Ecco come i Nativi Americani stanno salvando il bisonte dall’estinzione voluta dalla crudeltà, dalla scelleratezza e dalla meschinità dell’uomo bianco

 

Nativi Americani

 

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Ecco come i Nativi Americani stanno salvando il bisonte dall’estinzione voluta dalla crudeltà, dalla scelleratezza e dalla meschinità dell’uomo bianco

Nella foto: Una montagna di teschi – Con crudeltà, scelleratezza e meschinità, l’uomo bianco voleva l’estinzione del bisonte per affamare i Nativi Americani…

Leggendo qua e là

…L’Esercito non aveva tra i suoi compito quello di accompagnare i ricconi dell’est a cercare emozioni nelle battute di caccia, ma era molto interessato a tutto ciò perché era tra i suoi interessi quello del controllo dei nativi americani e, se possibile, del loro annullamento e questo era possibile raggiungerlo anche attraverso il controllo dei bisonti che erano fonte primaria di cibo e di mille altre cose per gli indiani…

“Uccidi tutti i bufali che puoi! Ogni bufalo morto è un indiano in meno”.

…Oggi può sembrarci assurdo, eppure al tempo del west i coloni ed i cacciatori americani uccisero bisonti senza sosta fino quasi a portare quella specie animale alla quasi completa estinzione. I turisti dell’est fecero la loro parte, sparando agli animali dai finestrini dei treni come se il massacro potesse durare per sempre…

 

Da GreenMe:

I nativi americani stanno salvando così il bisonte dall’estinzione

Le tribù native americane stanno salvando il bisonte dall’estinzione. Questo mammifero, oltre ad essere una forma di sostentamento, svolge un ruolo fondamentale nella spirituale della tribù, ecco il perfetto equilibrio che si è stabilito nel Nord America.

5mila ettari di praterie non arate nel nord-est del Montana e centinaia di bisonti selvaggi che vagano. Ma questa mandria non si trova in un parco nazionale o in un santuario protetto, ma bensì nelle terre ancestrali delle tribù di Assiniboine e Sioux di Fort Peck Reservation.

Proprio qui c’è il più grande allevamento di bisonti e solo grazie ai nativi. Fino a centinaia di anni fa, sulla Terra vivevano 30milioni di bisonti, un mammifero ricordiamolo, sopravvissuto anche all’Era glaciale, ma non all’intervento dell’uomo.

Dopo il viaggio di Colombo, i colonizzatori bianchi per occupare i territori dei nativi utilizzarono ogni mezzo, compreso quello del massacro dei bisonti, prima fonte si sostentamento delle tribù. Aggiungendo a questo i cambiamenti climatici, nel giro di poche decine di anni, il bisonte è passato da decine di milioni all’orlo dell’estinzione.

Vogliamo riportare questi importanti bisonti nella loro dimora storica delle Grandi Pianure”, dice Jonathan Proctor, direttore del programma di Rockies and Plains dell’Ong Defenders of Wildlife , che lavora accanto alle tribù per salvare questo animale.

Dopo il massacro del 19esimo secolo, erano sopravvissuti solo 23 bisonti in una remota valle di Yellowstone. Oggi la mandria è di 4mila e questi animali vivono allo stato brado, non sono addomesticati né stati fatti accoppiare con altro bestiame, mantenendo così la purezza genetica.

Da anni, le tribù difendono i mammiferi dalla legislazione del Montana che è anti bufali. Ma per i nativi questi animali giganteschi sono una risorsa.

Grazie a loro, abbiamo visto l’ecosistema rivivere. Gli uccelli delle praterie sono tornati, le erbe autoctone prosperano. Li accogliamo con gioia e aspettiamo i benefici che portano nelle nostre terre tribali”, dicono.

Grazie a un trattato con il governo, l’anno scorso, Blackfeet Reservation, sempre nel Montana, ha ricevuto 89 bisonti geneticamente puri da Elk Island in Canada. Adesso le tribù stanno negoziando con i funzionari statali per consentire a questi bufali, che sono sani e senza la temuta brucellosi, di recarsi liberamente nel parco nazionale del ghiacciaio e persino, si spera, un giorno a nord del parco nazionale dei laghi di Waterton.

“Le tribù delle pianure settentrionali sono la guida giusta per il ripristino dei bisonti selvatici in questo momento”, ha detto Proctor.

E tra 50 anni, la comunità di conservazione spera di avere almeno 10 mandrie di bisonti con mille animali.

15 dicembre 1890 – Ricorre oggi l’anniversario dell’assassinio, per mano dei criminali bianchi, di un uomo leggendario: Toro Seduto

 

Toro Seduto

 

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15 dicembre 1890 – Ricorre oggi l’anniversario dell’assassinio, per mano dei criminali bianchi, di un uomo leggendario: Toro Seduto

“Il giorno in cui si sarebbe realizzata la sua visione si stava avvicinando, il governo decise di inviare quarantatrè poliziotti Lakota ad arrestare Toro Seduto. All’atto dell’arresto di fronte alla capanna di Toro Seduto si radunò molta gente che inveì contro i poliziotti che stavano effettuando l’arresto; dalla confusione si passò all’utilizzo delle armi da fuoco, uno dei poliziotti colpì alla testa Toro Seduto, ferendolo a morte.
Correva il quindici dicembre del 1890 quando venne assassinato un grande uomo. Per l’ennesima volta un uomo che non chiedeva altro che poter vivere in pace con la sua gente si spegneva a causa di azioni subdole. I suoi resti vennero sepolti in primo luogo a Forte Yates nel Nord Dakota e nel 1953 alcuni dei suoi discendenti fecero in modo che le spoglie venissero spostate da dove si trovavano per essere sepolte a Mobridge sulle rive del Missouri, qui venne eretta una effige di granito in memoria dell’uomo.”

Toro Seduto nacque nei pressi del Grand River (Sud Dakota), nel 1831 (circa), e morì nei medesimi luoghi nel 1890.

E’ universalmente considerato il più celebre capo indiano, perché durante la sua vita seppe incarnare le virtù degli indiani delle pianure, che, unite ad una grande forza e ad un immenso coraggio, lo resero un condottiero amato dai suoi amici e temuto dai suoi avversari.

Toro seduto guidò l’alleanza di tutte le tribù Sioux nella resistenza indiana contro l’invasione dei bianchi nelle Grandi Pianure. Non si fidò mai degli “americani” e non firmò mai con loro alcun trattato. Sotto la sua bandiera si raccolse la più grande coalizione di pellerossa di ogni tempo, che riuscì a sconfiggere l’esercito guidato dal Generale Custer.

Toro Seduto era figlio di Four Horses, un capo minore della tribù Hunkpapa. Da giovanissimo veniva chiamato Hakada o Jumping Badger (Tasso che salta), ma a dieci anni, dopo aver abbattuto un giovane bisonte con una freccia, gli fu dato il nome “Buffalo Bull Sitting Down”.

Non divenne famoso per il suo coraggio o per i suoi atti eroici, ma per le sue capacità tattiche e organizzative nell’insurrezione contro gli americani, di cui sarebbe diventato il nemico più accanito e pericoloso.

Era un uomo forte, un po’ tarchiato, con un viso intenso ricoperto da cicatrici, pelle piuttosto chiara e capelli castani che portava legati in due grandi trecce. Era un “politico” di razza; aveva il dono di affascinare chi gli stava vicino e di sapersi contornare di uomini capaci, valorosi e fedeli. Come oratore, grazie alle sue argomentazioni chiare e convincenti, possedeva una grande forza di persuasione. Veniva interpellato in molte occasioni, anche politiche, tanto che era diventato il punto di riferimento principale per risolvere le controversie tra Sioux.

La vita di Toro Seduto è conosciuta perché la illustrò personalmente attraverso la scrittura pittorica. E dai disegni si evince che fino al 1870 aveva preso parte a sessantatré battaglie (la prima a 14 anni), sia contro la tribù dei Corvi (i nemici storici), che contro gli invasori bianchi. Più tardi era diventato un allevatore di cavalli e poi nominato stregone degli Hunkpapa.

Nel 1863 fece visita alla tribù dei Santee nella riserva destinata loro dai bianchi; vedendo come erano miseramente trattati, in lui aumentò la rabbia e il rancore per i coloni americani. Da quel momento combattè con ogni mezzo i soldati che, infischiandosene delle promesse e dei trattati, continuavano a invadere e occupare i territori dei Sioux. Ancor giovane, Toro Seduto divenne il leader della Società dei Guerrieri Coraggiosi e, più tardi, membro autorevole dei Silent Eaters – Mangiatori Silenziosi – un gruppo responsabile del benessere tribale.

Nel giugno del 1863 avvenne il suo primo scontro con i soldati americani.

Nel 1865 guidò l’assedio a Fort Rice, da poco insediato nei territori dell’odierno Nord Dakota.

Rispettato ormai da tutti per la intelligenza e la sua audacia, nel 1868 divenne capo della Nazione Lakota.

Nel 1872, durante una battaglia contro i soldati, nei pressi della ferrovia dello Yellowstone River, Toro Seduto (con altri quattro guerrieri) si sedette con tranquillità tra le due linee che combattevano, fumò la pipa mentre le pallottole fischiavano sopra la sua testa, la arrotolò quando finì e, con estrema noncuranza andò via camminando. Dopo quel gesto il coraggio di Toro Seduto divenne leggendario.

Nel 1874, una spedizione di coloni scoprì ingenti quantità d’oro nelle Black Hills (Colline Nere), situate nel territorio Dakota, su un’area sacra a molte tribù e preclusa agli insediamenti colonici dal Trattato di Fort Laramie (stipulato tra i bianchi e alcune tribù pellerossa nel 1868). In barba a quel divieto i cercatori d’oro invasero le Colline Nere provocando la reazione dei Lakota. Quando il successivo tentativo del Governo degli Stati Uniti di acquistare le Black Hills fallì, il trattato di Fort Laramie fu messo da parte e il commissario americano per gli affari indiani decretò che tutti i Lakota al di fuori delle riserve dopo il 31 gennaio 1876 sarebbero stati considerati ostili.

Non volendo cedere alle prepotenze dei bianchi, Toro Seduto riunì le tribù Lakota, Cheyenne e Arapaho e le guidò nella Danza del Sole, offrendo preghiere a Wakan Tanka, il Grande Spirito, e tagliando le sue braccia cento volte in segno di sacrificio. Durante la cerimonia ebbe la visione di soldati che cadevano nel campo dei Lakota, come cavallette dal cielo.

Ispirato dalla visione, il capo guerriero degli Oglala Lakota, il celeberrimo Cavallo Pazzo, condusse in battaglia 500 guerrieri, e il 17 giugno 1876 colse di sorpresa le truppe di Crook, costringendole alla ritirata. Per celebrare la vittoria, i Lakota si diressero nella valle del fiume Little Big Horn, dove furono raggiunti da altri 3000 indiani che avevano lasciato le riserve per unirsi a Toro Seduto.

In quel luogo, il 25 giugno, furono attaccati dal Settimo Cavalleggeri comandato dal Generale Custer, che però venne interamente annientato (come aveva predetto Toro Seduto nella sua visione).

La sete di vendetta portò gli americani a concentrare in quell’area migliaia di soldati, e i rapporti di forza si ribaltarono al punto che la maggioranza dei capi Lakota, che nel frattempo s’erano di nuovo divisi, nel giro di un anno dovettero arrendersi.

Toro Seduto non fu tra questi, e nel maggio 1877 riparò con la sua gente in Canada. Poco dopo il Generale Terry gli offrì, in cambio del perdono, di farlo stabilire in una riserva, ma il grande Capo indiano non prese neanche in considerazione l’ipotesi.

Quattro anni più tardi, tuttavia, il 19 luglio 1881, viste le enormi difficoltà nello sfamare la sua tribù (il Bisonte in quelle zone era ormai quasi estinto), Toro Seduto si arrese. Consegnò il fucile al comandante di Fort Buford in Montana e chiese di attraversare il confine canadese e di risiedere in una riserva sul Little Missouri River, presso le Colline Nere. In un primo tempo fu inviato alla Riserva di Standing Rock e, successivamente, temendo nuove rivolte, a Fort Randall, dove trascorse due anni come prigioniero di guerra.

Infine, il 10 maggio 1883, Toro Seduto potè ricongiungersi alla sua gente a Standing Rock.

Nel 1885 lasciò la riserva (su permesso degli americani) per lavorare nel Buffalo Bill’s Wild West (lo spettacolo del leggendario Buffalo Bill), dove veniva pagato 50 dollari la settimana per un giro a cavallo dell’arena (guadagnando anche con gli autografi e le fotografie). Quattro mesi dopo però abbandonò il Circo e fece ritorno tra la sua gente, incapace com’era di integrarsi nella società dell’uomo bianco.

Tornato a Standing Rock si stabilì sul Grande Fiume, dove era nato, rifiutando di rinunziare alle sue tradizioni, come imponevano i regolamenti della riserva. Continuò a vivere con due mogli e a rifiutare la cristianità, ma non mancò di mandare i suoi figli a una vicina scuola cristiana, convinto com’era dell’importanza dell’istruzione per le future generazioni Lakota.

Nell’autunno del 1890, un Lakota Miniconjou di nome Orso Scalciante gli recò notizia della preparazione di una Danza degli Spiriti, che avrebbe scacciato i bianchi dalle loro terre e ristabilito il modo di vivere degli indiani. Le autorità bianche di Standing Rock, temendo che Toro Seduto potesse partecipare al rito, inviarono 43 poliziotti Lakota a prelevarlo. Il 15 dicembre 1890, prima dell’alba, i poliziotti irruppero nella cabina di Toro Seduto e lo trascinarono all’esterno, dove i suoi seguaci stavano accorrendo per proteggerlo. Nel conflitto a fuoco che seguì un poliziotto Lakota lo colpì al capo ferendolo a morte, e giustiziando a sangue freddo anche suo figlio diciassettenne, che aveva implorato di essere risparmiato.

Toro Seduto probabilmente non venne ucciso incidentalmente, dato che i bianchi, visto il suo carisma, lo percepivano come un pericolo costante per la loro sicurezza.

Come successe ad altri capi indiani, anche Toro Seduto cadde per mano di un appartenente al suo stesso popolo. Fu sepolto a Fort Yates, in Nord Dakota, e nel 1953 i suoi resti furono trasferiti a Mobridge, nel Sud Dakota, dove riposano sotto un cippo di granito che segna la sua tomba.

 

La strage degli innocenti a cui partecipiamo con le nostre bombe – Yemen dall’inizio del conflitto 84.701 bambini sotto i 5 anni sono morti per fame o malattie… E sulla coscienza ce li abbiamo pure NOI…!

 

strage degli innocenti

 

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La strage degli innocenti a cui partecipiamo con le nostre bombe – Yemen dall’inizio del conflitto 84.701 bambini sotto i 5 anni sono morti per fame o malattie… E sulla coscienza ce li abbiamo pure NOI…!

La strage degli innocenti cui partecipiamo con le nostre bombe

Quasi 85mila bambini sono morti di fame o malattia in Yemen dall’inizio del conflitto tuttora in corso nel paese arabo. Lo riferisce un rapporto pubblicato oggi dall’ong Save The Children, basato sui dati forniti dalle Nazioni Unite per stimare i tassi di mortalità in casi di grave malnutrizione e malattia tra i bambini al di sotto dei cinque anni di età. Sulla base di una «stima prudente», Save The Children denuncia la morte di 84.701 bambini per fame o malattie tra l’aprile 2015 e l’ottobre 2018. Il Fondo per l’Infanzia delle Nazioni Unite (Unicef) ha fatto sapere che dal 2015 oltre 2.400 bambini hanno perso la vita e oltre 3.600 sono rimasti feriti a causa degli scontri avvenuti in Yemen. La guerra ha provocato in tutto oltre 10mila vittime civili. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), a causa della guerra in corso l’80% dei minori residenti in Yemen ha bisogno di assistenza umanitaria, pari a oltre 11 milioni di bambini al di sotto dei cinque anni. L’Unicef sostiene che almeno 2,2 milioni di bambini soffrono di malnutrizione acuta in Yemen. Almeno 16,37 milioni di persone, su una popolazione di oltre 27 milioni, hanno bisogno di servizi sanitari di base, mentre la situazione è peggiorata dall’epidemia di colera in corso nel paese arabo, dove ogni 10 minuti muore un bambino per denutrizione.

Fonte: https://raiawadunia.com/la-strage-degli-innocenti-cui-partecipiamo-con-le-nostre-bombe/

Questi siamo stati NOI, questi siamo NOI e questi continueremo ad essere NOI – Nella foto: un padre congolese davanti agli arti mozzati della sua bambina di 5 anni. La colpa della piccola? Il padre non aveva raccolto abbastanza gomma per i padroni bianchi…!

 

padroni

 

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Questi siamo stati NOI, questi siamo NOI e questi continueremo ad essere NOI – Nella foto: un padre congolese davanti agli arti mozzati della sua bambina di 5 anni. La colpa della piccola? Il padre non aveva raccolto abbastanza gomma per i padroni bianchi…!

UN PADRE CONGOLESE DAVANTI AGLI ARTI MOZZATI DELLA SUA BAMBINA DI 5 ANNI

Questa immagine è forse la rappresentazione più brutale della crudeltà del colonialismo. La foto e la storia dietro di essa ci viene raccontata da una delle prime attiviste per i diritti umani, Lady Alice Seeley Harris. Il nome dell’uomo è Nsala, e viene fotografato mentre osserva una mano ed un piede mozzati alla sua bambina di 5 anni. Il motivo? Non aveva raggiunto la quota minima giornaliera di gomma da raccogliere secondo le leggi del Congo Free State. La bambina, Boali, verrà poi uccisa insieme alla moglie di Nsala, al quale verranno presentati i resti della sua famiglia. Pare, sempre secondo Lady Alice, che i belgi compirono in questo caso persino atti di cannibalismo

Tutto questo accadeva all’inizio del Novecento, non secoli fa. Con l’ascesa dei trasporti su ruota crebbe esponenzialmente la domanda di gomma, e Leopoldo II di Belgio pensò bene di trarre il massimo profitto dal suo bacino di risorse naturali ‘privato’, ovvero il Congo. A tal fine, lo sfruttamento brutale degli autoctoni rappresentò la norma dell’amministrazione belga, che arrivò ad uccidere e mutilare oltre 10 milioni di congolesi, una cifra mostruosa considerando la demografia dell’epoca. La pratica delle mutilazioni divenne così diffusa che le mani dei congolesi divennero un cimelio molto richiesto, quasi una sorta di valuta.

L’eredità del nefasto regime di Leopoldo II, al giorno d’oggi, è rappresentata da uno dei paesi più instabili e corrotti del Paese africano, protagonista di diverse guerre sanguinarie, durante e dopo la fine della guerra fredda .La morte degli avieri italiani, nel 1961, l’assassinio di Patrice Lumumba e la grande guerra del Congo, spesso ribattezzata in ‘Guerra mondiale d’Africa’ per il coinvolgimento di numerosi paesi dell’Africa Subsahariana, trovano un punto di partenza nella nascita e sviluppo del Congo Free State. E dagli arti mutilati dei suoi abitanti.

fonte: https://www.facebook.com/cannibaliere/photos/a.989651244486682/1923293294455801/?type=3&theater

27 novembre 1868 – 151 anni fa la carneficina (impropriamente chiamata battaglia) di Washita – Altra luminosa pagina della gloriosa storia Americana che non conoscete: quando l’esercito comandato da Custer prese di sorpresa e sterminò anziani, donne e bambini Cheyenne che vivono nelle riserve…

 

Washita

 

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27 novembre 1868 – 151 anni fa la carneficina (impropriamente chiamata battaglia) di Washita – Altra luminosa pagina della gloriosa storia Americana che non conoscete: quando l’esercito comandato da Custer prese di sorpresa e sterminò anziani, donne e bambini Cheyenne che vivono nelle riserve…

 

Nel mese di ottobre 1867, il Maggiore Elliot condusse una scorta di consulenti per la Medicine Lodge Creek nel Kansas. Qui firmarono il famigerato trattato di Medicine Creek. Il Congresso però non tenne conto del Trattato sino al luglio 1868, perciò i Cheyennes attesero invano le promesse che in definitiva non arrivarono mai. Durante questo tempo di tensione nelle pianure, il Generale Phillip Sheridan prese il comando del US. Army Department of Missouri nel marzo del 1868.
Presto si segnalarono delle proteste da parte dei Cheyennes che si sentivano nuovamente traditi dal Governo per il non rispetto dei Trattati di Medicine Lodge Creek a sua volta firmati con i Capi Tribù interessati. Perciò il Governo inviò l’ordine all’agente Indiano Wynkoop di recarsi dai Cheyennes per un suo giudizio obbiettivo sulla reale necessità degli Indiani per il rilascio di forniture. Ma l’ordine avvenne troppo tardi. I Cheyennes nel frattempo si misero in stato di guerra contro i coloni nella terra che consideravano la loro, uccidendoli e facendoli prigionieri. Il 22 novembre 1868, George A. Custer ricevette gli ordini dal Generale Sheridan di lasciare Il Campo dei Rifornimenti per 30 giorni di missione di esplorazione. Quando Custer raggiunse il fiume canadese, mandò sui monti il Maggiore Elliot a esplorare. Dodici miglia a monte gli scouts di Elliot trovarono un sentiero indiano tracciato di fresco e quindì lo notificò a Custer che gli ordinò di seguirne le tracce. Tre dei suoi scout trovarono l’esatta posizione di un villaggio Cheyenne costituito da oltre 50 Tipì che erano sistemati sulle rive del fiume Pole Lodge che faceva parte del FiumeWashita.
11 Compagnie del 7° Cavalleria erano sotto il comando del Ten. Col. George A. Custer, di cui 3 Compagnie del 3° Fanteria, 1 del 5° Fanteria, 1 della 38°ma Fanteria e circa 450 carri provenienti dal Territorio Indiano di Fort Dodgefor. 
All’alba di quella rigida mattina del 27 novembre 1868, circa 700 uomini del 7° Cavalleria si prepararono ad attaccare il campo, mentre gli indiani, ignari di quello che stava accadendo erano ancora nel loro sonno. Con le note del “Garry Owen”, Custer si attestò nei pressi del villaggio con i suoi quattro battaglioni: il Maggiore Joel Elliot con le Compagnie G, H e M proveniente da nord-est; il Capitano William Thompson con le Compagnie B ed F, da sud; il Tenente John M. Johnson con la Compagnia E attestata a sud-ovest; Custer con le Compagnie A, C, D e K, da ovest. L’intento di Custer era di assassinare il maggior numero di Indiani da lui considerati “ostili”
Questo campo indiano Cheyenne era guidato dal Capo Black Kettle, un Suhtia. Black Kettle non mise alcun scout a guardia del proprio villaggio perché ritenne che non ce n’era motivo ed era ignaro di un attacco imminente da parte dell’esercito.
Le truppe di Custer irruppero nel villaggio con violenza e determinazione. Gli ordini erano di non risparmiare nessuno. Una pallottola colpì in pieno petto un capitano uccidendolo, i suoi uomini al suo seguito furono feriti all’addome dai fucili indiani. Il Maggiore Elliot si trovò tagliato fuori ma con la sua Compagnia riuscì a farsi breccia a est e inseguì gli indiani fuggitivi. Fu nuovamente tagliato dalla fuori dalla mischia e la sua compagnia fu uccisa. Durante l’attacco i Cheyenne uccisero 4 prigionieri bianchi tenuti ostaggi. Non è chiarto se Custer è stato capace di salvare gli altri due. Nel frattempo la Cavalleria aveva diviso in due il campo e a colpi di sciabola vennero falcidiati tutti gli occupanti dei Tipì, la maggior parte costituita da donne, vecchi e bambini. Le donne incinte furono sventrate e i feti lasciati sul terreno con le loro madri. Donne, bambini e anziani furono inseguiti tra le loro tende e abbattuti uno a uno come animali a colpi di sciabola dai soldati a cavallo, mentre coloro che tentavano di salvarsi venivano prima colpiti dai fucilieri in postazione, poi finiti e sventrati dalle armi bianche dei  soldati. Ai cadaveri delle donne, degli uomini e dei bambini furono tagliati i genitali. I cavalli dei Cheyenne furono macellati così come furono abbattuti 875 pony indiani.
Dopo aver fatto strage del campo, ucciso Black Kettle e Little Rock, dato fuoco ai Tipì e ucciso tutto il bestiame rimanente, Custer il 1° Dicembre, riuscì a portare con sé presso il Campo di Approvvigionamento dell’Esercito, il suo trofeo di guerra costituito da 52 prigionieri, tutte donne e bambini, che furono successivamente trasferiti a Fort Hayes nel Kansas, come prigionieri di guerra. Sul campo di Washita River  l’esercito perse complessivamente 21 uomini e i feriti furono 16.  I militari di Custer contarono sul terreno “nemico” solo i Cheyenne maschi uccisi che furono 103, non tennero conto invece delle donne e dei bambini massacrati, nemmeno dei molti dispersi che finirono annegati nelle acque gelide del Fiume Washita. 
Geroge A. Custer con il massacro di Washita firmò il suo atto di morte, che avvenne nella battaglia del 1876 presso il Fiume Little Big Horn: i Sioux coalizzati si vendicarono dei suoi orrori commessi ai danni dei fratelli Cheyennes.
Custer fu un grande sostenitore dell’idea che la natura dei Nativi era molto più crudele e feroce di qualsiasi bestia selvaggia del deserto. In seguito lui stesso venne giudicato da un suo ufficiale superiore come “crudele, bugiardo e senza principi morali, disprezzato da tutti gli ufficiali del suo reggimento”
Questo inutile massacro, appena quasi quattro anni dopo quello di Sand Creek nel Sud-Est del Colorado nel 1864, spazzò via tutti coloro che a Sand Creek sopravvissero, delle intere famiglie Cheyennes di antiche discendenze, non sopravvisse nessuno.
Secondo George Bent, le persone che furono trucidate nel massacro di Lodge Pole del Washita River furono:
Black Kettle, (Suhtai) Capo Consiglio;  Little Rock, (Cheyenne) Capo Consiglio.
11 guerrieri: Bear Tongue, High Bear, Blind Bear, White Bear, Cranky Man, Blue Horse, Red Thoots, Few Heart, Red Bird, Hawk . Tra di loro ci furono anche 1 Arapaho e 2 Siouxs (Lakota), 16 donne e 9 bambini.
La maggior parte di loro sono stati abbattuti vicino il fiume ghiacciato Washita o uccisi durante il tentativo di fuggire attraverso il ruscello. C’era poca possibilità di fuga. Quelli che furono fortunati a fuggire furono in pochi, molti furono i feriti, in gran parte erano bambini.  Il massacro di Lodge Pole River (Whashita) del 1868 è stato un genocidio deliberato ad opera di George A. Custer.

Che strani i visi pallidi… Uno straordinario pensiero di Toro Seduto

 

Toro Seduto

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Che strani i visi pallidi… Uno straordinario pensiero di Toro Seduto

 

“Che strani gli uomini bianchi…
I visi pallidi vogliono arare la terra e sono malati di avidità.
Hanno fatto molte leggi,
e queste leggi i ricchi possono infrangerle,
ma i poveri no.
Nella loro religione i poveri pregano, i ricchi no.
Tolgono denaro ai poveri e ai deboli
per sostenere i ricchi e i potenti.“

Toro Seduto

 

Chi era Toro Seduto…

Toro seduto: la storia di un uomo leggendario

Toro Seduto nacque nei pressi del Grand River (Sud Dakota), nel 1831 (circa), e morì nei medesimi luoghi nel 1890.

E’ universalmente considerato il più celebre capo indiano, perché durante la sua vita seppe incarnare le virtù degli indiani delle pianure, che, unite ad una grande forza e ad un immenso coraggio, lo resero un condottiero amato dai suoi amici e temuto dai suoi avversari.

Toro seduto guidò l’alleanza di tutte le tribù Sioux nella resistenza indiana contro l’invasione dei bianchi nelle Grandi Pianure. Non si fidò mai degli “americani” e non firmò mai con loro alcun trattato. Sotto la sua bandiera si raccolse la più grande coalizione di pellerossa di ogni tempo, che riuscì a sconfiggere l’esercito guidato dal Generale Custer.

Non divenne famoso per il suo coraggio o per i suoi atti eroici, ma per le sue capacità tattiche e organizzative nell’insurrezione contro gli americani, di cui sarebbe diventato il nemico più accanito e pericoloso.

Era un uomo forte, un po’ tarchiato, con un viso intenso ricoperto da cicatrici, pelle piuttosto chiara e capelli castani che portava legati in due grandi trecce. Era un “politico” di razza; aveva il dono di affascinare chi gli stava vicino e di sapersi contornare di uomini capaci, valorosi e fedeli. Come oratore, grazie alle sue argomentazioni chiare e convincenti, possedeva una grande forza di persuasione. Veniva interpellato in molte occasioni, anche politiche, tanto che era diventato il punto di riferimento principale per risolvere le controversie tra Sioux.

La vita di Toro Seduto è conosciuta perché la illustrò personalmente attraverso la scrittura pittorica. E dai disegni si evince che fino al 1870 aveva preso parte a sessantatré battaglie (la prima a 14 anni), sia contro la tribù dei Corvi (i nemici storici), che contro gli invasori bianchi. Più tardi era diventato un allevatore di cavalli e poi nominato stregone degli Hunkpapa.

Nel 1863 fece visita alla tribù dei Santee nella riserva destinata loro dai bianchi; vedendo come erano miseramente trattati, in lui aumentò la rabbia e il rancore per i coloni americani. Da quel momento combattè con ogni mezzo i soldati che, infischiandosene delle promesse e dei trattati, continuavano a invadere e occupare i territori dei Sioux. Ancor giovane, Toro Seduto divenne il leader della Società dei Guerrieri Coraggiosi e, più tardi, membro autorevole dei Silent Eaters – Mangiatori Silenziosi – un gruppo responsabile del benessere tribale.

Nel giugno del 1863 avvenne il suo primo scontro con i soldati americani.

Nel 1865 guidò l’assedio a Fort Rice, da poco insediato nei territori dell’odierno Nord Dakota.

Rispettato ormai da tutti per la intelligenza e la sua audacia, nel 1868 divenne capo della Nazione Lakota.

Nel 1872, durante una battaglia contro i soldati, nei pressi della ferrovia dello Yellowstone River, Toro Seduto (con altri quattro guerrieri) si sedette con tranquillità tra le due linee che combattevano, fumò la pipa mentre le pallottole fischiavano sopra la sua testa, la arrotolò quando finì e, con estrema noncuranza andò via camminando. Dopo quel gesto il coraggio di Toro Seduto divenne leggendario.

Nel 1874, una spedizione di coloni scoprì ingenti quantità d’oro nelle Black Hills (Colline Nere), situate nel territorio Dakota, su un’area sacra a molte tribù e preclusa agli insediamenti colonici dal Trattato di Fort Laramie (stipulato tra i bianchi e alcune tribù pellerossa nel 1868). In barba a quel divieto i cercatori d’oro invasero le Colline Nere provocando la reazione dei Lakota. Quando il successivo tentativo del Governo degli Stati Uniti di acquistare le Black Hills fallì, il trattato di Fort Laramie fu messo da parte e il commissario americano per gli affari indiani decretò che tutti i Lakota al di fuori delle riserve dopo il 31 gennaio 1876 sarebbero stati considerati ostili.

Non volendo cedere alle prepotenze dei bianchi, Toro Seduto riunì le tribù Lakota, Cheyenne e Arapaho e le guidò nella Danza del Sole, offrendo preghiere a Wakan Tanka, il Grande Spirito, e tagliando le sue braccia cento volte in segno di sacrificio. Durante la cerimonia ebbe la visione di soldati che cadevano nel campo dei Lakota, come cavallette dal cielo.

Ispirato dalla visione, il capo guerriero degli Oglala Lakota, il celeberrimo Cavallo Pazzo, condusse in battaglia 500 guerrieri, e il 17 giugno 1876 colse di sorpresa le truppe di Crook, costringendole alla ritirata. Per celebrare la vittoria, i Lakota si diressero nella valle del fiume Little Big Horn, dove furono raggiunti da altri 3000 indiani che avevano lasciato le riserve per unirsi a Toro Seduto.

In quel luogo, il 25 giugno, furono attaccati dal Settimo Cavalleggeri comandato dal Generale Custer, che però venne interamente annientato (come aveva predetto Toro Seduto nella sua visione).

La sete di vendetta portò gli americani a concentrare in quell’area migliaia di soldati, e i rapporti di forza si ribaltarono al punto che la maggioranza dei capi Lakota, che nel frattempo s’erano di nuovo divisi, nel giro di un anno dovettero arrendersi.

Toro Seduto non fu tra questi, e nel maggio 1877 riparò con la sua gente in Canada. Poco dopo il Generale Terry gli offrì, in cambio del perdono, di farlo stabilire in una riserva, ma il grande Capo indiano non prese neanche in considerazione l’ipotesi.

Quattro anni più tardi, tuttavia, il 19 luglio 1881, viste le enormi difficoltà nello sfamare la sua tribù (il Bisonte in quelle zone era ormai quasi estinto), Toro Seduto si arrese. Consegnò il fucile al comandante di Fort Buford in Montana e chiese di attraversare il confine canadese e di risiedere in una riserva sul Little Missouri River, presso le Colline Nere. In un primo tempo fu inviato alla Riserva di Standing Rock e, successivamente, temendo nuove rivolte, a Fort Randall, dove trascorse due anni come prigioniero di guerra.

Infine, il 10 maggio 1883, Toro Seduto potè ricongiungersi alla sua gente a Standing Rock.

Nel 1885 lasciò la riserva (su permesso degli americani) per lavorare nel Buffalo Bill’s Wild West (lo spettacolo del leggendario Buffalo Bill), dove veniva pagato 50 dollari la settimana per un giro a cavallo dell’arena (guadagnando anche con gli autografi e le fotografie). Quattro mesi dopo però abbandonò il Circo e fece ritorno tra la sua gente, incapace com’era di integrarsi nella società dell’uomo bianco.

Tornato a Standing Rock si stabilì sul Grande Fiume, dove era nato, rifiutando di rinunziare alle sue tradizioni, come imponevano i regolamenti della riserva. Continuò a vivere con due mogli e a rifiutare la cristianità, ma non mancò di mandare i suoi figli a una vicina scuola cristiana, convinto com’era dell’importanza dell’istruzione per le future generazioni Lakota.

Nell’autunno del 1890, un Lakota Miniconjou di nome Orso Scalciante gli recò notizia della preparazione di una Danza degli Spiriti, che avrebbe scacciato i bianchi dalle loro terre e ristabilito il modo di vivere degli indiani. Le autorità bianche di Standing Rock, temendo che Toro Seduto potesse partecipare al rito, inviarono 43 poliziotti Lakota a prelevarlo. Il 15 dicembre 1890, prima dell’alba, i poliziotti irruppero nella cabina di Toro Seduto e lo trascinarono all’esterno, dove i suoi seguaci stavano accorrendo per proteggerlo. Nel conflitto a fuoco che seguì un poliziotto Lakota lo colpì al capo ferendolo a morte, e giustiziando a sangue freddo anche suo figlio diciassettenne, che aveva implorato di essere risparmiato.

Toro Seduto probabilmente non venne ucciso incidentalmente, dato che i bianchi, visto il suo carisma, lo percepivano come un pericolo costante per la loro sicurezza.

Come successe ad altri capi indiani, anche Toro Seduto cadde per mano di un appartenente al suo stesso popolo. Fu sepolto a Fort Yates, in Nord Dakota, e nel 1953 i suoi resti furono trasferiti a Mobridge, nel Sud Dakota, dove riposano sotto un cippo di granito che segna la sua tomba.

 

 

Alberto Angela commuove l’Italia: la puntata sull’Olocausto italiano al primo posto degli ascolti del sabato – C’è ancora speranza…

 

Alberto Angela

 

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Alberto Angela commuove l’Italia: la puntata sull’Olocausto italiano al primo posto degli ascolti del sabato

In occasione dell’anniversario del rastrellamento del ghetto ebraico di Roma, il divulgatore più amato d’Italia dedica la puntata di Ulisse all’Olocausto

La puntata di Ulisse-Il piacere della scoperta di sabato sera, dedicata agli orrori dell’Olocausto italiano, ha conquistato l’Italia: altissimi punti di share per seguire Alberto Angela nel ghetto ebraico di Roma, dove il 16 ottobre del 1943 avvenne l’odioso e infame rastrellamento nazi-fascista in cui 689 donne, 363 uomini e 207 bambini furono portati prima a Milano, su camion coperti da teli, e poi ad Auschwitz con i treni che partirono dal famigerato binario 21 della Stazione Centrale.

Ospite della puntata Liliana Segre, senatrice a vita e sopravvisuta ad Auschwitz, che era presente quella mattina del 16 ottobre. La sua testimonianza ha commosso il pubblico e sul web è esploso un tripudio di plausi alla trasmissione, molto pesante e strana per un sabato sera, ma che è stata in grado di conquistare lo share. Alberto Angela si conferma, come suo padre, il divulgatore più amato della televisione italiana e lui e la Rai sono, una volta tanto, da encomiare per aver portato, nella serata di solito dedicata ai divertimenti, un racconto così commovente su una delle pagine più atroci della storia italiana. Pagina che molti, anche qualcuno al governo, sembra aver dimenticato.

Il mitico discorso al Vescovo di Giobbe Covatta tratto da film Muzungu – Assolutamente da vedere, 4 minuti epici, energici, eloquenti e significativi…

Giobbe Covatta

 

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Il mitico discorso al Vescovo di Giobbe Covatta tratto da film Muzungu – Assolutamente da vedere, 4 minuti epici, energici, eloquenti e significativi…

Molto spesso anche le commedie, i film leggeri e per nulla impegnati, possono essere ben fatti e soprattutto far riflettere, molto.

E’ il caso di Muzungu – L’uomo bianco, un film del 1999 scritto, sceneggiato e interpretato da uno straordinario Giobbe Covatta.

Un film girato in una missione del Kenya, con una storia molto semplice. Il protagonista, Eduardo detto Dodo (interpretato appunto da Covatta), animatore di villaggi turistici oramai quarantenne, assieme ad un collega e ad una turista, a seguito di un incidente aereo si ritrova ad essere salvato da un prete missionario di uno sperduto villaggio del Kenya. Il gruppo finisce, forza maggiore, per passare molto tempo in questo luogo, assieme alla popolazione locale e ai volontari, in attesa dei soccorsi e a Dodo spetterà anche il compito di prendere il posto di padre Luca, malato, durante la visita del Vescovo (interpretato da Flavio Bucci).

Alla fine, deciderà di rimanere alla missione, per dare una mano.

Senza la pretesa di essere fonte di chissà quale morale, il film si pone l’obiettivo di raccontare un piccolo pezzo d’Africa e di mettere in risalto il travaglio interiore di Dodo, abituato alla spensieratezza e al puro divertimento di una esistenza vacanziera, di fronte “ai problemi” della vita. Non a caso, muzungu, significa in swahili più o meno “uomo confuso che gira intorno”, che ben inquadra la sensazione di trovarsi, alla soglia dei quaranta anni, a porsi, forse per la prima volta, qualche interrogativo sulla vita reale.

Nello stile di Giobbe Covatta, è significativo il suo discorso (postato di seguito) di fronte a Vescovo, quando egli iniziando in modo impacciato e formale,  finisce con un’arringa appassionata, che apparentemente è un pezzo comico ma, che in realtà nasconde, con notevole intensità, una triste presa d’atto della condizione di molti abitanti dell’Africa.

Guardatelo, perchè merita.

Chi è Nadia Murad, premio Nobel per la Pace 2018 insieme a Denis Mukwege – La Yazida, fatta schiava dall’Isis e sottoposta a ogni tipo di abuso, che oggi lotta per i diritti umani e contro ogni forma di oppressione

 

Nobel

 

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Chi è Nadia Murad, premio Nobel per la Pace 2018 insieme a Denis Mukwege – La Yazida, fatta schiava dall’Isis e sottoposta a ogni tipo di abuso, che oggi lotta per i diritti umani e contro ogni forma di oppressione

 

Il 5 ottobre 2018 a Oslo è stato assegnato il Premio Nobel per la Pace 2018. Ad aggiudicarselo quest’anno sono stati Denis Mukwege e Nadia Murad per i loro sforzi nel porre fine all’uso della violenza sessuale come arma di guerra.

Nadia Murad è una delle circa 3.000 ragazze e donne yazide che sono state vittime di stupri e altri abusi dai miliziani Isis. Gli abusi erano sistematici e facevano parte di una strategia militare.

Denis Mukwege è colui che ha ripetutamente condannato l’impunità per lo stupro di massa e ha criticato il governo congolese e altri paesi per non aver fatto abbastanza per fermare l’uso della violenza sessuale contro le donne come strategia e arma di guerra.

Nadia Murad

Il Nobel è un ulteriore importante riconoscimento della comunità internazionale alla ragazza irachena 25enne appartenente alla minoranza yazida, che ha sperimentato in prima persona le violenze e gli abusi perpetrati dall’Isis.

Murad, insieme ad altre cinquemila tra donne e bambine, era diventata una schiava, comprata e venduta più volte dai combattenti del sedicente Stato islamico, e aveva subito ogni tipo di abuso fisico, sessuale e psicologico prima di riuscire a scappare nel novembre del 2014.

Dopo la fuga era diventata il volto della campagna per liberare il popolo yazida dalla brutale prigionia nelle mani dell’Isis. Le Nazioni Unite stimano che circa 3.500 persone, soprattutto donne e bambini, si trovino ancora in stato di schiavitù in Iraq.

Definendo la tragedia che ha colpito il popolo yazida un genocidio, ha inoltre denunciato la sostanziale indifferenza del “mondo libero” di fronte a queste atrocità.

La sua storia

Nadia aveva 19 anni quando fu catturata dai miliziani dell’Isis nel 2014. Venne sottoposta ad abusi sessuali, dopo essere stata venduta come schiava sessuale innumerevoli volte. Dopo mesi di torture fisiche e psicologiche, la giovane yazida è riuscita a fuggire e salvarsi.

Insieme alla sua famiglia, Nadia viveva nel villaggio di Sinjar, nell’Iraq nord occidentale. Aveva una vita semplice, come lei stessa ha raccontato al Time, che l’ha nominata fra le 100 persone più influenti del mondo. “Ero la più piccola di tanti fratelli, ma sono stata più fortunata di loro, perché ero riuscita ad andare a scuola, a studiare e mi stavo preparando per superare dei corsi di scuola superiore. Sognavo di fare l’insegnante di storia o di lavorare in un salone di bellezza, come estetista”.

La sua vita procedeva regolarmente tra casa e scuola, fino al 15 agosto del 2014 quando l’Isis arrivò nel suo villaggio portandosi dietro una scia di sangue e di massacri indiscriminati.

Quel giorno 700 fra uomini e donne vennero rapiti, trascinati verso la periferia del villaggio e uccisi. Tra le vittime anche sei dei suo fratelli. Ma la mattanza non era finita. I miliziani tornarono e rapirono con la forza sessanta donne, tra cui la madre di Nadia, poi massacrate perché ritenute troppo vecchie per essere schiavizzate.

 

“Non avevo certezza che gran parte della mia famiglia fosse stata uccisa, fino a quando non lontano da qui non sono state trovate delle fosse comuni. Diciotto persone, tra cui sei fratelli, mia madre, le mogli dei miei fratelli e i miei nipoti, sono state rinvenute lì dentro”, ha raccontato ancora Nadia.

Anche lei non è stata fortunata. Fu rapita insieme ad altre 150 ragazze di età compresa fra i 9 e i 28 anni, a Mosul, e venne rinchiusa all’interno di veri e propri centri di distribuzione, dove i miliziani dell’Isis costringevano le donne a vivere e dove queste ultime venivano usate e sfruttate come schiave sessuali.

“Ci usavano per tutto il tempo che volevano, poi una volta finito ci riportavano al centro. Io sono riuscita a fuggire, a differenza di tante altre ragazze meno fortunate. Dopo essere scappata via, ho vissuto per circa un anno all’interno di un campo profughi in Iraq, poi sono riuscita a emigrare in Germania grazie al sostegno di un’associazione che fornisce aiuto e supporto alle vittime sopravvissute dell’Isis”, ha sottolineato la giovane donna.

Grazie all’organizzazione Yazda, nel dicembre del 2015 Nadia ha trovato il coraggio di portare alla luce e all’attenzione della comunità internazionale i crimini commessi dai miliziani dell’Isis ai danni della minoranza curda degli yazidi.

Attraverso il sostegno dell’associazione, la giovane è riuscita a parlare davanti al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, con lo scopo di sensibilizzare la comunità e i media su quello che è stato definito un “genocidio” compiuto ai danni di un popolo.

“Più di 6500 tra donne e bambini sono stati costretti a vivere sotto le continue minacce degli uomini del Califfato, mentre 1200 bambini maschi sono stati strappati alle loro famiglie e addestrati come futuri jihadisti. Tra questi c’è anche mio nipote Malik”, ha raccontato tra le lacrime la giovane sopravvissuta.

Denis Mukwege

Denis Mukwege è un medico e attivista congolese, della Repubblica Democratica del Congo. Specializzato in ginecologia e ostetricia, ha fondato nel 1998 il Panzi Hospital, ospedale in cui è diventato il massimo esperto mondiale nella cura di danni fisici interni causati da stupro. Nel 2014 era stato insignito dal Parlamento europeo con il Premio Sakharov per la libertà di pensiero.

Mukwege è diventato un punto di riferimento, non solo nel Congo ma per tutta la comunità internazionale, per l’assistenza e l’aiuto delle persone che hanno subito violenze sessuali in guerra e nei conflitti armati. In più di un’intervista, il medico e attivista ha detto che “la giustizia è un affare di tutti” e per questo tutti, a qualsiasi costo, hanno il dovere di denunciare i casi di violenze.

Dura la posizione di Mukwege nei confronti del governo congolese. Il medico ha più volte puntato il dito contro il governo accusandolo di non avere fatto abbastanza per porre un freno alla piaga delle violenze sessuali. Accusa che Mukwege ha esteso ad altri governi in giro per il mondo.

fonte:  https://www.tpi.it/2018/10/06/denis-mukwege-nadia-murad-nobel-pace-2018/

Durissima presa di posizione di Padre Alex Zanotelli: i Cristiani scelgano o il Vangelo o Salvini…!

 

Padre Alex Zanotelli

 

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Durissima presa di posizione di Padre Alex Zanotelli: i Cristiani scelgano o il Vangelo o Salvini…!

 

Padre Zanotelli durissimo: i cristiani scelgano o il Vangelo o Salvini

Il missionario comboniano critica anche i silenzi della Chiesa: perché i vescovi non prendono posizione contro chi diffonde odio?

Parole durissime dopo unj decreto sicurezza che è un atto di guerra contro poveri e diseredati. E lui, padre Zanotelli, che è stato a lungo missionario, queste cose le comprende meglio di tanti altri: “Quanto durerà Salvini? Non lo so. Non mi interessa molto. Quello che mi domando è perché il popolo italiano non sta reagendo. E qui mi metto sotto accusa come Chiesa”.
Padre Alex Zanotelli, intervistato dall’agenzia Dire, ha criticato senza incertezze le politiche del governo in materia di sicurezza. Politiche sbagliate, che tuttavia raccolgono un consenso crescente. “La Lega non è nata ieri, sono 30 anni che l’abbiamo. Io chiedo alla Chiesa italiana: la Conferenza episcopale ha mai scritto un documento sulla Lega? Oppure i vescovi di Piemonte, Lombardia e Veneto hanno mai fatto un testo da leggere nelle parrocchie che dice: ‘guardate Gesu’ ci dice questo. Il Vangelo di Salvini ci dice qualcosa d’altro. Quindi scegliete’. Non lo abbiamo mai fatto, quindi abbiamo delle profonde colpe anche come Chiesa”.
Chi segue Salvini è un cattivo cristiano? “Ma certamente. Non ho dubbi. Per Gesù hai il Vangelo dell’accoglienza, del perdono, della riconciliazione. Qui è il Vangelo dell’odio. Quindi, o l’uno o l’altro, per un credente. Poi ognuno è libero di scegliere”.

fonte: https://www.globalist.it/news/2018/10/04/padre-zanotelli-durissimo-i-cristiani-scelgano-o-il-vangelo-o-salvini-2031770.html