La lezione di Josè Pepe Mujica: “La vita è un miracolo, non sprecatela nel consumismo. Per essere felici trovate il tempo di vivere”

 

 

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La lezione di Josè Pepe Mujica: “La vita è un miracolo, non sprecatela nel consumismo. Per essere felici trovate il tempo di vivere”

“È fondamentale difendersi dagli attacchi del mercato. E per far ciò serve la sobrietà nel vivere, che consiste nel trovare il tempo di vivere. Questo è l’unico reale esercizio della nostra libertà”. Sono le parole di Josè Pepe Mujica, ex presidente dell’Urugay e personaggio di rilievo internazionale per la particolarità della sua presidenza, cinque anni che hanno segnato una svolta nel paese uruguayano.

Ma il suo è stato anche un esempio per il mondo. E lo ha dimostrato anche oggi, ospite al Teatro Palladium di Roma per presentare il libro “La felicità al potere” e per incontrare gli studenti. Ha parlato di capitalismo, di cultura e dell’importanza della libertà, diretta espressione della felicità, tema a lui molto caro. “Tutti gli esseri umani sono liberi – ha proseguito Mujica – ma è fondamentale che utilizzino il proprio libero arbitrio. Ad esempio, quando lavoro, perché ne ho necessità, non sono libero. Però, quando faccio qualcosa che mi piace, allora sì che sono libero”.

Per Mujica è tutta una questione di come ci si pone nei confronti del mondo: o soggiogare alle regole del mercato, del sistema e del materialismo, divenendone schiavi, oppure cercare di distaccarsi da tutto questo: “Se non posso cambiare il mondo posso cambiare la mia condotta personale e la posso cambiare adoperandomi nella ricerca della felicità”.

Una lotta individuale, quindi. Una lotta che deve avere un solo risultato, un solo scopo: la felicità. Un valore, questo, che purtroppo non è proprio del sistema vigente – se non apparentemente – nella nostra società, come sottolinea la “pecora nera al potere”, in cui domina una cultura egemonizzata dall’economia capitalista: “E’ logico che un sistema generi una cultura a suo favore, sarebbe innaturale il contrario. E questa cultura di cui parlo è molto presente nella nostra società. E che cosa ci porta? Ci porta solitudine e infelicità. Il nostro mondo moderno è caratterizzato da questi due fattori: un dato che lo dimostra è la quantità di suicidi che registriamo, un numero maggiore delle vittime di guerra sommate a quelle degli omicidi”.

Un fenomeno molto complesso quello messo in luce da Mujica. Secondo lui, questi suicidi sono l’emblema della contraddizione insita nel capitalismo: “Se da un lato, infatti, ci permette di aver un maggior grado di benessere e di vivere più a lungo, allo stesso tempo ci porta anche molti elementi negativi, come dimostrano i dati sui suicidi nel mondo”.

Non sono sfuggite a Mujica anche un paio di battute sulle prossime elezioni americane: “Non mi preoccupa tanto se vincerà Trump, perché lui passerà, così come tutti i presidenti. In Europa c’è stato Hitler, e anche lui è passato, alla fine. Quello che mi preoccupa veramente è la gente che lo voterà: loro sì che rimarranno. Loro rappresentano una classe media che, vivendo nell’incertezza, attribuisce le colpe ora ai cinesi, ora ai messicani. In realtà sta esprimendo una patologia”. Una patologia che deriva dalla concentrazione di ricchezza e benefici nelle mani di poca gente. “Un fenomeno che, negli Usa come in Europa – ha sottolineato – sta creando delle aspettative nella grande moltitudine delle classe media: sono quelli che votano Trump o che in Francia sostengono i nazionalisti. Una contraddizione che appartiene alle destre di tutto il mondo, proprio perché l’economia è globalizzata”.

“Certo – ha affermato Mujica, ritornando sulle presidenziali Usa – anche Clinton è abbastanza conservatrice”. “Il paradosso di oggi, del mondo moderno – ha proseguito – è che i candidati sono commercializzati come fossero dei prodotti, e questo lo dobbiamo alla tecnologia”. “La rivoluzione informatica che ha investito il nostro mondo – ha avvertito – avrà ripercussioni istituzionali pesanti nella forma di democrazia che avremo in futuro, così come la sta avendo sulla cultura, le università e il sistema scolastico”.

Poi un ultimo messaggio rivolto ai giovani e a chi si prepara a vivere le dinamiche del mondo e della nostra società: “La vita è un miracolo, essere vivi è un miracolo. E non possiamo vivere oppressi dal mercato che ci obbliga a comprare, ancora e ancora. Anche perché non paghiamo con i soldi, ma con il tempo della nostra vita”.

 

Gli Italiani non si possono più permettere di pagare le cure mediche? Ecco la bellissima iniziativa di alcuni medici in pensione, quasi tutti ex-primari, anche di fama internazionale: un centro dove si cura gratis a chi ne ha bisogno…

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Gli Italiani non si possono più permettere di pagare le cure mediche? Ecco la bellissima iniziativa di alcuni medici in pensione, quasi tutti ex-primari, anche di fama internazionale: un centro dove si cura gratis a chi ne ha bisogno…

Borgomanero: 23 specialisti in pensione visitano poveri e immigrati nel centro Auser

Borgomanero è un tranquillo paese in provincia di Novara, a due passi dal Lago Maggiore. Oggi gode di una rinnovata fama grazie a uno degli esperimenti sociali più interessanti degli ultimi anni. Merito di una associazione di volontariato, l’Auser, che in città è presieduta da Maria Bonomi, e da un gruppo di medici, quasi tutti in pensione, che hanno deciso di mettere a disposizione la loro professionalità per una nobile causa.

Ventitré medici specialisti in pensione, quasi tutti ex-primari e alcuni con fama internazionale, hanno scelto di proseguire nell’esercizio della loro professione mettendosi totalmente a disposizione di chi è economicamente in difficoltà e non può permettersi di pagare il ticket né tantomeno una consulenza medica privata.

È la storia del poliambulatorio di Borgomanero, in provincia di Novara, dove i volontari dell’Auser hanno offerto gratuitamente i locali e un pool di medici in gamba nelle rispettive competenze, affiancati da infermieri.

Sono 23 gli specialisti volontari che lavorano nell’ambulatorio Auser: dalla chirurgia all’urologia, dalla ginecologia alla pediatria, oltre a una decina di odontoiatri. Tra loro l’ortopedico Piero Frediani, il radiologo Carmelo Cavallaro, il dermatologo Giorgio Leigheb. I pazienti visitati vanno dai 1300 ai 1500 all’anno. Oltre alle visite specialistiche vengono effettuati esami ematici di laboratorio, elettrocardiogrammi, esami Holter, ecografie ed ecodoppler, tutto in maniera assolutamente gratuita. Gli assistiti sono essenzialmente rifugiati, senzatetto, anziani e persone bisognose in senso lato. All’ambulatorio vengono indirizzati dal medico di famiglia, molti sono anziani assistiti dall’Auser. Tra i pazienti anche persone che possono pagare la visita: ricevono assistenza medica in cambio di un contributo. L’effetto è multiplo: si aiutano le persone in difficoltà, si alleggeriscono le liste d’attesa del servizio sanitario pubblico e si conferisce una funzione sociale importante ai camici bianchi in pensione.

Le specializzazioni sono 17: c’è il chirurgo e il pediatra, il dermatologo e l’ortopedico, l’odontoiatra e il ginecologo. Ultimamente persino tre avvocati, un consulente amministrativo e una psicologa. E soprattutto c’è sempre un sorriso per tutti. E grazie alle donazioni di alcuni pazienti è stato possibile acquistare anche indispensabili apparecchiature diagnostiche.

«L’idea è nata otto anni fa in piena crisi economica – spiega Sergio Cavallaro, urologo e direttore sanitario dell’ambulatorio Auser – con alcuni medici in pensione abbiamo deciso di creare questo ambulatorio per sostenere le persone più indigenti, quelle che non ce la facevano a pagare il ticket, non solo quelle che avevano difficoltà economiche. Poi dato che la nostra è una zona dove ci sono molti rifugiati richiedenti asilo ho unito le cose e ci siamo dedicati a queste persone. All’inizio ho chiamato alcuni miei amici, poi altri sono venuti spontaneamente richiamati dal nostro obiettivo».

«All’inizio abbiamo dovuto faticare parecchio – racconta Cavallaro – abbiamo dovuto vincere molte resistenze da parte dei medici di famiglia, degli specialisti. Come si può immaginare non è stato facile. Però adesso siamo integrati sul territorio molto bene, collaboriamo con l’Asl e con i medici di famiglia, la cittadinanza ci sostiene. Una signora oltre a dare un contributo ci ha regalato un elettrocardiografo».

 

 

La corrida vista con gli occhi del toro – Le atrocità sulla corrida che tutti devono conoscere per capire l’idiozia delle bestie umane che si godono lo spettacolo…!

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La corrida vista con gli occhi del toro – Le atrocità sulla corrida che tutti devono conoscere per capire l’idiozia delle bestie umane che si godono lo spettacolo…!

Le atrocità sulla corrida che tutti devono conoscere e cosa è costretto a sopportare il toro, passo per passo.

La “corrida de toros” (corsa di tori) è uno spettacolo che consiste in un combattimento tra uomo e toro, diffuso principalmente in Spagna, ma anche in Portogallo, Sud della Francia e in alcuni paesi dell’America Latina (con denominazioni differenti).

Le gare in Spagna si svolgono fin dal 1800, ma venivano praticate anche precedentemente, a partire dal XIV secolo, da nobili che, a cavallo, combattevano contro tori per questioni legate al prestigio e all’onore.

Alla corrida partecipano: 6 toreri e 3 tori (provenienti da allevamenti specializzati) che si alternano; due picadores a cavallo, tre banderilleros e gli incaricati a ritirare il corpo del toro una volta che viene ucciso.

Prima della gara i partecipanti sfilano davanti al pubblico e ricevono dal presidente, e unico giudice, le chiavi della porta dalla quale usciranno i tori. La “toreada” è divisa in 3 parti, chiamate “tercios“.

Prima della gara

Il toro viene sottoposto a crudeltà per indebolire le sue forze: tenuto al buio, senza cibo e senza acqua, viene colpito ai reni con sacchi di sabbia, gli viene cosparsa trementina sulle zampe per impedirgli di star fermo, gli viene annebbiata la vista applicando vaselina sui suoi occhi, gli viene infilata stoppia nelle narici e nella gola per impedirgli la respirazione e gli vengono conficcati aghi appuntiti nel corpo. Prima ancora di entrare nell’arena è quindi drogato, sofferente ed impaurito.

Quando entra nell’arena
  • Prima parte: Tercio de Varas

Il toro esce dalla porta con un arpioncino conficcato nel garrese (il punto alto del dorso, tra collo e scapole) e compie un giro dell’arena alla ricerca di una via d’uscita.

Spesso tenta di tornare indietro, ma la porta è chiusa e inizia, così, a prenderla a cornate. Si sente, inoltre, frastornato dai rumori della banda e del pubblico.

Il torero entra in scena e comincia a caricarlo con il “capote“, il drappo di tela rosa acceso da un lato e giallo dall’altro. I picadores a cavallo domano il toro colpendolo con una lancia dalla punta in acciaio, modellata a piramide a tre lati e provvista di un arresto metallico alla base, che serve ad impedire che penetri anche il manico nella carne del toro. La legge prevede che il toro venga colpito nel muscolo del collo almeno due volte, ma spesso i colpi arrivano ad essere 5 o 6 perché alcuni tori, atterriti, continuano a caricare cavallo e picadores. Così, il cavaliere colpisce il toro con il manico della lancia, in modo da stordirlo, ma non così tanto da non poter continuare la gara.

L’intento di questa prima parte è capire la forza del toro e affaticarlo.

  • Seconda parte: Tercio de Banderillas

I 3 banderilleros (o il torero) caricano il toro con il corpo e infilano tre paia di banderillas con una grossa punta in acciaio nel suo dorso.

L’arpioncino è lungo circa 6 cm e largo 4 ed è creato cosicché, quando il toro si muove, questa spinga nella carne ed infastidisca continuamente.

Il toro inizia a dissanguare, a dare segni di cedimento e le sue cariche diventano sempre più brevi e sofferte.

  • Terza parte: Tercio de Muleta

Il torero comincia ora il suo spettacolo, osannato da tutti come una star. Sostituisce il “capote” con la “muleta“, un drappo rosso di flanella che stringe con una mano, mentre nell’altra maneggia una spada.

Il toro è molto stanco e debilitato dai colpi ricevuti, che gli hanno danneggiato i muscoli del collo. Si trova impossibilitato ad alzare il capo e tiene, quindi, la testa bassa. Il picador lo sottomette e lo mantiene in una condizione di inferiorità, così da agevolare il torero nel passo successivo: conficcare al toro la spada tra le scapole, raggiungendo il suo cuore.

Il toro comincia a vomitare sangue, soffoca e crolla.

La legge prevede che il torero uccida il toro entro il decimo minuto di questa fase, se questo non accade (perché il torero non ha colpito abbastanza in profondità o non ha reciso un organo vitale) viene emesso un avviso dagli spalti.

Se entro il tredicesimo minuto il toro è ancora vivo, viene dato un secondo avvertimento e il torero usa una piccola spada per dare il colpo di grazia al toro agonizzante.

Qualora, nuovamente, entro il quindicesimo minuto il toro non muore, verrà ucciso con un pugnale da uno dei peones e il torero verrà fischiato: avrà fallito.

Se, invece, avrà combattuto con destrezza e capacità, verrà acclamato dalla folla come se fosse un vero eroe.

Dopo la gara

Se il torero avrà fatto un buon lavoro, gli verranno offerte come ricompensa una o due orecchie, oppure la coda del toro.

Il toro viene portato via, agonizzante e paralizzato, ma cosciente; oppure viene accoltellato alla base del cranio, per spezzargli la colonna vertebrale e assicurarne la morte.

Nel caso in cui avrà lottato con onore verrà trascinato fuori dall’arena, tra gli applausi del pubblico, prima di essere macellato.

Se il toro avrà combattuto in maniera unica e straordinaria, si può decidere durante la gara di provare a salvargli la vita (indulto) una volta concluso lo spettacolo, così da farlo riprodurre in modo che tramandi le sue qualità.

Dopo l’eventuale indulto il toro riceve, quindi, cure mediche. I giorni più critici sono i primi 3, ma solitamente, data la gravità delle ferite, il toro non riesce a sopravvivere oltre i primi giorni.

“Ci vuole un formidabile potenziale sadico per pagare l’ingresso in un’arena in cui lo spettacolo consiste nel torturare un animale, farlo soffrire, ferirlo crudelmente, raffinare i gesti barbari, codificarli (come un inquisitore o un torturatore che sa bene fino a che punto bisogna arrivare per mantenere in vita il più a lungo possibile chi, in ogni caso, sarà messo a morte) e godere in modo isterico quando il toro è sfinito perché non vede più nessuna via d’uscita.”

L’apoteosi della vergognosa crudeltà umana – In questi giorni “El toro Jubilo” – “toro di fuoco” – Legano alle corna del toro materiale infiammabile. L’animale che impazzisce dal terrore e dal dolore corre disperato per il paese. Spesso si suicida incornando un muro. E le bestie umane si godono lo spettacolo…!

 

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L’apoteosi della vergognosa crudeltà umana – In questi giorni “El toro Jubilo” – “toro di fuoco”  – Legano alle corna del toro materiale infiammabile. L’animale che impazzisce dal terrore e dal dolore corre disperato per il paese. Spesso si suicida incornando un muro. E le bestie umane si godono lo spettacolo…!

In Spagna a Medinaceli ogni anno, il secondo sabato del mese di novembre, si esprime tutto il sadismo e la crudeltà del genere umano.

L’inferno del toro “jubilo” l’ennesimo torturato da una violenza gratuita e crudele viene seviziato fino alla morte.

Il toro viene condotto a forza all’interno del recinto, viene immobilizzato intorno ad un palo, e gli vengono legate intorno alle corna delle palle di materiale infiammabile. Le goccia di pece finiscono negli occhi accecandolo e bruciandogli il muso.

Quando inizia a bruciare la parte interna delle corna il dolore diventa lancinante, spesso i tori cercano di porre fine al dolore insopportabile lanciandosi contro i muri terrorizzati, per suicidarsi.

L’indicibile sofferenza dell’animale, termina al mattatoio, perché ovviamente, dopo essere stato ridicolizzato, brutalizzato, deriso e umiliato, alla fine viene anche macellato. Giustificare una simile violenza in virtù di arcaiche tradizioni è vergognoso.

Tra poco le sue urla squarceranno il cielo, coperte solo dalle risate e dalle grida isteriche di gente immonda.

Il delirio della tortura dei tori in Spagna è una tradizione. Lui, sarà solo l’ennesima vittima di una cultura specista e senza cuore.

UNA VERGOGNA…!

 

Un ricordo di Romano Bertola morto il 6 novembre di due anni fa. A lui dobbiamo tanti favolosi caroselli, dal Merendero (Miguel son mi) a Maria Rosa (Brava brava Maria Rosa) al gigante buono della nutella (E che, ci ho scritto Jo Condor?)…

 

Romano Bertola

 

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Un ricordo di Romano Bertola morto il 6 novembre di due anni fa. A lui dobbiamo tanti favolosi caroselli, dal Merendero (Miguel son mi) a Maria Rosa (Brava brava Maria Rosa) al gigante buono della nutella (E che, ci ho scritto Jo Condor?)…

 

A volte, portando a Lourdes un film muto, si mette a parlare.

I cigni mettono continuamente la testa sott’acqua per l’ossessione di avere le scarpe slacciate.

Un cane guardando un albero di Natale acceso: “finalmente hanno messo la luce in bagno”.

Romano Bertola

Inizia la carriera come scrittore nel 1958 con il romanzo “La stanza delle mimose”, che vince il premio Pavese.

Entra quindi nel mondo della pubblicità, scrivendo molti jingle e canzoncine per Carosello che riscuotono un successo straordinario, diventando in breve tempo un patrimonio della memoria collettiva: ricordiamo ad esempio Merenderos per la Talmone, cantata dal gruppo dei Los Gildos e con lo stesso Bertola che recita i versi Miguel son mi e Miguel son sempre mi.

Si dedica anche alla composizione di canzoni, riscuotendo un certo successo con Un diadema di ciliegie, presentata dai Ricchi e Poveri al Festival di Sanremo 1972, e con Torna a casa mamma, incisa da Memo Remigi con il figlio Stefano.

Ma il suo forte resta la pubblicità. Più recenti sono le canzoni per la merendina Fiesta (Fiesta ti tenta tre volte tanto, cantata dai Ricchi e Poveri), per i cioccolatini Pocket Coffee (Un pieno d’espresso, un pieno di sprint, Pocket Coffee), per il lievito Bertolini (Brava brava maria Rosa, ogni cosa sai far tu), per i biscotti della Maggiora (No no no, cara Baffina, questo non succede alle otto di mattina…), per le arance Birichin (Ma che paese straordinario, è il paese dell’incontrario…) e molte altre.

Collabora con Toni Pagot per la realizzazione del cartone animato Jo Condor per il famoso Carosello della Ferrero, dando la voce al condor protagonista della pubblicità (E che, ci ho scritto Jo Condor?).

Con la fine di Carosello riduce la sua attività in campo pubblicitario, pur scrivendo saltuariamente altre canzoni come, ad esempio, quella dell’Olandesina per i prodotti Mira Lanza (Mira mira l’Olandesina) e per alcuni spot radiofonici, come quello per i mobilifici Aiazzone e Granato.

Nel 1980 ottiene un altro grande successo come autore con La puntura, incisa da Pippo Franco; due anni dopo è la volta di Carletto incisa da Corrado (autore del testo) con Simone, figlio di Stefano Jurgens.

Negli ultimi anni si è dedicato a tempo pieno all’attività di scrittore, e nel 2012 ha pubblicato Caro Carosello, in cui ha raccontato i suoi ricordi legati all’attività di pubblicitario per la trasmissione.

Romano è morto il 6 novembre 2017 nella sua casa di Torino, all’età di 81 anni.

Stamattina alle 7 un vertiginoso silenzio mi ha svegliato. Mi sono girato verso mia moglie. Non c’era. Non era neppure in cucina né in nessuna altra stanza. Anche Camillo non c’era. Sono uscito sul balcone: strada deserta. Solo un giornale spinto dal vento. Con l’auto ho attraversato la città. Vie e piazze spopolate. I tram fermi o vuoti. In ufficio nessuno. Anche da Maniglia e da mio cognato Augusto non c’è nessuno. Gli appartamenti abbandonati. Ho puntato verso l’aeroporto. Un jet sulla pista. Fortuna di avere il brevetto di pilota. Mi sono levato in volo. Parigi. Atene. New York. Non un’anima. Vuoto. Deserto. Sul banco di un bar di Adelaide trovo una fotografia. Ci sono tutti. Cinque miliardi di persone che mi fanno ciao con la mano… Sotto, una scritta: “Addio, testa di cazzo!”. D’accordo, d’accordo…Però andarsene così…Senza dire niente… Che figli di puttana.

Mamma, lo sai chi c’è,
è arrivato il Merendero,
è arrivato col sombrero,
è arrivato, eccolo qua.
El Merendero!
L’è li, l’è là,
l’è là che l’aspettava,
l’è li, l’è là,l’è là che l’aspettava,
l’è li, l’è là,l’è là che l’aspettava,
l’è là che aspettava Miguel:
(Miguel son mi!)”

Ancora un fantastico spettacolo dallo spazio: arrivano le Leonidi ad infiammare il cielo – Una spettacolare pioggia di stelle cadenti con picco tra il 16 e il 18 novembre

 

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Ancora un fantastico spettacolo dallo spazio: arrivano le Leonidi ad infiammare il cielo – Una spettacolare pioggia di stelle cadenti con picco tra il 16 e il 18 novembre

Stelle cadenti sull’Italia: Leonidi ‘infiammate’ in arrivo, quando e come vederle

Lo sciame meteorico delle Leonidi, generato dai detriti rilasciati dalla cometa 55P/Tempel-Tuttle, raggiungerà il proprio picco tra il 16 e il 18 novembre. Sarà possibile osservare fino a 20 meteore ogni ora.

Nelle notti tra il 16 e il 18 novembre il cielo notturno sarà impreziosito dallo sciame meteorico delle Leonidi, una pioggia di stelle cadenti che ogni anno in questi giorni raggiunge il proprio picco, pur essendo visibili per quasi tutto il mese (dal 5 al 30 novembre). Il momento migliore per volgere gli occhi al cielo sarà nelle primissime ore del mattino del 17 novembre, quando il radiante – il luogo da cui sembrano originare – si alzerà sull’orizzonte con la costellazione del Leone, inquadrata tra quella della Vergine e quella del Cancro. Gli esperti si attendono una pioggia di una ventina di meteore all’ora, non un numero impressionante, ma sufficiente per regalare uno splendido spettacolo a chi deciderà di affrontare il freddo novembrino.

Del resto i meteoroidi delle Leonidi, cioè i piccoli detriti responsabili delle ‘fiammate’ a contatto con l’atmosfera terrestre, sono noti per essere particolarmente brillanti: questi microscopici oggetti celesti possono infatti raggiungere quasi 10 millimetri di diametro per 85 grammi di massa, sufficienti a creare dei veri e propri bolidi, e non ‘semplici’ – ma pur sempre affascinanti – meteore. Nonostante le attese elevate, può capitare che le Leonidi non regalino uno spettacolo all’altezza della loro fama. Quest’anno, tuttavia, saranno avvantaggiate anche dal cielo notturno privo della Luna. Il nostro satellite, infatti, il 18 novembre raggiungerà la fase di Luna nuova, lasciando campo libero alle Leonidi di brillare nel cielo.

Queste meteore originano dai detriti rilasciati dalla cometa periodica 55P/Tempel-Tuttle, scoperta indipendentemente nel 1865 e nel 1866 dai due astronomi che le danno il nome. La cometa interseca ogni 33 anni l’orbita della Terra al perielio, e quando ciò avviene lo sciame meteorico si trasforma in una vera e propria tempesta di meteore. Uno spettacolo meraviglioso che tornerà visibile nel 2032. Basti pensare che nel 1966 si contarono addirittura 144mila meteore all’ora, mentre nel XIX secolo uno degli eventi fu così drammaticamente spettacolare che alcune popolazioni lo scambiarono per l’apocalisse, raccontando del “fuoco che precipitava dal cielo”. Pur non avendo la fama delle Perseidi agostane le Leonidi possono dunque regalare uno degli spettacoli astronomici più affascinanti in assoluto.

fonte: https://scienze.fanpage.it/stelle-cadenti-sull-italia-leonidi-infiammate-in-arrivo-quando-e-come-vederle/
http://scienze.fanpage.it/

Un progetto straordinario: far fiorire il deserto del Sahara grazie a eolico e fotovoltaico.

 

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Un progetto straordinario: far fiorire il deserto del Sahara grazie a eolico e fotovoltaico.

Il deserto del Sahara può essere trasformato in una valle verde e rigogliosa? Secondo alcuni ricercatori, sì.

Uno studio dell’Università dell’Illinois ha provato a calcolare l’impatto che avrebbero impianti eolici e fotovoltaici sulle precipitazioni nel Sahara. E quindi di quanto potrebbe crescere la vegetazione nell’area.

Vediamo insieme cos’hanno scoperto.

9 milioni di km quadrati nel deserto del Sahara

Lo scopo della ricerca era indagare cosa accadrebbe se un’are di 9 milioni di km quadrati nel deserto del Sahara fosse coperta da impianti per l’energia rinnovabile. Hanno preso in considerazione un’area del Sahel, regione semi-arida a sud del Sahara. Qui, nei territori dove sono state installate diverse pale eoliche, le piogge sono aumentate mediamente di 1,12 millimetri al giorno.

Riportando i risultati al deserto del Sahara hanno quindi provato a stimare cosa succederebbe in uno scenario simile. Hanno considerato un’area scarsamente popolata, esposta al vento e, ovviamente, dove il sole picchia abbondantemente.

 I ricercatori hanno previsto che l’installazione di enormi pannelli solari e di numerose turbine eoliche, potrebbe aumentare le precipitazioni e quindi aiutare la vegetazione a crescere.
Il deserto del Sahara potrebbe diventare verde:

 

«I risultati del nostro modello mostrano che impianti solari ed eolici su larga scala nel Sahara potrebbero raddoppiare le precipitazioni, specialmente nel Sahel, dove l’incremento delle precipitazioni potrebbe arrivare a 20-500 millimetri ogni anno».

Lo spiega il dottor Yan Li, principale autore dello studio. Che prosegue:

«Di conseguenza, la vegetazione potrebbe aumentare di circa il 20%».

L’impatto sarebbe positivo anche per le popolazioni locali. Lo spiega Safa Motesharrei, un altro degli autori della ricerca:

«L’incremento delle precipitazioni porterebbe al miglioramento sostanziale dell’agricolturadella regione. Così come la crescita della vegetazione spontanea potrebbe favorire gli allevamenti».

Motesharrei ricorda che “il Sahara, il Sahel e il Medio Oriente sono tra le regioni più aride al mondo”. Allo stesso tempo, “le loro popolazioni sono in crescita, così come la povertà”. Incrementare le precipitazioni porterebbe importanti miglioramenti “alla sfida che il ciclo energia/acqua/cibo comporta nella regione”.

Come avviene il processo?

Ma com’è possibile che le pale eoliche e i pannelli fotovoltaici riescano a far piovere di più?

A quanto pare, la rotazione delle pale causa il mescolamento dell’aria. L’aria più calda, presente più in alto, viene spinta verso il basso. Questo provoca a sua volta maggiore evaporazione e quindi più precipitazioni. E infine, la crescita della vegetazione.

«Gli impianti eolici spingono il vento a convergere verso aree di bassa pressione. Quest’aria deve quindi risalire, raffreddandosi e facendo condensare l’umidità, il che porta all’incremento delle piogge».

Allo stesso tempo, i pannelli solari riducono la riflessione della luce solare operata dal nostro pianeta (il cosiddetto effetto albedo). Di conseguenza, i terreni desertici assorbono maggiore energia solare, aumentando ancora il calore in superficie. Il che può aumentare la probabilità di precipitazioni del 50%, secondo i ricercatori.

Ma tutto questo calore in più, non va a peggiorare il global warming? Secondo gli autori no. O perlomeno non in misura considerevole:

«Il riscaldamento locale prodotto da impianti eolici e solari è molto piccolo, se comparato alla riduzione del surriscaldamento che il ricorso all’energia rinnovabile implica».

L’idea è: se usiamo più energia solare ed eolica, ridurremo le emissioni di gas serra. E questo ridurrà di molto le temperature globali, anche se quegli stessi impianti contribuiscono in minima parte al riscaldamento.

Alimentare tutto il pianeta quattro volte

I benefici non sarebbero solo per il deserto del Sahara e le regioni limitrofe. I ricercatori hanno infatti calcolato l’area dove installare gli impianti a energia rinnovabile, anche in base alla possibilità di trasferire l’elettricità prodotta in altre regioni, come l’Europa. Secondo i loro calcoli, questi mega impianti potrebbero produrre coprire il fabbisogno energetico mondiale di quattro volte. Ogni anno.

D’altronde non è una novità. Già negli anni ’80, Gerhard Knies, ricercatore tedesco, esperto di fisica delle particelle, calcolava che i deserti di tutto il mondo ricevono in sei ore più energia dal Sole di quanta ne sia necessaria per l’intera umanità.

La domanda allora è: cosa stiamo aspettando? Perché continuiamo a incaponirci con le fonti di energia fossile?

Se lo chiede anche il dottor Li:

«Il messaggio principale per le persone, i politici e gli investitori è: installare questi impianti solari ed eolici porterebbe un enorme beneficio alle persone, alla società e all’ecosistema. La nostra speranza è di cambiare il modo in cui otteniamo energia. Il che porterà a incrementare le scorte di cibo e acqua potabile, migliorando la vita sul nostro pianeta».

 

tratto da: https://www.ambientebio.it/ambiente/energia/il-deserto-del-sahara-fiorira-eolico-e-fotovoltaico/

I vaccini naturali per affrontare l’inverno

 

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I vaccini naturali per affrontare l’inverno

Siete pronti ad affrontare l’inverno? In questo periodo, oltre a dover combattere contro la noia e la pigrizia causati da temperature fredde e un minor numero di ore di luce, il nostro organismo è messo a dura prova da influenza e raffreddore.

Il freddo, lo stress, un’alimentazione sregolata, una maggiore esposizione a virus e batteri possono farci ammalare.

Come affrontare tutto questo?

Attraverso una serie di abitudini e alimenti che valgono come vaccini naturali contro i malanni di stagione. Vediamo quali sono.

Alimentazione

Il cibo è il primo step utile a vaccinarsi contro i malanni invernali. Innanzitutto dobbiamo evitare tutti quegli alimenti che intaccano la funzionalità del nostro sistema immunitario, consumando invece quelli che lo supportano e potenziano. I migliori vaccini naturali sono agrumi, frutta fresca in generale, aglio e cipolla. In particolare, è bene sapere che i soggetti che assumono l’aglio con regolarità hanno minore probabilità di soffrire di raffreddori stagionali. Il merito è dell’allicina che gli fornisce effetti antibiotici, antimicrobici e antifungini.

Attività fisica 

L’attività fisica è un toccasana per il nostro umore e la nostra salute. Chi pratica regolarmente sport all’aperto anche in inverno (ovviamente con le opportune precauzioni) ha meno probabilità di ammalarsi. Una corsetta o anche solo una passeggiata ripetuta con costanza possono aiutarvi a liberare la mente e il corpo dai malesseri che li colpiscono, tenendo lontani batteri e cattivi pensieri.

Corretta igiene

Al contrario di quanto si possa pensare, i detergenti antibatterici non fanno bene e soprattutto non scongiurano il rischio di infezioni. Anzi. Secondo una ricerca condotta dall’Università del Michigan, il Triclosan, comunemente presente nei detergenti antibatterici, può promuovere la colonizzazione di alcuni ceppi di stafilococco aureo. Lo Staphylococcus aureus è un agente patogeno che colonizza il naso e la gola di circa il 30% della popolazione. La presenza di questo particolare patogeno può rappresentare un fattore di rischio per diversi tipi di infezione. Sì allora all’abitudine di lavarsi le mani per evitare la diffusione di malattie, ma utilizzando il comune sapone.

Giusto riposo

Riposare poco o male determina un crollo delle difese immunitarie. Concedete al vostro corpo e alla vostra mente il numero di ore di sonno più opportuno , per evitare di perdere non solo le energie, ma anche le vostre naturali difese.

Rimedi naturali

Oltre a scegliere cibi che possono aiutarvi a rafforzare le difese immunitarie, esistono alcune bevande naturali che possono rappresentare degli ottimi vaccini naturali contro i malanni stagionali. Stiamo parlando innanzitutto del succo di melograno, ricchissimo di vitamina C e minerali essenziali per le vostre difese, e alcune tisane. Tra le migliori troviamo quella allo zenzero e a base di gramigna, tarassaco e fiori di borragine.

 

tratto da: https://www.ambientebio.it/rimedi-naturali/i-vaccini-naturali-per-affrontare-linverno/

Pronti all’accensione dei termosifoni? 7 consigli per risparmiare

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Pronti all’accensione dei termosifoni? 7 consigli per risparmiare

Ci siamo, o quasi. L’accensione dei termosifoni, in molte parti d’Italia, va messa all’ordine del giorno. Può venire utile la lista di suggerimenti messa apunto da Qundis – una delle aziende leader nel settore dei misuratori e dei sistemi per la contabilizzazione del calore –  per prepararsi alla nuova stagione e, al contempo, veder diminuire i propri costi in bolletta.

Fare un check-up del radiatore. La prima cosa da fare,  prima della riaccensione dei termosifoni è un’attività di spurgo: eliminare l’aria presente nei tubi è essenziale per il corretto funzionamento del termosifone. Una volta eliminata l’aria, è poi necessario effettuare una buona pulizia per rimuovere tutto ciò che può essersi depositato sui termosifoni durante la stagione estiva.

Liberare i radiatori da ogni impedimento: Per svolgere a pieno il proprio lavoro i termosifoni non vanno mai coperti in alcun modo. In caso di necessità, mensole sopra i caloriferi o specchi che li nascondono non dovrebbero mai avere una distanza inferiore ai 30 cm.

Installare dei dispositivi di contabilizzazione: È essenziale – e ormai obbligatorio – installare dei dispositivi di contabilizzazione del calore. Se non si disponesse ancora di tali strumenti, è opportuno pianificare i lavori per l’adeguamento a norma quanto prima. Anche perché avere la consapevolezza di quanto si consuma è il primo passo per risparmiare.

Monitorare costantemente i propri consumi: Interventi di automazione e monitoraggio degli impianti – che permettano di misurare, controllare e analizzare l’utilizzo dell’energia – offrono risultati concreti misurabili nel tempo. Il solo monitoraggio di tutti i propri consumi insieme alla tempestiva informazione del consumatore fa diminuire il consumo di calore fino al 30%.

Sfruttare la luce del sole di giorno ma dormire con le tapparelle abbassate: Sembra banale ma è essenziale durante il giorno far entrare la luce del sole in casa, in modo da sfruttarne il calore per scaldare i vari ambienti. È auspicabile aprire le finestre per far cambiare aria solo nelle ore più calde della giornata e per un tempo non superiore ai 15 minuti. Al contrario, in serata conviene abbassare le tapparelle per mantenere in casa il calore evitandone la dispersione.

Rispettare la propria zona climatica di appartenenza: Non c’è una data univoca a partire dalla quale è possibile accendere i termosifoni: nel 1993, infatti, è stata introdotta una norma sugli impianti termici degli edifici ai fini del risparmio energetico. Da quel momento il territorio italiano è stato suddiviso in sei zone climatiche che indicano i valori medi della temperatura e le relative disposizioni da seguire. È indispensabile rispettare queste disposizioni: chi vive nelle zone climatiche A e B potrà accedere i termosifoni dall’1 dicembre, chi nella zona climatica C dal 15 novembre, chi nella D dall’1 novembre e chi nella E già dal 15 ottobre. Milano, ad esempio, appartiene alla zona E, una fascia più critica a livello climatico che ha, quindi, meno limitazioni di Roma, che si trova nella fascia D o di Napoli, collocata in fascia C.

Modificare il proprio comportamento abituale: Spesso è l’utente stesso la causa del proprio male; aprire le finestre a qualsiasi ora del giorno, asciugare i panni sul termosifone, non avere idea dei propri consumi medi mensili sembrano piccolezze, ed invece tenere un comportamento più responsabile e attento agli sprechi può generare da sé un risparmio sul conteggio finale dei costi di riscaldamento pari al 20%. Ovviamente negli edifici di nuova costruzione, il comportamento dell’utente ha un maggiore effetto sul consumo energetico che in edifici di costruzione meno recente poiché la coibentazione e gli impianti di riscaldamento sono molto più efficaci.

tratto da: https://ilsalvagente.it/2018/10/30/pronti-allaccensione-dei-termosifoni-7-consigli-per-risparmiare/42517/

Una casa per tutti: costruire con il bambù

 

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Una casa per tutti: costruire con il bambù

Nel mondo mancano alloggi a prezzi accessibili. Il problema è così grande che in tutto il mondo servirebbero 3.000 miliardi di dollari. Solo nel 2015 sono stati spesi tra i 300 e i 500 miliardi di dollari.

Poiché l’edilizia popolare beneficia sia di sovvenzioni che di garanzie statali, i suoi risultati finanziari hanno attirato gli investimenti privati.

I programmi di edilizia popolare in Brasile offrono un’idea dell’entità della domanda su scala globale. Dal 2010 al 2014 il Brasile ha costruito 2 milioni di case popolari ad un costo medio di 15.000 euro l’uno, a fronte di un’iniezione di liquidità da parte dello Stato per 30 miliardi di euro.

Tuttavia, la domanda in Brasile è di 5,6 milioni di unità abitative, e così anche con questo sforzo straordinario, oltre il 60% delle famiglie bisognose è ancora lasciato senza casa.

Ciò crea molto spazio per iniziative private che integrano l’azione del governo. Il Sudafrica, alla fine dell’Apartheid nel 1994, aveva l’obiettivo dichiarato di costruire un milione di case in più, soddisfacendo oggi solo il 14% di quelle esigenze abitative.

L’investimento nell’edilizia popolare è l’unico settore edilizio caratterizzato da una crescita a livello mondiale e da un interessante ritorno sugli investimenti.

Ma c’è un problema?

Mentre nel settore immobiliare tradizionale c’è un guadagno che va dal 25% al 35% di utile sul capitale investito, i programmi di edilizia residenziale sostenuti dallo Stato, in generale, offrono solo il 10% di ritorno. Tuttavia, sono investimenti a basso rischio e che attraggono chi è in cerca di rendimenti stabili e sicuri.

Ecco cosa si può fare.

Architetti e urbanisti hanno speso molto tempo e impegno nella progettazione di case a prezzi accessibili, concentrandosi principalmente sulla riduzione dei costi, in particolare eliminando la manodopera attraverso sistemi di costruzione prefabbricati. Le case popolari in Brasile costano ancora 15.000 euro per unità, mentre in India l’investimento di capitale in una casa può arrivare fino a 4.500 euro. Ovviamente non sono prezzi alti e, inoltre, si offrono case migliori delle baraccopoli, ma non consentono di avere case soddisfacenti.

Uno dei problemi principali è che l’edilizia popolare consuma enormi quantità di cemento e calcestruzzo e questo crea importanti emissioni di gas a effetto serra.

Da qui l’innovazione.

Simon Velez, architetto colombiano, e Marcelo Villegas, ingegnere di spicco, hanno beneficiato entrambi del grande lavoro pionieristico di Oscar Hidalgo, il maestro dell’architettura del bambù. Si resero conto che quando gli spagnoli colonizzarono gli altopiani andini della Colombia e dell’Ecuador, non incontrarono foreste pluviali, ma piuttosto scoprirono massicce foreste di bambù dominate dalla Guadua angustifolia, un’erba gigante che poteva produrre per settant’anni fino a sessanta pali da 25 metri all’anno.

Il bambù è un ottimo materiale da costruzione, e come testimonianza si trovano ancora centinaia di case coloniali di più di 200 anni. In Cina ce ne sono molte e quelle più antiche si dice abbiano 3.000 anni. Così Simon e Marcelo studiarono cosa si poteva fare per poter costruire case per tutti senza generare rifiuti e gas serra.

Simon capì che il bambù ha bisogno di essere protetto dal sole e dalla pioggia, mentre Marcelo progettò un’ingegnosa tecnica di giunzione.

Quando Klaus Steffens, dell’Università di Brema, ha eseguito le stesse prove, è rimasto così impressionato che si è impegnato a ottenere una licenza edilizia per questo materiale da costruzione naturale e per questa innovativa tecnica costruttiva. Il bambù non è solo un acciaio vegetale, ma è anche bello e, inoltre, contribuisce al problema dell’anidride carbonica.

Simon ha rapidamente convertito il successo dei suoi progetti in programmi di edilizia popolare in risposta al terremoto che ha colpito la regione Eje Cafetero, donando i disegni al governo locale per l’uso open source.

Sessantacinque pali di bambù bastano esattamente per costruire una casa di 65 metri quadrati a due piani con un grande balcone. Questo edificio costa meno di 15.000 dollari, e mentre la maggior parte della popolazione considera il bambù un simbolo di povertà, questa casa con un balcone (simbolo della classe media superiore) ha trasformato la costruzione in una casa molto desiderata. A dieci anni di distanza da questi edifici pionieristici sparsi in tutta l’America Latina, gli alloggi in bambù si sono affermati come una delle più promettenti innovazioni nella progettazione di edifici a emissioni zero sia per i ricchi che per i poveri.

Ma c’è qualcosa di più.

Simon e Marcelo non si sono mai preoccupati di brevettare nessuna delle loro invenzioni, ma hanno condiviso liberamente le loro intuizioni, trascorrendo molto tempo con i lavoratori che spesso non sanno leggere o scrivere, per trasferire le loro intuizioni sulle tecniche su come costruire. Migliaia di edifici sono emersi in tutto il mondo utilizzando questa tecnica open source, riassunte nel libro “Crescere la propria casa”.

Oggi oltre un miliardo di persone vivono in case di bambù, sono nati posti di lavoro, si è risparmiato CO2, ma pochi si rendono conto che le foreste di bambù temperano l’effetto isola di calore, con fino a dieci gradi in meno.

Abbiamo di fronte un programma di edilizia popolare che fornisce acqua potabile supplementare e abbassa la temperatura della Terra. Mettiamolo in atto.

fonte: http://www.beppegrillo.it/una-casa-per-tutti-costruire-con-il-bambu/