16 febbraio 1947 – Il treno della vergogna – Gli esuli Istriani accolti dai loro connazionali non solo senza un briciolo di solidarietà, ma con avversione, rancore e inaudita violenza.

 

treno della vergogna

 

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16 febbraio 1947 – Il treno della vergogna – Gli esuli Istriani accolti dai loro connazionali non solo senza un briciolo di solidarietà, ma con avversione, rancore e inaudita violenza.

 

“Il Treno della Vergogna” o “Treno dei fascisti” 
La targa è alla stazione di Bologna.
Il testo è: “Nel corso del 1947 da questa stazione passarono i convogli che portavano in Italia esuli istriani, fiumani e dalmati: italiani costretti ad abbandonare i loro luoghi dalla violenza del regime nazional-comunista jugoslavo e a pagare, vittime innocenti, il peso e la conseguenza della guerra d’aggressione intrapresa dal fascismo. Bologna seppe passare rapidamente da un atteggiamento di iniziale incomprensione a un’accoglienza che è nelle sue tradizioni, molti di quegli esuli facendo suoi cittadini. Oggi vuole ricordare quei momenti drammatici della storia nazionale. Bologna 1947-2007.”

E’ una targa ipocrita, tardiva e non veritiera; scrivere “un atteggiamento di iniziale incomprensione” è non assumersi appieno le proprie colpe.

Quello che è passato alla storia come “Treno della vergogna” è un convoglio che nel 1947 trasportò da Ancona i profughi provenienti da Pola: si trattava di esuli italiani che con la fine della Seconda Guerra Mondiale, si ritrovarono costretti ad abbandonare le loro case in Istria, Quarnaro e Dalmazia.

L’evento è passato alla storia come “esodo istriano“. All’epoca i ferrovieri lo definirono offensivamente “treno dei fascisti”, definizione emblematica di tutta la disinformazione e la strumentalizzazione politica che circondò la vicenda.

Domenica 16 febbraio 1947 i profughi partirono da Pola a bordo di diversi convogli, portandosi dietro il minimo indispensabile, ovvero quel poco che erano riusciti a salvare. Giunti ad Ancona per gli esuli si rese necessario l’intervento dell’esercito: i militari dovettero proteggerli da connazionali, militanti di sinistra, che non solo non mostrarono solidarietà, ma li accolsero con avversione e violenza.

Il giorno seguente, di sera, partirono di nuovo stipati in un treno merci già carico di paglia. Il convoglio arrivò alla stazione di Bologna solo alle 12:00 del giorno seguente, quindi proprio martedì 18 febbraio.

La Pontificia Opera di Assistenza e la Croce Rossa Italiana avevano preparato dei pasti caldi, soprattutto per bambini e anziani. Ma quando gli esuli erano quasi giunti nella città emiliana, alcuni ferrovieri sindacalisti diramarono un avviso ai microfoni, incitando i compagni a bloccare la stazione se il treno si fosse fermato.

Allo stop del convoglio ci furono persino alcuni giovani che, sventolando la bandiera con falce e martello, iniziarono a prendere a sassate i profughi, senza distinzione tra uomini, donne e bambini. Altri lanciarono pomodori e addirittura il latte che era destinato ai bambini, ormai quasi in stato di disidratazione.

A causa di questi atti vili fu dunque necessario far ripartire il treno per Parma, dove finalmente si riuscì ad andare in aiuto dei profughi ormai allo stremo delle forze. Da lì, ripartirono poi per La Spezia, dove furono temporaneamente sistemati in una caserma.

Il “treno della vergogna” non fu affatto un caso isolato. Gli “Italiani”, ancora furenti per l’infamia della guerra, avevano ormai identificato i profughi Istriani come “fascisti” e come tali responsabili della tragedia appeta vissuta.

 

Buon San Valentino con le 10 poesie più belle di tutti i tempi da dedicare a chi si ama…

 

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Buon San Valentino con le 10 poesie più belle da dedicare a chi si ama…

Ecco le 10 poesie più belle da dedicare a chi si ama…

 

Ho sceso, dandoti il braccio… –  Eugenio Montale
Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale
E ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.
Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.
Il mio dura tuttora, né più mi occorrono
Le coincidenze, le prenotazioni,
le trappole, gli scorni di chi crede
che la realtà sia quella che si vede.

Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio
Non già perché con quattr’occhi forse si vede di più.
Con te le ho scese perché sapevo che di noi due
Le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
erano le tue.

 

Noi saremo – Verlaine
Nell’amore isolati come in un bosco nero,
i nostri cuori insieme, con quieta tenerezza,
saranno due usignoli che cantan nella sera.
 

 

Tu… Anima mia – Saffo
Rapita
nello specchio dei tuoi occhi
respiro
il tuo respiro.
E vivo…

 
T’amo senza sapere come… – Pablo Neruda
T’amo senza sapere come, né quando né da dove,
t’amo direttamente senza problemi né orgoglio:
così ti amo perché non so amare altrimenti
che così, in questo modo in cui non sono e non sei,
così vicino che la tua mano sul mio petto è mia,
così vicino che si chiudono i tuoi occhi col mio sonno.
 

 

Il più bello dei mari – Nazim Hikmet
Il più bello dei mari
è quello che non navigammo.
Il più bello dei nostri figli
non è ancora cresciuto.
I più belli dei nostri giorni
non li abbiamo ancora vissuti.
E quello che vorrei dirti di più bello
non te l’ho ancora detto.
 

 

Paris at night – Jacques Prévert
Tre fiammiferi accesi uno per uno nella notte
Il primo per vederti tutto il viso
Il secondo per vederti gli occhi
L’ultimo per vedere la tua bocca
E tutto il buio per ricordarmi queste cose
Mentre ti stringo fra le braccia.

 

Amore non è amore se muta… – William Shakespeare
Amore non è amore se muta
quando scopre un mutamento
o tende a svanire quando l’altro s’allontana.
Oh no!
Amore è un faro sempre fisso che sovrasta la tempesta
e non vacilla mai;
Amore non muta in poche ore o settimane,
ma impavido resiste al giorno estremo del giudizio;
se questo è errore
e mi sarà provato,
io non ho mai scritto,
e nessuno ha mai amato.

 

Ti adoro – Charles Baudelaire
T’adoro al pari della volta notturna,
o vaso si tristezza, o grande taciturna!
E tanto più t’amo quanto più mi sfuggi,
o bella, e sembri, ornamento delle mie notti,
ironicamente accumulare la distanza
che separa le mie braccia dalle azzurrità infinite.
Mi porto all’attacco, m’arrampico all’assalto
Come fa una fila di vermi presso un cadavere e amo,
fiera implacabile e crudele, sino la freddezza
che ti fa più bella ai miei occhi.

 

Alla tua salute amore mio – Alda Merini
Accarezzami, amore,
ma come il sole
che tocca la dolce fronte della luna.
Non venirmi a molestare anche tu
con quelle sciocche ricerche
sulle tracce del divino.
Dio arriverà all’alba
se io sarò tra le tue braccia.
 

Per un istante d’estasi – Emily Dickinson
Per un istante d’estasi
Noi paghiamo in angoscia
Una misura esatta e trepidante,
Proporzionata all’estasi.
Per un’ora diletta
Compensi amari d’anni,
Centesimi strappati con dolore,
Scrigni pieni di lacrime

 

 

Ricordando Whitney Houston – L’indimenticabile voce che ci lasciò l’11 febbraio di 8 anni fa…

 

Whitney Houston

 

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Ricordando Whitney Houston – L’indimenticabile voce che ci lasciò l’11 febbraio di 8 anni fa…

Ricordando Whitney Houston… Classe 1963, oggi la compianta Whitney Houston compirebbe 56 anni. La bella e talentuosa Nippy, così familiari e amici amavano chiamare affettuosamente Whitney, è scomparsa prematuramente l’11 febbraio del 2012, la vigilia dei Grammy Awards, quando è stata trovata priva di vita nella vasca da bagno di una stanza del Beverly Hills Hotel, a Los Angeles, tre anni prima che la sua unica figlia Bobbi Kristina seguisse il suo triste destino.

“Il mio più grande demone sono io. Sono il mio miglior amico o il mio peggior nemico”, aveva detto la souldiva americana non molto tempo prima di morire, forse consapevole, almeno in parte, che la spirale distruttiva dalla quale tentava faticosamente di uscire da anni non l’avrebbe risparmiata. A ucciderla è stato infatti un micidiale cocktail di alcol e droghe, l’ennesimo dopo anni di abusi iniziati quando era la moglie di Bobby Brown, ex frontman dei leggendari New Edition diventato celeberrimo alla fine degli anni Ottanta grazie a due bestseller solistici.

Whitney Houston era la figlia della diva gospel Cissy Houston e la nipote della leggendaria cantante soul Dionne Warwick, un’icona della musica e del cinema internazionali lanciata nello star system di serie A nella prima metà degli anni Ottanta. Personaggio chiave tra la Vecchia Scuola soul e la nuova generazione r&b, Nippy ci lascia un’eredità musicale che non teme confronti, e che i suoi fan, così come le nuove leve del pop, non dimenticheranno mai.

Fu una cantante e attrice, da molti considerata la più grande voce del nostro tempo, infatti per Rolling Stone merita il 34° posto nella classifica dei 100 cantanti più grandi di tutti i tempi.

Il suo grandissimo successo arriva negli anni ’80 e le permetterà di accedere a mercati fino ad allora preclusi alle cantanti di colore. Da questo trampolino di lancio la cantante ha poi dominato le classifiche mondiali, in particolar modo la Billboard Hot 100, nella quale ha piazzato sette singoli consecutivi alla numero uno, tra le altre cose battendo il record di cinque appartenente a Diana Ross & The Supremes e ai Beatles.

Durante la sua carriera ha venduto 200 milioni di dischi e ha ricevuto oltre 400 premi, insomma è l’icona dello slow-pop che piace, trasversalmente, a tutte le culture e generazioni di mezzo mondo.

ECCO 5 CON CUI VOGLIAMO RICORDARE WHITNEY HOUSTON:
 I Will Always Love You

I wanna dance with somebody (who loves me)

Greatest love of all

I’m every woman 

How will I know 

L’invenzione del biliardino? Una storia commovente: Alejandro Finisterre, militante anarchico spagnolo, guardava i bambini mutilati durante la guerra civile e pensando tristemente che non avrebbero più potuto giocare a calcio…

 

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L’invenzione del biliardino? Una storia commovente: Alejandro Finisterre, militante anarchico spagnolo, guardava i bambini mutilati durante la guerra civile e pensando tristemente che non avrebbero più potuto giocare a calcio…

 

ALEJANDRO FINISTERRE CI LASCIO’ IL 9 FEBBRAIO 2007. MILITANTE ANARCHICO, GUARDAVA I BAMBINI SPAGNOLI MUTILATI DURANTE LA GUERRA CIVILE E PENSO’, TRISTEMENTE, CHE NON AVREBBERO PIU’ POTUTO GIOCARE A CALCIO. E COSI’ INVENTO’ IL BILIARDINO

Le storie che raccontiamo, come ripetiamo spesso, sono le nostre storie. Vicende che ci riguardano da vicino anche se magari non ce rendiamo subito conto. Pensiamo al biliardino. Chi nella vita non ha fatto almeno una partita a questo celebre gioco? 

La storia della nascita di questo gioco/sport è strettamente legata ad un alla storia della Guerra civile spagnola, e ad un personaggio di orientamento libertario che per primo lo ha brevettato. 

Alejandro Finisterre nasce nella città di Finisterre – dalla quale prende il cognome – nella regione spagnola della Galizia nel 1919. All’età di 15 anni si sposta a Madrid per studiare. Per potersi pagare la scuola fa ogni tipo di lavoro, dal muratore al ballerino di tip-tap, ed inizia a sviluppare una coscienza politica che lo porterà ad avvicinarsi al mondo anarchico, che ci concretizzerà un paio di anni dopo, nel 1936, allo scoppio della Guerra civile. 

Pochi mesi dopo l’inizio del conflitto rimarrà però vittima di uno dei tanti bombardamenti che subì la capitale spagnola. Travolto dalle rovine dell’edificio nel quale si trovava rimase ferito e venne trasferito in ospedale. Qui, insieme ai numerosi feriti provenienti dal fronte, erano presenti molti bambini colpiti nel corso dei bombardamenti. Molti avevano ferite gravi e, spesso, erano mutilati alle gambe. Alejandro penso che non avrebbero più potuto fare molte cose, come giocare a calcio. Fu allora che gli venne l’idea, prendendo spunto dal pingpong: creare un gioco di calcio “da tavolo” che potesse essere usato facilmente ancehe da chi aveva subito gravi mutilazioni. Nacque così il biliardino.

Ma la storia della nascita del gioco non finisce qui e prosegue in maniera turbolenta, come turbolenta fu la vita di Alejandro Finisterre in quegli anni. Con l’avvicinarsi dell’epilogo della guerra civile, egli scappò infatti in Francia per sfuggire alla persecuzione franchista. Ma la stessa Francia imprigionò molti degli esuli che attraversavano i Pirenei. Proprio mentre si spostava in Francia perse il brevetto del biliardino, tant’è che ancora oggi si sollevano dubbi sull’effettiva paternità dell’invenzione. Rimase per quattro anni detenuto in Marocco, poi venne liberato e partì alla volta del Guatemala dove, però, venne arrestato nel 1954 in seguito ad un colpo di Stato. Mentre lo estradavano a Madrid, fece finta di avere una pistola e dirottò l’aereo verso Panama in uno dei primi dirottamenti aerei della storia. Infine, dopo la morte di Franco, è tornato in Spagna dove si è spento nel 2007.

Fonti:

Cannibali e Re
Cronache Ribelli

10 febbraio – Giornata del ricordo delle vittime delle foibe – Che cosa furono i massacri delle foibe?

 

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10 febbraio – Giornata del ricordo delle vittime delle foibe – Che cosa furono i massacri delle foibe?

 

Che cosa furono i massacri delle foibe

I massacri delle foibe e l’esodo dalmata-giuliano sono una pagina di Storia che per molti anni l’Italia ha voluto dimenticare. Solo di recente la storia è stata riportata a galla e dal 2005 si celebra il «Giorno del Ricordo», in memoria dei quasi ventimila nostri fratelli torturati, assassinati e gettati nelle foibe (le fenditure carsiche usate come discariche) dalle milizie della Jugoslavia di Tito alla fine della seconda guerra mondiale.

La memoria delle vittime delle foibe e degli italiani costretti all’esodo dalle ex province italiane della Venezia Giulia, dell’Istria, di Fiume e della Dalmazia è un tema che ancora divide. Eppure quelle persone meritano, esigono di essere ricordate.

LA FINE DELLA GUERRA. Nel 1943, dopo tre anni di guerra, le cose si erano messe male per l’Italia. Il regime fascista di Mussolini aveva decretato il proprio fallimento con la storica riunione del Gran Consiglio del Fascismo del 25 luglio 1943. Ne erano seguiti lo scioglimento del Partito fascista, la resa dell’8 settembre, lo sfaldamento delle nostre Forze Armate.

Nei Balcani, e particolarmente in Croazia e Slovenia, le due regioni balcaniche confinanti con l’Italia, il crollo dell’esercito italiano aveva fatalmente coinvolto le due capitali, Zagabria (Croazia) e Lubiana (Slovenia).

LA VENDETTA DI TITO. Qui avevano avuto il sopravvento le forze politiche comuniste guidate da Josip Broz, nome di battaglia «Tito», che avevano finalmente sconfitto i famigerati “ustascia” (i fascisti croati agli ordini del dittatore Ante Pavelic che si erano macchiati di atroci crimini), e i non meno odiati “domobranzi”, che non erano fascisti, ma semplicemente ragazzi di leva sloveni, chiamati alle armi da Lubiana a partire dal 1940, allorché la Slovenia era stata incorporata nell’Italia divenendone una provincia autonoma.

La prima ondata di violenza esplose proprio dopo la firma dell’armistizio, l’8 settembre 1943: in Istria e in Dalmazia i partigiani jugoslavi di Tito si vendicarono contro i fascisti che, nell’intervallo tra le due guerre, avevano amministrato questi territori con durezza, imponendo un’italianizzazione forzata e reprimendo e osteggiando le popolazioni slave locali macchiandosi di crimini di inaudita violenza.

Con il crollo del regime – siamo ancora alla fine del 1943 – i fascisti e di conseguenza tutti gli italiani non comunisti vennero considerati nemici del popolo, prima torturati e poi gettati nelle foibe. Morirono, si stima, circa un migliaio di persone. Le prime vittime di una lunga scia di sangue.

Dal 1918 al 1943 la Venezia Giulia e la Dalmazia furono amministrativamente italiane, ma oltre la metà della loro popolazione era composta da sloveni e croati. Durante il fascismo l’italianizzazione venne perseguita seguendo, nelle intenzioni, il modello francese (attraverso una serie di provvedimenti come l’italianizzazione della toponomastica, dei nomi propri e la chiusura di scuole bilingue); nei fatti, il modello fascista. La repressione divenne più crudele durante la guerra, quando ai pestaggi si sostituirono le deportazioni nei campi di concentramento nazisti e le fucilazioni dei partigiani jugoslavi.

Tito e i suoi uomini, fedelissimi di Mosca, infatti, iniziarono la loro battaglia di (ri)conquista di Slovenia e Croazia – di fatto annesse al Terzo Reich – senza fare mistero di volersi impadronire non solo della Dalmazia e della penisola d’Istria (dove c’erano borghi e città con comunità italiane sin dai tempi della Repubblica di Venezia), ma di tutto il Veneto, fino all’Isonzo.

IL FRENO DEI NAZISTI. Fino alla fine di aprile del 1945 i partigiani jugoslavi erano stati tenuti a freno dai tedeschi che avevano dominato Serbia, Croazia e Slovenia con il pugno di ferro dei loro ben noti sistemi (stragi, rappresaglie dieci a uno, paesi incendiati e distrutti).

Ma con il crollo del Terzo Reich nulla ormai poteva più fermare gli uomini di Tito, irreggimentati nel IX Korpus, e la loro polizia segreta, l’OZNA (Odeljenje za Zaštitu NAroda, Dipartimento per la Sicurezza del Popolo). L’obiettivo era l’occupazione dei territori italiani.

Nella primavera del 1945 l’esercito jugoslavo occupò l’Istria (fino ad allora territorio italiano, e dal ’43 della Repubblica Sociale Italiana) e puntò verso Trieste, per riconquistare i territori che, alla fine della prima guerra mondiale, erano stati negati alla Jugoslavia.

LA LIBERAZIONE DEGLI ALLEATI. Non aveva fatto i conti, però, con le truppe alleate che avanzavano dal Sud della nostra penisola, dopo avere superato la Linea Gotica. La prima formazione alleata a liberare Venezia e poi Trieste fu la Divisione Neozelandese del generale Freyberg, l’eroe della battaglia di Cassino, appartenente all’Ottava Armata britannica. Fu una vera e propria gara di velocità.

Gli jugoslavi si impadronirono di Fiume e di tutta l’Istria interna, dando subito inizio a feroci esecuzioni contro gli italiani. Ma non riuscirono ad assicurarsi la preda più ambita: la città, il porto e le fabbriche di Trieste.

Infatti, la Divisione Neozelandese del generale Freyberg entrò nei sobborghi occidentali di Trieste nel tardo pomeriggio del 1° maggio 1945, mentre la città era ancora formalmente in mano ai tedeschi che, asserragliati nella fortezza di San Giusto, si arresero il 2, impedendo in tal modo a Tito di sostenere di aver «preso» Trieste.

La rabbia degli uomini di Tito si scatenò allora contro persone inermi in una saga di sangue degna degli orrori rivoluzionari della Russia del periodo 1917-1919, persone ree solo di essere Italiani e come tali Fasciste..

I NUMERI DELLE VITTIME. Tra il maggio e il giugno del 1945 migliaia di italiani dell’Istria, di Fiume e della Dalmazia furono obbligati a lasciare la loro terra. Altri furono uccisi dai partigiani di Tito, gettati nelle foibe o deportati nei campi sloveni e croati. Secondo alcune fonti le vittime di quei pochi mesi furono tra le quattromila e le seimila, per altre diecimila.

Fin dal dicembre 1945 il premier italiano Alcide De Gasperi presentò agli Alleati «una lista di nomi di 2.500 deportati dalle truppe jugoslave nella Venezia Giulia» ed indicò «in almeno 7.500 il numero degli scomparsi».

In realtà, il numero degli infoibati e dei massacrati nei lager di Tito fu ben superiore a quello temuto da De Gasperi. Le uccisioni di italiani – nel periodo tra il 1943 e il 1947 – furono almeno 20mila; gli esuli italiani costretti a lasciare le loro case almeno 250mila.

COME SI MORIVA NELLE FOIBE. I primi a finire in foiba nel 1945 furono carabinieri, poliziotti e guardie di finanza, nonché i pochi militari fascisti della RSI e i collaborazionisti che non erano riusciti a scappare per tempo (in mancanza di questi, si prendevano le mogli, i figli o i genitori).

Le uccisioni avvenivano in maniera spaventosamente crudele. I condannati venivano legati l’un l’altro con un lungo fil di ferro stretto ai polsi, e schierati sugli argini delle foibe. Quindi si apriva il fuoco trapassando, a raffiche di mitra, non tutto il gruppo, ma soltanto i primi tre o quattro della catena, i quali, precipitando nell’abisso, morti o gravemente feriti, trascinavano con sé gli altri sventurati, condannati così a sopravvivere per giorni sui fondali delle voragini, sui cadaveri dei loro compagni, tra sofferenze inimmaginabili.

Soltanto nella zona triestina, tremila sventurati furono gettati nella foiba di Basovizza e nelle altre foibe del Carso.

Uno dei principali monumenti alle vittime si trova a Basovizza, alle porte di Trieste. Qui è stata trovata una foiba che in realtà era il pozzo di una miniera di carbone che, scavata nella roccia agli inizi del novecento, fu poi abbandonata. Vi sono state gettate almeno 2.500 persone nei 45 giorni dal 1 maggio al 15 giugno 1945.

IL DRAMMA DI FIUME E IL DESTINO DELL’ISTRIA. A Fiume, l’orrore fu tale che la città si spopolò. Interi nuclei familiari raggiunsero l’Italia ben prima che si concludessero le vicende della Conferenza della pace di Parigi (1947), alla quale – come dichiarò Churchill – erano legate le sorti dell’Istria e della Venezia Giulia. Fu una fuga di massa. Entro la fine del 1946, 20.000 persone avevano lasciato la città, abbandonando case, averi, terreni.

LA CONFERENZA DI PACE DI PARIGI. Alla fine del 1946 la questione italo-jugoslava era divenuta per molti un peso che intralciava la soluzione di altre e ancora più importanti questioni: gli Alleati volevano trovare una soluzione per Vienna e Berlino; l’Unione Sovietica doveva sistemare la divisione della Germania. L’Italia era alle prese con la gestione della transizione tra monarchia e repubblica.

In sostanza bisognava determinare dove sarebbe passato il confine tra Italia e Jugoslavia. Gli Stati Uniti, favorevoli all’Italia, proposero una linea che lasciava al nostro Paese gran parte dell’Istria. I sovietici, favorevoli ai comunisti di Tito, proposero un confine che lasciava Trieste e parte di Gorizia alla Jugoslavia. La Francia propose una via di mezzo, molto vicina all’attuale confine, che sembrava anche l’opzione più realistica, non perché rispettava le divisioni linguistiche, ma perché seguiva il confine effettivamente occupato dagli eserciti nei mesi precedenti.

Il dramma delle terre italiane dell’Est si concluse con la firma del trattato di pace di Parigi il 10 febbraio 1947. Alla fine, alla conferenza di Parigi venne deciso che per il confine si sarebbe seguita la linea francese: l’Italia consegnò alla Jugoslavia numerose città e borghi a maggioranza italiana rinunciando per sempre a Zara, alla Dalmazia, alle isole del Quarnaro, a Fiume, all’Istria e a parte della provincia di Gorizia.

L’ESODO. Il trattato di pace di Parigi di fatto regalò alla Jugoslavia il diritto di confiscare tutti i beni dei cittadini italiani, con l’accordo che sarebbero poi stati indennizzati dal governo di Roma.

Questo causò due ingiustizie. Prima di tutto l’esodo forzato delle popolazioni italiane istriane e giuliane che fuggivano a decine di migliaia, abbandonando le loro case e ammassando sui carri trainati dai cavalli le poche masserizie che potevano portare con sé. E, in seguito, il mancato risarcimento.

La stragrande maggioranza degli esuli emigrò in varie parti del mondo cercando una nuova patria: chi in Sud America, chi in Australia, chi in Canada, chi negli Stati Uniti.

INTERESSE POLITICO IN ATTI D’UFFICIO. Tanti riuscirono a sistemarsi faticosamente in Italia, nonostante gli ostacoli dei ministri del partito comunista che – favorevoli alla Jugoslavia – minimizzarono la portata della diaspora.

Emilio Sereni, che ricopriva la determinante carica di ministro per l’Assistenza post-bellica, e sul cui tavolo finivano tutti i rapporti con le domande di esodo e di assistenza provenienti da Pola, da Fiume, dall’Istria e dalla ex Dalmazia italiana, anziché farsene carico e rappresentare all’opinione pubblica la drammaticità della situazione minimizzò la portata del problema.

Rifiutò di ammettere nuovi esuli nei campi profughi di Trieste con la scusa che non c’era più posto e, in una serie di relazioni a De Gasperi, parlò di «fratellanza italo-slovena e italo-croata», sostenne la necessità di scoraggiare le partenze e di costringere gli istriani a rimanere nelle loro terre, affermò che le notizie sulle foibe erano «propaganda reazionaria».

IL GIORNO DEL RICORDO. Come è stato possibile che una simile tragedia sia stata confinata nel regno dell’oblio per quasi sessant’anni? Tanti, infatti, ne erano passati tra quel quadriennio 1943-47 che vide realizzarsi l’orrore delle foibe, e l’auspicato 2004, quando il Parlamento approvò la «legge Menia» (dal nome del deputato triestino Roberto Menia, che l’aveva proposta) sulla istituzione del «Giorno del Ricordo».

La risposta va ricercata in una sorta di tacita complicità, durata decenni, tra le forze politiche centriste e cattoliche da una parte, e quelle di estrema sinistra dall’altra. Fu soltanto dopo il 1989 (con il crollo del muro di Berlino e l’autoestinzione del comunismo sovietico) che nell’impenetrabile diga del silenzio incominciò ad aprirsi qualche crepa.

Il 3 novembre 1991, l’allora presidente della Repubblica Francesco Cossiga si recò in pellegrinaggio alla foiba di Basovizza e, in ginocchio, chiese perdono per un silenzio durato cinquant’anni. Poi arrivò la TV pubblica con la fiction Il cuore nel pozzo interpretata fra gli altri da Beppe Fiorello. Un altro presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro, si era recato, in reverente omaggio ai Caduti, davanti al sacrario di Basovizza l’11 febbraio 1993.

Così, a poco a poco, la coltre di silenzio che, per troppo tempo, era calata sulla tragedia delle terre orientali italiane, divenne sempre più sottile e finalmente tutti abbiamo potuto conoscere quante sofferenze dovettero subìre gli italiani della Venezia Giulia, dell’Istria, di Fiume e della Dalmazia.

Luciano Garibaldi

Alla tragedia delle foibe, l’autore, Luciano Garibaldi, giornalista e storico, ha dedicato, assieme a Rossana Mondoni, quattro libri editi dalle edizioni Solfanelli: «Venti di bufera sul confine orientale», «Nel nome di Norma», dedicato al ricordo di Norma Cossetto, studentessa triestina tra le prime vittime della violenza rossa, «Il testamento di Licia», approfondito dialogo con la sorella di Norma Cossetto, e «Foibe, un conto aperto».

Tratto da: https://www.focus.it/cultura/storia/che-cosa-furono-i-massacri-delle-foibe

Esperimento Sociale – Il Prof razzista attacca studentessa musulmana. La reazioni dei compagni… E se alla fine del video vi scappa la lacrimuccia non vergognatevi: siete ancora umani…!

 

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Esperimento Sociale – Il Prof razzista attacca studentessa musulmana. La reazioni dei compagni… E se alla fine del video vi scappa la lacrimuccia non vergognatevi: siete ancora umani…!

Abbiamo fatto un esperimento sociale al primo giorno di scuola con telecamere nascoste. In tre differenti istituti (un classico, uno scientifico e un tecnico) arriva in classe una nuova compagna, musulmana con il velo integrale. Un nuovo professore, un nostro attore, entra in classe e comincia a deriderla. In un’escalation di battute razziste, xenofobe e islamofobe i ragazzi vengono messi alla prova. Qualcuno difenderà la studentessa islamica dagli attacchi del prof razzista? Una candid camera utile per riflettere sui temi dell’integrazione e dell’accoglienza.

Una produzione Fanpage.it video di Luca Iavarone organizzazione e riprese: Raffaello Durso attori: Pino L’Abbate e Chiara  assistente alla regia: Paola Mirisciotti assistente di produzione: Danilo Zanghi autori: Dario Volpe, Luca Iavarone Si ringraziano presidi e professori degli istituti Genovesi, Leonardo Da Vinci e Di Giacomo per la disponibilità.

Dal cielo un altro grande spettacolo: la superluna del 19 febbraio, sarà la luna piena più grande e spettacolare del 2019…!

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Dal cielo un altro grande spettacolo: la superluna del 19 febbraio, sarà la luna piena più grande e spettacolare del 2019…!

Nonostante sia il mese più corto coi suoi 28 giorni, nel 2019 febbraio ci regalerà un appuntamento da non perdere: la superluna più grande di tutto l’anno.

Un fenomeno che delizierà grandi e piccoli. Il 19 febbraio prossimo ammireremo la luna piena. Quel giorno, il nostro satellite naturale si troverà al perigeo, il punto dell’orbita in cui la distanza dalla Terra è al minimo.

Ciò avviene perché la Luna durante il mese percorre un’orbita ellittica attorno al nostro pianeta, quindi non perfettamente circolare.

Di conseguenza, non si trova sempre alla stessa distanza da noi ma passa da un minimo di 356.410 km, il perigeo, a un massimo di 406.740 km, l’apogeo.

In questo caso sarà, essa il 19 febbraio si troverà ad appena 356.761 km, mentre solitamente la distanza media Terra-luna è di 384.400 km. Anche se lo spazio che ci separa sarà comunque tanto, la luna sarà 27mila km più vicina a noi. In realtà, tra il momento esatto in cui la Luna si trova al perigeo e la fase di Luna Piena vi saranno circa 7 ore.

Cosa vedremo

Il nostro satellite ci apparirà più grande (fino al 7%) e più luminoso (fino al 15%).

“Il consiglio è di fotografare la Superluna e di confrontare l’immagine con altre riprese con la Luna all’apogeo, e quindi con minori dimensioni apparenti” spiega l’Uai.

Febbraio, la luna piena della neve

La luna piena di questo mese è anche definita la Snow Moon (Luna della Neve). Un nome che ha origine dalla tradizione dei nativi americani. In questo periodo infatti si verificano le nevicate più abbondanti. Alcune tribù la chiamavano questa “la Luna della Fame” (Hunger Moon), poiché le pesanti condizioni meteorologiche rendevano la caccia difficile.

Un evento da non perdere visto che la prossima superluna di questa portata si verificherà il 7 aprile 2020.

La vera, grande, unica vincitrice di quest’ultimo Sanremo: Fiorella Mannoia. Come al solito senza peli sulla lingua, la sua canzone “Il Peso del Coraggio” è una appassionata, feroce, potente denuncia contro la disumanità del mondo di oggi. Un pezzo che ci dovrebbe far pensare… se ne siamo ancora capaci…!

 

Fiorella Mannoia

 

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La vera, grande, unica vincitrice di quest’ultimo Sanremo: Fiorella Mannoia. Come al solito senza peli sulla lingua, la sua canzone “Il Peso del Coraggio” è una appassionata, feroce, potente denuncia contro la disumanità del mondo di oggi. Un pezzo che ci dovrebbe far pensare… se ne siamo ancora capaci…!

Come al solito non ha peli sulla lingua Fiorella Mannoia, e mai li ha avuti: con la sua nuova canzone, Il Peso del coraggio, la cantante porta l’attualità e la politica in scena al’Ariston, e incredibilmente funziona: il pubblico in visibilio per la voce e per la carica emotiva di una delle cantanti più amate d’Italia. E ora aspettiamo le critiche, che sicuramente arriveranno, ma ci accontentiamo di aver finalmente visto un bel momento di televisione a Sanremo.

(a fine articolo l’Official Video)
Il peso del Coraggio

Sono questi vuoti d’aria
Questi vuoti di felicità
Queste assurde convinzioni
Tutte queste distrazioni
A farci perdere

Sono come buchi neri
Questi buchi nei pensieri
Si fa finta di niente
Lo facciamo da sempre
Ci si dimentica

Che ognuno ha la sua parte in questa grande scena
Ognuno i suoi diritti
Ognuno la sua schiena
Per sopportare il peso di ogni scelta
Il peso di ogni passo
Il peso del coraggio

E ho capito che non sempre il tempo cura le ferite
Che sono sempre meno le persone amiche
Che non esiste resa senza pentimento
Che quello che mi aspetto è solo quello che pretendo
Ed ho imparato ad accettare che gli affetti tradiscono
Che gli amori anche i più grandi poi finiscono
Che non c’è niente di sbagliato in un perdono
Che se non sbaglio non capisco io chi sono

Sono queste devozioni
Queste manie di superiorità
C’è chi fa ancora la guerra
Chi non conosce vergogna
Chi si dimentica
Che ognuno ha la sua parte in questa grande scena
Che ognuno ha i suoi diritti
Che ognuno ha la sua schiena
Per sopportare il peso di ogni scelta
Il peso di ogni passo
Il peso del coraggio

E ho capito che non serve il tempo alle ferite
Che sono sempre meno le persone unite
Che non esiste azione senza conseguenza
Chi ha torto e chi ha ragione
Quando un bambino muore
Allora stiamo ancora zitti
Che così ci preferiscono
Tutti zitti come cani che obbediscono
Ci vorrebbe più rispetto
Ci vorrebbe più attenzione
Se si parla della vita
Se parliamo di persone

Siamo il silenzio che resta dopo le parole
Siamo la voce che può arrivare dove vuole
Siamo il confine della nostra libertà
Siamo noi l’umanità
Siamo in diritto di cambiare tutto
E di ricominciare, ricominciare

E ognuno gioca la sua parte
In questa grande scena
Ognuno ha i suoi diritti
Ognuno ha la sua schiena
Per sopportare il peso di ogni scelta
Il peso di ogni passo
Il peso del coraggio
Il peso del coraggio.

Fiorella Mannoia

 

Buon compleanno Fabrizio – Oggi 5 febbraio Fabrizio Frizzi avrebbe compiuto 62 anni. Un ricordo…

 

Fabrizio Frizzi

 

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Buon compleanno Fabrizio – Oggi 5 febbraio Fabrizio Frizzi avrebbe compiuto 62 anni. Un ricordo…

Un ricordo per il grande, immenso, simpaticissimo Fabrizio che oggi 5 febbraio avrebbe compiuto 62 anni.

Fabrizio Frizzi, “Il gentiluomo della televisione” è nato a Roma il 5 febbraio 1958. Figlio di Fulvio, noto distributore cinematografico, si diplomò al liceo classico San Giuseppe Calasanzio a Roma e tentò l’Università iscrivendosi alla facoltà di Giurisprudenza. La resa dopo appena quattro esami per fare rotta nel mondo dello spettacolo. Fabrizio inizia la sua carriera da conduttore nel 1980 con piccole parti nei programmi per ragazzi, Barattolo, Tandem e infine, nel 1985, come conduttore in Pane e Marmellata, insieme a Rita Dalla Chiesa che poi sarebbe diventata la sua prima moglie.

“Ci ho messo una vita a capire le donne, il fatto di essere cresciuto in una scuola esclusivamente maschile mi ha fatto certamente ritardare l’apprendimento; poi ho fatto un corso accelerato, adesso che vedo crescere mia figlia la lezione è completa. Le donne hanno un discreto numero di marce in più!”
FABRIZIO FRIZZI

 

Fabrizio che in tutto e per tutto si è ispirato al suo idolo Corrado, nella sua quarantennale carriera ha condotto quiz, varietà e talent show come Miss Italia (che lo vide alla guida per 17 edizioni, di cui 15 consecutive), Europa Europa, I fatti vostri, Scommettiamo che…?, Luna Park, Domenica in, Per tutta la vita…?, Cominciamo bene, Soliti ignoti e L’eredità; ha partecipato come concorrente in programmi di successo come Ballando con le stelle e Tale e quale show e ha recitato nelle due stagioni della fiction Non lasciamoci più. Legato anche a trasmissioni benefiche come la maratona televisiva Telethon, da lui condotta negli anni novanta e poi ripresa ininterrottamente dal 2005 fino al 2016 per 11 edizioni, e La partita del cuore, presentata per 22 edizioni dal 1992 al 2017. Considerato fin dagli anni ottanta uno dei principali volti maschili della Rai, è stato insieme a Pippo Baudo il conduttore con più trasmissioni all’attivo. È stato anche doppiatore e sua è la voce dello Sceriffo Woody nella saga di Toy Story.

“A questa età si entra in un imbuto che restringe l’orizzonte, vedi la vita assottigliarsi, ammesso che la vita continui, si fanno valutazioni importanti sul vivere i rapporti che contano, non disperdi più il tempo, si privilegiano le cose fondamentali.    FABRIZIO FRIZZI

Fabrizio si è spento il 26 marzo del 2018.

Il 6 luglio 2018, la Rai con un comunicato ha deciso di intitolargli gli studi Dear, appunto rinominati “studi televisivi Fabrizio Frizzi”.

Come segno tangibile di riconoscimento da parte di tutti coloro che gli hanno voluto bene, sopra la porta di ingresso dello studio televisivo dove si registra il programma L’eredità è stata affissa la sua maglietta di basket numero 10. Per più di 15 anni, infatti, Frizzi è stato presidente della squadra nazionale artisti di basket, uno sport che ha sempre seguito e promosso.

Buon compleanno, Fabrizio…