono ingranditi e ci fanno arrabbiare ancor di più. Quando proviamo rabbia perdiamo la giusta prospettiva e diventiamo persone più egoiste, e questo influenza profondamente chi ci sta accanto.

Così la prossima volta che vi arrabbiate, chiedetevi che cosa vi sta facendo arrabbiare, sarà ancora così importante nei prossimi 5 anni? È una domanda semplice che vi aiuterà a riconsiderare la situazione adottando una prospettiva più razionale. Interrogatevi sull’influenza che quel fattore scatenante avrà sul lungo termine.

3. Comprendendo l’origine della rabbia per usarla a proprio vantaggio

La scrittura ha un potere terapeutico così che possiamo utilizzarla anche per imparare a controllare la rabbia. Prendete carta e penna e rispondere a queste tre domande:

1. Chi o cosa vi sta facendo arrabbiare?
2. Perché quella persona/situazione vi rende nervosi?
3. Come potete usare l’ira a vostro vantaggio?

Non dimenticate che esiste anche l’aggressività positiva. Ad esempio, se vi sentite arrabbiati potrebbe essere il momento ideale per praticare dello sport, per prendere “di petto” una mansione che state procrastinando da molto tempo… così non solo vi rilasserete ma probabilmente miglioreranno anche le vostre prestazioni.

Ricordate, la rabbia non è altro che energia così che potrete utilizzarla a vostro vantaggio canalizzandola in un’attività che sia per voi vantaggiosa.

 

fonte: https://psicoadvisor.com/come-imparare-a-gestire-la-rabbia-388.html

La saggezza dei nativi Americani: “Voi siete schiavi dal momento in cui cominciate a parlare sino a quando morite; noi invece siamo liberi come l’aria”.

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La saggezza dei nativi Americani: “Voi siete schiavi dal momento in cui cominciate a parlare sino a quando morite; noi invece siamo liberi come l’aria”.

 

Gli Indiani d’America avevano già capito tutto sul lavoro… anche per questo furono sterminati…

Gli Indiani d’America avevano già capito tutto sulla schiavitù alla quale i “bianchi” volevano sottoporre il mondo,anche per questo furono sterminati, perchè non volevano sottomettersi alla vita imposta dai “visi pallidi”, dedicata solo al lavoro, senza avere nemmeno il tempo per “sognare”…

Voi cominciate a lavorare sodo fin da piccoli, e lavorate sino a che siete grandi, e poi cominciate di nuovo a lavorare. E lavorate per tutta la vita. Poi, quando avete finito, morite lasciandovi tutto alle spalle. Questa noi la chiamiamo schiavitù. Voi siete schiavi dal momento in cui cominciate a parlare sino a quando morite; noi invece siamo liberi come l’aria.

Abbiamo bisogno di ben poche cose, e non è difficile procurarsele. Il fiume, il bosco, la pianura ci danno tutto quello di cui abbiamo bisogno, e noi non saremo mai schiavi, né manderemo i nostri bambini nelle vostre scuole, dove possono solo imparare a diventare come voi.”

Queste sono paole del Capo Guerriero-Cadette-Apache Mescalero:

Voi uomini bianchi conoscete solo il lavoro.
Io non voglio che i miei giovani uomini diventino uguali a voi.
Gli uomini che lavorano sempre non hanno tempo per sognare, e solo chi ha tempo per sognare trova la saggezza.

Al contrario nostro, gli Indiani, manifestarono fin da subito ripudio e disprezzo verso il dogma occidentale del “lavoro tutta la vita“, se non lavoro non mangio, se non lavoro non ho diritto alla vita, se non lavoro sono un parassita della società.
E’ giusto che tutti sappiano che gli indiani lavoravano lo stretto necessario per vivere, e probabilmente si parla di poche ore al giorno, il resto del tempo era dedicata alla saggezza, ai canti, ai balli, agli incontri d’amore, alle cavalcate solitarie nella prateria, all’esplorazione della natura, insomma a quello che noi chiamiamo “tempo libero” e di cui possiamo godere solo un giorno la settimana.
Gli indiani odiano il lavoro e non perché siano degli scansafatiche (termine utilizzato dalla massa moderna per etichettare un non-adattato al sadico culto della fatica) , ma perché amanti della libertà, un genere di libertà che noi europei abbiamo conosciuto illusoriamente solo negli anni 60 con gli Hippie, dove si poteva girare il mondo ancora senza tanti passaporti, carte d’identità e ogni sorta di diavoleria spacciata dai mercanti del potere per “sicurezza“.
Ecco, gli indiani erano ancora più liberi, potevano andare dovunque senza chiedere il permesso, potevano vivere senza chiedere il permesso, le tasse allora non esistevano, tanto meno lo Stato, le banche, la polizia, le frontiere, gli eserciti, la Chiesa ecc ecc.
Ne consegue che in un mondo davvero libero come era il loro, prima del nostro arrivo “civilizzante“, la sola idea di passare 8-9 ore al giorno a lavorare, svolgendo mansioni monotone e noiose, fosse l’ultima cosa che gli passasse per la testa di fare.
Fonti: varie dal Web

La guerra sconosciuta dei Nativi Americani contro i colossi petroliferi

 

Nativi Americani

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La guerra sconosciuta dei Nativi Americani contro i colossi petroliferi

Da più di sei mesi centinaia di Nativi americani manifestano lungo il tracciato di un oleodotto in costruzione vicino alla riserva di Standing Rock Sioux, tra il North Dakota e il South Dakota. Si oppongono alla costruzione dell’oleodotto fin dal 2014, quando per la prima volta fu presentato il progetto, sostenendo che profanerà le terre sacre e metterà in pericolo le risorse idriche.

Il 2 settembre scorso, accompagnati dall’intenso rullo dei tamburi, i rappresentanti di più di 50 ‘Prime Nazioni’ hanno firmato nella città di Vancouver, in Canada, il Trattato di alleanza contro le sabbie bituminose. Questa collaborazione si propone di bloccare tutti i progetti di costruzione degli oleodotti il cui passaggio è previsto nelle terre di queste popolazioni: la Trans Canada’s Energy East pipeline, la Trans Mountain expansion, la Line 3 pipeline, e il Northern Gateway.

I popoli indigeni – ha affermato uno dei Capi Indiani firmatari – non sopporteranno più che vengano realizzati sui loro territori dei progetti pericolosi per le popolazioni e per il clima. Forti del loro diritto all’auto-determinazione, hanno deciso tutti insieme di assumersi le loro responsabilità nei confronti della terra, delle acque, delle persone.

Questo Trattato impegna i firmatari a darsi reciproco sostegno nella lotta contro l’espansione delle estrazioni petrolifere, e a lavorare insieme per orientare la società verso stili di vita più sostenibili. I popoli delle Prime Nazioni, gli ambientalisti e altri gruppi coinvolti nella controversia sostengono che l’estrazione del petrolio e il suo trasporto con oleodotti, camion cisterne e treni aumentano i rischi di sversamenti catastrofici, che minacciano gli ecosistemi terresti e marini; inoltre impediscono di raggiungere i traguardi stabiliti dai trattati sul clima.

L’opposizione all’oleodotto Dakota Access si trasforma in un movimento indigeno globale. Il 24 settembre Dave Archambault II, in rappresentanza della Tribù dei Sioux di Standing Rock, si  presenta davanti ai 49 membri del Consiglio delle Nazioni Unite sui Diritti Umani, a Ginevra, e chiede ai presenti di unirsi ai manifestanti a Standing Rock per fermare la costruzione dell’oleodotto. Durante l’estate il movimento è cresciuto fino a contare migliaia di persone.

A STANDING ROCK I “PROTETTORI DELLE ACQUE” CANTANO PER L’ACQUA DI FRONTE A UOMINI ARMATI

Intanto ha inizio la repressione contro gli accampamenti di protesta. Scontri con la polizia militarizzata. Blindati e gas lacrimogeni a fine ottobre disperdono 300 dimostranti in un accampamento allestito su terreni agricoli privati. Ancora un altro attacco portato nella tarda notte del 20 novembre dalla polizia, che ha bersagliato con cannoni ad acqua i manifestanti mentre le temperature erano scese parecchio sotto lo zero. I Nativi e gli ambientalisti hanno riferito di essere stati attaccati anche con proiettili di gomma, gas lacrimogeni e spray al pepe. L’ultimo attacco risale a venerdì scorso, in concomitanza con il Black Friday, il giorno più commerciale dell’anno, nel corso di una manifestazione tenuta presso il Centro commerciale della capitale del Nord Dakota nel tentativo di attirare più attenzione al progetto del gasdotto. Più di trenta attivisti sono stati arrestati, facendo salire a 450 il numero dei manifestanti arrestati da agosto.

I NATIVI SFIDANO L’ORDINE FEDERALE DI LASCIARE L’ACCAMPAMENTO DI PROTESTA ENTRO IL 5 DICEMBRE

Sabato scorso i Nativi hanno manifestato chiaramente la loro intenzione di non lasciare l’accampamento di protesta contro il Dakota Access, dopo che le autorità degli Stati Uniti in una lettera hanno imposto lo sgombero entro il 5 dicembre. Lo hanno comunicato durante una conferenza stampa gli organizzatori dall’accampamento principale di protesta, dove sono accampati circa 5000 persone. Ai Protettori delle acque che dicono “Noi siamo custodi di questa terra. Questa è la nostra terra e non è possibile rimuoverci”. “Abbiamo tutto il diritto di stare qui per proteggere la nostra terra e per proteggere la nostra acqua”. “La Rimozione Forzata e l’oppressione dello Stato? Questa non è una novità per noi come indigeni”, noi rispondiamo che la storia che avete imparato è ormai scritta.

L’unico migrante privilegiato al mondo, il famigerato viso pallido, è sbarcato sulle vostre terre, ha distrutto e massacrato. Ha mentito sulle sue nefandezze, travestito da prode cowboy. Forse domani vincerà questa vostra ultima guerra perché quelli del petrolio non perdono mai. Ma la vostra sarà una magnifica sconfitta, che forse risveglierà le coscienze addormentate.

 

Fonte: http://zapping2017.myblog.it/2017/08/11/la-guerra-sconosciuta-dei-nativi-americani-contro-i-colossi-petroliferi/