La lezione della Cina, un’isola con più di 120.000 pannelli solari galleggianti: così riescono a dare elettricità ad una intera cittadina!

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La lezione della Cina, un’isola con più di 120.000 pannelli solari galleggianti: così riescono a dare elettricità ad una intera cittadina!

 

È ATTIVO IL PIÙ GRANDE IMPIANTO SOLARE GALLEGGIANTE DEL MONDO, IN CINA
IN CINA PIÙ 120.000 PANNELLI GALLEGGIANTI RIESCONO A DARE ELETTRICITÀ AD OLTRE 15.000 ABITAZIONI

Ne avevamo già parlato qualche tempo fa, quando questo enorme parco solare galleggiante era ancora in fase di costruzione e di perfezionamento. Ora, invece, il progetto di rigenerazione di una miniera di carbone ad Anhui, in Cina, è finalmente giunto a termine, e i suoi pannelli fotovoltaici sono attivi. La creatura messa in piedi – anzi, messa a galla – dalla Sungrow Power non ha nessun precedente in termina di potenza: mai un impianto fotovoltaico galleggiante era stato così esteso, e mai la rigenerazione di una miniera di carbone aveva portato ad un esito simile.

Energia solare a partire dalla rigenerazione di una miniera di carbone

Ma andiamo con ordine: la considerevole area della regione mineraria cinese di Huanin è stata con il tempo allagata dalla pioggia, andando così a formare un bacino d’acqua con una profondità variabile tra i 4 e i 10 metri. L’acqua che riposa in questo anomalo ‘lago’ è molto mineralizzata, e quindi inservibile. Quella che era un’area energeticamente produttiva – per quanto inquinante, ovviamente – era dunque diventata del tutto inutile. Come poteva fare questa ragione a recuperare il terreno e quindi l’energia perduta? A sbalordire tutti con il proprio progetto di rigenerazione di una miniera di carbone è stata come anticipato la Sungrow Power, leader mondiale nel campo della produzione di pannelli fotovoltaici, la quale conta più di 30 gigawatt di potenza installata a livello mondiale.

25 anni di energia pulita e sorvegliata dai droni

La semplice rigenerazione di una miniera di carbone ha così portato alla creazione di un enorme impianto fotovoltaico composto da oltre 120.000 pannelli, i quali coprono così circa 86 ettari di superficie sull’acqua che sovrasta l’ex area mineraria. Come ha spiegato Xiao Fuqin, general manager della Sungrow Power, «in superficie potrebbe sembrare che i galleggianti siano semplicemente appoggiati sull’acqua, quando in realtà ci sono oltre mille piloni installati per tenere in ordine i galleggianti di questo impianto». La società assicura che l’impianto avrà una vita minima di 25 anni, essendo stato disegnato e realizzato per resistere a fattori come il calore e l’umidità, i quali sono ovviamente raddoppiati in virtù dell’anomalo luogo di installazione dei pannelli fotovoltaici. Di certo l’impianto fotovoltaico galleggiante ricavato dalla rigenerazione di una miniera di carbone non verrà lasciato a sé stesso, anzi, verrà sorvegliato e monitorato continuamente, anche grazie all’ausilio di appositi droni, i quali sorvoleranno la zona per supervisionare l’impianto.

La Cina, tra investimenti nelle rinnovabili e abitudini dure a morire

Questo originale progetto di rigenerazione di una miniera di carbone vuol dunque dire che i combustibili fossili cinesi stanno per essere ‘sommersi’ dalle rinnovabili? In un certo senso sì, ma è sicuramente troppo presto per farsi prendere dall’entusiasmo. È ovviamente vero che l’impianto fotovoltaico galleggiante è stato costruito sopra una miniera, ma è anche vero che quest’ultima era già stata abbandonata prima di venire allagata. Certo, gli investimenti cinesi nelle energie rinnovabili sono davvero imponenti, e sembrano essere cresciuti ancora di più da quanto Trump ha deciso di ritirare gli Stati Uniti dagli Accordi di Parigi – si dice che l’impegno della Cina sia addirittura raddoppiato, soprattutto attraverso progetti con altri Paesi. Nessun altro Stato al mondo può vantare la sua stessa capacità di energia elettrica di origina solare, e pur forte di questa supremazia la Cina ha deciso di investire altre 361 miliardi di dollari nelle rinnovabili entro il 2020. Ma di certo è ancora troppo, troppo presto per parlare della Cina come di un’economia ecosostenibile, e le ragioni sono tantissime: basti, in questa sede, ricordare che nella sola Repubblica Popolare Cinese viene consumato quasi la metà del carbone che viene utilizzato ogni anno a livello mondiale. Insomma, con questo ambizioso e sbalorditivo progetto di rigenerazione di una miniera di carbone la Cina si è confermata in testa allo sviluppo delle rinnovabili e del fotovoltaico, ma è indubbio che resti ancora molta strada da fare.

I vantaggi del nuovo impianto solare galleggiante

Del resto i numeri del nuovo gigante solare si commentano da sé: l’impianto fotovoltaico galleggiante più grande del mondo arriva infatti a generare 40 megawatt, ovvero l’energia elettrica necessaria per alimentare 15.000 abitazioni. Quello che fino a qualche giorno fa era il più grande impianto solare galleggiante al mondo, invece, si fermava a 6,3 megawatt, ovvero più di sei volte di meno. Nel mondo non si possono certo contare molti impianti di questo tipo, ma va sottolineato che i vantaggi dell’installare dei pannelli fotovoltaici a filo d’acqua sono molteplici: per la loro installazione non viene infatti sprecato prezioso terreno agricolo, l’acqua contribuisce ad un benefico raffreddamento dei pannelli, i quali, per un effetto collaterale ma senz’altro virtuoso, incrementano l’ammontare di acqua potabile per l’irrigazione limitando l’evaporazione. Se poi, oltre che parlare di un impianto fotovoltaico galleggiante, si parla anche della rigenerazione di una miniera di carbone, i vantaggi ovviamente raddoppiano.

 

fonte:

-http://www.green.it/piu-grande-impianto-solare-galleggiante-cina/

La saggezza dei nativi Americani: “Voi siete schiavi dal momento in cui cominciate a parlare sino a quando morite; noi invece siamo liberi come l’aria”.

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La saggezza dei nativi Americani: “Voi siete schiavi dal momento in cui cominciate a parlare sino a quando morite; noi invece siamo liberi come l’aria”.

 

Gli Indiani d’America avevano già capito tutto sul lavoro… anche per questo furono sterminati…

Gli Indiani d’America avevano già capito tutto sulla schiavitù alla quale i “bianchi” volevano sottoporre il mondo,anche per questo furono sterminati, perchè non volevano sottomettersi alla vita imposta dai “visi pallidi”, dedicata solo al lavoro, senza avere nemmeno il tempo per “sognare”…

Voi cominciate a lavorare sodo fin da piccoli, e lavorate sino a che siete grandi, e poi cominciate di nuovo a lavorare. E lavorate per tutta la vita. Poi, quando avete finito, morite lasciandovi tutto alle spalle. Questa noi la chiamiamo schiavitù. Voi siete schiavi dal momento in cui cominciate a parlare sino a quando morite; noi invece siamo liberi come l’aria.

Abbiamo bisogno di ben poche cose, e non è difficile procurarsele. Il fiume, il bosco, la pianura ci danno tutto quello di cui abbiamo bisogno, e noi non saremo mai schiavi, né manderemo i nostri bambini nelle vostre scuole, dove possono solo imparare a diventare come voi.”

Queste sono paole del Capo Guerriero-Cadette-Apache Mescalero:

Voi uomini bianchi conoscete solo il lavoro.
Io non voglio che i miei giovani uomini diventino uguali a voi.
Gli uomini che lavorano sempre non hanno tempo per sognare, e solo chi ha tempo per sognare trova la saggezza.

Al contrario nostro, gli Indiani, manifestarono fin da subito ripudio e disprezzo verso il dogma occidentale del “lavoro tutta la vita“, se non lavoro non mangio, se non lavoro non ho diritto alla vita, se non lavoro sono un parassita della società.
E’ giusto che tutti sappiano che gli indiani lavoravano lo stretto necessario per vivere, e probabilmente si parla di poche ore al giorno, il resto del tempo era dedicata alla saggezza, ai canti, ai balli, agli incontri d’amore, alle cavalcate solitarie nella prateria, all’esplorazione della natura, insomma a quello che noi chiamiamo “tempo libero” e di cui possiamo godere solo un giorno la settimana.
Gli indiani odiano il lavoro e non perché siano degli scansafatiche (termine utilizzato dalla massa moderna per etichettare un non-adattato al sadico culto della fatica) , ma perché amanti della libertà, un genere di libertà che noi europei abbiamo conosciuto illusoriamente solo negli anni 60 con gli Hippie, dove si poteva girare il mondo ancora senza tanti passaporti, carte d’identità e ogni sorta di diavoleria spacciata dai mercanti del potere per “sicurezza“.
Ecco, gli indiani erano ancora più liberi, potevano andare dovunque senza chiedere il permesso, potevano vivere senza chiedere il permesso, le tasse allora non esistevano, tanto meno lo Stato, le banche, la polizia, le frontiere, gli eserciti, la Chiesa ecc ecc.
Ne consegue che in un mondo davvero libero come era il loro, prima del nostro arrivo “civilizzante“, la sola idea di passare 8-9 ore al giorno a lavorare, svolgendo mansioni monotone e noiose, fosse l’ultima cosa che gli passasse per la testa di fare.
Fonti: varie dal Web

Come la giungla del capitalismo selvaggio condanna l’Africa alla povertà infinita

 

Africa

 

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Come la giungla del capitalismo selvaggio condanna l’Africa alla povertà infinita

Ho incontrato anni fa il presidente di un paese africano il cui sottosuolo era ricco di petrolio. Dei frutti di questa ricchezza in giro se ne vedevano pochi o niente. Gli chiesi quanto petrolio le compagnie straniere estraessero ogni anno. Per un po’ fece finta di ignorare la mia domanda, poi sbottò: « Non lo so e non lo voglio sapere. Uno dei miei predecessori tentò di capirlo e fu cacciato via da un colpo di stato. Quelli fanno come vogliono!».

“Quelli” sono le imprese straniere che operano nel continente al mondo più ricco di materie prime e condannato alla miseria perpetua proprio per questo. Comprano al prezzo che decidono loro, corrompono, distruggono l’ambiente e se qualcuno si ribella, lo eliminano senza pietà. 

È questa la vera causa della tragedia africana e della grande fuga della sua gente. Basterebbe un po’ di trasparenza e di regole chiare. Quella che è normale in ogni società civile che si rispetti. Ma i grandi potentati mondiali non sono disposti ad accettare che regole e diritti valgano su scala planetaria. L’Africa è territorio di saccheggio selvaggio.

È di questi giorni la minaccia del presidente di Vitol, uno dei più grandi gruppi mondiali nel commercio di petrolio. Sono pronti ad andar via dalla Svizzera se passa una legge che prevede, per le imprese residenti nel paese, l‘obbligo di dichiarare ogni pagamento superiore a centomila franchi a governi ed entità straniere.

La legge è figlia dell’indignazione popolare per tanti scandali, non ultimo quello relativo alla Glencore, altra importantissima impresa in campo energetico. Sarebbe venuto fuori il pagamento di una bustarella di 18 milioni di dollari ad un faccendiere legato al presidente della Repubblica Democratica del Congo. In cambio Glencore avrebbe pagato 140 milioni invece di 585 per le sue attività estrattive in quel paese. Un risparmio di quasi mezzo miliardo di dollari. Quante scuole, quanti ospedali, quante strade, quanta occupazione è stata così sottratta alla popolazione congolese?

La tragedia è che Vitol e altre imprese hanno la possibilità di minacciare. Altre nazioni “civili” sono pronte ad ospitarle senza porre domande imbarazzanti. Il nostro mondo è una giungla in cui i più forti hanno ogni potere e godono di ogni complicità. Eppure basterebbe davvero poco per cambiar registro.

Sarebbe sufficiente una decisione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che vincolasse tutti al rispetto di certe regole e Vitol non avrebbe scampo. Nessuno, ma davvero nessuno, finora ci ha messo mano. Si, perché la politica, la politica che conosciamo, ha abdicato ai suoi doveri più elementari nei confronti dei popoli del pianeta. Serve altri interessi. Quelli dei poteri forti.

In Svizzera si terrà a breve un referendum su queste questioni. Qualcuno, dalle nostre parti, è pronto a proporne uno simile?

fonte: http://www.dolcevitaonline.it/come-la-giungla-del-capitalismo-selvaggio-condanna-lafrica-alla-poverta-infinita/