Perché tutti stanno stanno indossando un giubbotto di salvataggio: cosa è Orange Vest

 

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Perché tutti stanno stanno indossando un giubbotto di salvataggio: cosa è Orange Vest

In rete sono state diffuse da diversi profili immagini di persone che indossano giubbotti salvagente arancioni. Ma di cosa si tratta? Il movimento si chiama ‘Orange Vest’, e il logo è appunto un classico giubbotto da salvataggio con un cuore al centro. La prima campagna di comunicazione del movimento nato un mese fa è quella a sostegno della piattaforma umanitaria ‘Mediterranea’.

Sui social network, sono comparse, come foto profilo di diversi utenti, immagini di persone che indossano giubbotti salvagente arancioni. Ma di cosa si tratta? Il movimento si chiama ‘Orange Vest’, e il logo è appunto un classico giubbotto da salvataggio con un cuore al centro: si tratta di un progetto apartitico, senza leader e senza scopro di lucro, a cui hanno già aderito oltre 200 persone ‘comuni’ oltre a diversi personaggi famosi, uniti dall’idea di protestare in modo pacifico contro l’odio, l’intolleranza, il razzismo e l’indifferenza, sentimenti che oggi più che mai sono sentiti come una minaccia per i valori su cui si regge la nostra società. Un movimento nato tra Hong Kong (Michele Salati), Los Angeles (Simone Nobili), Barcellona (Fabiana Cumia) e Roma (Ernesto Faraco), che non si è  prefissato come obiettivo quello di risolvere i problemi che riguardano la convivenza tra i popoli, o quello di trovare soluzioni definitive per gestire i flussi migratori: Orange Vest è aperto a gente che vuole comunque difendere il principio del rispetto della vita umana e dell’accoglienza.

Quella a sostegno della piattaforma delle associazioni ‘Mediterranea’, che, lo ricordiamo, non è una ong, è solo la prima campagna di comunicazione lanciata. In cosa consiste? Per dichiarare il proprio appoggio alla nave italiana di ‘Mediterranea Saving Humans‘, cioè il rimorchiatore ‘Mare Jonio‘ posto sotto sequestro dalla Procura di Agrigento non più tardi di due giorni fa, gli attivisti di Orange Vest hanno indossato il giubbotto arancione, e si sono fatti immortalare così. L’equipaggio e il comandante di Mare Jonio sono stati accusati dal ministro degli Interni Matteo Salvini di non aver rispettato la legge, per aver portato a Lampedusa 49 migranti recuperati in mare, dopo averli salvati da morte certa.

La finalità dell’iniziativa di sensibiliazzazione è quella di raccogliere fondi per permettere alla nave italiana dei volontari di operare in mare, documentando quando avviene nel Mediterraneo, dove secondo l’Oim, dall’inizio del 2018sono morte 1.104 migranti. Bisogna tenere presente che questo è un numero 4 volte superiore a quello delle morti in mare nella rotta verso la Spagna, dove nello stesso periodo sono annegate 254 persone. Ma il numero degli arrivi in Italia e Spagna è pressoché identico.

Per manifestare il proprio dissenso si può anche ricorrere alla applicazione di realtà virtuale, che è stata creata ad hoc, sviluppata su Facebook da Andrea Pinchi e Gabriele Gallo, disponibile a questo link: un filtro in ‘Augmented Reality’, che consente di indossare ‘virtualmente’ il giubbotto e scattare così una foto da condividere sui social. A quel punto basta aggiungere l’hashtag ‘#OrangeVest’ e un messaggio. Poi le immagini saranno raccolte e diffuse sulle pagine ufficiali del movimento su Facebook, Twitter e Instagram. I promotori dell’iniziativa lo chiamano il “dress code per tutti quelli che vogliono lacerare la corazza dell’indifferenza e dell’ostilità e vogliono ricordare a tutti i migranti che sono le nostre sorelle, i nostri fratelli, i nostri figli”.

Fanpage.it ha contattato uno degli organizzatori della campagna di comunicazione, Ernesto Faraco: “Abbiamo lavorato esclusivamente tramite WhatsUp e i canali social. Abbiamo preso spunto dall’iniziativa di protesta di Hong Kong, quando, era l’ottobre del 2014, i pacifisti, per lo più universitari che occuparono le piazze della metropoli per più di 80 giorni, chiedevano libere elezioni. Come segno distintivo avevano gli ombrelli apert, sia per proteggersi dal sole, sia per proteggersi dai lacrimogeni della polizia. Ecco idealmente ci siamo ispirati a loro”.

Chi sono gli ambasciatori di Orange Vest
La protesta sui social è stata salutata con entusiasmo da artisti come Valeria Solarino, Corrado Fortuna, Lella Costa, Moni Ovadia, Caterina Guzzanti, le Iene Gaetano Pecoraro e Roberta Rei, il sindaco di Palermo Leoluca Orlando, Cecilia Strada e giornalisti come Vauro, Sandro Ruotolo, Lirio Abbate e Alessandro Gilioli.

Fonte: https://www.fanpage.it/perche-tutti-stanno-stanno-indossando-un-giubbotto-di-salvataggio-cosa-e-organge-vest/

Papa Francesco: “Penso alle 170 vittime dei naufragi nel Mediterraneo. Cercavano un futuro per la loro vita, vittime forse di trafficanti di esseri umani. Preghiamo per loro e per coloro che hanno la responsabilità di quello che è successo” – Secondo voi con chi ce l’ha?

 

Papa Francesco

 

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Papa Francesco: “Penso alle 170 vittime dei naufragi nel Mediterraneo. Cercavano un futuro per la loro vita, vittime forse di trafficanti di esseri umani. Preghiamo per loro e per coloro che hanno la responsabilità di quello che è successo” – Secondo voi con chi ce l’ha?

Si, la domanda (retorica) è Con chi ce l’ha Papa Francesco?

Papa Francesco manifesta al mondo tutta la sua angoscia ed il suo dolore, senza mascherare un filo di rabbia. Lo fa affacciandosi dalla finestra del Palazzo Apostolico per la recita dell’Angelus domenicale. Ai fedeli che sono radunati sulla piazza e a quelli che sono collegati in tv confida la sua profonda amarezza per quanto è accaduto in mare. «Oggi ho due dolori nel cuore: la Colombia e il Mediterraneo. Desidero assicurare la mia vicinanza al popolo colombiano, dopo il grave attacco terroristico di giovedì scorso alla scuola nazionale della polizia. Prego per le vitime e per i loro familiari e continuo a pregare per il cammino di pace in quel Paese». Il Papa fa una pausa, gli esce un sospiro amaro e poi continua: «Penso anche alle 170 vittime del naufragio nel Mediterraneo cercavano futuro per la loro vita. Vittime forse di trafficanti di esseri umani. Preghiamo per loro e per coloro che hanno responsabilità per quello che e’ successo».

E sì. Una preghiamo per qiesti moveri cristi morti in mare. Ma soprattutto una preghiera per coloro che ne hanno responsabilità , perchè ira questi disgraziati ne hanno proprio bisogno…

By Eles

Caro Salvini, avevi ragione

 

Salvini

 

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Caro Salvini, avevi ragione

In un sabato qualunque qualcuno di noi muore. E quando a farlo sono bambini non si può vedere.

In un sabato qualunque mentre noi ci svegliamo, svegliamo i nostri bambini, lì prendiamo tra le braccia, gli prospettiamo la giornata insieme, gli sussurriamo parole come sabbia, mare, sole, ti proteggerò; qualche altro bambino non ha più un nome. E nessuno, probabilmente, potrà piangerlo. Non ci sarà una madre sulla sua tomba. E nemmeno una tomba.

In un sabato qualunque mentre noi sappiamo che c’è un presente e pure un futuro per i nostri figli, qualche altro bambino non ha più né uno né l’altro.

Sarà solo un corpo appoggiato al suolo, forse un numero. E ci dimenticheremo di lui.
Come non ci fosse mai stato.

Ci dimenticheremo di averlo visto abbandonato tra le braccia di un uomo che l’ha sottratto al mare troppo tardi.

Ci dimenticheremo che aveva una madre e un padre e forse dei fratelli. Che non eravamo noi.

Ci dimenticheremo che non era solo, che altri con lui hanno intrapreso il viaggio e non hanno trovato una terra.

Ci dimenticheremo che aveva già mosso i suoi primi passi sotto lo sguardo attento di sua madre e che lei era felice. Che prima di morire lo ha stretto a sé, come farebbe ognuno di noi, e forse gli ha sussurrato una storia con un lieto fine.

E quel finale che di lieto non ha niente, nemmeno per un bambino, ci vede protagonisti purtroppo.

Ci dimenticheremo che la sua vita, dal mare in poi, non sarebbe stata come quella dei nostri figli. Che per lui avere un luogo in cui esistere e crescere sarebbe stata una scommessa.

Bene, caro Salvini, abbiamo chiuso i porti e ci siamo tolti il problema. Il nostro confine è salvo. La nostra terra pure. L’anima però, quella, l’abbiamo persa. Per sempre. È rimasta incagliata in mezzo al mare insieme all’anima di quel bambino e a tutti quelli che sono morti insieme a lui. Questa sarà la nostra punizione. Non avere più un’anima con cui fare i conti.

Sarà, soprattutto, la tua e di tutti quelli che la pensano come te.

La mia, e di quelli come me, invece, è di stare a guardare. Di non fermarvi. Di non urlare a gran voce che per me quel bambino conta. Che è un po’ figlio mio. Che ogni bambino conta, e pure ogni uomo conta.

E se l’umanità, come sostieni tu, ha pesi differenti. Conterebbero questi uomini con i loro bambini. Molto più di te.

di Cinzia Pennati*

* Insegnante, scrittrice e madre di due ragazze adolescenti. Sul sul suo blog sosdonne.com – dove questo articolo è apparso – dice di scrivere “per necessità” e che la sua ragazza quindicenne fa i disegni (davvero belli, come quello di questo articolo). Il suo primo romanzo si intitola Il matrimonio di mia sorella. Ha autorizzato con piacere Comune a pubblicare i suoi articoli e ha aderito alla campagna Un mondo nuovo comincia da qui

tratto da: https://comune-info.net/2018/06/caro-salvini-avevi-ragione/

La catastrofe ambientale nascosta: in fondo ai nostri mari ordigni chimici e radioattivi abbandonati dagli americani dopo il ’43 e dopo le guerra in Jusoslavia. Si calcola siano oltre un milione di pezzi.

 

catastrofe ambientale

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La catastrofe ambientale nascosta: in fondo ai nostri mari ordigni chimici e radioattivi abbandonati dagli americani dopo il ’43 e dopo le guerra in Jusoslavia. Si calcola siano oltre un milione di pezzi.

Un altro grande reportage di Gianni Lannes

UN MILIONE DI BOMBE SPECIALI USA IN FONDO ALL’ADRIATICO E AL TIRRENO

Sul belpaese incombe una catastrofe ambientale con cui bisogna fare i conti. Ecco il segreto dei segreti: nel 1943 gli “alleati” angloamericani sbarcarono in Italia un arsenale proibito di armi chimiche, non le usarono affondandole nel Mare Adriatico (Golfo di Manfredonia) e nel Mar Tirreno (Golfo di Napoli e dinanzi all’isola di Ischia) al termine del secondo conflitto mondiale. Negli anni ‘90 la guerra in Jusoslavia determinò lo scarico di migliaia di bombe radioattive da Grado a Santa Maria di Leuca, sganciate  dai velivoli di rientro in Italia dopo i bombardamenti nei Balcani. A conti fatti: più di un milione di bombe chimiche e radioattive, senza contare quelle convenzionali imbottite di tritolo.

I documenti storici dell’US Army sepolti dal segreto militare anglo-americano imposto da Eisenhower e Churchill parlano chiaro, basta compulsarli a dovere. Quelle bombe caricate con aggressivi chimici erano armi proibite dalla Convenzione di Ginevra del 1925, ma il generale statunitense Eisenhower si giustificò nel 1949 sostenendo che erano state stivate «nell’incertezza delle intenzioni tedesche sull’uso di quest’arma».

Non a caso il bombardamento del porto di Bari del 2 dicembre 1943 è stato definito la Pearl Harbour italiana. 105 aerei della Lutwaffe alle 19,30 piombarono sulla città e in una pioggia di fuoco riuscirono ad affondare 17 navi, ne danneggiarono gravemente 8 ed il porto venne quasi completamente distrutto. Si registrarono ingenti perdite tra i militari alleati e i civili italiani. I danni maggiori arrivarono dal carico di iprite della nave americana John Harvey. Ogni bomba, che era lunga quasi 120 centimetri, conteneva circa 30 chilogrammi di questo gas tossico e vescicante. Sommozzatori e palombari italiani che operarono a costo della salute e della vita dal 1947 al 1953, recuperarono 20 mila bombe speciali nell’area portuale e le affondarono a poca distanza dalla costa. Non è tutto. Anche altre navi USA come la John Motley erano cariche di iprite, mentre quelle inglesi contenevano bombe della RAF con fosforo e acido clorosolforico, cloripicrina e cluoruro di cianogeno.

 

Un altro grave episodio, ignoto alla storiografia è l’esplosione avvenuta sempre nel porto di Bari il 9 aprile 1945 – a guerra ormai finita in Italia – della nave statunitense Charles Henderson, che aveva a bordo un carico di bombe all’iprite variamente assortite.

Carta canta. Anche l’archivio storico della Marina Militare italiana è una fonte di inedite rivelazioni che fanno luce sul più grave disastro chimico della seconda guerra mondiale, tenuto nascosto alla popolazioni italiana dalle autorità italiane. Le conseguenze sono incalcolabili, ma i governicchi tricolore hanno fatto sempre finta di niente.

In ogni caso, vale il principio internazionale “chi inquina paga”. Tocca a Washington e Londra pagare il conto, a noi esigerlo senza compromessi.

 

riferimenti:

Gianni Lannes, BOMBE A… MARE!, Nexus Edizioni, Padova, 2017 (di prossima pubblicazione).

http://sulatestagiannilannes.blogspot.it/2017/04/bombe-amare_19.html

http://sulatestagiannilannes.blogspot.it/search?q=bombe+a…mare

http://sulatestagiannilannes.blogspot.it/2017/05/bombe-chimiche-e-radioattive-alleate.html

 

Fonte:

https://sulatestagiannilannes.blogspot.it/2017/05/un-milione-di-bombe-speciali-usa-in.html#more