Forse non lo sapete, ma Caparezza ha composto l’inno della Lega Nord – Assolutamente da non perdere: il fantastico Inno Verdano…!

 

Caparezza

 

 

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Forse non lo sapete, ma Caparezza ha composto l’inno della Lega Nord – Assolutamente da non perdere: il fantastico Inno Verdano…!

Di seguito il testo, ed i video del fantatico inno scritto da Caparezza per omaggiare la Lega Nord

Inno Verdano
Imbraccia il fucil,
prepara il cannòn,
difendi il verdano dai riccioli d’or
espelli il negròn,
inforca il terròn
e servi il tuo popolo con fulgido amor

Anche se sono del Gargano

sogno di diventare verdano.
Mamma, asciugati le lacrime
porto le mie natiche
in fabbriche che non abbiamo.
Mollami la mano, dico, mollami la mano,
che da quando sono nato bramo lo Stato verdano.
No, non amo ciò che è sotto il mio meridiano,
da piccolo odiavo l’inquilino del primo piano.
Sul banco tracciavo linee di confine,
di Rijkaard e Gullit niente figurine,
bambini e bambine in cortile,
io verde di bile col Monopoli mettevo in prigione le mie pedine.
Bene, sto bene nel mio ruolo,
volo, non sono solo,
siamo uno stuolo. La Verdania chiama all’armi: mi arruolo
Con la mia divisa cetriolo io:

Voglio una Verdania secessionista,
con una bandiera secessionista,
una fidanzata secessionista
con cui fare l’amore secessionista,
un appartamento secessionista
con arredamento secessionista,
raccolta di rifiuti secessionista,
ma che cosa sta secedendo?

‘Noi marcerem verso Roma ladrona perché chi va a Roma prende la poltrona.’

All’inizio quel tizio
che s’attizza al comizio
pare un alcolista alla festa di San Patrizio,
parla da un orifizio sporco di pregiudizio, pubblico in prestito dal museo egizio.
Ora capisco quanto aveva ragione,
ora che sono soldato di Stato senza Meridione,
ora che è finita la carta del cesso,
ma fa lo stesso,
tanto ci ho messo la Costituzione.
Ora che la mia ambizione è fare la pulizia,
primaverile o etnica che sia, la farò,
il manico ce l’ho duro perciò scoperò
dove si può per il potere dell’ampolla nel Po.
Il popolo verdano smania
per la separazione dall’Italia che dilania.
E se cade il muro in Germania
chi se ne frega io lo innalzo in Verdania
dato che…

Voglio una Verdania secessionista
con un quotidiano secessionista,
un telegiornale secessionista
con un giornalista secessionista,
una passerella secessionista
con una modella secessionista:
sogno di qualunque secessionista,
ma che cosa sta secedendo?

‘Conquisteremo la Rai lottizzata per sistemare i nostri direttori di testata.’

Io voglio diventare un verdano avvinazzato,
sputare parlando un italiano stentato.
Io, servitore di uno Stato
dove chi non è come me viene discriminato.
Voglio sbandierare commosso
un tricolore senza bianco, né rosso.
Voglio lodare il deputato esaltato,
che vuole l’immigrato umiliato e percosso.
Voglio denigrare le prostitute
disinfettando i treni dove sono sedute,
questione di cute su cui non si discute,
sono puro come l’aria: tutta salute.
Voglio giurare fedeltà al senatùr,
voglio vendicare la mia Pearl Harbour.
Roba da fare rivoltare nella tomba
Gaetano Salvemini ed il conte di Cavour.
Allora fate come me: Tutti in Verdania!
Italiani: Tutti in Verdania!
Ottomani: Tutti in Verdania!
Venusiani: Tutti in Verdania!
Andini e Atzechi: Tutti in Verdania!
Kazachi ed Uzbechi: Tutti in Verdania!
Arditi e Galati: Tutti in Verdania!
Dove si lavora, si guadagna e si magna!

Voglio una Verdania secessionista,
con una bandiera secessionista,
una fidanzata secessionista
con cui fare l’amore secessionista,
un appartamento secessionista
con arredamento secessionista,
raccolta di rifiuti secessionista,
ma che cosa sta secedendo?

Imbraccia il fucil,
prepara il cannòn,
difendi il verdano dai riccioli d’or
espelli il negròn,
Inforca il terròn
Inforca il terròn
Inforca il terròn
Inforca il

Caparezza

 

 

Per non dimenticare quanto la razza umana possa fare schifo – Non vi potete sbagliare, la CAROGNA non è il bellissimo e rarissimo esemplare di giraffa nera ammazzato…!

 

razza umana

 

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Per non dimenticare quanto la razza umana possa fare schifo – Non vi potete sbagliare, la CAROGNA non è il bellissimo e rarissimo esemplare di giraffa nera ammazzato…!

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Ricordate l’Agente Smith in Matrix? “L’essere umano è un virus, è un’infezione, una piaga, un cancro su questo pianeta” …Forse aveva ragione: Abbiamo cancellato dal Pianeta il 60% delle specie animali in soli quarant’anni…!

 

 

Lo scorso anno, aveva sparato e ucciso una giraffa in Sud Africa. Nei giorni successivi la cacciatrice, originaria del Kentucky, in memoria delle crudeli gesta ha pubblicato la foto sul proprio profilo Facebook. E il mondo dei social non è rimasto a guardare. Nel giro di qualche ora, le foto sono diventate virali e sono arrivati migliaia di commenti di insulti.

In posa con il cadavere dell’animale, Tess Thompson Talley, 37 anni, aveva inizialmente caricato le foto scattata dopo una una battuta di caccia avvenuta un anno fa, a giugno 2017. Il suo post è stato cancellato, ma le foto sono state ampiamente condivise online.

Il giornale Africlandpost ha condiviso le foto il 16 giugno, in un tweet diventato virale, in cui la donna è stata accusata di avere ucciso “una rarissima giraffa nera per gentile concessione della stupidità del Sud Africa”. Il tweet è stato condiviso oltre 45.000 volte.

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AfricaDigest@africlandpost

White american savage who is partly a neanderthal comes to Africa and shoot down a very rare black giraffe coutrsey of South Africa stupidity. Her name is Tess Thompson Talley. Please share

Eppure, non c’è indicazione che la battuta di caccia di Talley fosse illegale. La donna ha addirittura detto che uccidere la giraffa abbia contribuito agli sforzi di conservazione.

“La giraffa che ho cacciato era la sottospecie sudafricana della giraffa. Il numero di questa sottospecie è in realtà in aumento dovuto, in parte, ai cacciatori e agli sforzi di conservazione pagati in gran parte dalla caccia grossa” si è difesa.

È emerso che la giraffa uccisa non era del tutto rara ma ciò non toglie che ucciderla e vantarsene sia stato un gesto crudele.

Talley ha pubblicato ulteriori commenti sulla sua pagina Facebook, alcuni da rabbrividire, sostenendo che gli animali, in quanto tali, non hanno diritti.

Purtroppo finché la caccia non sarà resa illegale, i cacciatori potranno agire indisturbati e condividere le loro gesta sui social.

Un ricordo – il 2 dicembre di 37 anni fa ci lasciava, troppo presto, l’indimenticabile Marty Feldman

 

Marty Feldman

 

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Un  ricordo – il 2 dicembre di 37 anni fa ci lasciava, troppo presto, l’indimenticabile Marty Feldman

 

Il 2 dicembre 1982 ci lasciava Marty Feldman.

Passato alla storia come il servo Igor del Dottor Frankenstin, Marty Feldman è un personaggio impossibile da dimenticare: far ridere gli era naturale come respirare e sfruttò i suoi soli 48 anni di vita al massimo. Sempre propenso a gettarsi in nuovi progetti si spostò instancabilmente dalla radio alla televisione al cinema; più di una volta fu anche attratto dall’idea di pubblicare un proprio libro di versi, cosa che però non avverrà mai.

Tuttavia è necessario riconoscere che la sua fama non fu unicamente dovuta alla contagiosa ilarità che lo caratterizzava, ma anche a quell’aspetto così peculiare e buffo, con gli occhi strabuzzati e divergenti che furono un suo cruccio ma anche, senza dubbio, la sua fortuna. Se infatti «da bambino era bello e somigliava ad una Shirley Temple gotica», crescendo il volto di Marty finì per «riflettere in pieno il disastro della sua vita»: gli incontri clandestini di boxe a cui partecipava in gioventù conferirono al suo naso quella particolare forma schiacciata, mentre negli anni ’60 il morbo di Basedow-Graves rese prominenti i suoi occhi.

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Frankenstein Junior - Potrebbe piovere

Figlio di ebrei originari di Kiev, Martin Alan Feldman nacque a Londra l’8 luglio 1934 e visse il periodo della Seconda Guerra Mondiale nella più tranquilla campagna inglese. È forse ripensando a questo soggiorno che maturò poi in lui il pensiero di diventare vegetariano quando realizzò effettivamente che «un bel giorno, George “il coniglio” era diventato “George la cena”».

Come tutti i comici che si rispettano, Feldman era uno dalla battuta sempre pronta; ciononostante gli ci volle del tempo per realizzare che avrebbe potuto impiegare quella sua dote come mestiere. A 15 anni lasciò gli studi e lavorò presso un parco divertimenti, cercando di sopravvivere mentre cercava di sfondare come trombettista jazz; ma una volta trovata la sua strada, Marty la percorse con falcate grandi e profonde.

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Frankenstein Junior - Il consiglio

"Quando la sorte ti e' contraria e mancato ti e' il successo, piantala di fare castelli in aria e vai a piangere sul...!"

Recitò dapprima in commedie per teatri minori e successivamente nel trio MorrisMarty and Mitch che aveva contribuito a fondare nei primi anni ’50. La sua comicità stralunata e surreale alla maniera dell’idolo Buster Keaton attirò su di lui una certa visibilità e da lì il cammino si fece meno accidentato: scrisse i suoi stessi sketch radiofonici insieme all’amico Barry Took e in poco tempo si trovò a lavorare per la televisione, diventando uno dei personaggi più apprezzati dal pubblico britannico. La malattia non fece arretrare Feldman di un solo passo e nel corso degli anni ’60 fu letteralmente sommerso di lavoro, arrivando a collaborare con i futuri Monthy Piton per The Frost Report. Le sue battute erano sulla bocca di tutti e per la BBC non fu affatto difficile assegnargli una propria serie, Marty: andato in onda nel 1968, lo show valse a Feldman ben due BAFTA.

Nel nuovo decennio non smise di raccogliere applausi, tutt’altro: volò negli Stati Uniti, dove in poco tempo debuttò con il fortunato programma L’occhio che uccide (Marty Feldman’s Comedy Machine il titolo originale).  Nemmeno nel Nuovo Mondo Marty rinunciò a frequentare i party più alla moda, così come già nel Regno Unito: pare che fosse solito presentarsi con degli occhiali da aviatore e in compagnia della madre, almeno fino a quando non sposò Lauretta Sullivan nel 1959.

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Frankenstein Junior - Il malocchio

Forte dei trionfi che andava ottenendo, il debutto al cinema sembrò abbastanza prevedibile: nel 1970 recitò in Ogni uomo dovrebbe averne due di Jim Clark e quattro anni dopo fu accolto a braccia aperte da Mel Brooks, il quale decise insieme a Gene Wilder di scritturare Marty per il ruolo che l’avrebbe reso celebre. Frankenstein Junior (1974) incassò trenta volte il budget di produzione e fu un vero e proprio boom che procurò a Feldman il nuovissimo Saturn Award come miglior attore non protagonista. Successivamente Marty apparve ancora in Il fratello più furbo di Sherlock Holmes (diretto da Wilder), L’ultima follia di Mel Brooks e nell’italiano film a episodi 40 gradi all’ombra del lenzuolo.

Sul finire degli anni ’70 tentò la regia con due pellicole: la parodia Io, Beau Geste e la legione straniera e Frate Ambrogio (malriuscita traduzione di In God we tru$t), aspra satira del modo tutto statunitense di commercializzare la religione.

Un attacco di cuore lo colse mentre era impegnato in Barbagialla, il terrore dei sette mari e mezzo e Marty Feldman si spense il 2 dicembre 1982, in un albergo di Città del Messico. La causa del decesso è tutt’oggi avvolta nel mistero: un’intossicazione alimentare o la sua sconsigliabile dieta fatta di sigarette, caffè e latticini sono le motivazioni più accreditate.

Il suo humour dal riso facile ci ha lasciato una grandissima lezione: disse con una certa mestizia di essere troppo vecchio per morire giovane, ma era unico. Un pioniere della commedia che ispirò altri pionieri della commedia.

Fonti: http://www.artspecialday.com/9art/2018/07/07/marty-feldman/ e altre dal web

Buon compleanno Federico Monti Arduini il pioniere del Moog italiano, conosciuto dai più “vintage” come “Il Guardiano del Faro” – La sua storia e i suoi capolavori

 

Il Guardiano del Faro

 

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Buon compleanno Federico Monti Arduini il pioniere del Moog italiano, conosciuto dai più “vintage” come “Il Guardiano del Faro” – La sua storia e i suoi capolavori

Buon compleanno Guardiano.
Il primo dicembre 1940 nasceva Federico Monti Arduini – Il Guardiano del Faro

Gli anni ’70 sono stati un periodo folle per l’Italia (e non solo): erano sì gli anni di piombo e della crisi del petrolio, ma erano anche l’epoca dei movimenti femministi e studenteschi, dell’eccentricità e della voglia di cambiare il mondo, proprio come qualche anno più tardi illustrerà Andrea Pazienza nel suo “Pentothal”. In strada si poteva incontrare chiunque: eroinomani, forze armate, cortei, intellettuali e giovinastri. O, a essere estremamente fortunati, un conte-compositore a bordo della sua Austin-Healey 3000 gialla. Il nome di quel conte è Federico Monti Arduini, noto in quegli anni al grande pubblico come Il Guardiano del Faro.

Questo ragazzo, allievo di Von Karajan (direttore d’orchestra considerato tra i migliori tre al mondo, e habitué di casa Monti Arduini), ha lasciato un breve ma indelebile segno nella musica italiana grazie all’uso del Moog, che fino a quel momento era un suono mai sentito dal grande pubblico italiano, tanto che una rivista dell’epoca lo descriveva come “un suono strano, mai sentito prima. Non era né un violino, né un clarino, né un flauto, né uno zufolo, eppure sembrava un po’ tutti questi strumenti messi insieme“. Una peculiarità di cui lo stesso Guardiano era ben cosciente:

A differenza di altri gruppi o artisti, che utilizzavano il Moog come elemento aggiuntivo degli arrangiamenti dei loro brani, io davo allo strumento un ruolo di primo piano: lo facevo cantare, lo facevo ridere. Non lo trattavo come una comparsa, ma come un protagonista. La musica che io proponevo insieme al mio sintetizzatore Moog era una musica di rottura rispetto a quanto circolava allora in Italia, alle canzonette incentrate sulle rime tra ‘cuore’ e ‘amore’: e credo sia stato proprio questo ad aver suscitato tutta quella curiosità intorno al progetto de Il Guardiano del Faro”

Niente “cuore” o “amore” quindi, anzi proprio niente testi. In un paese la cui musica si è sempre poggiata sul potere narrativo della canzonetta, il proporre canzoni solo strumentali poteva essere una scelta da pazzi, persa in partenza; e invece, complice un periodo musicale in cui l’Italia stava scoprendo un certo amore per la sperimentazione, il giovane conte riuscì addirittura a vincere l’edizione del 1975 di “Un disco per l’estate”, vendere 3 milioni di copie ed entrare nelle case e nei cuori del grande pubblico. Ma chi si celava davvero dietro questo strano moniker?

Dietro Il Guardiano del Faro c’è un ragazzo nato nel 1940 e diplomato in pianoforte al Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano. Il suo esordio da cantautore arriva presto: a 21 anni pubblica a suo nome “Dolci sogni/Così”, il primo 45 giri, a cui ne seguono altri per la stessa etichetta, la Blueball di Antonio Casetta. Entro breve ne diventa addirittura produttore artistico e arriva a collaborare con Claudio Lippi (che inciderà “Cosa importa”) e altri artisti ben noti all’epoca come Sal Da Vinci o i Nuovi Angeli. Oltre che alla propria carriera solista, si dedicherà negli anni successivi anche al lavoro di autore per grandi della canzone italiana come Mina (“Ma ci pensi“), Gigliola Cinquetti (“Il primo bacio che darò“), Giorgio Gaber (“Parole parole“, “Suona Chitarra“) e Orietta Berti (“Solo tu“).

Proprio la versione inglese di “Solo Tu” (“All My Love”) cantata da Cliff Richard supera le oltre 12 milioni di copie vendute nel mondo e l’impressione che la sua sia una carriera in ascesa si conferma nel 1972: passa dall’altra parte della barricata e diviene direttore generale della Ricordi, carica che manterrà tra l’altro per circa 15 anni. Da quell’anno, fino al 1975, sarà anche direttore artistico e assistente alla Direzione Generale della Polydor Italia.
Lo pseudonimo di Guardiano del Faro (ispirato da un faro vicino la residenza estiva della sua famiglia, quello di Lividonia nei pressi di Porto Santo Stefano, dove la leggenda vuole si chiudesse per comporre sotto effetto di sostanze ricreative) arriva nel 1972 quando produce un 45 giri con su incisi “Il gabbiano triste” e “Oceano”, brani che sono l’uno la versione registrata al contrario dell’altro. Il primo è un rifacimento di “Amazing Grace” di John Newton ed il protagonista indiscusso del brano è proprio lo strumento che caratterizzerà tutta la sua carriera.

Scoprii il sintetizzatore Moog, casualmente, negli anni in cui lavoravo come dirigente per la Ricordi, grazie ad un mio amico importatore che aveva fatto arrivare questo nuovo strumento nella nostra sala di registrazione: lo provai e rimasi affascinato dal suono. Sin da subito, cominciai a registrare un po’ di materiale e al suono del sintetizzatore Moog pensai bene di sovrapporre quello di un pianoforte, di una chitarra e di altri strumenti: nacque così il brano “Il gabbiano infelice”.”

Proprio in occasione della pubblicazione di questo brano (come raccontato da Lucio Salvini, all’epoca direttore generale di Ricordi), visto il conflitto d’interessi causato dalla carica di dirigente del Conte Arduini, Paolo Limiti e Felice Piccarreda (produttore ed ex-funzionario Durium) si propongono come produttori del Guardiano. Salvini, da parte sua, accetta di pubblicare “Il gabbiano infelice” senza sapere nulla dell’autore, aggirando inconsapevolmente tutti i problemi connessi alla figura di Arduini e non facendosi scappare un disco di probabile successo.

Il risultato dell’idea di Arfemo (un altro dei suoi pseudonimi, ottenuto tramite le iniziali del nome e dei due cognomi) piace tanto, sicuramente per l’assoluta novità che rappresenta e forse anche per quell’alone di mistero che circondava la sua figura. Per un periodo piuttosto lungo, infatti, nessuno sapeva chi fosse esattamente questo Guardiano del Faro se non gli amici di cui sopra; nel frattempo “Il gabbiano triste” ha un successo commerciale straordinario, e con pochissime spese il pezzo raggiunge la posizione numero 1 della classifica italiana: 400.000 45 giri e 50.000 LP venduti in pochi mesi. L’anonimato sarebbe durato ancora a lungo se non fosse stato per Mike Bongiorno, che lo invitò nel pubblico di “Lascia o raddoppia” con la promessa di non coinvolgerlo in diretta – una promessa ovviamente disattesa di fronte a milioni di telespettatori.

Nonostante il successo, Il Guardiano del Faro va avanti nella sua sperimentazione con il sintetizzatore ottenendo risultati alterni. Più avanti, affascinato dalla trasversalità dello strumento, visiterà anche la fabbrica di Robert Moog, il quale gliene regalerà un modello polifonico (Polymoog) e si complimenterà per la sua musica scrivendogli una lettera.

In una continua ambivalenza fatta di riletture di temi editi e composizioni proprie, nel 1978 arriva “Oasis” (l’ottavo di una discografia di 14), un album che è un’ottima summa dello stile di Arduini: tra la scala araba del brano che dà il nome al disco, le chitarre e i pianoforti, il risultato è in tutto e per tutto un antesignano di moltissimi generi che sarebbero nati di lì a qualche anno, fino ad arrivare alla più recente chill-wave. Con grafiche di Mario Convertino e disegni di Paolo della Valle, la copertina si presenta con l’illustrazione di un’oasi; il disco, invece, nonostante per alcuni momenti ricordi le colonne sonore dell’epoca (lo stesso Arduini non era nuovo a esperienze simili, d’altra parte: compose la colonna sonora di “La Orca” e “Amore grande, amore libero” film che prende il titolo da un suo stesso brano), si snoda in ottimi brani con un forte richiamo all’esotico e il moog che rimane incontrastato protagonista del disco.

La sua carriera musicale si conclude all’alba degli anni ’80, e dopo qualche assurda apparizione televisiva (tra cui la pubblicità dell’Amaro Ramazzotti!), nel giugno del 1996 Monti Arduini fonda la casa discografica Café Concerto, per poi continuare con esperienze più istituzionali: nel 1998 entra nel Comitato Estero di SIAE, nel 2005 è nel Comitato Studi Regolamenti e Statuti e nel 2009 nel Comitato Elettorale della Società (nelle ultime elezioni, che hanno visto la nomina di Filippo Sugar, si paventava anche il suo nome come possibile Presidente).

Al di là delle sorti artistiche, quello che emerge dalla carriera di Federico Monti Arduini è l’indubbia capacità di fondere gli studi classici a uno strumento d’avanguardia di cui è stato tra i pionieri in Italia, riuscendo a raggiungere il grande pubblico con qualcosa di molto diverso dalle tendenze pop del tempo, e firmando uno dei tormentoni più strani e atipici che l’Italia avesse mai ascoltato.