Un Cult: Benigni e Troisi in “Non ci resta che piangere” – La lettera a Savonarola.

 

Troisi

 

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Un Cult: Benigni e Troisi in “Non ci resta che piangere” – La lettera a Savonarola.

 

Un cult – La lettera che Saverio (Roberto Benigni) e Mario (Massimo Troisi) scrivono a Savonarola… Divertentissomo.

SAVERIO: Dammi un foglio!

Troisi prende un foglio di carta con sul retro i conti della macelleria.
SAVERIO: Ma che mi dai un foglio con dietro i conti della macelleria?
MARIO: Ma dietro è bianca, puoi scrivere qua!
SAVERIO: Devo scrivere  al Papa con dietro i conti della macelleria? Imbecille, allora vuoi risparmiare!

Troisi gli dà un foglio pulito. Manca la penna. Benigni strappa una penna a un “pennuto” della macelleria dove si trovano (di Vitellozzo), esclamando: “Qui c’è la cartoleria a portata di mano!”.
MARIO: M’arraccumando, Saverio!
SAVERIO: Stai tranquillo.
MARIO: Con educazione, non ci dobbiamo far riconoscere…cerchiamo di  farla un po’ anonima.
SAVERIO: Allora dettala te! Vai!
MARIO: Caro Savonarola.
SAVERIO: Prima la data; quanto sarà?
MARIO: Quasi il 1500.
SAVERIO: Quasi il 1500?
MARIO: Lo sai tu quanto ne avimmo?
SAVERIO: (pensando alla loro vita “normale”) Che scrivi? Ti arriva una lettera, Roma quasi 2000?
MARIO: Metti, estate quasi 1500.
SAVERIO: Mi informo io della data.
MARIO: Allora leva la data.
SAVERIO: Caro…? Non è nostro amico…
MARIO: Aspetta un attimo, non scrivere subito. Santissimo Savonarola…
SAVERIO: Santissimo …

MARIO: Come sei bello!
SAVERIO: Santissimo Savonarola! Quanto ci piaci a noi due! L’esclamativo ce l’avrà?
MARIO: Allora, se non si sa se ci sta l’esclamativo, “scusa la volgarità!”.
SAVERIO: Scusa la volgarità? E perché?
MARIO: Quello ogni cosa è peccato! E’ capace, vede il punto esclamativo … cos’è ‘sta cosa;  l’uomo con il puntino sotto, è peccato, noi ci mettiamo con le spalle al sicuro. Scusa le volgarità…
SAVERIO: Allora  mettiamo una freccia, questo è un esclamativo, non una volgarità!
MARIO: No, no; scusa le volgarità… eventuali.
SAVERIO: Eventuali?
MARIO: Eventuali! La vuoi scrivere come dico io, o no? Allora quello dice, perché hanno scritto le volgarità se non ci sono volgarità? Allora vuol dire che volevano essere volgari e non ci sono riusciti. Volgarità eventuali!
SAVERIO: Lascia vivere Vitellozzo.
MARIO: Potresti lasciar vivere Vitellozzo, se puoi?
SAVERIO: Savonarola!
MARIO: Savonarola! Mò dobbiamo cercare di spiegare per bene…
SAVERIO: Savonarola!
MARIO: Savonarola!
SAVERIO: Che c’è?
MARIO: Savonarola, e che è?
SAVERIO: Diamoci una calmata!
T. E che è? Qua pare che ogni cosa uno non si può muovere, e questo e quello, pure per te, oh!
SAVERIO: Oh!
MARIO: Due persone, due personcine, noi siamo due personcine per bene che non farebbero male nemmeno a una mosca…
SAVERIO: Figuriamoci!
MARIO: Figuriamoci a un santo come te!
SAVERIO: Un santone!
MARIO: Un santone come te! Anzi…
SAVERIO: Varrai più di una mosca.
MARIO: Lascia perdere, pare che lo mettiamo in competizione. Anzi, anzi spiega ogni cosa, varrai più di una mosca.
SAVERIO: Ciao.
MARIO: No, no, qua ci vuole un saluto per bene, da peccatore umile. Noi ti salutiamo con, proprio, non sappiamo nemmeno… scrivi, ti salutiamo con la nostra faccia sotto i tuoi piedi, proprio il massimo, senza chiederti nemmeno di stare fermo, puoi muoverti!
SAVERIO: Cioè, che vuol dire?
MARIO: La faccia sotto i piedi e può camminare; quello pensa siamo proprio due umili.
SAVERIO: Una bellissima immagine, la nostra faccia sotto i tuoi piedi e puoi muoverti quanto ti pare e piace e noi zitti sotto.
MARIO: Scusa il paragone di prima tra la mosca e il frate, non volevamo minimamente offenderti,  i tuoi peccatori di prima con la faccia dove sappiamo.
SAVERIO: Gli si è detto …
MARIO: Con la faccia dove sappiamo.
SAVERIO: Sempre zitti.
MARIO: Sempre zitti.

 

Buon compleanno Sic – Oggi 20 gennaio Marco Simoncelli avrebbe compiuto 33 anni – Un ricordo.

 

Marco Simoncelli

 

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Buon compleanno Sic – Oggi 20 gennaio Marco Simoncelli avrebbe compiuto 33 anni – Un ricordo.

Il 20 gennaio 1987 nasceva Marco Simoncelli – Sic – il gigante buono del motaciclismo. Un ragazzone dalla faccia scanzonata che diceva di se “Voglio essere ricordato come uno che regala emozioni”.

E di emozioni ce ne ha regalate. Alcuni entrano nel cuore delle persone perché un tragico destino li ha strappati alla vita anzitempo; diventano miti, ricordi indelebili, volti che si trasformano in icone per la loro generazione per quelle a seguire.

E quel 23 ottobre 2011 Sic è uscito dalle nostre vite per entrare per sempre nei nostri cuori.

Davvero quel 23 ottobre ce l’hai stampato nel cervello, come il 1 maggio di Senna, il 14 febbraio di Pantani, l’8 maggio di Villeneuve. I giorni in cui quel pezzo del tuo cuore che avevi delegato al tuo idolo, al tuo campione, se n’è andato irrimediabilmente con lui. Perché Marco Simoncelli apparteneva a quella razza. Non tanto e non solo dei campioni (chissà dove sarebbe oggi Marco nell’immaginaria griglia di partenza di questa MotoGp: quel che è certo è che con i big aveva dimostrato di poterci stare alla grande…).

Il Sic apparteneva a quella rara stirpe di fenomeni che ti entrano sotto pelle, ti portano in moto o in auto o in bici con loro, ti entrano in casa e diventano parte di te, della tua quotidianità.

Lo abbiamo capito dopo, ahinoi, che cosa era diventato Marco, per i suoi tifosi, per i suoi fan, ad uno ad uno, in centinaia di migliaia, aggrappati ai suoi riccioli biondi e castani per provare invano a invertire il senso di un destino infame e avverso, che invece il Sic ce lo aveva portato via, in quell’umido pomeriggio di otto anni fa, a Sepang: Marco che cade, le moto di Edwards e Rossi che lo urtano, l’immediata percezione che quanto avevamo appena visto era troppo grave per sperare in un miracolo.
Fu in quell’istante che scoprimmo la “generazione Sic”: quella di quei giovani che nel sorriso bonario, nell’accento, nei riccioli di Marco s’identificavano, come lo facevano twettando all’impazzata, o ascoltando le note di Vasco Rossi. Un popolo immenso e dolente, che abbracciò l’amico e l’idolo al ritorno del feretro dalla Malesia fino alla sua Coriano.

Sepang, l’incidente, i soccorsi inutili, la tragedia, le lacrime, il cordoglio: un Paese intero si scoprì affratellato nello strazio, per aver perso, insieme a quei riccioli, un pezzetto del proprio futuro, della propria fantasia, della propria immaginazione. Perché Marco era soprattutto questo: un frammento maledettamente prezioso e nascosto del nostro domani, dei nostri sogni, delle nostre attese. E’ allora – come faranno molti suoi fan – ricordiamolo con una bella sgasata, pronto a scattare dal via, destinazione infinito.

 

Un Cult – Robin Williams: il mitico monologo del professor Keating ne «L’attimo fuggente» – «Dobbiamo sempre guardare le cose da prospettive diverse»

 

Robin Williams

 

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Robin Williams: il mitico monologo del professor Keating ne «L’attimo fuggente» – «Dobbiamo sempre guardare le cose da prospettive diverse»

 

“Perchè sono salito quassù? Chi indovina?”
“Per sentirsi alto?”
“No! Grazie per aver partecipato.
“Sono salito sulla cattedra per ricordare a me stesso che dobbiamo sempre guardare le cose da angolazioni diverse.
E il mondo appare diverso da quassù. Non vi ho convinti? Venite a vedere voi stessi!” Coraggio!
E’ proprio quando credete di sapere qualcosa che dovete guardarla da un’altra prospettiva.  Anche se può sembrarvi sciocco o assurdo: ci dovete provare.  Ecco: quando leggete, non considerate soltanto l’autore. Considerate quello che voi pensate. Figlioli dovete combattere per trovare la vostra voce. Più tardi cominciate a farlo, più alto è il rischio di non trovarla affatto!
Thoreau dice: “Molti uomini hanno vita di quieta disperazione”, non vi rassegnate a questo, ribellatevi, non affogatevi nella pigrizia mentale, guardatevi intorno!
Osate cambiare, cercate nuove strade.!”

 

15 gennaio 1929, nasceva Martin Luther King… Se non fosse stato ammazzato oggi avrebbe compiuto 91 anni – La figlia Bernice King ci racconta l’uomo che ha sfidato il razzismo…

 

Martin Luther King

 

 

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15 gennaio 1929, nasceva Martin Luther King… Se non fosse stato ammazzato oggi avrebbe compiuto 91 anni – La figlia Bernice King ci racconta l’uomo che ha sfidato il razzismo…

Bernice King: vi racconto mio padre Martin Luther che ha sfidato il razzismo

Un’intervista a Bernice King, la figlia più piccola di Martin Luther, il leader del movimento per i diritti civili degli afroamericani, ucciso 50 anni fa a Memphis.

Il Guardian ha pubblicato un’intervista a Bernice King, la figlia più piccola di Martin Luther, il leader del movimento per i diritti civili degli afroamericani, ucciso 50 anni fa a Memphis. E’ un colloquio bello, profondo, commovente quello del giornalista Ed Pilkington con una delle eredi del pastore pacifista. Si spazia dai ricordi intimi e privati di quella che era una bambina di soli 5 anni quando il 4 aprile del 1968 le venne ucciso il padre alle riflessioni di una donna adulta sull’America di oggi, quella segnata dalle politiche di da Donald Trump.

“Quando tornava nella nostra casa sulla Sunset Avenue, ad Atlanta in Georgia, dopo aver sfidato razzisti e manganelli, mio padre faceva con noi il gioco del bacio. Per ognuno aveva un bacio in un posto zuccherino del viso. Ognuno di noi ne aveva uno – il punto di zucchero della mamma era, naturalmente,  sulle labbra; per i miei due fratelli su entrambe le guance; per Yolanda poco fuori  l’angolo della bocca e per me sulla fronte”. Bernice e i suoi fratelli – Yolanda, che morì nel 2007, Martin e Dexter – sono associati per sempre alla famosa frase di Martin Luther King del 1963, quella che risuonò come un grande monito durante la Marcia su Washington: “Ho un sogno: che i miei quattro bambini piccoli vivranno un giorno in una nazione in cui non saranno giudicati dal colore della loro pelle ma per la qualità  del loro carattere “. Bernice ricorda molto poco dell 4 aprile 1968 . “Rammento che mia mamma Coretta, mentre salivamo sull’aereo che ci avrebbe portati a Memphis disse: ‘Papà è morto, non ci parlerà più ma
il suo “spirito” è andato a vivere con Dio'”.

Scrive ancora Il Guardian: “Bernice King ha trascorso una buona parte degli ultimi 50 anni cercando di comprendere il momento in cui suo padre le è stato sottratto. È stato un viaggio personale che si abbina in modo sorprendente al viaggio pubblico che l’America ha intrapreso nel tentativo di dare un senso compiuto alla missione di uno suoi figli più cari”.

Avanzano i razzismi nel mondo, le disuguaglianze crescono assieme alle povertà. La lezione di Martin Luther si è persa? “Non credo – dice Bernice – . Le sfide degli ultimi 15 mesi hanno ulteriormente rafforzato l’eredità di King, non l’hanno diminuita. Il mese scorso alla March for Our Lives in Washington ho visto uomini e donne marciare, soprattutto centinaia di migliaia di bambini guidati dagli studenti sopravvissuti al massacro alla scuola superiore Marjory Stoneman Douglas, che hanno chiesto a gran voce alla politica di fermare la violenza armata”. Quel giorno ha preso la parola Yolanda Renee King, di nove anni, la nipote di Bernice che ha raccontato al mondo il sogno di un mondo senza armi.

“La lotta – dice ancora Bernice King al Guardian – è un processo senza fine, la libertà deve essere guadagnata da ogni generazione. E vedendo nelle strade del mio Paese i ragazzi che protestano io dico che questa nazione si è svegliata, c’è un nuovo, diverso tipo di attenzione verso i grandi problemi dell’umanità, un’attenzione che forse si era smarrita negli ultimi 25 anni. Alla fine ho ancora la stessa speranza di mio padre: che la verità disarmata e l’amore incondizionato avranno l’ultima parola”.
Bernice sarà intervistata martedì 3 aprile alle ore 21  su Rai Storia che subito dopo  trasmetterà “Un uomo nel mirino. Martin Luther King e l’Fbi”,  un documentario in prima visione che racconta la feroce opposizione politica, in parte sostenuta direttamente dal governo americano, contro il leader nero. Per molti anni infatti il reverendo King fu vittima di una campagna intimidatoria messa in atto dall’Fbi di Edgar Hoover, con atti così estremi da far sospettare ancora oggi l’opinione pubblica che l’agenzia federale fosse in qualche modo coinvolta nell’assassinio avvenuto a Memphis. Il documentario rivela la durezza della campagna d’odio ideata da Hoover, esamina nel dettaglio le strategie intimidatorie utilizzate dall’FBI nei confronti di Martin Luther King, e delinea il possibile legame oscuro tra questa campagna segreta e spesso illegale e i valori della società americana di oggi.

 

 

fonte: https://www.globalist.it/world/2018/04/02/bernice-king-vi-racconto-mio-padre-martin-luther-che-ha-sfidato-il-razzismo-2022008.html

Questa di Fabrizio è la storia vera – Un ricordo a 20 anni dalla scomparsa dell’immenso Fabrizio De André…

 

 

De André

 

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Questa di Fabrizio è la storia vera – Un ricordo a 20 anni dalla scomparsa dell’immenso Fabrizio De André…

 

Questa di Fabrizio (De Andrè) è la storia vera

Alcune sue canzoni sono finite nelle antologie della letteratura italiana; nessun personaggio dello spettacolo ha suscitato come lui tanto interesse e tanta voglia di approfondire e di capire. (Giancarlo Governi)

Fabrizio De André era un personaggio speciale, una persona, cioè, che a distanza di anni dalla sua morte fa sentire di aver lasciato un grande vuoto culturale. Soprattutto è venuto a mancare un punto di riferimento per i giovani che dalla canzone vogliono qualcosa di più di un semplice momento di relax o di esaltazione ritmica. E’ venuto a mancare colui che con modi colti ma allo stesso tempo popolari faceva arrivare al pubblico un messaggio di poesia alta e di contenuti precisi. La produzione di Fabrizio De André è vastissima. Ci ha lasciato infatti 16 album che comprendono quasi 200 canzoni. Su di lui sono stati scritti più di venti libri, e centinaia di articoli. Alcune sue canzoni sono finite nelle antologie della letteratura italiana.
Nessun personaggio dello spettacolo ha suscitato come De André tanto interesse e tanta voglia di approfondire e di capire.
Il primo brano che fece conoscere De André fu La guerra di Piero, uscita negli anni del Vietnam, in un momento cioè in cui il tema della guerra era fortemente sentito dai giovani.
Eppure la canzone non si riferiva a quella guerra, bensì ad un conflitto emblematico che li comprende tutti, proprio a sottolinearne la stupidità. Ed oggi quella canzone di quasi 40 anni fa è tornata ad essere un inno pacifista.
Fabrizio De André è stato il poeta anarchico, il poeta degli umili, dei diseredati e degli emarginati, dei maledetti. Categorie di persone di cui De André si fece paladino usando le armi della poesia e della musica colta. Potremmo dire Fabrizio De André o della ribellione, ma potremmo anche dire Fabrizio De André o della coerenza, perché, mutò lo stile, mutò i generi, cambiò il modo di concepire la canzone ma rimase sempre fedele alla sua ispirazione di fondo a quello che possiamo definire il suo manifesto culturale e ideologico. E soprattutto rimase fedele a questo mondo marginale che raramente ispira i poeti, anche a costo di pagare un prezzo altissimo come quando arrivò a perdonare i carcerieri del suo sequestro. Dimostrando nei confronti di questo mondo una pietas, come la chiamavano i latini, che poi coincide con la pietà cristiana. Il suo scopo non è la lotta sociale, a cui pure è sensibile, ma l’amore. Perché Fabrizio amava le sue puttane, i suoi ladri, i suoi travestiti, il popolo tutto dei senza diritti. Come disse don Antonio Balletto al suo funerale: “Ha trovato il timbro sincero che semina fiori anche nella disperazione e sa sferzare gli sciocchi, quelli che credono di sapere”. Per poi concludere che De André “ha aperto sentieri verso miniere d’oro: per i disperati, per quelli che non hanno diritto”.

 

 

fonte: https://www.globalist.it/culture/2019/01/09/questa-di-fabrizio-de-andre-e-la-storia-vera-2035874.html

 

 

 

 

11 gennaio 1999 – Ci lasciava Fabrizio De André, il poeta degli ultimi – Il menestrello che ha saputo cantare e dare dignità a tutti coloro che vivono ai margini della società

 

Fabrizio De André

 

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11 gennaio 1999 – Ci lasciava Fabrizio De André, il poeta degli ultimi – Il menestrello che ha saputo cantare e dare dignità a tutti coloro che vivono ai margini della società

Fabrizio De André, il poeta degli ultimi

Fabrizio De André, il menestrello che ha saputo cantare e dare dignità a tutti coloro che vivono ai margini della società, se ne andava 20 anni fa.

Oggi, 11 gennaio del 1999, se ne andava Fabrizio De André,  poeta/menestrello che ha cantanto sempre gli ultimi, che da 20 anni ha lasciato il mondo orfano della sua arte.

Di lui è già stato scritto tanto ed è ormai univesalmente riconosciuto come uno dei più grandi cantautori del Novecento non solo italiano, ma europeo per la ricchezza e la profondità delle sue composizioni che hanno influenzato e influenzeranno, come solo i grandi della poesia hanno saputo fare, le generazioni a venire.

Faber, come soprannominato dagli amici, è il menestrello degli ultimi: il poeta che ha saputo raccontare la dignità degli ambienti più degradati, che ha fatto nascere la beltà dal letame, che ha descritto figure, apparentemente senza tempo, relegate ai margini della società. La vita per De André è nella camera di una puttana, in una bettola dove scorre alcol a fiumi, nei quartieri malfamati dove “il sole del buon dio non dà i suoi raggi”. De Andrè msotra pietà per questi umili, le “vittime di questo mondo”, perché è qui che è conservata la purezza originaria dell’essere umano.

Il suo sguardo benevolo verso le mostruosità del mondo serve per mettere in luce la vera bruttezza: quella del mondo borghese. Con forza si scaglia nelle sue opere per urlare tutto il suo disprezzo per tutte le opinioni dominanti, anche per quelle degli ambienti della sinistra da salotto.

E chissà – e purtroppo non lo si potrà mai – come avrebbe cantanto oggi i nostri drammi: dall’immigrazione alla guerra, da Mafia Capitale a i furbetti del cartellino (tutti temi che comunque si ritrovano già nei suoi testi, sia in quelli originali che in quelli pensati per i brani da tradurre in italiano).

L’attualità di oggi nei testi scritti ieri: ancora una volta a testimonianza della sua immortalità.

Poi ancora la sua innata la capacità di dipingere con un verso una scena, una situazione, un sentimento universale. Di De André rimarrà per sempre quell’uso attento delle parole, che riporta tutto ad una morale mai banale che spesso viene fuori dal sarcasmo e l’ironia, in un continuo rovesciamento dell’ordine costituito per una “bonaria” presa per il sedere.

Ma De Andrè è anche il poeta che ha cantato la tristezza: pessimismo e atmosfere sempre cupe pervadono la sua opera. Questo vale anche per l’amore, perché nei suoi scritti (e scusate se non li si considerano solo canzoni) è sempre destinto a una tragica fine, dopo aver confuso, massificato e reso incosciente l’individuo.

Che De André non si possa riassumere in poche battute di un articolo è cosa ben nota. A De André e alla sua musica ci si approccia in modi diversi: emotivamente, filologicamente, carnalmente, istintivamente, ecc…

Anche coloro che (stupidamente) lo denigrano con quel “non mi piace” non possono ignorarlo: lo ascoltano. Perché quella musica magnetica, quella voce calda è ammaliatiatrice: sempre un vortice di forti emozioni positive e/o negative.

Il miglior modo per ricordare questo Gigante è quello di riascoltare la sua musica: perdersi nelle sue note in quei versi e ritrovare la bellezza, un concetto, anch’esso, che ai giorni nostri (ahinoi!) è sempre più relegato ai margini.

 

Fabrizio de andrè città vecchia (versione non censurata)

L’11 gennaio del 1999, ci lasciava Fabrizio De André. Vogliamo ricordarlo con “Caro Faber”, la lettera che Don Gallo gli dedicò a pochi giorni dalla morte

 

De André

 

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L’11 gennaio del 1999, ci lasciava Fabrizio De André. Vogliamo ricordarlo con “Caro Faber”, la lettera che Don Gallo gli dedicò a pochi giorni dalla morte

 

La loro Genova ha unito i loro destini, le loro storie si sono incrociate per sempre nell’attenzione verso gli ultimi e gli emarginati. Don Gallo, il prete di strada che si è fatto conoscere durante tutta la sua vita per l’impegno verso le condizioni umane dei disagiati e degli ultimi, dei dimenticati e Fabrizio De André, hanno condiviso tra le vie di Genova il racconto del mondo.

Lo hanno raccontato e testimoniato allo stesso modo. L’uno attraverso il Vangelo, l’altro attraverso la musica.

Ecco come il Prete da marciappiede salutò l’amico Faber:

Caro Faber. Per Fabrizio De André

di don Andrea GalloGenova, 14 gennaio 1999

Caro Faber,

da tanti anni canto con te, per dare voce agli ultimi, ai vinti, ai fragili, ai perdenti. Canto con te e con tanti ragazzi in Comunità.

Quanti «Geordie» o «Michè», «Marinella» o «Bocca di Rosa» vivono accanto a me, nella mia città di mare che è anche la tua. Anch’io ogni giorno, come prete, «verso il vino e spezzo il pane per chi ha sete e fame». Tu, Faber, mi hai insegnato a distribuirlo, non solo tra le mura del Tempio, ma per le strade, nei vicoli più oscuri, nell’esclusione.

E ho scoperto con te, camminando in via del Campo, che «dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior».

La tua morte ci ha migliorati, Faber, come sa fare l’intelligenza.

Abbiamo riscoperto tutta la tua «antologia dell’amore», una profonda inquietudine dello spirito che coincide con l’aspirazione alla libertà.

E soprattutto, il tuo ricordo, le tue canzoni, ci stimolano ad andare avanti.

Caro Faber, tu non ci sei più ma restano gli emarginati, i pregiudizi, i diversi, restano l’ignoranza, l’arroganza, il potere, l’indifferenza.

La Comunità di san Benedetto ha aperto una porta in città. Nel 1971, mentre ascoltavamo il tuo album, Tutti morimmo a stento, in Comunità bussavano tanti personaggi derelitti e abbandonati: impiccati, migranti, tossicomani, suicidi, adolescenti traviate, bimbi impazziti per l’esplosione atomica.

Il tuo album ci lasciò una traccia indelebile. In quel tuo racconto crudo e dolente (che era ed è la nostra vita quotidiana) abbiamo intravisto una tenue parola di speranza, perché, come dicevi nella canzone, alla solitudine può seguire l’amore, come a ogni inverno segue la primavera [«Ma tu che vai, ma tu rimani / anche la neve morirà domani / l’amore ancora ci passerà vicino / nella stagione del biancospino», da L’amore, ndr].

È vero, Faber, di loro, degli esclusi, dei loro «occhi troppo belli», la mia Comunità si sente parte. Loro sanno essere i nostri occhi belli.

Caro Faber, grazie!

Ti abbiamo lasciato cantando Storia di un impiegato, Canzone di Maggio. Ci sembrano troppo attuali. Ti sentiamo oggi così vicino, così stretto a noi. Grazie.

E se credete ora

che tutto sia come prima

perché avete votato ancora

la sicurezza, la disciplina,

convinti di allontanare

la paura di cambiare

verremo ancora alle vostre porte

e grideremo ancora più forte

per quanto voi vi crediate assolti

siete per sempre coinvolti,

per quanto voi vi crediate assolti

siete per sempre coinvolti.

Caro Faber, parli all’uomo, amando l’uomo. Stringi la mano al cuore e svegli il dubbio che Dio esista.

Grazie.

Le ragazze e i ragazzi con don Andrea Gallo,

prete da marciapiede.

Un piccolo tributo a Ivan Graziani, il magico cantautore scomparso il 1° gennaio di 22 anni fa – Lo vogliamo ricordare con alcune delle sue più belle canzoni…

 

Ivan Graziani

 

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Un piccolo tributo a Ivan Graziani, il magico cantautore scomparso il 1° gennaio di 22 anni fa – Lo vogliamo ricordare con alcune delle sue più belle canzoni…

Se ne andava esattamente 22 anni fa, il 1°gennaio del 1997, il grande cantautore e rocker d’avanguardia Ivan Graziani, considerato ancora oggi tra gli artisti meno allineati del nostro panorama musicale, grande virtuoso della chitarra, autore di testi irriverenti e ironici in cui ha “disegnato” in note la provincia italiana, con il Gran Sasso e l’Abruzzo sullo sfondo.

“Sono così, mi piace, andare contro corrente…” scriveva Graziani nel 1989. Nella sua produzione musicale ha sempre tenuto fede a quelle parole, senza omologarsi alle tendenze della musica italiana anni ‘60 e ‘70, e quindi senza entrare nelle fila dei cantautori “politici” ispirati al folk di Dylan, o in quella degli importatori del rock’n’roll alla Elvis Presley o degli imitatori dei Beatles. Perché Graziani aveva da raccontare qualcosa di suo, e la grande padronanza della chitarra gli ha permesso di farlo in un modo musicalmente nuovo, inventandosi un linguaggio a metà tra il rock e la canzone d’autore, mai sentito prima in Italia. Una scelta agli antipodi della discografia di moda, che l’ha reso unico, e – per rovescio della medaglia – l’ha allontanato dal successo facile, quello della popolarità patinata, delle vendite facili e della riconoscibilità.

Nato a Teramo il 6 ottobre del 1945 sotto il segno della Bilancia, Ivan Graziani è stato uno dei cantautori più importanti della tradizione italiana, sicuramente sul podio dei migliori insieme ad artisti del calibro di Lucio Battisti. La sua continua innovazione e il suo essere così naturale gli hanno consentito di provare quasi ogni genere e cantare canzoni di ogni tipo, da quelle romantiche (indimenticabili) a quelle di protesta sociale.

Vogliamo ricordarlo qui con cinque delle sue più belle canzoni

Le cinque canzoni più belle di Ivan Graziani

È sempre difficile riuscire a fare una selezione di cinque canzoni, soprattutto quando trattiamo un mostro sacro della musica come Ivan Graziani. La nostra selezione vuole presentarsi come una panoramica sulla lunga attività dell’artista, andando a esplorare i suoi apsetti più noti ma anche quelli più sconosciuti al grande pubblico.

Ivan Graziani, Firenze canzone triste

Una fantastica poesia in musica per la splendida città di Firenze, il colosso toscano dagli occhi di marmo che fa innamorare al primo sguardo. Il settimo singolo dell’artista mostra ancora un aspetto sperimentale che il cantante con il tempo trasformerà nel suo genere unico nel mondo del cantautorato.

Di seguito il video di Firenze canzone triste:

Ivan Graziani, Agnese

Anno 1979: Agnese è uno dei primi successi del cantante che si affida a un accompagnamento musicale molto anni Settanta, forse poco audace ma sicuramente interpretato nel migliore dei modi. Se dal punto di vista musicale la canzone non regala niente di nuovo, il testo inizia a lasciar intravedere le abilità di Ivan, uno che sa disegnare rime inaspettate e creare con le parole scenari incantevoli in cui l’ascoltatore si perde in un sogno a occhi aperti.

Di seguito il video di Agnese:

Ivan Graziani, Lugano Addio

Con Lugano Addio siamo forse di fronte al più grande successo di Graziani. La musica è una ventata di aria fresca nel panorama italiano, c’è ritmo e soprattutto c’è una passione immensa che emerge prepotentemente dal giro di accordi. Da brividi i controcanti registrati su tracce separate.

Di seguito il video di Lugano Addio:

Ivan Graziani, Pigro

Difficile riconoscere in questa canzone di Ivan Graziani che si lancia in un vero e proprio esperimento musicale. Chiuso il romanticismo in un cassetto, Ivan Graziani si lancia in una canzone che sa tanto di critica sociale. La canzonetta, come l’hanno definita in molti, ha un messaggio decisamente profondo e ha avuto il suo successo.

Di seguito il video di Pigro:

Ivan Graziani, Il chitarrista

E non potevamo certo farci mancare un Ivan Graziani in versione decisamente rock. Con Il Chitarrista l’autore esplora il mondo delle chitarre elettriche, delle tastiere presenti e del basso prepotente. Fantastica.

Di seguito il video de Il chitarrista:

 

fonti varie dal Web

Un mitico Cult Vintage: La Linea episodio 001…!

Linea

 

 

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Un mitico Cult Vintage: La Linea episodio 001…!

 

 

La Linea è il personaggio protagonista di un cartone animato ideato da Osvaldo Cavandoli. Il cartone animato è costituito da un uomo che percorre una linea virtualmente infinita e di cui è anch’esso parte integrante. Il personaggio incontra nel suo cammino numerosi ostacoli e spesso si rivolge al disegnatore (in un grammelot incomprensibile) affinché esso disegni la soluzione ai suoi problemi.

Storia

Nel 1969 Cavandoli propose questo personaggio (chiamato inizialmente Mr. Linea) ad alcune agenzie pubblicitarie che realizzavano filmati per il Carosello della RAI. Il personaggio piacque all’ingegner Emilio Lagostina, collezionista d’arte e titolare dell’omonima industria di pentole a pressione, che lo volle protagonista di alcuni caroselli per la sua azienda. La presentazione del personaggio, inizialmente chiamato Agostino Lagostina (il nome fu poi eliminato dopo la prima serie di Caroselli) fu questa: «Chi è Agostino? Un piccolo uomo vivace, dal naso realmente espressivo, con tutte le istanze e le preoccupazioni della vita moderna. Figlio di una matita e di una mano.»
Al personaggio venne associata la voce di Giancarlo Bonomi, che gli fornì una parlata onomatopeica dal vago accento milanese, e una colonna sonora vagamente jazz curata da Franco Godi e Corrado Tringali. Il personaggio divenne così protagonista di una serie di celebri spot pubblicitari, diffusi anche all’estero, dove sono anche stati prodotti dei DVD con le sue avventure.
Sull’onda del successo, nel 1972 La Linea divenne anche una striscia a fumetti che vinse numerosi premi internazionali. Ad essa seguirono poster, calendari e prodotti di merchandising.
All’inizio del 2007 la Lagostina ha cambiato il suo storico logo. Nel marzo dello stesso anno muore Osvaldo Cavandoli.

Il linguaggio de La Linea

Il borbottìo e le comiche imprecazioni del personaggio sono espresse in un linguaggio incomprensibile, una sorta di grammelot in cui non è difficile riconoscere alcune estemporanee espressioni in dialetto lombardo, i colori degli sfondi suggeriscono inoltre lo stato emotivo del personaggio, variando spesso e a seconda dei casi. Facile comprendere come questo non-linguaggio abbia molto aiutato la diffusione internazionale del personaggio, che non ha bisogno di alcun doppiaggio.

La Linea nel mondo

A partire dagli anni ottanta La Linea è stato testimonial, oltre che de Lagostina in Italia, anche di numerosi altri clienti in tutto il mondo.
Tra gli anni ottanta e novanta è stata protagonista di svariate campagne pubblicitarie, tra cui:
La carta di credito del Touring Club in Svizzera
La raccolta differenziata in Svezia
L’istituto di credito in Israele
Una società privata ospedaliera in Australia
Gli elettrodomestici Vestel in Turchia
Le bombolette a gas Twiny in Francia
La crema antiemorroidale Faktu in Germania
L’agenzia immobiliare Home in Danimarca
I telefoni cellulari Simplus in Polonia
L’agenzia di assicurazione Santam in Sudafrica.
Episodi de La Linea sono stati proiettati su schermi all’interno delle stazioni nelle metropolitane di Berlino, Francoforte e Colonia.
In Norvegia, a partire dal 30 giugno 2008, il giornale Dagbladet pubblica quotidianamente un episodio del personaggio di Cavandoli.
Nel 2012 la casa automobilistica statunitense Ford, adotta La Linea quale testimonial per la campagna pubblicitaria dell’automobile ibrida Ford C-Max Hybrid.

Influenze nella cultura popolare

La Linea è stata citata nel video musicale del singolo di Jamiroquai (Don’t) Give Hate a Chance (2005), in cui appaiono varianti tridimensionali del celebre personaggio oltre che mano e matita di un disegnatore.
Viene citata nella sigla finale dell’anime Itadakiman, facente parte della serie Time Bokan, in cui le silhouette che si muovono su La Linea sono quelle di tre personaggi della serie.
Le canzoni Bla Bla Bla e The Riddle di Gigi D’Agostino sono dedicate a La Linea, nei cui video musicali viene ripreso l’omino, modificato e animato a ritmo di musica.
Nel 2008 la rivista The Artist rende omaggio a Osvaldo Cavandoli e al suo personaggio con Cavandoli!, un fumetto disegnato da trenta autori umoristici italiani.