Paolo Villaggio in “Dottor Jekyll e gentile signora” – Il memorabile, geniale, brillantissimo discorso agli studenti. Come, 40 anni fa, in meno di un minuto riuscì a sintetizzare e mettere a nudo il volto mostruoso e spietato del capitalismo!
Paolo Villaggio in “Dottor Jekyll e gentile signora” del 1979 sul volto mostruoso del capitalismo.
Questo corpo rappresenta un paese ad economia sottosviluppata.
La testa è il top del paese, dove sono concentrati potere politico, potere militare, banche, chiesa.
Questa è la spina dorsale con le aziende agricole, unica risorsa di questo schifoso paese.
Queste sono le membra, gambe e braccia, la massa inerte dei lavoratori, i cosiddetti braccianti.
Quale è il nostro obiettivo? Corrompere qui (la testa), distogliere capitale all’agricoltura creando nuove masse di disoccupati, in modo che, offrendo lavoro sottocosto con paghe da fame, si possa succhiare il sangue fino al midollo a questa massa di poveracci…
Quaranta anni dopo Diego Fusaro così giustificava le migrazioni: “Il capitale ha bisogno di masse di schiavi ricattabili e senza diritti, ecco a cosa serve l’immigrazione di massa” …Uguale no?
Banana Joe – L’idea del film venne allo stesso attore protagonista Bud Spencer che la propose a Steno chiedendogli se poteva essere interessante per trarne una commedia leggera e divertente. Steno trovò nell’idea eccellente. Una degna continuazione della serie di Piedone.
Bud Spencer con la sua idea denunciava, in modo neanche velato, l’invasione del capitalismo, l’industrializzazione incombente e la burocrazia inefficiente; una critica della società e di alcune tipologie di esseri umani che erano già alla base della saga poliziesca di Piedone.
Bud, una novità, firmò il soggetto con il suo vero nome, Carlo Pedersoli, mentre la sceneggiatura venne scritta da Mario Amendola, Bruno Corbucci e Steno.
Una curiosità: il film uscito l’8 Aprile del 1982 in Italia non ebbe un clamoroso successo, piazzandosi solo al 90° posto dei film più visti della stagione 1981/82. Ebbe un colossale ritorno, invece, in Germania, Spagna ed in Sudamerica, dove è divenuto un vero e proprio cult, tanto che in Germania non è affatto difficile imbattersi in persone che indossano la maglietta o un indumento con la serigrafia di Banana Joe.
“Casa de carne”, il divertente cortometraggio che spiega il paradosso della carne
Quanti di noi, muniti di coltello, sarebbero in grado di uccidere un animale per mangiarlo? Probabilmente nessuno, come dimostra il cortometraggio “Casa de carne”
Quanti di noi, messi di fronte all’obbligo di uccidere con le nostre stesse mani un animale, sarebbero in grado di farlo solamente per appagare il proprio desiderio di mangiare una bistecca o un piatto di costolette? Probabilmente nessuno ed è il messaggio che vuole trasmetterci Casa de carne (qui in alto), un cortometraggio “pro-vegan” del giovane regista Dustin Brown, vincitore del primo posto e di un premio di 3mila dollari in contanti agli Tarshis Short Film Awards 2019, le premiazioni di documentari e film dedicati alla questione animale.
Il film, creato per l’associazione no profit Last Chance for Animals (LCA), mostra tre amici a cena in un ristorante di alto livello, alle prese con il menu. Per uno di loro è “la prima volta” e non sa che le costolette di maiale che vorrebbe trovare nel piatto dovrà procurarsele da solo. Dopo aver ricevuto un coltello, viene portato in una stanza bianca e asettica dove trova ad attenderlo un maiale, la sua “cena”. Esita, accarezza l’animale e lascia cadere il coltello: è ormai certo che non avrà il coraggio di compiere il gesto per cui è stato chiuso in quella stanza; a quel punto, però, intervengono due “addetti ai lavori”, abituati a trovarsi di fronte persone incapaci di togliere la vita a un animale. Saranno loro a farlo al posto dell’uomo, a cui verrà di lì a poco servita la carne dello stesso maiale che si è rifiutato di uccidere. Nel finale, vediamo il protagonista profondamente turbato: a differenza degli amici a tavola con lui, pare aver finalmente realizzato da dove provenga la carne che ha nel piatto.
Una realtà, quella mostrata nel cortometraggio, che a conti fatti non appare così strana o inverosimile: sono tanti, infatti, i ristoranti e gli hotel nel mondo che permettono ai propri ospiti di “cacciare” il proprio cibo, come accade per esempio in molti locali di Tokyo dove la clientela pesca il pesce che mangerà di lì a poco.
Carnismo, consapevolezza e false credenze
“Se i mattatoi avessero le pareti di vetro, tutti sarebbero vegetariani” recita un famoso aforisma di Lev Tolstoj, che porta alla luce una verità innegabile, la stessa messa in risalto da Casa de carne: la stragrande maggioranza di noi mangia carne con poca (o nessuna) consapevolezza, senza fare la connessione tra la fetta di arrosto nel piatto e l’animale da cui proviene. Non è un caso che il più delle volte una persona che mangia abitualmente carne inorridisca di fronte ai video che mostrano le realtà dei macelli, rifiutandosi magari anche di guardarli perché altrimenti “poi la carne non la mangio più”.
Ecco, è proprio questo il punto: come dimostra anche un video-esperimento di PETA – che ha messo di fronte due bambini alla necessità di uccidere un pollo per mangiarlo in un sandwich – sono veramente poche le persone che, messe di fronte a questa realtà, la accettano e la condividono. Secondo la psicologa americana Melanie Joy – vegana e attivista antispecista – tutti noi siamo invece vittime di quello che lei stessa definisce “carnismo“, un meccanismo psicologico del quale non siamo consapevoli, ma che condiziona totalmente le nostre scelte alimentari. La maggior parte delle persone mangia carne non per necessità o perché lo voglia davvero, ma piuttosto perché condizionata da un sistema di credenze – ormai istituzionalizzate e considerate come “la normalità” – che opera al di fuori della nostra consapevolezza e senza il nostro consenso.
Secondo la psicologa, inoltre, nella nostra mente esiste una sorta di “sapere senza sapere“: una parte recondita della nostra mente ha chiaro che la bistecca che abbiamo nel piatto sia la parte del corpo di un animale morto per essere mangiato, ma allo stesso tempo questa consapevolezza è latente e non siamo in grado di associare quel pezzo di carne all’animale in vita, alla sua morte e alla sofferenza vissuta all’interno di un allevamento.
tratto da: https://www.vegolosi.it/news/lungometraggio-casa-de-carne/
Mister Magoo è un simpatico vecchietto, calvo e brontolone, che si ostina a non voler portare gli occhiali nonostante sia fortemente miope. Mister Magoo fa la sua prima apparizione nel 1949 all’interno del cartone animato “Ragtime Bear” prodotto dalla United Productions of America (U.P.A.) una società creata qualche anno prima da tre ex dipendenti della Disney.
L’INDIMENTICABILE SIGLA
La storia fu scritta da Milliard Kaufman e portata alla Columbia che cercava cartoons divertenti con animali. Il cartoon venne accettato malvolentieri, ma passò solo perchè era presente un orso. Il personaggio principale è invece l’anziano e brontolone Magoo, che va in vacanza con suo nipote Waldo. Waldo indossa un cappotto di procione e suona un banjo e quando Waldo fugge per via di un orso, Magoo essendo quasi cieco, scambia l’orso per suo nipote, con tutti i risultati esilaranti che questo equivoco comporta. Dopo questo successo la UPA ha continuato a produrre 52 cartoon di Magoo ricevendo 4 nomine per il premio Academy Award e vincendolo per ben due volte con “When Magoo Flew” nel 1954 e “Magoo’s Puddle Jumper” nel 1956.
Il successo di quel primo cortometraggio diede origine a un serial durato una decina di anni, a un comic book, a una serie di tavole domenicali realizzate per i quotidiani e a numerosi spot pubblicitari. Il 18 dicembre del 1962 Mister Magoo è stato protagonista di un film d’animazione trasmesso per la NBC TV, dove lo troviamo nei panni di Ebenezer Scrooge, in una rivisitazione in chiave umoristica del “Canto di Natale” di Dickens. Il successo fu tale che furono prodotti altri film ispirati ai classici della letteratura che con Magoo nelle improbabili vesti di Robin Hood dalla mira infallibile, Long John Silver dell’Isola del tesoro, Cyrano de Bergerac, re Artù, Biancaneve e i sette nani, Guglielmo Tell, Capitan Kidd, Moby Dick, Sogno di una notte di mezza estate di Shakepeare e molti altri.
UN CARTONE
Il cartoni animati di Mister Magoo hanno come tema principale gli equivoci dell’incosciente, vecchietto che si caccia in un mare di guai: quando prende l’aereo, crede che si tratti di una nave e quando crede di essere sul ponte a prendere un pò d’aria in realtà si trova sulle ali dell’aereo. In un altro episodio quando assiste ad un conflitto a fuoco fra banditi e poliziotti, pensa che si tratti dei fuochi d’artificio di una festa e così via. La cosa straordinaria è che Mister Magoo passa icolume in mezzo a tutte queste avventure, in quanto è sempre accompagnato da una fortuna incredibile, che non lo abbandona mai, anche quando fa l’equilibrista sui ponteggi dei grattacieli, pensando di trovarsi sopra un ascensore.
Il geniale, appassionato, divertentissimo monologo di San Valentino di Luciana Littizzetto
Il geniale, appassionato, divertentissimo monologo di San Valentino di Luciana Littizzetto recitato
sul palco del Festival di Sanremo nel 2013. Un monologo dedicato all’amore e contro la violenza sulle donne. Un monologo che fece molto discutere, anche per l’importanza delle sue parole.
Un monologo tutto da ascoltare, con tante battute sarcastiche e qualche volta più che pungenti…
Ecco il testo ed il video:
Gli uomini fanno fatica a dire Ti amo. Lo dicono solo in caso di estrema necessità, tipo quando proprio non ne possono fare a meno, sennò dicono dei surrogati. Dei derivati del ti amo. Che fanno danni come i derivati delle banche. Dite delle cose tipo: “Sei molto importante per me”. E cosa vuol dire molto importante? Anche non pestare una cacca di cane prima di portare le scarpe al calzolaio è molto importante, ma non è mica la stessa cosa che dire Ti amo.
Dite cose tipo: Mi fai stare bene. Ma mi fai stare bene lascialo dire a Biagio Antonacci… Dillo al tuo medico Shiatzu quando ti schiaccia i piedi per metterti a posto la cervicale. Oppure sprecate quelle parole tipo tesoro, meraviglia, splendore… Ma splendore cosa? Guardami. Splendo? Non sono mica una plafoniera?
Ma dite Ti amo, pezzi di cretini! Se la prima volta vi vergognate mettete la testa nel sacchetto del pane?! Dite “ti amo” mentre vi lavate i denti? Sglrlb? Va bene anche quello. Poi al limite cambiate idea. Dire una volta ti amo non crea né impotenza né assuefazione.
Poi il bello è che non capite nulla anche quando siamo noi a dirvi parole d’amore… Se vi diciamo cose romantiche tipo: “Amore, guarda che luna”, voi rispondete: “Minchia l’una? Pensavo fossero le undici. Andiamo che mi è scaduto il parcheggio”.
Ma noi vi amiamo lo stesso. Cosi come siete… Vi amiamo anche quando vi vantate di aver scritto il vostro nome facendo pipì sulla neve.
Amiamo i vostri piedi anche se sono armi di distruzione di massa.
Vi amiamo anche se di notte russate che ci sembra di dormire ai piedi dello Stromboli.
Vi amiamo anche se per trovarvi per casa basta seguire le tracce come per gli animali selvatici, giacca, camicia, canotta, tutto lasciato per terra finché sul divano non trovi un tizio con la felpa della Sampdoria che gioca alla Play Station.
Vi amiamo quando per fare un caffè ne spargete un quarto sul tappetino e due quarti sul gas. E poi dite che viene leggero.
Vi amiamo quando avvitate la caffettiera fino allo spasimo che per aprirla dobbiamo chiamare i pompieri, e poi non chiudete i barattoli, appoggiate solo il coperchio sopra cosi appena lo prendi sbadabam cade tutto.
Vi amiamo quando sparecchiate la tavola con la tecnica del discobolo, mettendo in frigo la pentola della minestra che poggia su due mandarini.
Vi amiamo quando a Natale scavate il panettone con le dita,
quando per farvi un caffè sporcate la cucina che neanche 10 Benedette Parodi…
e pure quando per farvi la doccia allagate il bagno e lasciate la malloppa di peli nello scarico, che sembra di stare insieme a un setter irlandese!
Vi amiamo quando diciamo: “Voglio un figlio da te” e voi rispondete “Magari un cane” e noi vorremmo abbandonare VOI in autostrada, non il cane.
Vi amiamo quando andate a lavare la macchina e ci chiudete dentro coi finestrini aperti.
Vi amiamo quando fate quelle battute tipo: “Prima di fidanzarti guarda la madre, perché la figlia diventerà così”. Voi no. Voi spesso siete pirla fin da subito.
Vi amiamo quando mettete nella lavastoviglie i coltelli di punta, che quando noi la svuotiamo ci scarnifichiamo, e quando invece di sostituire il rotolo finito della carta igienica usate il tubetto di cartone grigio come cannocchiale.
E’ per amore vostro che facciamo finta di addormentarci abbracciati anche se dormire sul vostro omero ci dà un po’ la sensazione di appoggiare la mandibola su un ramo secco di castagno.
E vi amiamo anche se considerate come dogma assoluto che l’arrosto della mamma è più buono di quello che facciamo noi. Il creatore non ha detto: “E la suocera fece l’arrosto, fatelo sempre così in memoria di me”.
Insomma, noi vi amiamo anche quando date il peggio, vi amiamo nella buona ma soprattutto nella schifosa sorte. Vi amiamo perché amiamo l’amore che è un apostrofo rosa tra le parole: E’ irrecuperabile, ma quasi quasi me lo tengo.
Perché San Valentino è la festa dell’amore, declinato in tutte le sue forme. L’amore delle persone che si amano. Anche delle donne che amano le donne e degli uomini che amano gli uomini. MA CHE CI INTERESSA QUELLO CHE FANNO A LETTO… L’IMPORTANTE E’ CHE LE PERSONE SI VOGLIANO BENE, SOLO QUESTO CONTA…
Pensa che bello sarebbe vivere in un paese dove tutti i diritti fossero riconosciuti. Ma non solo i diritti dei soldi. Quelli dell’anima. Quelli che mi dicono: “Posso vegliare la persona che ho amato per anni in un letto d’ospedale, senza nessuno che mi cacci via perché non siamo parenti”.
E poi vorremmo un San Valentino dove nessun uomo per farci i complimenti dicesse che siamo donne con le palle. Dirci che siamo donne con le palle non è un complimento. Non le vogliamo. Abbiamo già le tette. Tra l’altro sono due e sferiche anche quelle.
Vogliamo solo rispetto. In Italia in media ogni due o tre giorni un uomo uccide una donna, compagna, figlia, amante, sorella, ex.
Magari in famiglia. Perché non è che la famiglia sia sempre, per forza, quel luogo magico in cui tutto è amore.
La uccide perché la considera una sua proprietà. Perché non concepisce che una donna appartenga a se stessa, sia libera di vivere come vuole lei e persino di innamorarsi di un altro.. E noi che siamo ingenue spesso scambiamo tutto per amore, ma l’amore con la violenza e le botte non c’entrano un tubo. L’amore, con gli schiaffi e i pugni c’entra come la libertà con la prigione.
Noi a Torino, che risentiamo della nobiltà reale, diciamo che è come passare dal risotto alla merda.
Un uomo che ci mena non ci ama. Mettiamocelo in testa. Salviamolo nell’hard disk. Vogliamo credere che ci ami? Bene. Allora ci ama MALE.
Non è questo l’amore. Un uomo che ci picchia è uno stronzo. Sempre.
E dobbiamo capirlo subito. Al primo schiaffo. Perché tanto arriverà anche il secondo, e poi un terzo e un quarto. L’amore rende felici e riempie il cuore, non rompe costole e non lascia lividi sulla faccia…
Pensiamo mica di avere sette vite come i gatti? No. Ne abbiamo una sola. Non buttiamola via.
Amarcord – Emil, il ragazzo terribile che ha rallegrato la nostra infanzia
Nei pomeriggi della mia infanzia a metà degli anni 70 ricordo che in TV seguivo un bellissimo telefilm dal titolo “Emil”.
Emil era un bambino che aveva più o meno la mia età, viveva a Katthult in una fattoria con i genitori, la sorellina Ida, il garzone Alfred e la serva Lina! C’era anche la vecchia e saggia Tata Marta che andava ad aiutare nella fattoria e spesso raccontava a Emil e Ida storie di folletti!
Emil era un bambino molto vivace e combinava molti guai… era un vero monello! Per scappare alle botte del Babbo si rifugiava nella falegnameria dove passava il tempo a intagliare statuine in legno aspettando che il Babbo si calmasse!
Emil è una serie televisiva per bambini prodotta nei primi anni settanta e tratta da una serie di romanzi dell’autrice svedese Astrid Lindgren, iniziati negli anni sessanta e incentrati sul personaggio di Emil (in svedese Emil i Lönneberga).
La serie è ambientata in una fattoria nei pressi del villaggio di Lönneberga, nella regione dello Småland, tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX secolo.
Il protagonista è Emil Svensson (Jan Ohlsson), un bambino molto vivace e combinaguai tanto da essere chiuso in castigo nella falegnameria della fattoria, dove trascorre il tempo intagliando statuine di legno. Verso la fine della storia, quella che sta per rivelarsi la sua peggiore monelleria si rivela un atto eroico, grazie al quale il ragazzino è completamente riabilitato.
per rinfrecarvi la memoria, ecco il primo episodio… In rete ne potrete trovare altri.
Un cult: Il Marchese del Grillo – “…Mi dispiace, ma io so’ io …e voi non siete un c….”
Nella Roma papalina del 1809, il Marchese Onofrio del Grillo è un alto dignitario pontificio alla corte di Papa Pio VII, fa parte della Guardia Nobile a difesa del Santo Padre ed è anche Reggitore del Sacro Soglio. In realtà sono impegni che lo occupano ben poco e il nobile passa le sue giornate nell’ozio più completo, frequentando le bettole e le osterie più malfamate della città, coltivando relazioni amorose clandestine con le popolane, facendo dannare la madre e il resto della sua parentela bigotta e conservatrice.
Il suo passatempo preferito, che lo rende famoso in tutta la città, è fare scherzi di ogni genere ai danni di chiunque: la sua famiglia, i nobili suoi amici, il popolo, gli artigiani che lavorano per lui, perfino il Papa stesso. E quando si caccia in qualche situazione difficile, riesce sempre ad uscirne grazie alle sue conoscenze altolocate. Però le sue burle hanno spesso il sapore della denuncia nei confronti della società corrotta e clientelare, dove il nobile ricco riesce sempre a cavarsela ai danni del popolino ignorante.
Quanno se scherza, bisogna èsse’ seri! (Marchese del Grillo)
Mi dispiace, ma io so’ io e voi non siete un cazzo! – La battuta distintiva del Marchese del Grillo che viene dal sonetto “Li soprani der monno vecchio” del Belli.
Li soprani der monno vecchio di Giuseppe Gioachino Belli
C'era una vorta un Re cche ddar palazzo
mannò ffora a li popoli st'editto:
"Io sò io, e vvoi nun zete un cazzo,
sori vassalli bbugiaroni, e zzitto.
Io fo ddritto lo storto e storto er ddritto:
pòzzo vénneve a ttutti a un tant'er mazzo:
Io, si vve fo impiccà nun ve strapazzo,
ché la vita e la robba Io ve l'affitto.
Chi abbita a sto monno senza er titolo
o dde Papa, o dde Re, o dd'Imperatore,
quello nun pò avé mmai vosce in capitolo!".
Co st'editto annò er Boja per ccuriero,
interroganno tutti in zur tenore;
e arisposeno tutti: "È vvero, è vvero!"
traduzioneC'era una volta un Re che dal palazzomandò in piazza al popolo quest'editto:"Io sono io, e voi non siete un cazzo,signori vassalli invigliacchiti, e silenzio.Io sono capace di cambiare una cosa da uno stato all'altro e viceversa:Io vi posso barattare tutti per un nonnulla:Io se vi faccio impiccare tutti non vi faccio torto,Visto che Io ho il potere di darvi la vita e quel con cui vivere.Chi vive in questo mondo senza possedere la caricao di Papa, o di Monarca o di Imperatore,colui non potrà mai far sentire la sua voce in pubblico!".Con tale editto si recò il boia come portavoce,chiamando all'attenzione tutti quanti a gran voce;e il popolo intero rispose: "È vero, è vero!"
Un cult: da “Così è la vita” – Aldo Giovanni e Giacomo – Il leone e la gazzella… Troppo forte!
Tratto dal film “Così è la vita” di Aldo, Giovanni e Giacomo, l’esilarante scena del leone e della gazzella…
Il testo otiginale
“Ogni mattina in Africa quando sorge il sole, una gazzella si sveglia e sa che dovrà correre più del leone o verrà uccisa.
Ogni mattina in Africa quando sorge il sole, un leone si sveglia e sa che dovrà correre più della gazzella o morirà di fame.
Ogni mattina in Africa non importa che tu sia un leone o una gazzella, l’importante è che cominci a correre.”
viene così sconvolto da Aldo:
“In Africa, tutte le mattine, quando sorge il sole, una gazzella muore. Si sveglia già morta, perché si vede che non stava molto bene il giorno prima e allora…
Comunque, sempre in Africa, tutte le mattine, quando sorge il sole, un leone appena si sveglia comincia a correre per evitare di fare la fine della gazzella che è morta il giorno prima.
E poi, correndo, vede che c’è la gazzella morta il giorno prima lì e dice “Che cosa corro a fare? Mi fermo e gli do due mozzicate”.
Comunque, dove voglio arrivare? Non è importante che tu sia un armadillo o un pavone. L’importante è che se muori, me lo dici prima”
La filosofia di Totò – Siamo uomini o caporali? …molto più che uno sketch comico…!
Totò Esposito è un attore “mestierante” che cerca di sbarcare il lunario proponendosi come comparsa a Cinecittà; a seguito di un diverbio con un certo Meliconi (da notare, si tratta dello stesso cognome del protagonista romanaccio di Un americano a Roma, interpretato da Alberto Sordi nel 1954), viene considerato pazzo e ricoverato in una casa di cura.
Totò espone al medico che lo sta visitando la sua teoria sul “Siamo uomini o caporali?”. Ecco il testo:
“L’umanità, io l’ho divisa in due categorie di persone: uomini e caporali.
La categoria degli uomini è la maggioranza, quella dei caporali, per fortuna, è la minoranza.
Gli uomini sono quegli esseri costretti a lavorare per tutta la vita, come bestie, senza vedere mai un raggio di sole, senza mai la minima soddisfazione, sempre nell’ombra grigia di un’esistenza grama.
I caporali sono appunto coloro che sfruttano, che tiranneggiano, che maltrattano, che umiliano. Questi esseri invasati dalla loro bramosia di guadagno li troviamo sempre a galla, sempre al posto di comando, spesso senza averne l’autorità, l’abilità o l’intelligenza ma con la sola bravura delle loro facce toste, della loro prepotenza, pronti a vessare il povero uomo qualunque.
Dunque dottore ha capito? Caporale si nasce, non si diventa! A qualunque ceto essi appartengano, di qualunque nazione essi siano, ci faccia caso, hanno tutti la stessa faccia, le stesse espressioni, gli stessi modi. Pensano tutti alla stessa maniera!”
(segue dopo il video)
Alcune riflessioni sulla teoria “uomini o caporali”
La scelta della categoria dei Caporali – Totò nel teorizzare la sua teoria, ha scelto di classificare la categoria di persone che sfruttano gli Uomini definendoli come Caporali. La scelta non è casuale; il caporale rappresenta, nella visione di Totò, un tipo di uomo che può facilmente trovarsi ad abusare del suo piccolo ma, al tempo stesso, significativo potere, in quanto può avere un “posto di comando, senza averne l’autorità, l’abilità o l’intelligenza”. Il caporale rappresenta al meglio questa tipologia umana; un tenente, un capitano, un colonnello non sarebbero stati scelte ugualmente felici, perché gli ufficiali dovrebbero essere almeno dotati di una preparazione specifica e di una discreta cultura. Che poi nei vari episodi del film, il caporale possa avere le sembianze anche di un ufficiale o di un uomo di cultura, quale un direttore di giornale, è altro discorso; magari saranno uomini “colti”, ma nell’animo rimangono dei caporali, in quanto “caporale si nasce, non si diventa!”.
I Caporali e le donne – Nel caratterizzare il comportamento dei Caporali, particolare attenzione viene posta al loro modo di fare con le donne: il Caporale tendenzialmente approfitta del suo piccolo/grande potere per cercare di ottenere vantaggi nei rapporti con le donne; o attraverso la minaccia (“non ti assumo se non…”) o attraverso le promesse (“se sei gentile con me, …”). Un caporale particolare: il ragioniere Casoria – In un altro film, La banda degli onesti, Totò ci presenta una figura esemplare di caporale: il ragioniere Casoria.
Il ragioniere Casoria – Non tutti lo conoscono, ma il personaggio del ragioniere Casoria, nel film, è probabilmente uno dei personaggi più importanti e, purtroppo, più attuali della complessiva opera cinematografica di Totò. Il ragioniere Casoria entra a pieno titolo nella categoria dei caporali, ma con un’aggravante. E’ un uomo di potere, perchè in quanto amministratore del condominio dove Totò (Antonio Bonocore) svolge il suo lavoro di portiere, può licenziarlo da un momento all’altro se non ubbidisce alle sue disposizioni. L’aggravante sta nel fatto che è un lestofante, e le sue disposizioni consistono nel coinvolgere il portiere Totò nell’imbroglio sul carbone da utilizzare per il riscaldamento: ne vorrebbe far pagare 120 quintali al condominio per comprarne solo 40. Totò da persona onesta si rifiuta e il ragionier Casoria decide immediatamente di sostituirlo con altro portiere (Memmo Carotenuto) più “morbido “. L’Italia di oggi è piena di ragionieri Casoria, ma soprattutto è divenuta piena di persone alla Memmo Carotenuto.
Passare dalla parte del Ragioniere Casoria – È l’amara considerazione di Totò. “Passare dalla parte del ragioniere Casoria”. E’ quello che propone Totò a Peppino de Filippo, altro personaggio onesto spinto a divenire un falsario, per risolvere i loro problemi: “Ci sarebbe una soluzione, adeguarsi, questo è il segreto! Passiamo dall’altra parte, saltiamo l’ostacolo a pie’ pari, disertiamo, passiamo dalla parte del ragioniere Casoria! “.