Buon compleanno Franca Viola – Oggi, il 9 gennaio 1948, nasceva la ragazza che 50 anni fa rivoluzionò la nostra società da medioevo col suo no alle nozze riparatrici

 

Franca Viola

 

 

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Buon compleanno Franca Viola – Oggi, il 9 gennaio 1948, nasceva la ragazza che 50 anni fa rivoluzionò la nostra società da medioevo col suo no alle nozze riparatrici

Franca Viola – “Io, che 50 anni fa ho fatto la storia con il mio no alle nozze riparatrici”

Franca Viola.
Nel ’67 rifiutò di sposare l’uomo che l’aveva violentata. Il suo coraggio cambiò il codice penale. “Mai avere paura di lottare”.
È di nuovo Natale a casa Viola. In sala da pranzo finiscono il dolce e i racconti il marito, Giuseppe, i due figli, Sergio e Mauro, le nuore. L’unica nipote, tredici anni, è appena uscita per raggiungere gli amici. Una ragazzina bellissima, Sonia: bruna e bianca come sua nonna Franca. «Ha visto com’è cresciuta? Mi ricordo che dieci anni fa, quando lei signora venne a trovarmi, mi trovò che pulivo le scale, di fuori, e quando la feci entrare in soggiorno c’era il triciclo della bambina e i suoi giocattoli a terra. Che vergogna questo disordine, pensai. Ancora me ne dispiaccio. Lei è l’unica giornalista che ho fatto entrare in casa mia, lo sa? Non lo so perché: certe volte è una parola, uno sguardo. Una cosa piccola, è quella che cambia».
Non c’era nessun disordine signora Franca, solo il triciclo di una bambina. «Sonia adesso ha la stessa età di quando mi sono promessa a suo nonno Giuseppe. La vita è un lungo attimo. Mi somiglia moltissimo: quando a scuola hanno chiesto le foto dei nonni le ho dato la mia alla prima comunione e la maestra ha detto ‘Sonia, avevo chiesto la foto di tua nonna non la tua’. Ma questa è mia nonna, è Franca Viola… Mi rende così felice che sia orgogliosa di sua nonna. Certo che la sa la storia, sì, gliel’ho raccontata io ma non ce ne sarebbe stato bisogno. Sta su Internet, mi cerca lei tutte le notizie. Io non so usare il computer, neppure riesco a vedere i messaggi nel telefono. Però c’è lei che fa tutto. Le ho solo detto, in più: l’importante Sonia è che tu faccia quello che ti dice il cuore, sempre.
Poi certo, bisogna che le persone che ti amano ti aiutino e non ti ostacolino, come è successo a me con mio padre e mia madre. Ma lo sa che sono passati cinquant’anni dal fatto?». Il fatto, lo ha sempre chiamato. «Chi se lo poteva immaginare che sarebbe stata una vita così». Così come?
«Così bella. Perché poi la storia grande nella vita delle persone è una storia piccola. Un gesto, una scelta naturale. Io per tantissimi anni non mi sono resa conto di quello che mi era successo. Quando mi volle vedere il Papa, il giorno del mio matrimonio, chiesi a mio marito: ma come fa il Papa a sapere la nostra storia, Giuseppe? ».
«Per me la mia vita è stata la mia famiglia. Stamattina sono andata a trovare mia madre, che vive qui accanto, da sola.
Ha 92 anni, è lucidissima. Per prima cosa mi ha detto: Franca, ti ricordi che giorno è oggi? È il 26 mamma, sì. Per lei il 26 dicembre è il giorno del mio rapimento e il giorno della morte di mio padre. Lo sa che mio padre è morto 18 anni dopo il mio rapimento, lo stesso giorno alla stessa ora?
È stato in coma tre giorni, io pensavo: vuoi vedere che aspetta la stessa ora.
E infatti: è morto alle nove del mattino, l’ora in cui entrarono a casa a prendermi. Ha aspettato, voleva dirmi: vai avanti».
Cinquant’anni fa, alle nove del mattino, Franca aveva 17 anni e 11 mesi. Era la ragazza più bella di Alcamo, figlia di contadini. Filippo Melodia, nipote di un boss, la voleva per sé. Lei si era promessa a Giuseppe Ruisi, un coetaneo amico di famiglia. Melodia e altri dodici della sua banda bussarono alla porta e rapirono lei e il fratello Mariano, 8 anni. Li portarono in un casolare in campagna. Dopo due giorni lasciarono andare il bambino, dopo sei portarono Franca a casa della sorella di Melodia, in paese. La legge diceva, allora, all’articolo 544 del codice penale, che il matrimonio avrebbe estinto il reato di sequestro di persona e violenza carnale. Reato estinto per la legge, onore riparato per la società. Doveva sposare Melodia, insomma: era scritto. Ma Franca non volle. Fu la prima donna in Italia – in Sicilia – a dire di no alla “paciata”, la pacificazione fra famiglie, e al matrimonio riparatore. Ci fu un processo, lungo, a Trapani. Lei lo affrontò. Un grande giudice, Giovanni Albeggiani. I sequestratori furono tutti condannati. Melodia è morto, ucciso da ignoti con un colpo di lupara, molti anni dopo. Gli altri sono ancora lì, in paese. «Quando li incontro per strada, capita, abbassano lo sguardo. Non fu difficile decidere. Mio padre Bernardo venne a prendermi con la barba lunga di una settimana: non potevo radermi se non c’eri tu, mi disse. Cosa vuoi fare, Franca. Non voglio sposarlo. Va bene: tu metti una mano io ne metto cento. Questa frase mi disse. Basta che tu sia felice, non mi interessa altro. Mi riportò a casa e la fatica grande l’ha fatta lui, non io. È stato lui a sopportare che nessuno lo salutasse più, che gli amici suoi sparissero. La vergogna, il disonore. Lui a testa alta. Voleva solo il bene per me. È per questo che quando ho letto quel libro sulla mia storia, “Niente ci fu”, mi sono tanto arrabbiata. Non è quella la mia storia, per niente. Mio padre non era un padre padrone: era un uomo buono e generoso. Lo scriva ».
Lo scrivo. «Perché poi vede, il Signore mi ha dato una grazia grande: non ho mai avuto paura di nessuno. Non ho paura e non provo risentimento». Intende risentimento per chi la rapì? «Né per loro nè per nessun altro dopo. Sono stati molti altri i dolori della vita, ma di più sono state le gioie. Ho un marito meraviglioso. Nei giorni del processo e anche dopo mi arrivarono tante proposte di matrimonio, per lettera. Giuseppe però mi aveva aspettata. Io non volevo più maritarmi, dopo. Gli dicevo: sarà durissima per te. Ma lui mi ha detto non esistono altre donne per me, Franca. Esisti tu. Sono arrivati i figli, mio padre ha fatto in tempo a vederli e vedermi felice. Poi c’è stata la malattia di Sergio: temevo che morisse. Quando nel 2014 il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha voluto darmi il titolo di Grande ufficiale ho pensato ecco, una persona ora la conosco. E ho chiesto aiuto per curare Sergio. Ma non è servito a niente. Mi hanno dato il numero di un medico, dal Quirinale, poi questo medico non rispondeva e quando sono andata a Roma con mio figlio, ad agosto, mi hanno detto che era in ferie. Ho lasciato stare e ho fatto da sola. Un difetto si ce l’ho: l’orgoglio. Il Signore spero mi perdoni».
Il 9 gennaio Franca Viola compirà 69 anni. Nella sua vita ha visto abolire la norma del codice penale sul matrimonio riparatore. Ha visto nel 1996, solo 20 anni fa, la legge che fa dello stupro un reato contro la persona e non contro la morale. Si è vista riprodotta in foto, con grande incredulità, sui libri di scuola. «Il primo è stato Sergio. Era alle medie, mi ha detto: mamma sul mio libro c’è una tua foto da ragazza. Come mai? Gli ho raccontato. Un poco, certo, non tutto. Certe cose non si possono raccontare. Ma altre sì: che ciascuno è libero fino all’ultimo secondo, che tutto quello che dipende da te è nelle tue mani. Questo ho potuto spiegare ai miei figli e adesso a mia nipote. Sonia è una ragazzina del suo tempo. Vorrebbe fare l’attrice, mi fa sorridere: mi dice nonna, ma tu non conosci nessuno che mi possa insegnare a recitare? Le dico amore mio, impara da sola. Ciascuno si fa con le sue mani. I fatti grandi della vita, glielo ripeto sempre, mentre accadono sono fatti piccoli. Bisogna decidere quello che è giusto, non quello che conviene».

(Concita De Gregorio)

da La Repubblica del 27/12/2015.

Dopo Davide Astori e Fabrizio Frizzi, se ne va anche Emiliano Mondonico… Ma com’è che, con tutta la feccia che c’è sulla Terra, sono sempre le persone perbene che se ne vanno troppo presto?

 

Emiliano Mondonico

 

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Dopo Davide Astori e Fabrizio Frizzi, se ne va anche Emiliano Mondonico… Ma com’è che, con tutta la feccia che c’è sulla Terra, sono sempre le persone perbene che se ne vanno troppo presto?

 

Dopo Davide Astori e Fabrizio Frizzi, su cui in questi giorni le lodi (tutte più che giustificate) si sono sprecate se ne va ora Emiliano Mondonico. Un grande allenatore ed un grande uomo.

Ricordiamo solo che il “sogno” di Diego Armando Maradona era quello di essere allenato proprio da Mondonico…

Ma la nostra amara riflessione è un’altra…

Ci avete fatto caso come sono sempre le persone perbene che se ne vanno troppo presto?

Ripenso solo ai criminali nazisti morti ultranovantenni… E i politici? Com’è che di politici scomparsi prematuramente se ne ha solo qualche rarissima notizia?

Che il buon Dio non li voglia tra le palle è fuor di dubbio, ma…

È troppo chiedergli di lasciarci un po’ di più con noi esempi di onestà, professionalità, umanità come questi “ragazzi” che ci hanno appena lasciato?

In attesa di risposta salutiamo calorosamente Davide, Fabrizio e Emiliano… Persone perbene.

 

Profondo spessore umano, Emiliano Mondonico volle allenare i ragazzi rimasti senza contratto, per aiutarli a trovare una squadra. Guidò anche gli ex tossicodipendenti e gli ex alcolisti.

Aveva già lottato e vinto contro la malattia (la “bestia”, come la chiamava lui) quando decise di tornare ad allenare.

Lo fece con una squadra diversa dal solito, quella dei calciatori disoccupati dell’Equipe Lombardia. Siamo nell’estate del 2014 ed Emiliano Mondonico ha 67 anni. Guida i ragazzi senza contratto e, con la sua squadra improvvisata, affronta alcune amichevoli importanti, contro AlbinoLeffe, Monza, Como, Renate e Caronnese. L’obiettivo non è spaccare il mondo e vincere chissà quale campionato. Vuole dare una possibilità ai tanti calciatori, ancora fisicamente validi e pieni di speranze, rimasti senza squadra. Un gesto nobile quello di Mondonico, che in passato ha allenato fior di squadre (Atalanta, Torino, Napoli e Fiorentina).

In un’intervista al quotidiano il Giorno spiegò così la sua filofosia: “È diverso allenare una squadra per vincere e guidarla con l’obiettivo di metterla solo in mostra. Schiero i giocatori nel ruolo che li mette in maggior evidenza, indipendentemente dal gioco. Non conta il risultato, non si gioca per vincere, ma solo per fare bella figura”. E ancora: “Non è giusto che ragazzi così giovani smettano di sognare. Gli dico sempre di continuare a lottare, di diventare giudici del proprio destino. È un insegnamento per tutti. Anche per gli avversari che ci hanno affrontato sempre con tanto rispetto. Negli anni passati questa squadra è stata sottavalutata anche umanamente. Ora non è più così, ci hanno trattato con i guanti”.

Non è, questo, l’unico esempio di amore verso gli altri, quelli rimasti indietro, da parte di Mondonico. All’inizio di quest’anno aveva spiegato il suo nuovo progetto: usare il pallone come terapia contro le dipendenze. Si dedicava agli ex tosicodipendenti e agli ex alcolisti all’ospedale di Rivolta d’Adda, il suo paese natale. “Non si riesce a esprimere la soddisfazione che provo a seguire questi ragazzi – raccontò –. Ho messo a disposizione tutta la mia esperienza. Insegno le regole e a rispettarle, ma soprattutto a fare gruppo: non è fondamentale solo fare gol. Superare la solitudine e avere rispetto per sé, i compagni e gli avversari”.

Il rispetto, le regole (fondamentali da seguire), le difficoltà da superare insieme, l’avversario (non un nemico) da rispettare. Allenamenti due volte a settimana nel campo dell’oratorio. E organico che ruota ogni tot mesi, per dare spazio a più persone possibile. La lezione di Mondonico era fondamentalmente questa: dedicarsi a questi ragazzi con la stessa cura che aveva usato coi professionisti della serie A. Per Mondonico il calcio era soprattutto amore. Per la vita.

tratto da: http://www.ilgiornale.it/news/sport/mondonico-allen-anche-i-disoccupati-ex-drogati-e-alcolisti-1510327.html

L’umanità che finisce nei cassonetti

 

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L’umanità che finisce nei cassonetti

A scuola ci sono bambini che rimangono indietro, potremmo buttarli in un cassonetto, così, gli altri possono andare avanti. Oppure quelli con il buco nelle magliette e i pantaloni rotti. O quegli alunni a cui a mensa diamo doppia razione perché sappiamo che la sera non mangeranno.Potremmo buttare i vecchi, quelli che rendono la nostra società improduttiva. O i malati. Un peso per la società. O gli stranieri, tutti quanti, intanto sono rifiuti. E nessuno li vuole vedere in giro, mentre cercano cibo o vestiti. Disturbano le Signore e i Signori mentre portano a spasso il loro cane.

Potremmo buttare nel cassonetto, anche il corpo di Beauty, la madre nigeriana, che ha salvato suo figlio (leggi anche Beauty, il suo destino è il nostro di Andrea Segre). Anzi, buttiamo anche lui, intanto qui non c’è posto. Che poi, magari da grande, prova ad attraversare il confine, o si spiaggia a Ventimiglia e sono grane. Già che ci siamo potremmo buttare nei cassonetti tutti i disabili. Se non vincono medaglie, a cosa servono?

Un cassonetto per ogni disturbo. Ogni mancanza. Ogni cosa che ci turba, turba la nostra ricca normalità. Al Nord si potrebbero buttare nei cassonetti tutti quelli del Sud, i terroni. E quelli del Sud potrebbero buttare nei cassonetti quelli ancora più a Sud. Quelli sui barconi, ad esempio. Ah, no! Quelli li buttiamo già in mare. Comunque c’è sempre qualcuno che sta più a sud di qualche d’un altro. Il che mi tranquillizza.

I cassonetti sono una buona soluzione per la nostra società. Non so perché non ci abbiano pensato prima! Un’intuizione, gli altri comuni potrebbero prenderci a esempio, che a veder rovistare i poveri non se ne poteva davvero più.

Ora i cassonetti sono pieni, nessuno rovista, che se non la vediamo la povertà, possiamo pensare che non ci sia. Possiamo pensare che sia un problema che non ci tocchi. Lontano. Molto lontano.

Così come la disabilità e magari chiudere i consultori, intanto ci sono i cassonetti!

Il problema è che dentro ai cassonetti, insieme alla spazzatura e ai rifiuti, c’è finita l’unica cosa che ci rende persone, l’unica cosa che dovremmo difendere. La nostra umanità.

C’è un punto oltre il quale non possiamo andare. Oltre il quale non siamo più persone ma qualcos’altro.

A Genova c’è stata un ordinanza del sindaco che sanziona con una multa da duecento euro chi rovista nei cassonetti. La povertà non è un crimine. Io so da che parte voglio stare, spero lo sappiate anche voi.

 

di Penny*

* Insegnante e madre di due ragazze adolescenti. Sul sul suo blog sosdonne.com (dove questo articolo è apparso con il titolo completo Quando la povertà è dei bambini. Voi che parlate di meritocrazia, sciacquatevi la bocca) dice di scrivere “per necessità” e che la sua ragazza quindicenne fa i disegni (davvero belli, come quello di questo articolo). Ha autorizzato con piacere Comune a pubblicare i suoi articoli e ha aderito alla campagna Un mondo nuovo comincia da qui scrivendo:

Se c’è una libertà che abbiamo ancora, è quella di poter utilizzare le parole. Le parole sono potenti. Hanno la presunzione di cambiare le cose. Distruggere muri e creare ponti. Comunedona una possibilità alle parole, come quella di avvicinarsi alla verità, anche se scomoda. E lo fa nell’unico modo possibile, mettendo insieme e interrogandosi. Noi possiamo esserci. E farlo insieme in un progetto che unisce. Dicendo no a una società che divide. Penny

fonte: https://comune-info.net/2018/03/lumanita-finisce-nei-cassonetti/

Pierre Rabhi – L’uomo che sussurrava ai campi

Pierre Rabhi

 

 

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Pierre Rabhi – L’uomo che sussurrava ai campi

L’Ardèche è una delle regioni più povere della Francia, sul bordo orientale del Massiccio Centrale. Altopiani verdeggianti si alternano a gole rocciose, gli inverni sono rigidi e nevosi, i venti violenti, i suoli calcarei e aridi.

È qui che si è stabilito nel 1961 Pierre Rabhi, algerino, nato in un’oasi del Sahara ma cresciuto nella città di Orano. Immigrato a Parigi negli anni Cinquanta, dopo una breve esperienza in fabbrica durante la quale conosce la donna che sarà la sua compagna di vita, si trasferisce con lei a Montchamp, un luogo aspro e duro in cima alla montagna, senza acqua corrente né elettricità. Qui la coppia inizia ad allevare capre praticando la biodinamica e a partire dal ’68 attira altri giovani in fuga dal modello urbano e capitalista.

Pierre Rabhi, partendo dalla sua quotidiana esperienza di contadino, è diventato negli anni un maestro di vita e di spiritualità, ma – ciò che più conta – è stato l’inventore dell’agroecologia.

Secondo quanto lui stesso racconta, tutto inizia dalla presa d’atto che l’agricoltura biologicanon è sufficiente in contesti particolarmente difficili. Quando la terra manca di fertilità o è devastata dalla siccità, bisogna ristabilire l’equilibrio tra i vari elementi naturali piantando molti alberi, imparando a gestire e conservare l’acqua, usando tecniche diverse per riparare i danni subiti dall’ambiente.

È un metodo di coltivazione ma anche una chiave di lettura; applica i principi ecologici alla produzione di alimenti, capovolge il sistema dell’agrobusiness, si prende cura delle risorse naturali e valorizza la biodiversità: ci offre delle buone pratiche.

Il suo valore aggiunto è l’aspetto politico, il fatto che si pone l’obiettivo di sfamare i poveri e si basa sulle conoscenze di chi lavora i campi, di chi con il 20 per cento dei terreni produce l’89 per cento del cibo che mangiamo. Quando, qualche anno fa, ho incontrato Pierre Rabhi, c’è stata un’immediata intesa sulla necessità di restituire la giusta dignità ai contadini e sul ruolo che l’agroecologia può avere nel promuovere una loro presa di coscienza.

Pierre si autodefiniva un agroecologo perché questo termine mette fine a tutte le questioni riguardo a chi è certificato “biologico” e chi no: «L’agroecologia non deve rispondere a nessuna regola predefinita. Quello che importa è cosa è utile all’equilibrio ecologico e a un’agricoltura realmente sostenibile» mi disse. «Ovviamente si tratta di pratiche biologiche o biodinamiche, ma queste definizioni diventano etichette poco importanti rispetto al risultato: produrre cibo sano e preservare le risorse naturali».

Rabhi, che compie quest’anno 80 anni, ha dedicato la vita alla diffusione della sua concreta filosofia: ha insegnato presso il Centre d’étude et de formation rurales appliquées (Cefra) e ha portato la sua esperienza anche in Burkina Faso, Camerun, Mali, Niger, Senegal, Tunisia.

È riconosciuto quale esperto internazionale per la sicurezza alimentare e la lotta alla desertificazione, definita come tutto ciò che minaccia l’integrità e la vitalità della biosfera, e le sue conseguenze per gli esseri umani: in questa veste, è protagonista di programmi su scala mondiale e sotto l’egida delle Nazioni Unite.

Ha scritto numerosi libri e fondato l’associazione Terre & Humanisme, per diffondere la sua interpretazione spirituale del coltivare: «Posso spiegarvi come fare affinché la terra riesca a creare energia per la vita, ma non il perché ci riesce. C’è un momento in cui la razionalità non può più darci risposte. La razionalità ha un limite, l’orto è un universo illimitato».

 

Carlo Petrini

da La Repubblica del 15 marzo 2018

 

Lele Joker, un piccolo eroe sorridente, nonostante tutto – La storia del piccolo youtuber italiano gravemente ammalato che sta conquistando il web con la sua semplicità i suoi sorrisi e la sua forza.

 

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Lele Joker, un piccolo eroe sorridente, nonostante tutto – La storia del piccolo youtuber italiano gravemente ammalato che sta conquistando il web con la sua semplicità i suoi sorrisi e la sua forza.

La storia dello youtuber Lele Joker, un piccolo eroe

Lele Joker è lo youtuber di 9 anni affetto da neuroblastoma che sta conquistando il web con la sua semplicità e la forza dei suoi video

Un nome d’arte molto particolare – Lele Joker – e una simpatia che ha conquistato il web. Gabriele ha 9 anni, vive a Milano e nella vita sogna di diventare uno youtuber famoso.

Sino a qui niente di strano, se non fosse che questo bambino dagli occhi grandi e dal sorriso contagioso, è affetto da neuroblastoma, un tumore che colpisce il sistema nervoso.

Nonostante le continue cure, le corse in ospedale e il dolore, Gabriele non ha mai perso la sua positività, la stessa che trasmette nei suoi video pubblicati su Youtube. In meno di un mese Lele Joker ha conquistato i social e il suo canale ha raccolto oltre 6 mila iscritti.

I fan apprezzano il modo di raccontare la vita quotidiana di questo bambino di 9 anni, la sua semplicità e come faccia apparire ogni cosa speciale. Nelle clip, spesso girate in un letto d’ospedale, Lele Joker parla del cibo (è un appassionato di patatine fritte!), di ciò che ama fare e d’amore, raccogliendo tantissimi Like.

In poco tempo Lele Joker è diventato un life coach per moltissime persone. “Ragazzi, inseguite i vostri sogni – spiega in un video che ha ottenuto una pioggia di Like -, io ad esempio da grande voglio fare il dottore e questo farò, mi laureerò perché voglio aiutare le persone a stare meglio, inseguite i vostri sogni perché vi fa bene, stimola il vostro cervello”.

Ascoltandolo non sembra di essere di fronte ad un bambino di 9 anni, che sta combattendo una difficile battaglia contro la malattia. Le sue riflessioni infatti sanno essere spensierate, ma anche molto profonde: “Per i bambini l’amore è quando una persona ne bacia un’altra e baciandosi fanno un figlio” spiega.

Poi si confida con i follower, confessando: “Ho alcune cose che mi rendono triste. Io non ho una vita normale, ho tante cose a cui pensare, ma vi prego: non scrivetemi cose brutte, siete le mia forza”. Un appello che è stato accolto da tante persone che continuano a seguire e ad apprezzare Lele Joker, ma soprattutto a fargli forza nel lungo percorso di guarigione che l’attende.

Primarie marche ci hanno venduto falso olio extravergine – Il Tar del Lazio annulla la multa alla Lidl, ma Voi, quando andate a fare la spesa, non dimenticate chi Vi ha improgliato!

 

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Primarie marche ci hanno venduto falso olio extravergine – Il Tar del Lazio annulla la multa alla Lidl, ma Voi, quando andate a fare la spesa, non dimenticate chi Vi ha improgliato!

 

leggete anche:

Per non dimenticare: esattamente 2 anni fa sembrava lo scandalo del secolo. Poi improvvisamente nessuno ne ha parlato più – Truffavano la gente spacciando olio di oliva per extravergine. Ecco i nomi dei 7 primari marchi che sarà meglio evitare!!

Falso extravergine, il Tar del Lazio annulla la multa Antitrust a Lidl

Il Tribunale amministrativo del Lazio ha annullato la multa di 550mila euro inflitta dall’Antitrust a Lidl nel giugno 2016 per aver venduto l’olio Primadonna come extravergine quando in realtà – a seguito delle analisi organolettiche ordinate dalla Procura di Torino dopo il nostro test del giugno 2015 – si era rilevato semplice vergine.

Secondo il Tar l’olio era effettivamente vergine come hanno dimostrato le analisi ma Lidl ha dimostrato il normale grado di diligenza che ci si poteva aspettare da un operatore del settore alimentare, eseguendo tutte le procedure necessarie per valutare la qualità dell’olio che era imbottigliato dalla Fiorentini Firenze Spa. Da qui l’annullamento della sanzione inflitta dall’Autorità garante per il mercato e la concorrenza.

Dove nasce la vicenda

Tutto nasce dalla nostra inchiesta del giugno 2015: su 20 campioni di olio extravergine fatti analizzare dal laboratorio chimico di Roma dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, ben 9 marchi alla prova organolettica furono declassati a semplici vergini, tra questi Primadonna Lidl. Non un danno alla salute dei consumatori ma alle loro tasche sì visto che pagavano un prezzo più alto per un prodotto con caretteristiche organolettiche inferiori di quanto promesso in etichetta. L’associazione Konsumerpresieduta da Fabrizio Premuti presentò esposti all’Antitrust per pratica commerciale scorretta contro le aziende risultate “bocciate” dal nostro test: e dal garante arrivarono i primi verdetti di “condanna”. Lidl, multata per 550mila euro, ricorse contro la decisione al Tar del Lazio che oggi “annulla” la sentenza.

“Lidl ha fatto di tutto per prevenire l’evento”

I giudici amministrativi hanno accettato il ricorso di Lidl anche perché  “l’operatore professionale aveva rappresentato all’Autorità (Antitrust, ndr) una serie di elementi volti a dimostrare l’insussistenza di una rimproverabilità del proprio operato”. In particolare nella memoria difensiva depositata nel corso del procedimento dinanzi all’Agcm, Lidl ha così descritto il sistema di controlli sul prodotto fornito da Fiorentini: “Il contratto stipulato tra Lidl Italia srl e Fiorentini Firenze prevede una serie di controlli sul prodotto fornito. Un primo controllo viene fatto da Fiorentini Firenze spa nei suoi laboratori. I campioni di quel prodotto, in conformità alle disposizioni contrattuali, sono inviati in Germania al prestigioso laboratorio Eurofins. A fronte due analisi conformi (laboratorio Fiorentini Firenze spa e Eurofins), il prodotto può essere commercializzato. In aggiunta al sistema di controlli previsto da contratto di fornitura, Lidl Italia fa eseguire, a sua volta, presso laboratori terzi indipendenti accreditati ulteriori controlli sul prodotto”. Tanto basta per accertare la buona fede di Lidl, secondo il Tar del Lazio, e quindi annullare la multa di 550mila euro.

Il Tar: “Antitrust non ha spiegato bene”

In un passaggio della sentenza il Tar adombra dubbi sulla ricostruzione dell’Agcm: “A fronte delle misure di controllo e del sistema di verifiche che Lidl ha dimostrato di avere adottato al fine di rispettare gli standard di diligenza imposti a un operatore del settore alimentare, il provvedimento sanzionatorio non chiarisce per quale ragione l’insieme degli strumenti predisposti e concretamente utilizzati dal professionista non poteva considerarsi sufficientemente idoneo, secondo le regole della normale prudenza, a impedire il verificarsi dell’evento contestato (la commercializzazione di un prodotto non conforme a quanto dichiarato in etichetta)”.

Il panel test non è soggettivo

Il Tar non ha stabilito che l’olio venduto fosse vero extravergine e ha anche “rigettato” la critica al panel test, la prova di assaggio obbligatoria per legge per attribuire lo “status” di extravergine al prodotto: “Il giudizio della prova organolettica non è soggettiva” ha sentenziato.

Konsumer: “Faremo ricorso”

Intanto Konsumer Italia annuncia il ricorso al Consiglio di Stato e spiega per bocca del presidente Fabrizio Premuti: “A nostro parere, il verdetto è abbastanza sorprendente, in quanto annulla una multa non per ragioni di qualità e di possibili dannosità per i consumatori, ma perché l’Agcm non ha descritto abbastanza bene il motivo per cui il comportamento professionale è stato negligente”.

 

fonte: https://ilsalvagente.it/2018/02/05/falso-extravergine-il-tar-del-lazio-annulla-la-multa-antitrust-a-lidl/31336/

Anche gli animali possono essere fumatori passivi – La ricerca sul tabagismo: “I cani e i gatti dei fumatori vivono di meno”

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Anche gli animali possono essere fumatori passivi – La ricerca sul tabagismo: “I cani e i gatti dei fumatori vivono di meno”

 

Ricerca sul tabagismo: “I cani e i gatti dei fumatori vivono di meno”

Gli animali domestici rischiano di vivere meno a lungo a causa del fumo passivo come, o forse di più, degli esseri umani. A dirlo una ricerca dell’Università di Glasgow rilanciata dalla Bbc. Secondo lo studio cani e gatti inalano non solo il fumo che respirano, ma ingeriscono la nicotina anche quando si leccano il pelo. I cani rischiano di sviluppare il cancro al polmone o al seno, mentre animali più piccoli come uccelli, conigli e porcellini d’India possono affrontare problemi respiratori e malattie della pelle.

Il Royal College of Veterinary Surgeons ha collaborato con il Royal College of Nursing (RCN) per una nuova campagna volta a informare i proprietari sul danno che si può fare: «Molte persone saranno sconvolte nello scoprire che il loro fumo passivo stava danneggiando il loro animale domestico – spiega Wendy Preston, responsabile del RCN – e in alcuni casi accorciando seriamente la vita dell’animale.

L’università, rinomata per il suo piccolo ospedale per animali, sta conducendo da anni ricerche sugli effetti del fumo passivo sugli animali domestici: la professoressa Clare Knottenbelt ha detto che 40 cani – metà dei quali provenienti da case con fumatori – sono stati reclutati per lo studio e campioni dei loro peli sono stati analizzati per rilevare i livelli di nicotina, mentre ai loro proprietari è stato chiesto di compilare un sondaggio che specificava quanto spesso essi o alcuni visitatori fumavano.

Lo stesso studio è stato condotto anche su 60 gatti, con particolare attenzione alla possibilità di stabilire un legame tra fumo passivo e linfoma felino, un tumore che colpisce i globuli bianchi dei gatti. Nei casi dei mici è stato necessario considerare anche una variante particolare: i gatti vagabondi potrebbero potenzialmente essere esposti al fumo passivo anche nelle case di altre persone, o quando siedono all’ingresso dei pub o dei luoghi di lavoro dove gruppi di fumatori si riuniscono. In questo senso «un gatto può provenire da una casa senza fumatori ma avere comunque alti livelli di nicotina».

Non tutti sono d’accordo con i risultati di questa ricerca: Simon Clark, direttore del Forest che difende i diritti dei fumatori, considera esagerati i risultati pubblicati e che sono notizie che spingono a distrarre le persone dai veri abusi contro gli animali. «La miglior cosa che qualcuno possa fare per un animale domestico è dargli un posto confortevole dove vivere, dove possa sentirsi al sicuro e ben curato».

 

fonte: http://www.lastampa.it/2017/12/11/societa/lazampa/ricerca-sul-tabagismo-i-cani-e-i-gatti-dei-fumatori-vivono-di-meno-F9Xn7htUAAhKbviO0AmTBJ/pagina.html

 

Bonifica terreni con la canapa, un’idea italiana!

 

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Bonifica terreni con la canapa, un’idea italiana!

La proprietà di bonifica terreni con la canapa rende possibile il fitorisanamento, ossia l’uso di questa pianta in zone ad alto tasso d’inquinamento come ex-siti industriali e ambienti in cui anche l’aria è ricca d’agenti inquinanti, che possono essere catturati e persino stoccati per un successivo utilizzo!

Da diversi anni si è capito che la canapa ha delle spiccate capacità di riduzione dell’uso di pesticidi, fitofarmaci e diserbanti  nelle colture, e ne diminuisce anche il fabbisogno d’acqua; tuttavia non è noto a tutti che si può fare anche la bonifica terreni con la canapa.

Si tratta di un processo di fitobonifica, con conseguente miglioramento della fertilità del suolo, grazie alla capacità di assorbimento da parte delle radici di questa pianta dei componenti organici o inquinanti presenti nel terreno, che poi sono trasformati in qualcosa di meno pericoloso, oppure vengono ‘catturate’ e recuperate (nel caso del piombo, dello zinco e del ferro). Tale processo depurativo può avvenire anche per l’aria, perché la canapa può sequestrare il CO2 presente in un ambiente inquinato, e l’acqua, in cui questa magica pianta riesce a catturare l’ossido di azoto, l’ozono e gli agenti inquinanti che costituiscono l’indoor pollution.
La Natura che viene in supporto della natura quindi.

 

In questo in Italia sono attive alcune aziende e consorzi, ad esempio, Ecofitomed, società pugliese attivamente impegnata nella tutela dell’ambiente. Sulla base di alcuni studi portati avanti da Stefano Mancuso, uno dei massimi esponenti della neurobiologia vegetale, si è scoperto che le radici della cannabis potrebbero rivelarsi utili per depurare i fanghi contaminati.
Quando le acque nere o grigie, provenienti dagli scarichi industriali o dalle fognature, vanno incontro al processo di depurazione, sul suolo restano dei fanghi ad alto tasso di inquinamento. Fino ad oggi questi fanghi sono stati bruciati o gettati in discarica una volta essiccati.
Queste procedure di smaltimento richiedono costi non indifferenti: dai 90 ai 200 euro a tonnellata e nel 2011 ne sono stati prodotti 11 milioni di tonnellate.
La Ecofitomed punta di abbassare i costi, passando da 90 a 60 euro per tonnellata, piantando un bosco dalle proprietà decontaminanti proprio sul luogo inquinato. Secondo gli esperti, coltivando canapa, alberi di pioppo e paulownia tomentosa, piante note per le loro capacità di iper-accumulatori, tutti gli agenti inquinanti verrebbero catturati dalle radici.
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Come funziona la fitobonifica della canapa sul terreno?
E’ stato calcolato inoltre che nell’arco di 5 anni il terreno sarebbe completamente bonificato e gli alberi potrebbero trovare un nuovo impiego: se i livelli di inquinamento rientrano nella norma, il legno potrebbe essere utilizzato per la creazione di mobili e pellet. 
Altrimenti, sfruttando i pannelli solari posti sulla serra che dovrebbe contenere le piantagioni nella fase iniziale della crescita, i tronchi potrebbero alimentare una centrale a biomassa. Una volta depurati, i fanghi possono essere riutilizzati come normale terriccio. Un bosco di tale portata potenzialmente è in grado di decontaminare 42 mila tonnellate di fanghi all’anno. Inoltre piantandolo nei pressi dei depuratori si potrebbero eliminare i costi legati al trasporto.
Anche l’associazione CanaPuglia vuole diffondere le applicazioni disinquinanti della canapa proponendo la coltivazione di questa pianta per bonificare terreni contaminati da metalli pesanti e sostanze organiche.
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Bonifica terreni con la canapa, un’idea italiana!
Inoltre, c’è il progetto di mettere in pratica le note capacità di assorbimento di anidride carbonica (da 9 a 12 tonnellate per ettaro) e di bonifica degli agenti inquinanti del terreno, nelle campagne pugliesi devastate dall’industria pesante (ILVA a Taranto, la zona attorno alla centrale a carbone di Cerano e della Montedison presso Brindisi); questo è un esperimento di phytoremediation della canapa (cioè fitorimediazione o fitorisanamento): si tratterebbe di circondare i terreni ‘incriminati’ con una ‘cintura’ di canapa, per far sì che avvenga una fitodepurazione della zona. 
Al momento sembra già riportare buoni esiti, ma non resta che sperare che qualcuno decida di puntare su questa iniziativa tutta italiana, perché il progetto è in attesa di finanziamenti e trattandosi di un programma innovativo e unico al mondo, gli investitori sono ancora in attesa di verificarne i risultati.
Fonte: tuttogreen.it

 

La fantastica lettera del capo Indiano Seathl al Presidente degli Stati Uniti

 

capo Indiano

 

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La fantastica lettera del capo Indiano Seathl al Presidente degli Stati Uniti

Lettera di Capo Seathl

Penso sia molto utile divulgare il testo della lettera scritta il 12 settembre 1855 dal Capo Indiano Seathl della Lega dei Suquamish e Duwamish in risposta alla proposta del presidente americano Franklin Pearce di acquistare tutte le terre indiane esclusa una riserva. L’anno successivo le terre indiane vennero invase dai minatori e coloni. La conseguente guerra durò tre anni, prima di riuscire a piegare definitivamente la strenua resistenza indiana.
Di questa ci colpiscono parecchie cose:

  • il profondissimo senso del rispetto della Vita e della sua Sacralità.
  • Il concetto, per molti di noi “civilizzati”, sconosciuto o dimenticato, che “i fiumi sono nostri e vostri fratelli”, così come tutte le altre creature
  • “Fare male alla terra significa disprezzare il suo Creatore.”
  • che non è la terra ad appartenere all’uomo, ma è l’uomo che appartiene alla Terra
  • che “formiamo una grande fratellanza con tutte le cose”
  • quella frase profetica, pronunciata nel 1855!, quando la produzione di rifiuti era limitatissima, in cui si dice “Continuate a contaminare il vostro letto e verrà una notte che rimarrete soffocati dai vostri stessi rifiuti.”
  • “Il suo stolto appetito divorerà la terra e lascerà dietro di sé solo un deserto”.

Ci conoscevano da poco ma avevano capito immediatamente di che stoffa eravamo fatti. Una Grande Cultura cancellata ed popolo brutalmente sterminato in un modo molto ben descritto da Fabrizio De Andrè in “Fiume Sand Creek”. In un momento in cui la Regione Piemonte concede ai cacciatori il libero accesso con mezzi motorizzati su alcune strade e propone di consentir loro di cacciare nei parchi, desidero ricordare che i Pellerossa erano un popolo di cacciatori-raccoglitori, ma se qualcuno di loro avesse mai detto che si “divertiva” ad uccidere fratello Cervo o fratello Bisonte, lo avrebbero severamente punito. Erano perfettamente consapevoli che stavano uccidendo un loro fratello! Dopo aver ucciso un animale o abbattuto un albero, chiedevano scusa a Manitù (o Wakan Tanka) per aver ucciso un loro fratello, ma si scusavano dicendo che di quel legno o di quella carne ne avevano assoluto bisogno. Uccidere per passatempo era considerata una cosa assolutamente inaccettabile e questo dovrebbe valere anche per noi. Leggete questa lettera con molta attenzione e grande rispetto.

Lettera di Capo Seathl

“l grande Capo che sta a Washington ci manda a dire che vuole comprare la nostra terra. Il grande Capo ci manda anche espressioni di amicizia e di buona volontà. Ciò è gentile da parte sua poiché sappiamo che egli non ha bisogno della nostra amicizia in cambio. Noi considereremo questa offerta, perché sappiamo che se non venderemo l’uomo bianco potrebbe venire con i fucili e prendere la nostra terra. Quello che dice il Capo Seathl il grande Capo di Washington può considerarlo sicuro, come i nostri fratelli bianchi possono considerare sicuro il ritorno delle stagioni. Le mie parole sono come le stelle e non tramontano.

Ma come potete comprare o vendere il cielo ed il calore della terra?

Questa idea è strana per noi. Se noi non possediamo la freschezza dell’aria e lo scintillio dell’acqua come puoi tu comprarle? Ogni parte di questa terra è sacra al mio popolo. Ogni ago scintillante di pino, ogni radura, ogni velo di nebbia in mezzo ai boschi oscuri, ogni goccia di rugiada, sono sacri nella memoria e nell’esperienza del mio popolo. La linfa che scorre negli alberi porta la memoria del mio popolo, mentre i morti dell’uomo bianco dimenticano la terra della loro nascita quando vanno a camminare fra le stelle. I nostri morti non dimenticano mai questa bella terra perché noi siamo parte della terra ed essa è parte di noi. I fiori profumati sono le nostre sorelle, ed il cervo, il cavallo e la grande aquila sono i nostri fratelli. Le cime rocciose, le essenze dei prati, il colore del corpo del cavallo e l’uomo, tutti appartengono alla stessa famiglia. Perciò, quando il Grande capo che sta a Washington ci manda a dire che vuole comprare la nostra terra ci chiede troppo.

Egli ci manda a dire che ci riserverà un luogo dove potremo vivere comodamente per conto nostro. Dice che lui sarà per noi come un padre e che noi saremo i suoi figli. Perciò noi prendiamo in considerazione la sua offerta, ma non sarà facile accettarla perché la terra ci è sacra. L’acqua pura e scintillante dei nostri torrenti e dei nostri fiumi non è soltanto acqua per noi, ma è il sangue dei nostri antenati. Se noi saremo costretti a vendervi la terra voi dovrete ricordare ed insegnare ai vostri figli che essa è sacra e che ogni riflesso nell’acqua limpida dei nostri laghi parla di eventi e memorie della vita del mio popolo. Il mormorio dell’acqua è la voce del padre di mio padre. I fiumi sono nostri fratelli che estinguono la nostra sete. I fiumi portano le nostre canoe ed i loro pesci nutrono i nostri bambini. Se vi venderemo la nostra terra, voi dovrete ricordare ed insegnare ai vostri figli che i fiumi sono nostri e vostri fratelli e dovrete perciò trattare i fiumi con la gentilezza e l’amore con cui trattate i vostri fratelli. L’uomo rosso si è sempre ritirato di fronte all’avanzata dell’uomo bianco, come la rugiada sulle montagne si ritira davanti al sole del mattino.

Noi sappiamo che l’uomo bianco non capisce i nostri pensieri ed il nostro modo di vivere.

Per lui un pezzo di terra è uguale ad un altro, poiché lui è uno straniero che vive di notte e prende dalla terra tutto ciò che vuole. La terra non è sua sorella ma sua nemica e quando l’ha conquistata egli continua la sua strada. Lascia dietro di se la tomba di suo padre e non se ne cura, così come dimentica il luogo di nascita dei suoi figli. Egli tratta sua madre, la terra, e suo fratello, il cielo, come cose che si possono comperare, usare, vendere come pecore. Il suo stolto appetito divorerà la terra e lascerà dietro di sé solo un deserto. Le nostre maniere sono diverse dalle vostre. La vita nelle vostre città urta con la nostra sensibilità: non vi è alcun posto quieto nella città dell’uomo bianco, nessun luogo in cui sentir vivere la natura. Io sono un uomo rosso e non riesco a capire: il rumore delle vostre città ferisce le nostre orecchie. Come può vivere sereno un uomo che non può ascoltare il grido solitario del succiacapre, lo stormire delle foglie in primavera o il gracidare delle rane intorno agli stagni di notte? L’indiano preferisce i suoni smorzati del vento che muove le foglie nel bosco, e anche l’odore stesso del vento pulito dalla pioggia e profumato dai pini.

Per l’uomo rosso l’aria è preziosa perché tutti gli esseri viventi dividono la stessa aria, lo stesso respiro.

L’aria è un aspetto delle spirito che ci fa vivere. Il vento che ha permesso il primo respiro ai nostri antenati è anche quello che riceve il nostro ultimo respiro. L’uomo bianco non sembra però accorgersi dell’aria che respira e, come un uomo da molti giorni in agonia, egli è insensibile alla puzza. Se noi vi venderemo la nostra terra, poi dovrete tenerla come sacra, considerarla un luogo dove l’uomo può gustare il vento fra i fiori e gli arbusti del bosco. L’uomo bianco dovrà trattare gli animali e tutti gli esseri viventi di questa terra come fratelli. Noi non conosciamo altro modo di vivere. Abbiamo visto migliaia di bisonti imputridire nella prateria, abbattuti e lasciati lì dall’uomo bianco che gli aveva sparato dal treno che passava. Noi non comprendiamo come un cavallo di ferro sbuffante possa essere più importante dei bisonti che noi uccidiamo solo per vivere. Che cosa è l’uomo senza gli animali? Se tutti gli animali sparissero, l’uomo morirebbe in una grande solitudine di spirito poiché ciò che accade agli animali prima o poi accade all’uomo: tutte le cose sono legate fra di loro. Dovete insegnare ai vostri figli che la terra sotto i loro piedi contiene la cenere dei nostri antenati.

Dite ai vostri figli che la terra è ricca per la vita dei nostri antenati che l’hanno amata. Insegnate ai vostri figli, come noi l’abbiamo insegnato ai nostri, che la terra è la nostra madre. Tutto ciò che è buono proviene dalla terra ed arriva ai figli della terra. Qualunque cosa viene fatta alla terra, la stessa cosa succede ai figli della terra: se l’uomo sputa sulla terra egli sputa sopra se stesso. Noi conosciamo queste cose: sappiamo che la terra non appartiene all’uomo, ma è l’uomo che appartiene alla terra. Tutte le cose sono legate fra di loro, tutto ciò che si fa per la terra lo si fa per i suoi figli. Non è l’uomo che ha tessuto la trama della vita, egli ne è soltanto un filo. Tutto quello che fa alla terra lo fa a se stesso. Tutte le cose sono collegate fra di loro come il sangue che unisce una famiglia. Ma noi considereremo la vostra offerta di andare nella riserva che avete stabilito per il mio popolo. Noi vivremo per conto nostro e in pace. I nostri figli hanno visto i loro padri umiliati nella sconfitta, i nostri guerrieri hanno provato la vergogna e, dopo la sconfitta, essi passano la giornata nell’ozio e contaminano i loro corpi con cibi dolci e bevande forti. Importa poco dove noi passeremo il resto dei nostri giorni: essi non saranno molti.

Ancora pochi inverni e nessuno dei figli delle grandi tribù che una volta vivevano sulla terra, e che percorrevano in piccole bande i boschi, rimarrà per piangere le tombe di un popolo una volta potente e pieno di speranze come il nostro. Ma perché dovrei piangere la scomparsa del mio popolo? Le tribù sono fatte di uomini:niente di più. Gli uomini vanno e vengono come le onde del mare. Anche l’uomo bianco, con il quale il Buon Dio si accompagna e parla da amico, non può essere dispensato dal destino comune. Prima di tutto, forse, noi siamo fratelli. Noi lo vorremmo volentieri. Formiamo una grande fratellanza con tutte le cose. Noi sappiamo una cosa che l’uomo bianco dovrà conoscere un giorno: il nostro Dio è il suo stesso Dio. Può darsi che ora voi pensiate di possedere Dio, come desiderate possedere la nostra terra, ma voi non potete possederlo. Egli è il Dio dell’uomo e la sua compassione è uguale per l’uomo rosso come per l’uomo bianco. La terra è preziosa a Lui e nuocere alla terra è pura ignoranza. Fare male alla terra significa disprezzare il suo Creatore.

L’uomo bianco, se continua a nuocere alla terra, si distruggerà da solo.

Continuate a contaminare il vostro letto e verrà una notte che rimarrete soffocati dai vostri stessi rifiuti. Ma se voi perirete sarà solamente per il volere di Dio che vi portò su questa terra e che, per un qualche scopo, vi diede il dominio sulla terra e sull’uomo rosso. Questo destino è un mistero per noi. Quando i bisonti saranno stati tutti massacrati ed i cavalli selvaggi tutti domati, quando tutti gli angoli della foresta saranno invasi dall’odore di molti uomini e la vista delle verdi e boscose colline sarà rovinata dai fili che parlano, allora l’uomo si chiederà: dove sono gli alberi ed i cespugli? Non ci sono più. Dov’è l’acqua? Non c’è più.
L’inizio della sopravvivenza, la fine della vita.

Dall’Indonesia gli imballaggi biodegradabili a base di alghe

 

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Dall’Indonesia gli imballaggi biodegradabili a base di alghe

Durano 2 anni, si sciolgono in acqua e sono commestibili. L’Indonesia parte dalle alghe per scrivere il futuro degli imballaggi biodegradabili

Contro la plastica gli imballaggi biodegradabili dalle alghe

La polemica di questi giorni sui sacchetti biodegradabili per imbustare i prodotti alimentari freschi negli esercizi commerciali rischia di concentrarsi tutta sull’equità del prezzo e poco sul vero problema della plastica: l’inquinamento. Secondo la Plastic Pollution Coalition, circa il 33% della mole prodotta annualmente è utilizzato una sola volta e poi gettato, il che contribuisce a un immensa contaminazione globale. Di fronte a una simile distorsione, che abbraccia l’economia e la società, una delle soluzioni per ridurre l’inquinamento è utilizzare materiali più ecologici, ricavati da risorse rinnovabili.

Da qui è partita Evoware, una azienda indonesiana che ha trovato il modo di produrre imballaggi biodegradabili con le alghe marine, capaci di resistere per un massimo di due anni ma solubili in acqua calda e totalmente commestibili.

Secondo Evoware, sviluppare il settore degli imballaggi a base di alghe in Indonesia può essere strategico per diversi motivi: innanzitutto, la nazione è il secondo fornitore di plastica al mondo attraverso gli oceani.

Dall’isola, circa il 90% dei rifiuti plastici finisce in mare, mancano un’industria e una cultura del riciclo. Il 70% di questi rifiuti proviene da imballaggi per alimenti e bevande. Un altro motivo per cui spingere sulle alghe può rivelarsi una prima risposta è lo stato dei produttori locali. Pur essendo il primo paese al mondo nella coltivazione delle alghe, il settore produttivo è estremamente povero, le famiglie che ci lavorano soffrono di malnutrizione e di altre difficoltà legate alla scarsità di mezzi.

Dalle alghe, tuttavia, si possono creare imballaggi resistenti e durevoli, spiegano da Evoware: i prodotti dell’azienda sono disponibili in due varietà: uno biodegradabile, che può essere utilizzato per il confezionamento di saponi e altri articoli non edibili, e uno biodegradabile e commestibile, da utilizzare come involucro alimentare, ad esempio per imbustare il tè o qualsiasi altro prodotto fresco. L’imballaggio commestibile, quasi insapore e inodore, si dissolve in acqua tiepida ed è considerato nutriente, in quanto contiene fibre, vitamine e minerali. Può essere personalizzato per avere uno specifico gusto, colore o logo impresso sulla pellicola, è stampabile e termosaldabile, conforme agli standard HACCP.

 

fonte: http://www.rinnovabili.it/ambiente/indonesia-imballaggi-biodegradabili-alghe-333/