Credito ai poveri – la fantastica storia Amedeo Giannini, il più grande banchiere al mondo…

 

Amedeo Giannini

 

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Credito ai poveri – la fantastica storia Amedeo Giannini, il più grande banchiere al mondo…

 

C’era una volta un uomo. Era un uomo vero, di quelli d’un tempo, e sarebbe divenuto il banchiere più grande del mondo. Uno di quegli uomini che dicevano “non voglio diventare troppo ricco, perché nessun ricco possiede la ricchezza, ma ne è posseduto”. All’epoca – si era in California, nell’America dei primi del Novecento – le banche davano soldi solo alle imprese già affermate. Nessuno dava credito alle piccole imprese. Quell’uomo decise di aprire la sua banca, ma non aveva una sede. Rilevò allora da una signora che voleva ritirarsi in pensione il contratto di affitto di un bar, in un incrocio, per 1.250 dollari. Non aveva clienti, e così iniziò un modo di fare banca diversa da tutte le altre dell’epoca. Si mise a girare per le strade, offrendo piccoli prestiti a chi voleva aprire un capannone, un piccolo ristorante, un esercizio commerciale. Nei primi del Novecento, era impossibile in America avere credito dalle banche, se eri una micro-impresa: vi era una regola per la quale non si davano prestiti inferiori ai 200 dollari. In pratica, per le somme minori ci si doveva rivolgere agli usurai. Quell’uomo iniziò a finanziare piccole cose, dando prestiti a partire da 25 dollari. Divenne famoso per la sua nuova cultura di banca.

Io per finanziare un uomo – era solito dire – voglio guardarlo negli occhi e vedere i calli sulle mani. A proposito del fatto che oggi tanto si parla di riforma delle banche popolari, ricordo che quell’uomo volle per la sua banca un azionariato diffuso, un azionariato popolare. Si occupò personalmente di andare a proporre le azioni a gente che non era mai stata in una banca: fornai, lattai, droghieri, ristoratori, idraulici, barbieri. Oggi si parla di austerity, di termini inglesi come “leverage” (il rapporto tra capitale e prestito), di rigore. Ricordo che anche allora si dicevano le stesse cose: in due mesi aveva raccolto 70.000 dollari, ma ne aveva impiegati 90.000 e i suoi soci erano preoccupati. Come faremo? – strillavano. Bisogna avere fiducia nella gente – rispondeva lui agli altri. La gente la ripagò, la sua fiducia. Cominciò ad andare nella banca che permetteva loro di finanziare una bottega, di avere un reddito dignitoso, di comprare una casa, di metter su famiglia, di mandare i figli a scuola. In un anno, quei 70.000 dollari divennero 700.000, e la banca continuava a crescere e a dare fiducia.

Nel 1906 a San Francisco avvenne un fatto terribile. Il terremoto distrusse la città e la gente si aggirava disperata per le strade, avendo perso tutto, casa e lavoro. Quell’uomo, mentre gli strozzini si aggiravano per le strade, andò sul molo della città, mise un tavolaccio di legno appoggiato su due barili, in mezzo alla folla dei disperati, ci salì sopra ed espose un cartello, con il titolo “Banca di (X), aperto ai clienti” (il nome della “X” ve lo dirò alla fine di questa storia). Resta il fatto che quell’uomo mise un sottotitolo che aveva lui stesso dipinto sul cartello quella notte: “Prestiti come prima, più di prima”. Quell’uomo si chiamava Peter, e stava realizzando il suo sogno di aprire una banca per i piccoli imprenditori, i diseredati, gli emigranti. La “banca” venne assalita da persone che avevano idee per ricostruire la città e lui prestava soldi con il suo metodo, guardando le persone negli occhi e osservando i calli sulle mani. Segnava i crediti su un quadernetto, annotando nomi e cifre. Girava con un carretto ed elargiva prestiti sulla fiducia, senza garanzia, a persone che non avevano potuto andare a scuola e che per lo più firmavano con una croce. Li valutava fidandosi della loro parola e del loro onore. Lui dava fiducia a quelli che avevano delle idee, dei progetti, non a quelli che avevano dei soldi o proprietà da dare in garanzia.

I suoi consiglieri gli dicevano che era un pazzo, che sarebbe finito in rovina. Invece, successe una cosa che nessuno si sarebbe aspettato. Quei piccoli imprenditori tornarono da lui, portando tanti altri amici, gente che toglieva i propri pochi depositi dalle altre banche e li andava a investire da Peter, l’uomo col carrettino. Pochi depositi, ma erano milioni di persone. Tutti gli immigrati della California, i nuovi piccoli imprenditori, vennero presto a conoscere la storia dell’uomo col carrettino e il nome di Peter divenne in breve mito, e da mito leggenda. Successe che l’uomo che dava fiducia al prossimo ricevette fiducia dal prossimo e i suoi conti crebbero, perché tutti volevano portare i propri risparmi alla banca di Peter. La sua politica era diversa da quella di tutte le banche dell’epoca ed era volta a dare soldi ai piccoli, agli artigiani, ai commercianti, agli agricoltori, ai piccoli imprenditori. La banca di Peter negli anni crebbe in tutta la California, aprendo filiali a San Francisco, a Los Angeles, fino ad attraversare l’immensa giovane nazione ed arrivare, nel 1919, a New York. Otto anni dopo, quella banca cambiò nome, e divenne la Bank of America.

All’epoca, i consiglieri della banca proposero un premio al suo fondatore, di addirittura 50.000 dollari. L’uomo, che aveva già guadagnato nella sua carriera quasi mezzo milione di dollari, restando fedele al suo detto di quando, da giovane, aveva deciso di creare una banca, per evitare di “essere posseduto dalla ricchezza” rifiutò il premio, dicendo che chiunque desiderasse avere più di 500.000 dollari doveva farsi vedere da un dottore. La smania di denaro è una brutta cosa – disse una volta – io non ho mai avuto quel problema. Detto da uno che a sette anni aveva visto il padre ucciso dopo un litigio per un dollaro, c’era da credergli. Infatti, fece devolvere più volte vari premi alla ricerca scientifica. Oggi le banche aborrono progetti innovativi e la finanza moderna pretenderebbe che non si investa in progetti originali e non consolidati, senza patrimoni dell’imprenditore e adeguate garanzie. Pensate allora a cosa doveva voler dire, all’epoca, finanziare una cosa sconosciuta e incredibile che si chiamava cinematografo: follia, per i suoi colleghi. Peter, a differenza di tutti gli altri banchieri, prestò i suoi soldi a un geniale innovatore, consentendo nel 1921 a tutto il mondo di conoscere “Il Monello”, il meraviglioso film di Charlie Chaplin.

Anni più tardi, finanziò Walt Disney, che gli parlava di finanziare un’altra incredibile rivoluzione tecnologica e cioè i cartoni animati. Il mondo conobbe così la favola di “Biancaneve e i sette nani.” Ancora, finanziò un visionario siciliano, Francesco Rosario Capra, rimasto senza lavoroper la crisi del ’29, rivelando così al mondo il genio del celeberrimo regista Frank Russel Capra. Così, mentre gli esperti di finanza insegnavano l’importanza di adottare regole restrittive, Peter finanziava i piccoli imprenditori guardandoli negli occhi e alla fine, tirando i conti, si scoprì che il 96% dei prestiti della banca erano stati rimborsati, senza alcuna garanzia. Alla fine della Seconda Guerra Mondiale, la banchetta nata in un bar, proseguita su un carrettino, che ora si chiamava Bank of America, superò per depositi la First National Bank e la Chase Manhattan Bank, le due più grandi banche di New York, diventando così la più importante banca del mondo. Dopo la fine della guerra, Peter volle che la Bank of America si impegnasse in prima persona nel piano Marshall, cioè nel gigantesco piano di ricostruzione che ha consentito anche al nostro paese di ripartire, finanziando così, indirettamente, milioni di nostri piccoli imprenditori.

Quando, nell’ottobre del 1945, lasciò la presidenza della banca, lasciò i cassetti aperti, affermando che “né lui, né la sua banca, avevano nulla da nascondere”. Quando morì, quattro anni più tardi, dall’inventario dei suoi beni si scoprì che aveva mantenuto la sua parola, e pur essendo stato il banchiere della banca più grande del mondo, il suo patrimonio ammontava esattamente a soli 489.278 dollari, meno del mezzo milione per cui, secondo lui, uno sarebbe dovuto farsi vedere da uno psichiatra. Può sembrare una favola, ma è storia vera. L’ho raccontata perché oggi, se mi guardo intorno, io non vedo una situazione abissalmente diversa dal disastro di San Francisco del 1906 o dalla crisidel ’29. Mentre i politici parlano di riforma della legge elettorale, le imprese chiudono ogni giorno, la gente è a spasso, molti restano senza lavoro e senza speranza. Allora, esistevano uomini di banca come Peter. Oggi i piccoli imprenditori sono disperati. Le banche ripetono il mantra appreso da docenti, banchieri e politici che parlano in lingua inglese, chiedono garanzie, e si sente a ogni angolo la parola “austerity”. Gli anglosassoni ci vengono a insegnare come si fa il mestiere di banchiere e i tedeschi ci insegnano il rigore.

Ora, io avrei un sogno. Vorrei che in una nostra città, una qualunque, tra le macerie della nostra economia, un banchiere italiano, un politico italiano, uno statista, prendesse un tavolaccio, lo mettesse in mezzo a una strada e poi ci salisse sopra. Vorrei che ci posasse sopra un cartello con una scritta a mano in cui si leggesse: “Da oggi, prestiti all’economia, come prima, più di prima”. Sottotitolo: “Colleghi, l’austerity ve la potete mettere in quel posto”. E poi, vorrei che quest’uomo cominciasse a ridisegnare le regole del gioco della finanza mondiale, per insegnare a tutti che noi italiani non abbiamo bisogno di lezioni da nessuno, sul come si fa a fare il mestiere del banchiere. Il vero banchiere non chiede le garanzie, ma guarda i calli sulle mani. Questo, sarebbe il mio sogno. Perché sul cartello che quell’uomo aveva scritto di suo pugno, su quel tavolo in mezzo alla strada, c’era il nome della sua banca: Bank of Italy. Questo era il nome originario di quella che sarebbe divenuta, molti anni dopo, la più grande banca del mondo: la Bank of America. Il suo fondatore, l’uomo che guardava gli altri negli occhi e finanziava guardando i calli delle mani, l’uomo che si alzò in piedi insegnando al mondo a rialzarsi in piedi, l’uomo che insegnò a tutti che fare banca non significa chiedere regole, ma dare fiducia, non era un anglosassone. Peter era il secondo nome di Amadeo Giannini, in cerca di fortuna nell’America di fine ottocento, figlio di poveri migranti dell’entroterra ligure. C’era una volta un banchiere. Era un uomo vero. Era un italiano.

(Valerio Malvezzi, “L’incredibile storia del banchiere più grande del mondo”, dal sito “Win The Bank”, 2018).

tratto da: http://www.libreidee.org/2018/03/credito-ai-poveri-e-nacque-il-banchiere-piu-grande-al-mondo/

Ci stiamo mangiando l’Africa e la chiamiamo democrazia

 

Africa

 

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Ci stiamo mangiando l’Africa e la chiamiamo democrazia

Secondo gli economisti, i paesi africani sono tutti in crescita, l’Africa è in continuo sviluppo ma ha due giganteschi problemi: noi occidentali e la non redistribuzione del valore all’interno delle nazioni africane.

Il problema è anche che la maggior parte della crescita di questi paesi è alimentata dal debitoe dalle vendite di risorse naturali, quindi è una crescita su carta, non una crescita della società: la maggioranza della popolazione vive in povertà con poche e rare parentesi di prosperità.

Nei paesi africani, la storia negli ultimi cento anni è particolarmente ripetitiva, in modo quasi inquietante. Ogni tanto c’è una rivolta, arriva un nuovo leader con idee socialiste-nazionaliste del tutto legittime che vengono bollate dall’occidente come filo-comuniste. Il leader stesso viene additato come dittatore, anche se strappa una nazione da una monarchia oscurantista e oppressiva, portandola a una repubblica moderna. Il leader in questione di solito resiste vivo qualche anno, poi viene destituito o ucciso da una rivolta finanziata dai paesi che hanno interessi economici nelle risorse locali. Se il leader riesce a restare in carica più a lungo, in genere finisce per impazzire e diventa un dittatore sanguinario. Molto lo fa la scarsa formazione culturale, l’assenza di intellighenzia del paese, ma parecchio lo fa la pressione quotidiana. Se vivi in una situazione in cui non ti puoi fidare di nessuno, ogni giorno potrebbe essere l’ultimo e l’unico modo per sopravvivere è essere molto paranoici… Da lì alla follia, il passo è breve.

Uno degli ultimi di questi leader di lunga carriera è stato Gheddafi. I media europei si fingono disgustati da Gheddafi, un vecchio dittatore pazzo e vizioso, maniaco di chirurgia plastica, sfarzo, harem e lolitismo (come se in Italia non avessimo avuto il maggiore rappresentante della categoria!). Ma l’informazione mediatica di massa dimentica sempre di raccontare che Gheddafi è stato prima di tutto un idealista, un teorico del neo-socialismo, che ha guidato la rivoluzione contro un re oppressore del popolo che svendeva le risorse a Francia e Stati Uniti, schiacciando la popolazione nella miseria e nell’analfabetismo.

In seguito al colpo di stato, presentato dai media come “oppressiva dittatura militare”, Gheddafi ha messo in pratica le sue idee di rifiuto per il capitalismo, scegliendo una forma di socialismo nazionalista ispirato al socialismo arabo di Gamāl ʿAbd al-Nāṣer, quest’ultimo però presentato come grande politico perché levava a USA e Francia la fatica di mettere d’accordo Husayn e Arafat. Gheddafi ha messo in pratica la ridistribuzione della ricchezza petrolifera per sostenere programmi di benessere sociale: i soldi provenienti dal petrolio venivano depositati direttamente nei conti bancari dei cittadini libici. I loro figli avevano accesso a scuole statali gratuite che prima nemmeno esistevano. C’era lavoro e ospedali pubblici all’avanguardia.
Ha dimostrato che un paese africano che gestisce le sue risorse senza occidentali è un paese ricco. Pensate se lo facesse domattina il nostro governo, se invece di farci pagare le tasse e spendere otto milioni di euro in chat erotiche e scommesse (spesa scoperta ad agosto 2017 dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sulla Digitalizzazione), ci versasse i soldi delle forniture all’estero direttamente sui nostri conti correnti, perché è giusto che partecipiamo anche agli utili. Non diventeremmo grandi sostenitori del governo che attua questa misura?

Sotto la guida di Gheddafi, i libici hanno goduto non solo di assistenza sanitaria e istruzione gratuita, cose rarissime in Africa, ma anche di elettricità gratuita e prestiti senza interessi, oltre ai versamenti dei dividendi dello stato sul proprio conto. Infatti la Libia di Gheddafi negli anni 70-80 è diventata improvvisamente un paese prospero: perché redistribuiva ai cittadini e li istruiva. Creando così (ed è stato questo il principio della fine) un pericoloso precedente per gli altri stati africani che cominciarono a interessarsi della Libia e valutarono che magari potevano fare lo stesso.

Ovviamente è bastato poco perché i leader dell’Occidente vedessero la Libia come una minaccia, la presentassero come uno stato totalitarista in cui non venivano rispettati i diritti umani, fino a finanziarne la rivoluzione del 2011. Certo, Gheddafi a quel punto era già perso nella sua follia dentro la sua casa sotterranea a ordinare di giustiziare chi pensava che lo tradisse. Ma se invece i libici delle nuove generazioni, i quali avevano i mezzi culturali e politici, fossero stati aiutati dall’occidente a far funzionare la repubblica invece che a devastare il paese con una guerra civile? Oggi non ci sarebbe un paese comodamente in crisi, ma un paese prospero, scomodo per chi deve comprare le risorse minerarie, perché non vuole altri al tavolo della contrattazione, un competitor ulteriore al tavolo degli equilibri internazionali, ovvero uno che prima o poi vorrà una fetta di quel 90% di ricchezza mondiale detenuta da pochissimi.

I media raccontano che Gheddafi è stato un dittatore brutale e probabilmente è in parte vero, negli ultimi due decenni lo è stato, ormai incontrollabile, perseguitato dai fantasmi della paura e del non potersi fidare di nessuno, deluso da tutti, con diversi tentativi di colpi di stato alle spalle. Sarebbe bastata però una destituzione incruenta, politica. Invece un paese nel caos è quello che ha bisogno l’Occidente.

La verità è che Gheddafi è stato una delle principali minacce del sistema petro-dollaro dell’economia globale e del continuo sfruttamento dell’Africa. E’ stato l’artefice principale di un paese che prosperava ribellandosi al controllo americano e europeo, un esempio pericoloso per gli altri stati africani che potevano prendere la stessa via.

La Libia di Gheddafi finanziò Sankara in Burkina Faso, Gheddafi stesso lo introdusse ad altri politici e filosofi africani anticolonialisti. Un uomo dalle idee pericolose, che è meglio farci ricordare sfatto e in abiti ridicoli nei suoi ultimi anni che non come pensatore anti-capitalista e artefice del welfare del suo paese che aveva reso ricco.

Purtroppo, la Libia è stata completamente distrutta dall’Occidente quando gli Stati Uniti l’hanno invasa nel 2011 facendola regredire di un centinaio di anni, togliendo tutti i benefici statali, distruggendo gli ospedali all’avanguardia, le scuole, tutto. La Libia oggi è uno stato fallito e caotico, dipendente dall’importazione della “libertà e democrazia” americane.

Secondo Garikai Chengu, ricercatore di Harvard specializzato nei movimenti politici africani e lui stesso attivista, la liberazione africana dovrà prevedere tre fasi: la ridistribuzione di terreni e risorse naturali alle popolazioni locali; il rifiuto completo delle politiche neoliberali del Fondo Monetario e della Banca mondiale; lo sviluppo della capacità di raffinazione minerale in proprio, senza le grandi compagnie multinazionali.

Purtroppo per l’Africa, queste misure non hanno ancora radicato e quando si affacciano in veste di qualche rivoluzionario, come nel caso della Libia, del Burkina Faso, dell’Egitto, vengono prontamente bollate come l’opera di militari-dittatori folli e subito boicottate da USA ed Europa in nome di una pace e di una democrazia che non sono altro che le parole vuote lanciate ai media, come i frisbee ai cani.

 

fonte: http://www.dolcevitaonline.it/ci-stiamo-mangiando-lafrica-e-la-chiamiamo-democrazia/