16 Aprile – Giornata mondiale contro la schiavitù infantile – Ricordiamo oggi Iqbal Masih, l’attivista per i diritto dei bambini, assassinato dalle lobby a soli 12 anni!

 

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16 Aprile – Giornata mondiale contro la schiavitù infantile – Ricordiamo oggi Iqbal Masih, l’attivista per i diritto dei bambini, assassinato dalle lobby a soli 12 anni!

IQBAL MASIH: un bambino coraggioso

Era nato nel 1983 Iqbal Masih e aveva quattro anni quando suo padre decise di venderlo come schiavo a un fabbricante di tappeti. Per 12 dollari.

E’ l’inizio di una schiavitù senza fine: gli interessi del “prestito” ottenuto in cambio del lavoro del bambino non faranno che accrescere il debito.

Picchiato, sgridato e incatenato al suo telaio, Iqbal inizia a lavorare per più di dodici ore al giorno. E’ uno dei tanti bambini che tessono tappeti in Pakistan; le loro piccole mani sono abili e veloci, i loro salari ridicoli, e poi i bambini non protestano e possono essere puniti più facilmente.

Un giorno del 1992 Iqbal e altri bambini escono di nascosto dalla fabbrica di tappeti per assistere alla celebrazione della giornata della libertà organizzata dal Fronte di Liberazione dal Lavoro Schiavizzato (BLLF). Forse per la prima volta Iqbal sente parlare di diritti e dei bambini che vivono in condizione di schiavitù. Proprio come lui. Spontaneamente decide di raccontare la sua storia: il suo improvvisato discorso fa scalpore e nei giorni successivi viene pubblicato dai giornali locali.

Iqbal decide anche che non vuole tornare a lavorare in fabbrica e un avvocato del BLLF lo aiuta a preparare una lettera di “dimissioni” da presentare al suo ex padrone. Durante la manifestazione Iqbal conosce Eshan Ullah Khan, leader del BLLF, il sindacalista che rappresenterà la sua guida verso una nuova vita in difesa dei diritti dei bambini. Così Iqbal comincia a raccontare la sua storia sui teleschermi di tutto il mondo, diventa simbolo e portavoce del dramma dei bambini lavoratori nei convegni, prima nei paesi asiatici, poi a Stoccolma e a Boston:

“Non ho più paura di lui – dice riferendosi al suo padrone – è lui che ha paura di me, di noi, della nostra ribellione. “Da grande voglio diventare avvocato e lottare perché i bambini non lavorino troppo”. Iqbal ricomincia a studiare senza interrompere il suo impegno di piccolo sindacalista. Sarebbe diventato un avvocato, ne aveva la stoffa.
Ma la storia della sua libertà è breve. Il 16 aprile 1995, domenica di Pasqua, gli sparano a bruciapelo mentre corre in bicicletta nella sua città natale Muridke, con i suoi cugini Liaqat e Faryad. Due raffiche di proiettili gli tolgono la vita e Iqbal si accascia sulla bicicletta con cui stava finalmente giocando.

“Un complotto della mafia dei tappeti” dirà Ullah Khan subito dopo il suo assassinio. Qualcuno si era sentito minacciato dall’attivismo di Iqbal, la polizia fu accusata di collusione con gli assassini. Di fatto molti dettagli di quella tragica domenica sono rimasti poco chiari.

Aveva solo 12 anni. E mentre i suoi assassini sono liberi, il giornalista pachistano che ne ha raccontato la storia e’ stato accusato di un grave reato: “danneggia il commercio estero della nazione”.

Con i 15 mila dollari del Premio Reebok per la Gioventù in Azione ricevuti nel dicembre ’94 a Boston, Iqbal voleva costruire una scuola perché i bambini schiavi potessero ricominciare a studiare…

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Pierre Rabhi: occorre un ritorno alla terra per cambiare la nostra società fondata esclusivamente sul denaro.

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Pierre Rabhi: occorre un ritorno alla terra per cambiare la nostra società fondata esclusivamente sul denaro.

Pierre Rabhi: l’avvento del capitalismo-schiavistico e LA FINE DI UN MONDO SECOLARE!

Pierre Rabhi, contadino e filosofo Algerino, trapiantato in Francia dai tempi del colonialismo francese, che sostiene, giustamente, che occorre un ritorno alla terra per cambiare realmente le nostre esistenze e la nostra società fondata esclusivamente sul denaro. Lui il passo l’ha fatto già negli anni ’60 ed oggi cerca di diffondere il verbo tramite libri e conferenze in giro per il mondo.

La povertà non sempre è sintomo di malessere. Crediamo che oggi, immersi nell’opulenza e nel materialismo più sfrenato, si viva meglio rispetto al passato e rispetto a quelle società cosiddette sottosviluppate e povere. Siamo convinti di essere ricchi, di poterci permettere tutto, di essere superiori ma ahimè non è così! Per capire il vero senso della vita leggi attentamente i seguenti paragrafi tratti dal libro di Pierre Rabhi “La sobrietà felice” di cui consigliamo la lettura integrale.

Un uomo semplice, che abita in una piccola oasi del Sud dell’Algeria, si dedica ogni giorno ai suoi doveri di padre di famiglia. Apre la porta della sua bottega, accende il fuoco e, per tutta la giornata, lavora il metallo. Fa manutenzione agli attrezzi agricoli dei contadini, ripara i modesti oggetti d’uso quotidiano. Quel piccolo Vulcano del deserto fa cantare tutto il giorno l’incudine, mentre un apprendista tira la corda del mantice della forgia per attizzare le fiamme. Scintille incandescenti….

Un bambino lo guarda ammirato in silenzio, ne è fiero, immensamente fiero. Di tanto in tanto l’uomo, dal volto volitivo, ascetico e grondante di sudore, si ferma per accogliere i clienti, rispondere alle loro richieste. A volte, davanti alla bottega si forma spontaneamente un assembramento di uomini. Accovacciati su una stuoia di fibre di palma chiacchierano, bevono thé, scherzano, ridono, discutono anche di questioni serie.

Non lontano dalla bottega c’è una piazza quadrata, molto ampia, circondata di negozi – droghieri, macellai, venditori di tessuti e quant’altro – e di laboratori di sarti, calzolai, falegnami, piccoli orafi…

Ogni giorno dalla botteghe fuoriescono canti, come balsami di serenità, che si spandono nell’atmosfera tiepida o soffocante, a seconda delle stagioni. Sul lato ovest c’è uno spiazzo spoglio, aperto dove si tiene il mercato. Una sorta di caravanserraglio senza muri in cui dromedari che bramiscono, pecore, capre, asini e cavalli si mischiano sprigionando odori forti. Alcuni nomadi vanno e vengono in silenzio; altri rimangono accovacciati contro sacchi di tela ruvida gonfi di cereali …. Datteri essiccati per la conservazione e a volte, in stagione, tartufi del deserto si offrono a chi desidera comprarli. Tutto ciò produce un ovattato tumulto, punteggiato dalle voci acute dei venditori che richiamano i clienti. Ogni tanto narratori o acrobati propongono le loro prodezze e i loro sogni a un pubblico affascinato che fa loro cerchio attorno. La città intera è percorsa da ombreggiate viuzze che corrono tra case di terra color ocra incastrate le une nelle altre, sormontate da terrazze, al centro un minareto bianco che a mo’ di vedetta scruta i quattro orizzonti…..

L’atmosfera è frugale. La miseria estrema tocca poco la gente di questa cultura dell’elemosina e dell’ospitalità, richiamate senza sosta come doveri fondamentali dai precetti dell’islam. Il tempo è scandito dalle stagioni e dalle costellazioni. La presenza tutelare e secolare del mausoleo del fondatore della città, che per tutta la vita ha predicato la non violenza, da tempo ha creato un clima di spiritualità propizio alla pace, alla concordia.

La tranquilla città non è tuttavia un paradiso terrestre. Qui come altrove gli uomini sono afflitti da preoccupazioni; il meglio e il peggio vi convivono… Una specie di gioia onnipresente ha la meglio sulla precarietà, coglie ogni pretesto per manifestarsi in feste improvvisate. Qui l’esistenza si tocca con mano. In un clima di pazienza continuamente ravvivata, il più piccolo sorso d’acqua, il più piccolo boccone di cibo danno alla vita un sapore vero. Dal momento che l’essenziale è assicurato, tutto li rende felici e grati, come se ogni giorno vissuto fosse già un privilegio, una tregua. La morte è loro familiare, ma non è una tragedia…

Se questo mondo sospeso tra sogno e poesia non era privo di sofferenza, era però un frutto a lungo maturato sull’albero del destino. Come in altri luoghi del pianeta, gli uomini hanno tentato di crearvi un’armonia, senza però riuscirci alla perfezione, non essendo la perfezione una loro prerogativa…

E poi, insidiosamente, lentamente, in questo mondo vecchio di secoli tutto inizia a precipitare. Il fabbro si intristisce. E’ pensieroso, assorto in strani pensieri. Non torna più a casa al crepuscolo come un libero cacciatore, a volte a mani vuote ma più spesso carico di un cesto colmo di cibarie per la sopravvivenza della sua famiglia per le quali deve ringraziare solo i propri meriti, il suo talento e il suo coraggio, favoriti dalla divina benevolenza. Il lavoro per il fabbro comincia a scarseggiare. Gli occupanti francesi hanno scoperto del carbon fossile e propongono a tutti gli uomini in forze un’occupazione retribuita. L’intera città è sottosopra. E’ finita l’epoca in cui si assaporava il tempo come se fosse eterno. Suona l’ora del tempo degli orologi, fino a quel momento sconosciuto, suona con i suoi minuti e i suoi secondi… Questo nuovo tempo ha come intento di abolire ogni <<perdita di tempo>> e, nel regno dei sonni tranquilli, l’indolenza viene presa per pigrizia. Ora bisogna essere seri, sgobbare molto. Ogni mattina, con una lampada ad acetilene in mano, bisogna sprofondare nelle viscere oscure della terra per riesumarne un materiale nero che cela un fuoco sopito da tempo immemore, come in attesa di un risveglio che gli permetterà di cambiare l’ordine del mondo. Ogni sera, gli uomini escono con il volto insozzato dallo strano termitaio in cui sono stati rinchiusi durante il giorno. Si fa fatica a riconoscerli, tanto inefficaci sono stati i lavaggi per togliere dal visto la scura maschera di carbon fossile e polvere che lo ricopre. Attorno agli occhi si ostinano occhiaie nere, emblema della nuova confraternita dei minatori. Sempre più polsi vengono ornati da orologi; per fare più in fretta, si moltiplicano le biciclette; il denaro si insinua in tutte le ramificazioni della comunità. Le tradizioni prendono un gusto di antiquato, di sorpassato. Ora bisogna mettersi al passo con la nuova cultura.

Il fabbro, come il mastro Cornille di Alphonse Daudet, che soffriva per l’onore beffeggiato del suo mulino a vento – <<respiro del buon Dio>> – soppiantato dai mulini a vapore – <<invenzione del diavolo >> -, resiste finché può a tali sconvolgimenti.

Ma alla fine deve arrendersi all’evidenza: i clienti si fanno rari e riuscire a sfamare la famiglia ha ormai del miracoloso. Non gli resta che diventare lui stesso una termite… Grazie alle sue naturali attitudini viene assegnato a guidare una piccola locomotiva che traina un lungo bruco di vagoni pieni di materiale magico, destinato soprattutto a essere trasportato in Francia. I grandi treni dalle potenti locomotive si porteranno via come un bottino il materiale nero. E’ così che il Progresso ha fatto irruzione in quest’ordine secolare.

Il figlio del fabbro è turbato nel vedere il padre tornare sudicio ogni sera, come tutti gli altri. L’idolo è come profanato. La bottega è diventata un guscio silenzioso dietro la porta oramai chiusa sui ricordi dal gusto desueto di un tempo antichissimo all’improvviso superato. L’incudine non canta più. La civilizzazione, con alcuni dei suoi attributi, la sua complessità e il suo immenso potere di seduzione, è arrivata senza che il bambino possa comprenderla e tanto meno spiegarsela…

L servitù del padre infligge al figlio una strana ferita. Tutta la popolazione sente che sta arrivando qualcosa di importante, qualcosa di insidioso e incomprensibile. L’era del lavoro come ragion d’essere e, come corollario, la smoderatezza evocata dal denaro e dalle nuove cose da acquistare. Come in un ultimo sussulto di libertà, appena percepito il primo salario alcuni minatori non tornavano alla miniera. Quando ricomparivano, dopo un mese o due, i datori di lavoro, scontenti, chiedevano loro perché non fossero tornati prima. I minatori allora rispondevano con candore che non avevano finito di spendere il denaro: perché dunque avrebbero dovuto faticare? Senza esserne coscienti, ponevano una domanda che è stata accuratamente evitata, ma che oggi qualcuno considera essenziale, e alla quale, in quest’epoca di grande scombussolamento in cui siamo obbligati a riconsiderare la condizione umana, bisognerà pur rispondere: lavoriamo per vivere o viviamo per lavorare?

Io avrei compreso solo molto più tardi che, negandone l’identità e la persona, la modernità arrogante e totalitaria aveva inflitto a quel fabbro, come a innumerevoli altri esseri umani del Nord e del Sud del mondo, una sorta di annullamento. Peggio ancora: con il pretesto di migliorarla, ha ridotto la condizione di ognuno a una moderna forma di schiavitù, non solo producendo capitale finanziario senza alcuna ricerca di equità, ma instaurando a livello mondiale, semplicemente prendendo il denaro come unità di misura della ricchezza, la peggior disuguaglianza che esista. Lo sfruttamento e l’asservimento dell’uomo da parte dell’uomo, e della donna da parte dell’uomo, sono sempre stati una perversione, una fatalità che ha macchiato la storia con le brutture che conosciamo; ma se quella perversione era per così dire spontanea, la modernità, con le rivoluzioni intese a mettervi fine, l’ha perpetuata sotto l’insegna dei più alti proclami morali: democrazia, libertà, uguaglianza, fraternità, diritti dell’uomo, abolizione dei privilegi…

2 dicembre, giornata mondiale per l’abolizione della schiavitù – Vuoi concretamente fare qualcosa contro schiavitù? Allora evita questi marchi!

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2 dicembre, giornata mondiale per l’abolizione della schiavitù – Vuoi concretamente fare qualcosa contro schiavitù? Allora evita questi marchi!

UNA SERIE DI GRANDI AZIENDE SONO STATE ACCUSATE DI USARE LA SCHIAVITÙ INFANTILE PER FORNIRVI MOLTE TIPOLOGIE DI BENI, TRA I QUALI IL CIOCCOLATO.

Chi non ama il cioccolato? In effetti, il cittadino medio europeo mangia oltre i 10 chili di cioccolato ogni anno. Ma c’è un aspetto negativo di questo dolce al di là degli ingredienti semplicemente discutibili.

Molti di noi acquistano il  cioccolato senza pensare a chi lo ha fatto, e questo è un problema, dal momento che una serie di grandi aziende sono state accusate di usare la schiavitù infantile per fornirvi l’amato cioccolato.
Lo scorso settembre, una causa è stata presentata con un elenco di aziende che comprende Hershey, Mars e Nestle, sostenendo che le aziende stanno ingannando i propri consumatori perché finanziano il lavoro degli schiavi bambini in Africa occidentale.

È stato motivo di preoccupazione nel settore del cioccolato negli ultimi 15 anni. Il cacao è l’ingrediente principale nel cioccolato, e la maggior parte arriva dall’Africa occidentale, con i due maggiori produttori, la Costa d’Avorio e il Ghana, che rappresentano circa il 60 per cento della fornitura del cacao mondiale.

Molte aziende si affidano quasi esclusivamente all’Africa occidentale per il loro approvvigionamento di cacao, ma la maggior parte del cacao viene prodotto in piccole aziende agricole da parte di agricoltori che soffrono di povertà. Questi estremi spesso sfociano nel lavoro minorile. Già nel 2001, l’industria del cioccolato si è impegnata per porre fine alle pratiche in Costa d’Avorio e Ghana entro il 2005, ma questo termine è stato più volte rinviato. Ora, la speranza è quella di eliminarlo entro il 2020 .

Per capire perché questo è così importante, è necessario guardare al di là del denaro e al di là del cioccolato. È necessario prendere coscienza di ciò che sta accadendo a questi bambini, le condizioni di questi bambini non sono di certo delle migliori, intrappolati in fattorie isolate in cui lavorano per 80/100 ore ogni settimana. Spesso vengono picchiati con pugni, cinture e fruste varie, secondo i bambini liberati che hanno parlato in proposito nel film Schiavitù: Un indagine globale. “Le percosse erano una parte della mia vita”, ha spiegato il bambino schiavo liberato Aly Diabate . “Ogni volta che ti carichi di sacchetti (di semi di cacao) e cadi nessuno ti aiuta. Ti devi rialzare e via di nuovo, o sono problemi”.

Se vuoi evitare di sostenere la schiavitù dei bambini, (se hai una coscienza) si devono evitare queste  società di cioccolato:

Hershey

Mars

Nestlè

ADM Cocoa

Godiva

Fowler’s Chocolate

Kraft

A queste aziende (che tra l’altro sono importanti e grandi multinazionali) non importa poi tanto della schiavitù, visto che li conviene economicamente, infatti molte altre aziende, anche se non grandi come le 7 citate, hanno fatto una priorità nell’evitare di trarre profitto dalla sofferenza del lavoro minorile.

La scioccante documentario del 2000 intitolato Schiavitù: Un indagine globale, espone il profondo e oscuro collegamento del settore del cioccolato e i bambini schiavi. The Guardian  parlando dei 19 bambini liberati dalla schiavitù dalle autorità ivoriane, ha riferito che i bambini lavorano dall’alba al tramonto tutti i giorni, chiusi in un capannone di notte, hanno una tazza di latta in cui fare i bisogni, vengono anche legati e di routine picchiati. Migliaia di bambini vengono acquistati dai loro genitori in paesi come il Mali, il Burkina Faso, il Togo e per una miseria, o in alcuni casi addirittura rubati, e poi spediti in Costa d’Avorio, dove vengono ridotti in schiavitù nelle piantagioni di cacao. E poi c’è in occidente chi si ingrassa grazie a questo….

tratto da: http://lospillo.info/vuoi-concretamente-smettere-sostenere-la-schiavitu-allora-evita-queste-aziende/