C’è un uomo in prigione. Un uomo condannato per aver difeso il diritto all’acqua del suo popolo contro il potere delle Multinazionali. Alberto Curamil, il leader Mapuche che ha salvato i fiumi… finché ha potuto…!

 

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C’è un uomo in prigione. Un uomo condannato per aver difeso il diritto all’acqua del suo popolo contro il potere delle Multinazionali. Alberto Curamil, il leader Mapuche che ha salvato i fiumi… finché ha potuto…!

Alberto Curamil, il leader Mapuche che ha salvato i fiumi: imprigionato per la lotta alle centrali idroelettriche

È riuscito ad impedire la realizzazione di due centrali idroelettriche che avrebbero sottratto litri e litri d’acqua al suo popolo, i Mapuche, e distrutto un intero ecosistema. Alberto Curamil ha riunito la gente dell’Araucanía, regione sud orientale del Cile, fermando la realizzazione dei progetti sul fiume Cautín nel Cile centrale.

Il corso d’acqua dove dovevano sorgere le centrali è sacro per gli indigeni, ma non è (solo) la questione religiosa ad aver guidato la rivolta: i progetti prevedevano infatti la deviazione ogni giorno di centinaia di milioni di litri di acqua dal fiume, danneggiando un ecosistema critico e aggravando le condizioni di siccità nella regione.

Ma, grazie alla grinta di Curamil e al supporto di un intero popolo, tutto è stato fermato alla fine del 2016 e, anche se due anni dopo è stato arrestato per la presunta partecipazione ad attività criminali e tuttora resta in carcere, l’attivista è stato insignito del Goldman environmental prize, noto anche come ‘Premio Nobel per l’ambiente’, insieme ad altri 5 eroi moderni come Bayarjargal Agvaantseren che ha salvato il leopardo delle nevi.

Il premio è stato ritirato dalla figlia, che in un appassionato discorso ha ricordato come l’unione fa la forza, anche contro potenze che sembrano impossibili da sconfiggere.

“[Il premio] è un incentivo a continuare a credere che un altro mondo sia possibile ma con l’unità e l’impegno collettivo e non con l’individualismo che governa il mondo oggi”.

Una storia di soprusi e povertà

“Il popolo Mapuche – si legge sul sito del premio – è il più numeroso gruppo indigeno del Cile e ritiene foreste, fiumi e animali dei fratelli. Nel diciannovesimo secolo l’esercito cileno invade l’Araucanía, allora terra Mapuche autonoma, e consegna a proprietari privati la terra, che oggi risulta la regione più povera del Cile, con circa un terzo della popolazione che vive al di sotto della soglia di povertà“.

Della sanguinaria dittatura trentennale cilena di Augusto Pinochet resta, tra le altre cose, la privatizzazione delle risorse idriche del Cile: il Paese, nel 1981, ha deciso infatti di eliminare l’acqua come bene comune, consegnando la proprietà di questa risorsa ai migliori offerenti, con effetti terribili soprattutto per i Mapuche, che dipendono dai fiumi per il loro sostentamento e considerano sacre queste acque.

I progetti idroelettrici che rischiano di aggravare la situazione

Come se non bastasse, tra il 2010 e il 2015 la zona vive un terribile periodo di siccità, al culmine del quale il ministro dell’energia cilena annuncia un massiccio piano energetico che include 40 grandi progetti idroelettrici sui fiumi dell’Araucanía: il governo e due società private, la SwissHydro e l’Agrisol, progettano, senza consultare le comunità Mapuche, impianti idroelettrici multimilionari sul fiume Cautín, nel cuore del territorio Mapuche.

Noti rispettivamente come Alto Cautín e Doña Alicia, potrebbero deviare oltre 500 milioni di litri d’acqua al giorno dal fiume Cautín per la produzione di energia, e ridurre così tanto la quantità di acqua che scorre può danneggiare il pesce e altri animali selvatici, minando un intero ecosistema, oltre che aggravando la siccità della zona.

La lotta di Alberto Curamil

In questo contesto nasce e si sviluppa la lotta di Curamil: 45 anni, mapuche indigeno nella regione centrale dell’Araucanía cilena e portavoce per l’Alianza Territorial Mapuche con numerose altre battaglie ambientali nel curriculum, riunisce il suo popolo alla lotta, organizzando una vera e propria resistenza ai progetti idroelettrici.

Ma non solo Mapuche: Curamil invita anche i membri di altre comunità, organizzazioni ambientaliste e accademiche, riuscendo a creare una coalizione numerosa e molto accanita, che mette in campo proteste di strada, marce e blocchi stradali, e d’altra parte chiede consigli ad accademici, professionisti ambientali e ONG sull’impatto ambientale e culturale dei progetti, in modo da poter portare numeri inconfutabili sui danni potenziali per il suo popolo.

In questo modo riesce a lanciare una campagna legale contro i progetti idroelettrici, con la collaborazione di avvocati pro bono che avevano sostenuto anche in passato i gruppi indigeni del Cile. Insieme riescono a dimostrare che il governo cileno aveva violato la stessa legge del Paese, che garantisce il consenso libero, preventivo e informato prima di portare avanti qualsiasi progetto di sviluppo.

E Curamil non si ferma nemmeno davanti alla reazione dei potenti: nel 2014 la polizia infatti lo arresta insieme ad altri due leader Mapuche con l’accusa di condotta disordinata, picchiandolo duramente mentre era sotto custodia e provocandogli gravi ferite sul volto. Secondo quanto riportato sul sito del premio, le forze dell’ordine avrebbero aggredito anche la moglie che all’epoca era incinta.

Vittoria!

Eppure ce l’ha fatta: nel 2016 l’Agenzia per i servizi ambientali del Cile annulla il progetto idro di Alto Cautín, citando l’opposizione pubblica delle comunità, e il terzo tribunale ambientale del Cile stabilisce che anche il progetto idroelettrico di Doña Alicia non poteva andare avanti, osservando che il governo non aveva né consultato i Mapuche né considerato gli impatti ambientali.

Purtroppo due anni dopo, nell’agosto 2018, la polizia cilena arresta nuovamente Curamil per presunta partecipazione ad attività criminali, ma fonti all’unanimità ritengono che l’attivista sia in carcere a causa del suo ruolo nel fermare i progetti idroelettrici: troppi interessi danneggiati meritano una punizione.

Forza Alberto, il Cile e l’ambiente hanno ancora bisogno di te.

 

 

fonte: https://www.greenme.it/vivere/costume-e-societa/31483-alberto-curamil-mapuche

Angelo e Valerio, i contadini che stanno creando un mercato di semi antichi per combattere Ogm e Multinazionali

 

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Angelo e Valerio, i contadini che stanno creando un mercato di semi antichi per combattere Ogm e Multinazionali

Pomodori neri, 30 varietà di patate e non solo. Questa è la storia di Angelo e Valerio che in Puglia, stanno creando un mercato di semi antichi per combattere ogm e multinazionali.

Angelo Giordano è un agronomo mentre Valerio Tanzarella è un avvocato, che ha lavorato per anni a Rai Cinema nell’ufficio legale. Sono entrambi di Ceglie Messapica e cinque anni e mezzo fa hanno creato Ex Terra, una società Srl che però è anche una SB, una società benefit.

“Oltre a essere una società con profitto, come tutte le altre, la nostra persegue anche fini etici. Insieme abbiamo un azienda che si occupa di semi di varietà dimenticate, rare e preziose, antiche e particolari, di coltivarle, di studiarle e di diffonderle”, dicono.

Un percorso che va controcorrente nell’epoca di Monsanto-Bayer e Syngenta, i colossi che producono pesticidi e glifosato. Angelo e Valerio puntano, invece, alla valorizzazione e alla tutela dell’agro- biodiversità locale.

“La scelta di puntare sulla biodiversità ha diverse ragioni, in primis etiche e culturali. Ogni territorio ha la sua vocazione, è impensabile continuare a coltivare ortaggi ibridi che sono il risultato di ricerche fatte in laboratori che nulla hanno a che fare con la zona nella quale verranno poi coltivati i medesimi ibridi. La pretesa di imporre colture valide in tutto il globo, a qualsiasi latitudine, ci sta di fatto impoverendo massacrando il lavoro fatto da Madre natura e dall’uomo nel corso di millenni”, dicono.

Pomodori, patate e non solo

Dal 2012, i due, hanno oltre 7mila varietà diverse, tra cui 1200 tipologie di pomodori.

“Abbiamo in saccoccia 20 varietà di melanzane, 200 di peperoncini e peperoni, 30 di patate, 15 di piselli, 15 di taccole, 30 di fave, 10 di ceci, 100 di meloni e poi zucche, un vitigno composto da quasi 20 varietà di uva diverse”.

Tutti frutti di una natura straordinaria che non ha bisogno di fertilizzanti e pesticidi.

“Il contadino è invitato a usare queste sementi delle multinazionali, perché garantiscono resa e anche finanziamenti europei, a scapito della qualità” racconta Valerio.

“Un contadino non si mette in proprio perché è schiavo di una filiera dalla quale non riesce a svincolarsi: se io produco tanti pomodori, l’azienda trasformatrice ha un macchinario formattato solo per alcune misure precise di 5 varietà di pomodori (le stesse sementi delle multinazionali). I concimi e le vaschette, le macchine per incapsulare il seme sono da sempre settati per quelle poche fortunate varietà d’elite in mano a Monsanto e Syngenta. Tutto il mondo agricolo è costruito su quelle poche specie in mano alle multinazionali”, dice Angelo.

Attraverso lo scambio di semi però questa routine può essere messa in crisi, anche se il problema è la legislazione:

“Se tu hai tanti soldi iscrivi le varietà, te ne inventi una in laboratorio e la iscrivi nei registri nazionali ed europei. Questo metodo incastra però i piccoli coltivatori che non possono permettersi di spendere tanti soldi per brevettare le proprie piccole varietà e sprecare il tempo ad aspettare questo cacchio di brevetto. Per non parlare dei documenti, gli studi e le ricerche, i documenti legali da allegare per sollecitarne l’approvazione”.

tratto da: https://munchies.vice.com/it/article/59yeek/archivio-semi-antichi-puglia

Ecco la rete dei custodi di cereali antichi: il Salento resiste alle multinazionali del grano

 

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Ecco la rete dei custodi di cereali antichi: il Salento resiste alle multinazionali del grano

CASTIGLIONE D’OTRANTO (Lecce) – Non seminano più solo per se stessi, ma sono diventati i custodi dei cereali antichi nel Salento, la risposta del territorio al dominio assoluto delle multinazionali del grano. Baluardo di biodiversità, sono undici le realtà leccesi che hanno fatto del ritorno alla cerealicoltura autoctona la propria bandiera: non è questione di produzione e vendita spicciola, ma di impegno comune nel recupero della biodiversità locale, nello studio di nuove strade sostenibili e nella chiusura del ciclo produttivo dei cereali. Sono legate tra loro nella Rete di Salentokm0, collaborando nella promozione comune delle coltivazioni e nella distribuzione dei prodotti. Punto di riferimento per tutti resta l’esperienza di “Simenza, cumpagnìa siciliana di sementi contadini”, associazione culturale che raggruppa 120 aziende che custodiscono le varietà di grani locali, la cui produzione bio è estesa su 1.500 ettari. Sarà proprio questa realtà tra le protagoniste della terza e ultima giornata di Preludi alla Notte Verde, precedendo il grande evento conclusivo del 31 agosto interamente dedicato alle tematiche della terra e dell’ambiente. Il focus sui grani antichi e sulle reti sociali virtuose, come anche quella dei custodi salentini, è in calendario per mercoledì 30 agosto, a Castiglione d’Otranto. Si parte alle h 19, presso la ex scuola elementare, con i laboratori a tema: quello di panificazione con pasta madre per i bambini, a cura di Il Tempo di Momo, e “C’era una volta la pizza: laboratorio e viaggio nel sistema dell’agro-business”, a cura di Officine Cittadine. In piazza della Libertà, alle 21, si presenta “Terre Frumentarie, l’esperienza di Simenza cumpagnia siciliana simenze contadine”, con Giuseppe Li Rosi, contadino rivoluzionario, presidente dell’associazione Simenza. Alle 21.30, dialogo su “Esperienze virtuose di reti solidali e costruzioni di comunità nel Sud Italia e nel Mediterraneo”, con Giuseppe Li Rosi, Dario Monte (Monte Frumentario, filiera agricola costruita dalla Cooperativa Terra di Resilienza del Cilento per un’economia locale solidale), Tiziana Pedone (rete Coltivatori di cambiamento coordinata da Salento Km0), Giorgio Menchini (Presidente Cospe, progetto Lungo la costa adriatica. Conversione ecologica e interculturalità), Mauro Lazzari (Ass. Lua-Parco dei Paduli / Metamor, progettista del Mulino di Comunità di Castiglione). Modera Virginia Meo. In chiusura, dj Campesinos.

Speculazioni sui prezzi e importazioni selvagge: come si sta organizzando il Salento

I grandi gruppi industriali lavorano ai fianchi dei piccoli contadini, continuando ad acquistare terre soprattutto in Puglia e Sicilia e tenendo basso il prezzo dei cereali pagato agli agricoltori, specie nel Mezzogiorno. Un quintale di grano duro non vale più di due pizze: la Borsa del grano di Foggia, quest’estate, lo ha fissato a 23,75 euro a quintale, molto meno che a Bologna, mercato di riferimento per il centro Italia (24,25 euro/q), e di Milano, che per il nord lo fissa a 24,5 euro/q. Nel 2016 andò anche peggio: Foggia lo fissò in 19 euro. Le conseguenze sono importanti: abbandono delle coltivazioni, corrispondente aumento delle importazioni, speculazioni sui prezzi. Il gioco è semplice: il grano si può stoccare anche per tre anni, immettendolo sui mercati a seconda delle quotazioni. È quello che si ritiene che facciano le «5 sorelle» dei cereali (Adm, colosso a stelle e strisce; Cargill di Minneapolis; i franco-statunitensi della Louis Dreyfus; gli argentini della Bunge Y Borne e gli svizzeri della Glencore), mettendo in ginocchio i piccoli, gli agricoltori reali. L’arrivo di immense navi cariche di grano proveniente da Ucraina, Sud America e Australia nei porti di Taranto e Bari è la fotografia più immediata di questa premessa. Non è un caso che lo scorso anno la forbice tra prezzo del grano e della pasta sia stata del 400 per cento e tra grano e pane del 1.450 per cento. E si parla quasi sempre di grano creso, cultivar di frumento duro irradiato, prodotto in laboratorio negli anni ’70 e – oggi sa – responsabile di molte intolleranze alimentari. Il Salento, però, non sta a guardare. E per questo sta organizzando la rete che, da un lato, serve a reintrodurre cereali autoctoni e dall’altro tenta di strappare fette di mercato locale alle multinazionali, vendendo la propria farina, facendo nascere appositi gruppi di acquisto e chiudendo la filiera attraverso la creazione di forni sociali e mulini di comunità, come quello che sta per sorgere a Castiglione d’Otranto.

Chi sono i custodi dei cereali antichi nel Salento?

I custodi sono undici realtà sparse in tutti gli angoli del Salento: Casa delle Agriculture Tullia e Gino (Castiglione d’Otranto); Karadrà (Aradeo); Az. Agricola Merico (Miggiano); Mulino Maggio (Poggiardo); azienda agricola Melusina (San Donaci); Casina dei Mori (Nardò); PresentèFuturo (Spongano); Ass.Marina Serra (Tricase); agriturismo Piccapane (Cutrofiano); agriturismo Fontanelle (Otranto); agriturismo Salos (Otranto). A censirle è la Rete Salentokm0. «Tra le varietà recuperate – spiega la coordinatrice Francesca Casaluci, che è anche presidente onoraria della Notte Verde 2017 – quella più apprezzata resta il grano duro Senatore Cappelli, che molte famiglie, piccoli agricoltori e aziende che vogliono diversificare la produzione sono tornare a coltivare. Ci sono, però, molte altre varietà dimenticate interessanti, reintrodotte nel Salento in maniera più puntiforme: Russarda, San Pasquale, Marzuolo, Maiorca, Saragolla, Gentil Rosso, Carosella, farro, orzo. Passo avanti fondamentale è stata la sperimentazione del “miscuglio di semi”, sulla scorta dell’insegnamento del genetista Salvatore Ceccarelli, che proprio grazie alla Notte Verde la Puglia ha potuto conoscere. In ogni caso, recuperare antiche varietà serve a poco se la produzione non è sostenibile, abbandonando l’uso della chimica».

 

fonte: http://www.corrieresalentino.it/2017/08/ecco-la-rete-dei-custodi-di-cereali-antichi-il-salento-resiste-alle-multinazionali-del-grano/