Le notizie che ci piace dare – Il grande cuore di Napoli, tutti in fila al Plebiscito per salvare il piccolo Alex…

 

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Le notizie che ci piace dare – Il grande cuore di Napoli, tutti in fila al Plebiscito per salvare il piccolo Alex…

 

Da Il Mattino:

Il grande cuore di Napoli, tutti in fila al Plebiscito per salvare il piccolo Alex: «Ma i tamponi stanno finendo»

I giovani di Napoli in fila per aiutare Alex. Hanno tra i 16 e i 36 anni i ragazzi e le ragazze che da questa mattina hanno affollato piazza Plebiscito per dare una speranza ai genitori di Alessandro Maria Montresor, il bimbo che ha urgente bisogno di un trapianto di midollo a causa di una rara malattia genetica. Sono la generazione dei social social network, che «per una volta – spiega una ragazza in attesa della tipizzazione – riescono a coinvolgere le persone per delle iniziative importanti come questa».

Già dalle 8.30 di questa mattina una folla di persone si era compattata in una lunga fila che da Palazzo Reale arrivava fino al colonnato della Basilica di San Francesco di Paola. Una grande risposta di solidarietà, che dopo tre ore ha già visto utilizzati 700 tamponi su una fornitura complessiva di 1.150, con il rischio di non risucire a portare a termine le operazioni per la ricerca del donatore. È per questo che Michele Franco, presidente Admo Campania, ha lanciato un appello alle associazioni di donatori di sangue. «Siamo venuti qui con 1.150 tamponi salivari, ce ne restano solo altri 300. Facciamo un appello alle associazioni dei donatori di sangue, Avis, Croce Rossa, Frates, Fidas: se hanno a disposizione delle autoemoteche per fare il prelievo di sangue, li aspettiamo in piazza. Ci sono tanti ragazzi, e noi stiamo terminando i tamponi. Abbiamo già messo in campo tutte le nostre forze».

Napoli ha risposto con un cuore così grande all’appello lanciato attraverso i social dai genitori del bimbo, che già a metà mattinata i volontari dell’Admo si sino resi conto che i kit a loro disposizione non sarebbero bastati fino alle fine della giornata. «Per i prossimi appuntamenti sono in arrivo altri 3.500 tamponi che dovrebbero arrivare tra lunedì e martedì, perché nel weekend i trasportatori non lavorano – ha spiegato Franco –  Domani dovremmo essere a Caserta, se non avremo tamponi proseguiremo solo con le adesioni per il registro dei donatori e poi le persone saranno chiamate per un altro evento. Lunedì e martedì saremo in università e abbiamo in programma tante altre iniziative in Campania che però abbiamo messo in stand by finché non arriveranno altri tamponi salivari». Ieri la presidente nazionale Admo aveva lanciato un appello al ministro della salute Grillo. «Ha assicurato che sarebbero arrivati 2000 tamponi ma al momento non abbiamo ricevuto nulla – ha continuato il presidente Admo Campania – Se ci fossero già stati recapitati oggi saremmo arrivati anche a un numero di 3.000 persone».

Le possibilità di trovare un donatore di midollo compatibile con quello di Alex sono una su 100mila. «Un’impresa non semplice – ha commentato Ugo Ricciardi, presidente dell’associazione Aile, che dal 2015 si occupa di promuovere la ricerca per combattere la stessa malattia rara che ha colpito il piccolo Alessandro. Oggi Alex non trova un donatore compatibile nella banca dati mondiale, si sta sottoponendo a un protocollo che tra cinque settimane avrà fine. Ma non è detto che non sarà più con noi». Le sue difese immunitarie però saranno indebolite, e anche un semplice raffreddore a quel punto potrebbe essergli fatale.
fonte: https://www.ilmattino.it/napoli/cronaca/napoli_tutti_fila_plebiscito_per_salvare_alex-4067732.html

Se non vi vergognate già abbastanza di far parte della “razza umana”, leggete un po’ questo: “Leoni allevati in Sudafrica per diventare ingredienti di dolci, vino e medicine”

 

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Se non vi vergognate già abbastanza di far parte della “razza umana”, leggete un po’ questo: “Leoni allevati in Sudafrica per diventare ingredienti di dolci, vino e medicine”

 

In Sudafrica succede che animali selvatici come leoni vengano allevati per poi commercializzare le loro ossa. Nonostante l’indignazione internazionale da parte delle organizzazioni per la conservazione, tutto ciò continua ad accadere. Ecco cosa viene denunciato in due report.

Nel 2017, il ministro dell’Ambiente sudafricano, Edna Molewa aveva fissato a quota 800 il numero di leoni da abbattere, ma nel 2018 lo stesso ministro ha quasi raddoppiato a 1500 e il Dipartimento per gli affari ambientali non ha mai specificato i motivi su cui stabilire o espandere la quota.

 A denunciarlo sono due ricerche investigative che raccontano il triste mondo dell’allevamento di leoni in cattività in Sudafrica dove gli animali selvatici ‘servono’ per il commercio di ossa, legale e illegale, in Asia.

Il primo report è The Extinction Business curato dalla EMS Foundation con BAN, Animal Trading, il secondo è The economics of captive predator breeding in South Africa prodotto dal South African Institute of International Affairs (SAIA).

Secondo i report si stima che tra 7mila e 8mila leoni vivano in cattività in 300 strutture, letteralmente sono allevati per la cosiddetta ‘caccia in scatola’, ovvero per le loro ossa che vengono poi utilizzate nella medicina cinese.

In realtà, le ossa di leone sono spacciate nel mercato nero come ossa di tigre che secondo i cinesi, avrebbero il potere di curare reumatismi e impotenza. Vengono poi utilizzate per produrre un dolce, una barretta fatta anche con guscio di tartaruga e il vino di ossa di tigre che conferirebbe a chi lo beve energia e vigore.

Il tutto è documentato nei report dove si sottolinea che nessun altro paese, oltre il Sudafrica è autorizzato ad esportare le ossa di leone. C’è poi da dire, denunciano i report, che non esiste un database, quindi non si sa neanche quante strutture ci siano o un numero reale dei leoni in cattività.

“Sono decisamente costernato perché non esistono legittime motivazioni scientifiche per esportare gli scheletri”, dice Luke Hunter, direttore della conservazione di Panthera, gruppo internazionale per la conservazione dei grandi felini.

Come funziona?

Lo scheletro di un leone può arrivare a costare fino a 1500 dollari, le ossa sono vendute a quasi 800 dollari al chilo. Queste vengono importate in Asia e poi rivendute a peso d’oro. Una relazione di CITES sostiene che nel 2017 sono stati esportati 3469 scheletri.

 

tratto da: https://www.greenme.it/informarsi/animali/29089-leoni-ossa-sudafrica

A partire dalla Cina, è boom del traffico di pelle di elefante – La carogna umana è riuscita a trovare il modo più rapido per far estinguere questa stupenda specie…!

 

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A partire dalla Cina, è boom del traffico di pelle di elefante – La carogna umana è riuscita a trovare il modo più rapido per far estinguere questa stupenda specie…!

Gli esemplari vengono uccisi soprattutto in Birmania, ma anche in Laos, Tailandia e Malesia. I bracconieri uccidono i pachidermi con arco e freccia intrise di pesticidi, provocando la morte dell’animale in tempi rapidi ma tra atroci sofferenze. E il commercio avviene anche online, senza nessun controllo

Il commercio illegale di pelle di elefante sta aumentando. Vertiginosamente. Nel rapporto Skinned: The growing appetite for Asian Elephants, frutto di anni di ricerche sul campo e contatti diretti con i trafficanti, l’ong inglese Elephant Family ha acceso i riflettori sul fenomeno, in costante crescita a partire dal 2010. E lo ha fatto alla vigilia della conferenza sui traffici illeciti di specie animali protette che si terrà a Londra la prima settimana di ottobre.

Teatro di questo traffico è soprattutto la giungla birmana, ma casi simili sono stati riportati anche in Laos, Tailandia e Malesia. La Birmania vanta la seconda più numerosa comunità di pachidermi asiatici dopo quella tailandese. Solo nell’ultimo anno nel triangolo d’oro, la zona di confine tra Laos e Tailandia, sono state ritrovate 59 carcasse di elefante, un numero che mette a rischio estinzione i circa 2000 esemplari rimasti in cattività in Birmania. Da lì i carichi entrano in Cina transitando per Mong La, piccola cittadina e ormai avamposto cinese in Birmania ed epicentro di attività illegali sulla via per Kunming.

Il traffico pelle di elefante è molto più insidioso di quello di avorio, questione a cui la Cina, dopo essere finita nell’occhio del ciclone, ha di recente cercato di porre rimedio. Solo gli esemplari maschi dell’elefante asiatico sono dotati di zanne quindi, benché grave, il danno è limitato e non ha conseguenze significative sulle comunità di elefanti che sono poligame. Il traffico di pelle invece non discrimina per sesso od età, mettendo egualmente in pericolo maschi, femmine e giovani esemplari e rappresentando “il modo più efficace per portare una specie all’estinzione nel più rapido tempo possibile”, come ha affermato il biologo dello Smithsonian Institute Peter Leimgruber. In più, causa delle severe leggi birmane sul possesso di armi da fuoco, i bracconieri uccidono i pachidermi con arco e freccia intrise di pesticidi, provocando la morte dell’animale in tempi rapidi ma tra atroci sofferenze.

Da sempre utilizzata nelle zone tribali del Sud est asiatico come unguento per curare l’eczema, la destinazione del traffico di pelle di elefante oggi è però un mercato ben più vasto e complesso, quello cinese. Nella medicina tradizionale la pelle di elefante è essiccata e ridotta in polvere come ingrediente per preparati contro i problemi di stomaco e della pelle. Ma viene anche impiegata nella fabbricazione di gioielli e oggettistica in generale: monili, suppellettili fino alla scoperta di gioielli fatti di perline di pelle di elefante dal caratteristico e ricercato colore rosso sangueper via dei vasi sanguigni presenti nello strato più superficiale dell’epidermide degli animali.

Un fenomeno quello del commercio di parti animali che si inscrive nella logica del wenwan, letteralmente “giocattoli di cultura”. Si tratta di un hobby con le caratteristiche ormai della sottoculturain Cina. Il possesso di oggetti rari, esotici, vietati e quindi costosi e di difficile reperibilità rimanda a un ideale di sofisticatezza e unicità nel gusto che molti nuovi ricchi perseguono. In questa logica, il prestigio dell’oggetto e la sua desiderabilità vanno di pari passo con le difficoltà nel procacciarselo. Il cultore del wenwan si riferisce alla triade “nero, rosso, bianco” per indicare: il ricercatissimo corno di rinoceronte, il becco rosso del bucero dall’elmo e il bianco dell’avorio degli elefanti come aspirazione massima.

Il commercio di pelle di elefante si nutre di sistemi di collusione interni al territorio birmanotrafficanti e guide conniventi e trova nelle piattaforme di e-commerce come Baidu  ma anche Amazon le vetrine ideali, senza l’ombra di un controllo.

Nel frattempo il WWF ha creato una squadra di ranger in grado di bloccare i bracconieri e il governo di Yangon, da anni sotto i riflettori internazionali per la questione della minoranza musulmana dei Rohingya e di recente per l’arresto dei giornalisti della Reuters, è stato ben contento di dare il proprio appoggio alla campagna, progettando un piano di intervento per la conservazione delle specie animali in pericolo da implementare quanto prima.

Di ChinaFiles per ilfattoquotidiano.it

 

tratto da: https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/10/09/cina-traffico-di-pelle-di-elefante-e-boom-il-modo-piu-rapido-per-estinguere-la-specie/4641584/

Alberto Angela commuove l’Italia: la puntata sull’Olocausto italiano al primo posto degli ascolti del sabato – C’è ancora speranza…

 

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Alberto Angela commuove l’Italia: la puntata sull’Olocausto italiano al primo posto degli ascolti del sabato

In occasione dell’anniversario del rastrellamento del ghetto ebraico di Roma, il divulgatore più amato d’Italia dedica la puntata di Ulisse all’Olocausto

La puntata di Ulisse-Il piacere della scoperta di sabato sera, dedicata agli orrori dell’Olocausto italiano, ha conquistato l’Italia: altissimi punti di share per seguire Alberto Angela nel ghetto ebraico di Roma, dove il 16 ottobre del 1943 avvenne l’odioso e infame rastrellamento nazi-fascista in cui 689 donne, 363 uomini e 207 bambini furono portati prima a Milano, su camion coperti da teli, e poi ad Auschwitz con i treni che partirono dal famigerato binario 21 della Stazione Centrale.

Ospite della puntata Liliana Segre, senatrice a vita e sopravvisuta ad Auschwitz, che era presente quella mattina del 16 ottobre. La sua testimonianza ha commosso il pubblico e sul web è esploso un tripudio di plausi alla trasmissione, molto pesante e strana per un sabato sera, ma che è stata in grado di conquistare lo share. Alberto Angela si conferma, come suo padre, il divulgatore più amato della televisione italiana e lui e la Rai sono, una volta tanto, da encomiare per aver portato, nella serata di solito dedicata ai divertimenti, un racconto così commovente su una delle pagine più atroci della storia italiana. Pagina che molti, anche qualcuno al governo, sembra aver dimenticato.

Le notizie che i Tg dimenticano di dare – La Nostra fantastica Nazionale di Basket composta da ragazzi con sindrome di Down vince l’oro agli Europei

 

sindrome di Down

 

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Un articolo pubblicato giusto un anno fa che ci fa piacere riproporvi…

Le notizie che i Tg dimenticano di dare – La Nostra fantastica Nazionale di Basket composta da ragazzi con sindrome di Down vince l’oro agli Europei

 

Basket: la Nazionale italiana sindrome di Down vince l’oro agli Europei

Primo storico oro per la rappresentativa azzurra nella storia di questa disciplina: a Vila Nova de Gaia, in Portogallo la squadra guidata da coach Giuliano Bufacchi si è imposta in finale sui padroni di casa. Altre quattro medaglie per la delegazione tricolore arrivano dal judo

C’è una nazionale italiana che vince nel basket, a livello internazionale. E’ quella composta dai ragazzi affetti da sindrome di Down, capace di mettere tutte in fila e conquistare l’oro – per la prima volta – nel campionato europeo, andato in scena a Vila Nova de Gaia, in Portogallo. La rappresentativa azzurra, guidata da Giuliano Bufacchi, in finale si è imposta per 26-8 sulla selezione lusitana, padrona di casa, in un match totalmente a senso unico: si tratta della prima medaglia d’oro per il team tricolore nella storia di questa disciplina. I protagonisti di questa impresa sono stati i sardi Antonello Spiga, Lorenzo Puliga e Fulvio Silesu da Oristano, Alessandro Ciceri da Cantù, il romano Emanuele Venuti e il pugliese Gianluca La Fornare da Martina Franca, con in panchina appunto il coach Giuliano Bufacchi e l’assistente Mauro Dessì.

CAPO DELEGAZIONE: “VITTORIA CHE DA’ IMPULSO AL MOVIMENTO” – “È  stata un’esperienza bella ed affascinante, con una squadra che si è dimostrata all’altezza della situazione in ogni situazione, in campo e fuori – il commento di Nelio Piermattei, capo delegazione azzurro a Vila Nova de Gaia – Le medaglie rappresentano la famosa ciliegina sulla torta e testimoniano un lavoro importante fatto a livello federale. Sono orgoglioso dei  nostri ragazzi e molto felice per il movimento cestistico italiano, con una vittoria che sicuramente dà nuovo impulso nell’ottica del potenziamento degli sport di squadra. Torniamo in Italia con grande felicità e con grande convinzione che il lavoro intrapreso sia corretto e che porterà risultati prestigiosi”.

PRESIDENTE BORZACCHINI: “LAVORO DI RILANCIO DEGLI SPORT DI SQUADRA” – Complimenti ai ragazzi della pallacanestro arrivano anche da Marco Borzacchini, presidente della Federazione Italiana Sport Disabilità Intellettiva Relazionale: “L’affermazione nel basket dimostra la chiara volontà della Federazione di rilanciare gli sport di squadra attraverso un lavoro che punta, negli anni, ad avere rappresentative importanti nella pallacanestro al pari del calcio. Prima la vittoria ai mondiali di futsal ed ora questa bella affermazione in un International Challenge, dimostrano la virtuosità di un percorso che è appena iniziato ma che, sono certo, porterà enormisoddisfazioni al movimento”.

ALTRE 4 MEDAGLIE AZZURRE IN PORTOGALLO DAL JUDO – Dalla Su-Ds International Championships in Portogallo, l’Italia, che era presente con la delegazione di basket ed una di judo, oltre all’oro della pallacanestro è riuscita a ottenere altre quattro medaglie: un altro oro nella categoria 81 Kg di Judo, argento e bronzo nella categoria 66 Kg e bronzo nella categoria 57 Kg donne.

 

 

tratto da: https://www.repubblica.it/sport/vari/2017/10/18/news/basket_la_nazionale_italiana_sindrome_di_down_sul_tetto_d_europa-178620761/

Il mitico discorso al Vescovo di Giobbe Covatta tratto da film Muzungu – Assolutamente da vedere, 4 minuti epici, energici, eloquenti e significativi…

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Il mitico discorso al Vescovo di Giobbe Covatta tratto da film Muzungu – Assolutamente da vedere, 4 minuti epici, energici, eloquenti e significativi…

Molto spesso anche le commedie, i film leggeri e per nulla impegnati, possono essere ben fatti e soprattutto far riflettere, molto.

E’ il caso di Muzungu – L’uomo bianco, un film del 1999 scritto, sceneggiato e interpretato da uno straordinario Giobbe Covatta.

Un film girato in una missione del Kenya, con una storia molto semplice. Il protagonista, Eduardo detto Dodo (interpretato appunto da Covatta), animatore di villaggi turistici oramai quarantenne, assieme ad un collega e ad una turista, a seguito di un incidente aereo si ritrova ad essere salvato da un prete missionario di uno sperduto villaggio del Kenya. Il gruppo finisce, forza maggiore, per passare molto tempo in questo luogo, assieme alla popolazione locale e ai volontari, in attesa dei soccorsi e a Dodo spetterà anche il compito di prendere il posto di padre Luca, malato, durante la visita del Vescovo (interpretato da Flavio Bucci).

Alla fine, deciderà di rimanere alla missione, per dare una mano.

Senza la pretesa di essere fonte di chissà quale morale, il film si pone l’obiettivo di raccontare un piccolo pezzo d’Africa e di mettere in risalto il travaglio interiore di Dodo, abituato alla spensieratezza e al puro divertimento di una esistenza vacanziera, di fronte “ai problemi” della vita. Non a caso, muzungu, significa in swahili più o meno “uomo confuso che gira intorno”, che ben inquadra la sensazione di trovarsi, alla soglia dei quaranta anni, a porsi, forse per la prima volta, qualche interrogativo sulla vita reale.

Nello stile di Giobbe Covatta, è significativo il suo discorso (postato di seguito) di fronte a Vescovo, quando egli iniziando in modo impacciato e formale,  finisce con un’arringa appassionata, che apparentemente è un pezzo comico ma, che in realtà nasconde, con notevole intensità, una triste presa d’atto della condizione di molti abitanti dell’Africa.

Guardatelo, perchè merita.

La saggezza dei Nativi Americani – Una leggenda Cherokee che ti fa capire come gestire la rabbia

 

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La saggezza dei Nativi Americani – Una leggenda Cherokee che ti fa capire come gestire la rabbia

Imparare a controllare l’ira non è facile, tanto meno usarla a nostro vantaggio per raggiungere i nostri obiettivi. Quando ci arrabbiamo si produce un sequestro emotivo in piena regola.

L’amigdala prende il sopravvento e smettiamo di pensare, le emozioni negative emergono e ci fanno dire o fare cose di cui ci pentiamo. Ambrose Bierce, uno scrittore americano, non poteva esprimerlo meglio quando disse: “Parla senza controllare l’ira e otterrai il miglior discorso di cui ti potrai pentire“.

Una storia troppo bella per essere vera

In Internet circola una vecchia leggenda Cherokee rispetto al controllo dell’ira. La versione più comune è questa:

Un vecchio indiano disse a suo nipote: “Mi sento come se avessi due lupi combattendo nel mio cuore. Uno dei due è un lupo arrabbiato, violento e vendicativo. L’altro è pieno di amore e compassione“.
Il nipote gli chiede: “Nonno, dimmi quale dei due vincerà?”
Il nonno rispose: “Quello che alimenterai …

Ad ogni modo, nella realtà è quasi impossibile eliminare l’ira che abbiamo dentro, anche senza alimentarla! Ad esempio, a volte le ingiustizie ci fanno arrabbiare, siamo così in sintonia con il dolore degli altri che proviamo rabbia. È perfettamente comprensibile. Tuttavia, per molti anni la società ci ha incoraggiato a nascondere le emozioni negative e vergognarci di provarle, ma in realtà il nostro obiettivo non dovrebbe essere quello di eliminare o sopprimere la rabbia ma imparare a controllarla ed esprimerla in modo più assertivo.

A questo punto vorrei condividere con voi una versione più profonda e con maggiori implicazioni pratiche dell’antica antica leggenda Cherokee.

La leggenda dei due lupi

Un giorno un vecchio Cherokee pensò che era giunto il momento di trasmettere una lezione di vita a suo nipote. Gli chiese di accompagnarlo nella foresta e, dopo essersi seduti sotto un grande albero cominciò a parlargli della lotta in corso nel cuore di ogni persona:

Caro nipote, sappi che nella mente e nel cuore di ogni essere umano c’è una lotta perenne. Se non la conosci, prima o poi ti spaventerà e ti ritroverai in balia delle circostanze. Questa battaglia esiste anche nel cuore di una persona anziana e saggia come me.

Nel mio cuore convivono due enormi lupi, uno bianco e l’altro nero. Il lupo bianco è buono, dolce e amorevole, ama l’armonia e combatte solo quando deve proteggere o difendere chi ama. Il lupo nero, al contrario, è violento e perennemente arrabbiato. Il minimo contrattempo scatena la sua rabbia in modo tale che combatte continuamente senza ragione. La sua mente è piena d’odio, ma la sua rabbia è inutile perché gli provoca solo dei problemi. Ogni giorno, questi due lupi combattono tra di loro nel mio cuore“.

Il nipote chiese al nonno: “Alla fine, quale dei due lupi vince?

Il vecchio rispose: “Entrambi, perché se io alimentassi solo il lupo bianco, il nero si nasconderebbe nel buio aspettando che mi distragga e ne approfitterebbe per attaccare il lupo buono. Al contrario, se gli presto attenzione e cerco di comprendere la loro natura, posso usare la loro forza quando ne ho bisogno. Così, entrambi i lupi possono convivere in armonia.

Il nipote era confuso: “Come è possibile che vincano entrambi?”

Il vecchio Cherokee sorrise e disse: “Il lupo nero ha delle qualità di cui possiamo avere bisogno in determinate situazioni, non ha paura ed è determinato, è anche furbo e i suoi sensi sono particolarmente acuti. I suoi occhi abituati all’oscurità possono avvisarci per tempo del pericolo e salvarci.

Se nutro entrambi, non dovranno combattere ferocemente tra di loro per conquistare la mia mente, così potrò scegliere di volta in volta a quale di loro ricorrere”.

Come controllare la rabbia nella vita quotidiana?

Questa antica leggenda ci dà una lezione preziosa: la rabbia repressa è come un lupo affamato, molto pericoloso. Se non riusciamo a controllarla può prendere il controllo in qualsiasi momento. Pertanto, non dobbiamo cercare di nascondere o sopprimere i sentimenti negativi, ma dobbiamo imparare a capirli e re-indirizzarli. Come farlo?

1. Osservando come la rabbia fluisce

Quando si appoggia un dito sul foro di salita dell’acqua si ottiene un getto più potente che potremo utilizzare a piacimento, ma se si fa troppa pressione o si ostacola l’acqua chiudendo eccessivamente il tubo, allora l’acqua si espanderà in tutte le direzioni e ne perderemo il controllo.

Lo stesso vale quando si tenta di reprimere o nascondere la rabbia, ad un certo punto non sarà più possibile controllare le conseguenze. Qual è la soluzione? Togliere il dito dal rubinetto, lasciare che la rabbia fluisca e osservarla come se fossi un’altra persona. Cercate un posto tranquillo dove potrete sfogarvi liberando la vostra rabbia senza danneggiare nessuno, compresa la vostra persona.

2. Mettendo la situazione in prospettiva

La rabbia ha il potere di influenzare il valore delle cose, quando siamo arrabbiati gli eventi banali vengono ingranditi e ci fanno arrabbiare ancor di più. Quando proviamo rabbia perdiamo la giusta prospettiva e diventiamo persone più egoiste, e questo influenza profondamente chi ci sta accanto.

Così la prossima volta che vi arrabbiate, chiedetevi che cosa vi sta facendo arrabbiare, sarà ancora così importante nei prossimi 5 anni? È una domanda semplice che vi aiuterà a riconsiderare la situazione adottando una prospettiva più razionale. Interrogatevi sull’influenza che quel fattore scatenante avrà sul lungo termine.

3. Comprendendo l’origine della rabbia per usarla a proprio vantaggio

La scrittura ha un potere terapeutico così che possiamo utilizzarla anche per imparare a controllare la rabbia. Prendete carta e penna e rispondere a queste tre domande:

1. Chi o cosa vi sta facendo arrabbiare?
2. Perché quella persona/situazione vi rende nervosi?
3. Come potete usare l’ira a vostro vantaggio?

Non dimenticate che esiste anche l’aggressività positiva. Ad esempio, se vi sentite arrabbiati potrebbe essere il momento ideale per praticare dello sport, per prendere “di petto” una mansione che state procrastinando da molto tempo… così non solo vi rilasserete ma probabilmente miglioreranno anche le vostre prestazioni.

Ricordate, la rabbia non è altro che energia così che potrete utilizzarla a vostro vantaggio canalizzandola in un’attività che sia per voi vantaggiosa.

 

fonte: https://psicoadvisor.com/come-imparare-a-gestire-la-rabbia-388.html

Chi è Nadia Murad, premio Nobel per la Pace 2018 insieme a Denis Mukwege – La Yazida, fatta schiava dall’Isis e sottoposta a ogni tipo di abuso, che oggi lotta per i diritti umani e contro ogni forma di oppressione

 

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Chi è Nadia Murad, premio Nobel per la Pace 2018 insieme a Denis Mukwege – La Yazida, fatta schiava dall’Isis e sottoposta a ogni tipo di abuso, che oggi lotta per i diritti umani e contro ogni forma di oppressione

 

Il 5 ottobre 2018 a Oslo è stato assegnato il Premio Nobel per la Pace 2018. Ad aggiudicarselo quest’anno sono stati Denis Mukwege e Nadia Murad per i loro sforzi nel porre fine all’uso della violenza sessuale come arma di guerra.

Nadia Murad è una delle circa 3.000 ragazze e donne yazide che sono state vittime di stupri e altri abusi dai miliziani Isis. Gli abusi erano sistematici e facevano parte di una strategia militare.

Denis Mukwege è colui che ha ripetutamente condannato l’impunità per lo stupro di massa e ha criticato il governo congolese e altri paesi per non aver fatto abbastanza per fermare l’uso della violenza sessuale contro le donne come strategia e arma di guerra.

Nadia Murad

Il Nobel è un ulteriore importante riconoscimento della comunità internazionale alla ragazza irachena 25enne appartenente alla minoranza yazida, che ha sperimentato in prima persona le violenze e gli abusi perpetrati dall’Isis.

Murad, insieme ad altre cinquemila tra donne e bambine, era diventata una schiava, comprata e venduta più volte dai combattenti del sedicente Stato islamico, e aveva subito ogni tipo di abuso fisico, sessuale e psicologico prima di riuscire a scappare nel novembre del 2014.

Dopo la fuga era diventata il volto della campagna per liberare il popolo yazida dalla brutale prigionia nelle mani dell’Isis. Le Nazioni Unite stimano che circa 3.500 persone, soprattutto donne e bambini, si trovino ancora in stato di schiavitù in Iraq.

Definendo la tragedia che ha colpito il popolo yazida un genocidio, ha inoltre denunciato la sostanziale indifferenza del “mondo libero” di fronte a queste atrocità.

La sua storia

Nadia aveva 19 anni quando fu catturata dai miliziani dell’Isis nel 2014. Venne sottoposta ad abusi sessuali, dopo essere stata venduta come schiava sessuale innumerevoli volte. Dopo mesi di torture fisiche e psicologiche, la giovane yazida è riuscita a fuggire e salvarsi.

Insieme alla sua famiglia, Nadia viveva nel villaggio di Sinjar, nell’Iraq nord occidentale. Aveva una vita semplice, come lei stessa ha raccontato al Time, che l’ha nominata fra le 100 persone più influenti del mondo. “Ero la più piccola di tanti fratelli, ma sono stata più fortunata di loro, perché ero riuscita ad andare a scuola, a studiare e mi stavo preparando per superare dei corsi di scuola superiore. Sognavo di fare l’insegnante di storia o di lavorare in un salone di bellezza, come estetista”.

La sua vita procedeva regolarmente tra casa e scuola, fino al 15 agosto del 2014 quando l’Isis arrivò nel suo villaggio portandosi dietro una scia di sangue e di massacri indiscriminati.

Quel giorno 700 fra uomini e donne vennero rapiti, trascinati verso la periferia del villaggio e uccisi. Tra le vittime anche sei dei suo fratelli. Ma la mattanza non era finita. I miliziani tornarono e rapirono con la forza sessanta donne, tra cui la madre di Nadia, poi massacrate perché ritenute troppo vecchie per essere schiavizzate.

 

“Non avevo certezza che gran parte della mia famiglia fosse stata uccisa, fino a quando non lontano da qui non sono state trovate delle fosse comuni. Diciotto persone, tra cui sei fratelli, mia madre, le mogli dei miei fratelli e i miei nipoti, sono state rinvenute lì dentro”, ha raccontato ancora Nadia.

Anche lei non è stata fortunata. Fu rapita insieme ad altre 150 ragazze di età compresa fra i 9 e i 28 anni, a Mosul, e venne rinchiusa all’interno di veri e propri centri di distribuzione, dove i miliziani dell’Isis costringevano le donne a vivere e dove queste ultime venivano usate e sfruttate come schiave sessuali.

“Ci usavano per tutto il tempo che volevano, poi una volta finito ci riportavano al centro. Io sono riuscita a fuggire, a differenza di tante altre ragazze meno fortunate. Dopo essere scappata via, ho vissuto per circa un anno all’interno di un campo profughi in Iraq, poi sono riuscita a emigrare in Germania grazie al sostegno di un’associazione che fornisce aiuto e supporto alle vittime sopravvissute dell’Isis”, ha sottolineato la giovane donna.

Grazie all’organizzazione Yazda, nel dicembre del 2015 Nadia ha trovato il coraggio di portare alla luce e all’attenzione della comunità internazionale i crimini commessi dai miliziani dell’Isis ai danni della minoranza curda degli yazidi.

Attraverso il sostegno dell’associazione, la giovane è riuscita a parlare davanti al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, con lo scopo di sensibilizzare la comunità e i media su quello che è stato definito un “genocidio” compiuto ai danni di un popolo.

“Più di 6500 tra donne e bambini sono stati costretti a vivere sotto le continue minacce degli uomini del Califfato, mentre 1200 bambini maschi sono stati strappati alle loro famiglie e addestrati come futuri jihadisti. Tra questi c’è anche mio nipote Malik”, ha raccontato tra le lacrime la giovane sopravvissuta.

Denis Mukwege

Denis Mukwege è un medico e attivista congolese, della Repubblica Democratica del Congo. Specializzato in ginecologia e ostetricia, ha fondato nel 1998 il Panzi Hospital, ospedale in cui è diventato il massimo esperto mondiale nella cura di danni fisici interni causati da stupro. Nel 2014 era stato insignito dal Parlamento europeo con il Premio Sakharov per la libertà di pensiero.

Mukwege è diventato un punto di riferimento, non solo nel Congo ma per tutta la comunità internazionale, per l’assistenza e l’aiuto delle persone che hanno subito violenze sessuali in guerra e nei conflitti armati. In più di un’intervista, il medico e attivista ha detto che “la giustizia è un affare di tutti” e per questo tutti, a qualsiasi costo, hanno il dovere di denunciare i casi di violenze.

Dura la posizione di Mukwege nei confronti del governo congolese. Il medico ha più volte puntato il dito contro il governo accusandolo di non avere fatto abbastanza per porre un freno alla piaga delle violenze sessuali. Accusa che Mukwege ha esteso ad altri governi in giro per il mondo.

fonte:  https://www.tpi.it/2018/10/06/denis-mukwege-nadia-murad-nobel-pace-2018/

Le notizie che fanno bene al cuore – Chirurgo opera l’orsacchiotto del suo paziente di 8 anni: “Potevo mai dire di no…?”

 

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Le notizie che fanno bene al cuore – Chirurgo opera l’orsacchiotto del suo paziente di 8 anni: “Potevo mai dire di no…?”

 

Un chirurgo ha operato l’orsacchiotto del suo paziente di 8 anni: “Potevo dire di no?”

Little Baby sta bene. Così come il suo migliore amico umano Jackson, che ha avanzato l’inusuale richiesta prima di iniziare una delicata operazione

Puoi anche avere dieci lauree, ma se un bambino ti chiede di operare il suo orsacchiotto strappato non ti puoi rifiutare. È quello che ha pensato Daniel McNeely, neurochirurgo pediatrico di Halifa, Canada, quando uno dei suoi piccoli pazienti gli ha rivolto l’inusuale preghiera pochi istanti prima di essere addormentato dall’anestesia.

“Come potevo dire di no”, ha scritto McNeely su Twitter, dove ha pubblicato anche le foto della ‘complicata operazione’. Così, dopo aver creato un piccolo tavolo operatorio, il chirurgo ha individuato la ‘ferita’, ha posizionato la maschera per l’ossigeno e ha iniziato la procedura.

 A mettere alla prova il medico è stato un bimbo di otto anni, Jackson Mckie, che si trovava all’IWk Health Center di Halifax per un’operazione legata alla patologia di cui soffre da quando è nato: l’idrocefalo.
Su Twitter le foto pubblicate hanno ricevuto oltre 30mila reazioni, tra retweet e like. E dopo essere rimbalzata da un profilo all’altro, la storia di questo piccolo, grande gesto d’affetto ora sta facendo il giro dei media canadesi e delle testate internazionali.

Alla stampa la famiglia ha detto di essere grata al dottore. McNeely è riuscito a far sentire il bimbo a suo agio anche in una sala operatoria.

“Era così felice – ha detto il padre di Jackson, Rick Mckie, alla Cbc -. Per lui quell’orsacchiotto, che chiama Little Baby, è il suo migliore amico”.

È sempre il papà a spiegare le origini di Little Baby: “Ci fu regalato quando ritirammo l’ecografia che avrebbe svelato il sesso del nostro bambino”. Donato poi dai genitori a Jackson, il piccolo non se ne è più voluto separare. Per loro questa è stata un’altra avventura condivisa insieme. E ora, sempre insieme, affrontano anche la convalescenza.
fonte: https://www.tpi.it/2018/10/06/chirurgo-opera-orsacchiotto/