Curcuma e miele: lo straordinario antibiotico naturale contro freddo e mal di gola

 

Curcuma

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Curcuma e miele: lo straordinario antibiotico naturale contro freddo e mal di gola

Molti di noi conoscono alla perfezione la curcuma e le sue innumerevoli proprietà. Abbiamo visto come possa essere utilizzata per combattere i dolori e l’artrite, come sia capace di curare e prevenire il diabete. Abbiamo anche visto il Golden Milk, un’importante ricetta utile a combattere i dolori muscolari e il mal di gola, grazie all’azione antinfiammatoria della curcumina.

Pochi, però, conoscono il potere della curcuma abbinata al miele.

Il miele è da sempre considerato un antibiotico naturale. Se associato alla cannella, poi, può avere numerosi effetti benefici, utili per combattere, ad esempio: artrite, raffreddore e mal di gola.

Cosa possiamo ricavare allora, unendo il potere antibiotico del miele a quello antinfiammatorio della curcuma?

La prima cosa che possiamo dire è che questo mix genera un potente antibiotico naturale che non solo distrugge i batteri che causano le più comuni malattie, ma favorisce anche le difese naturali del nostro organismo.

A differenza dei comuni antibiotici sintetici, questa sorta di farmaco naturale non ha alcun effetto negativo sulla microflora intestinale.

La curcuma, lo ricordiamo, contiene un potentissimo principio attivo che prende il nome di curcumina, capace di raggiungere più di 150 potenziali attività terapeutiche, tra cui le proprietà antiossidanti, anti-infiammatorie e anti-cancro. Il consumo di curcuma e miele migliora significativamente la digestione e aumenta l’attività della flora intestinale.

Nella medicina Ayurvedica è uno dei più utilizzati rimedi tradizionali utili per combattere il freddo. Ai primi sintomi di mal di gola o malattie da raffreddamento, potreste decidere di ricorrere a questo “miele d’oro”. Una volta preparata la miscela, potrete conservarla tre giorni, il tempo necessario per veder sparire i sintomi del vostro malessere.

Per realizzarla vi servono semplicemente: 100 grammi di miele e 1 cucchiaio di curcuma in polvere. Mescolate bene i due ingredienti e conservateli in un barattolo.

Ai primi segni di raffreddamento, prendete: durante il primo giorno mezzo cucchiaino della miscela ogni ora; durante il secondo giorno ogni due ore e durante il terzo giorno la stessa dose, solo tre volte al giorno.

Potete aggiungere questa miscela nel tè o in altre bevande calde.

La curcuma fluidifica il sangue e riduce la pressione sanguigna. Da prestare attenzione se si soffre di diabete.

In caso di gravi malattie epatiche o alle vie biliari, inoltre, è sempre meglio evitare il fai da te e rivolgersi a uno specialista.

Se questo rimedio viene assunto prima dei pasti, agisce sull’apparato digerente. Durante i pasti, su quello respiratorio.

L’alternativa

Esiste anche un’alternativa molto interessante a questa ricetta che vede l’aggiunta di zenzero, pepe e una spruzzata di limone.

Ecco gli ingredienti:

  • 120 grammi di miele
  • 2 cucchiai di zenzero grattugiato
  • 2 cucchiaini curcuma in polvere
  • 1 limone
  • pepe nero un pizzico

Mescolate tutti gli ingredienti e conservate.

Questa alternativa unisce al potere antinfiammatorio e antiossidante della curcuma, quello dello zenzero che disintossica, aiuta la digestione e combatte i dolori articolari. Il pepe serve poi per aumentare la biodisponibilità della curcumina, come abbiamo visto in un nostro precedente articolo.

Anche in questo caso, la soluzione può essere consumata sciolta in una bevanda calda a piacere.

 

 

Erri De Luca – Mare nostro che non sei nei cieli – La struggente preghiera per i migranti morti nel Mare Nostro – Eparliamo di 19.000 esseri umani in 6 anni…!

 

Erri De Luca

 

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Erri De Luca – Mare nostro che non sei nei cieli – La struggente preghiera per i migranti morti nel Mare Nostro – Eparliamo di 19.000 esseri umani in 6 anni…!

Si riempiono la bocca i governanti d’Italia, quelli dell’Europa, i Ponzi Pilato. Parlano di muri da mettere in mare, parlano di invasione. La realtà è che vegli ultimi 6 anni 19.000 esseri umani (compreso donne e bambini) sono morte mentre tentavano di raggiungere le coste europee. 1000 solo nel 2019…

Sono i numeri oggi agghiaccianti dei quali sembra che a nessuno freghi niente

Per commentare questa ecatombe in cui insieme a uomini, donne e bambini sta naufragando anche la nostra coscienza civile, abbiamo scelto una poesia struggente di Erri De Luca.

Mare nostro che non sei nei cieli

Mare nostro che non sei nei cieli
e abbracci i confini dell’isola e del mondo
sia benedetto il tuo sale
sia benedetto il tuo fondale
accogli le gremite imbarcazioni
senza una strada sopra le tue onde
i pescatori usciti nella notte
le loro reti tra le tue creature
che tornano al mattino
con la pesca dei naufraghi salvati

Mare nostro che non sei nei cieli
all’alba sei colore del frumento
al tramonto dell’uva di vendemmia,
Ti abbiamo seminato di annegati
più di qualunque età delle tempeste
tu sei più giusto della terra ferma
pure quando sollevi onde a muraglia
poi le abbassi a tappeto
Custodisci le vite, le visite cadute
come foglie sul viale
Fai da autunno per loro
da carezza, da abbraccio, da bacio in fronte
di padre e madre prima di partire

Erri De Luca

Le 7 marche di cioccolato che sfruttano il lavoro minorile – Fareste bene ad appuntarvele per ricordarle quando siete al supermercato!

cioccolato

 

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Le 7 marche di cioccolato che sfruttano il lavoro minorile – Fareste bene ad appuntarvele per ricordarle quando siete al supermercato!

 

Conosciamo “il lato nero del cioccolato”

Nel settembre 2015 è stata presentata un’azione giudiziaria contro la Mars, la Nestlè e la Hershey sostenendo che stavano ingannando i consumatori che “senza volerlo” stavano finanziando il lavoro schiavo infantile del cioccolato in Africa Occidentale.

Bambini tra gli 11 e i 16 anni (a volte anche più giovani) sono chiusi in piantagioni isolate in cui lavorano tra le 80 e le 100 ore a settimana. Il documentario Slavery: A Global Investigation ha intervistato dei bambini che sono stati liberati, che hanno raccontato che spesso ricevevano pugni e venivano picchiati con cinte e fruste.

“Essere picchiato faceva parte della mia vita”, ha raccontato Aly Diabate, uno dei bambini liberati. “Quando ti mettevano addosso i sacchi [di chicchi di cacao] e cadevano mentre li trasportavi, nessuno ti aiutava. Anzi, ti picchiavano finché non ti rialzavi”.

Nel 2001, la Food and Drug Administration voleva approvare una legislazione per l’applicazione del marchio “slave free” (senza lavoro schiavo) sulle confezioni, ma prima che il provvedimento venisse votato l’industria del cioccolato – includendo Nestlé, Hershey e Mars – ha usato il suo denaro per bloccarla, promettendo di porre fine al lavoro schiavo infantile nelle sue imprese entro il 2005.

Questo limite temporale è stato ripetutamente rimandato, e attualmente la meta è il 2020. Nel frattempo, il numero di bambini che lavorano nell’industria del cacao è aumentato del 51% tra il 2009 e il 2014, in base a un resoconto del luglio 2015 della Tulane University.

Come ha detto uno dei bambini liberati, “godete di qualcosa che è stato fatto con
la mia sofferenza. Ho lavorato sodo per loro, senza alcun beneficio. State mangiando la mia carne”.

Le 7 marche di cioccolato che utilizzano cacao proveniente dal lavoro schiavo infantile sono:

  1. Hershey
  2. Mars
  3. Nestlè
  4. ADM Cocoa
  5. Godiva
  6. Fowler’s Chocolate
  7. Kraft

Per avere un’idea più chiara della questione, ecco il documentario O Lado Negro do Chocolate.

La situazione è stata denunciata anche dal The Guardian, mentre il Daily Mail ha sottolineato che i bambini impiegati in questa industria utilizzano strumenti e macchinari pericolosi, portano i chicchi di cacao su lunghe distanze, lavorano per molte ore e sono esposti a pesticidi e ad altre sostanze chimiche pericolose senza indumenti protettivi. Gran parte del pericolo deriva dal fatto di utilizzare machete con grosse lame.

Secondo l’Huffington Post, le violazioni dei diritti dei bambini sono alla base di oltre il 70% della produzione mondiale di cacao. In base a un rapporto investigativo della BBC, centinaia di migliaia di bambini vengono comprati o rapiti e poi portati in Costa d’Avorio, il più grande produttore mondiale di cacao, dove vengono schiavizzati nelle piantagioni.

I genitori spesso pensano che i figli troveranno un lavoro onesto fuori dal loro Paese e potranno mandare un po’ di denaro a casa, ma nella maggior parte dei casi non è così. I bambini non vengono pagati, non ricevono educazione, sono malnutriti e spesso non rivedranno più le proprie famiglie.

Insomma, prima di mangiare un pezzo di cioccolata sarebbe bene informarsi su com’è stato prodotto, e soprattutto sulle spalle di chi.

[Traduzione dal portoghese a cura di Roberta Sciamplicotti]

Ripubblichiamo integralmente una lettera  di chiarimento inviataci dal Gruppo Nestlé in Italia

Fonte: Aleteia

 

tratto da: https://www.informarexresistere.fr/le-7-marche-di-cioccolato-che-sfruttano-il-lavoro-minorile/

Gino Strada contro la Vergognosa Sanità Italiana: l’obiettivo non è più la salute, ma il fatturato!!

Gino Strada

 

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Gino Strada contro la Vergognosa Sanità Italiana: l’obiettivo non è più la salute, ma il fatturato!!

 

“Vergognoso. Non ci sono altri termini per commentare quello che è successo al pronto Soccorso del San Camillo di Roma dove un uomo malato di cancro è stato lasciato morire “riparato” alla vista degli altri degenti soltanto da un maglioncino.

Vergognoso perché i malati dovrebbero mantenere una dignità anche e soprattutto durante la loro malattia. Tutti i malati. Invece succede che troppo spesso vengono trattati come sacchi da buttare in un angolo e tenere lì, chissà fino a quando. E non è un problema soltanto di un singolo ospedale romano. Si tratta di una vergogna che ricade su tutta la sanità italiana.

Nel nostro Paese ci si perde dietro ai cavilli burocratici, ai “non deve essere portato da noi ma nell’ospedale specifico nel trattare quella malattia”, nel “non dipende da noi, non abbiamo posti letto” o – peggio ancora – nella più totale indifferenza.

E la vergogna più grande si riversa, oltre che sui malati, molto spesso anziani, anche sui familiari costretti a mettere in piazza le proprie pene pur di ricevere quel minimo di considerazione che, a chi soffre, dovrebbe essere offerta, sempre e comunque. Ai malati o agli anziani, entrambi appoggiati lì, in un angolo, su una sedia ad aspettare non si sa cosa prima di poter essere visitati. Per ore e ore. Di giorno e di notte. Senza che nessuno si occupi di loro.

Vergognoso. Così come è vergognoso far finta di niente. Allora da qui, da queste pagine, vorrei lanciare un appello. Cari signori, dai sindaci ai presidenti delle regioni fino ai parlamentari e via dicendo, vi rivolgo qualche domanda semplice semplice: se una vicenda del genere fosse capitata a voi, che avreste fatto? Come vi sentireste nel vedere vostra madre o vostro padre “appoggiato” per ore su una sedia nella sala d’aspetto prima che qualcuno possa offrirgli una cura o – più semplicemente – semplice considerazione? E ancora: come vi sentireste se vedeste morire davanti ai vostri occhi un parente, un amico o chiunque altro che ha avuto la sfortuna di doversi recare in un ospedale?

Ah già, dimenticavo: voi non vi curate negli ospedali pubblici italiani. Voi avete la possibilità di pagare strutture private magari all’estero perché la nostra sanità non funziona proprio bene. E allora come non detto. Scusate il disturbo”.

 

Le belle notizie che piace darvi: Pamplona, corrida finale, stavolta vince il toro! Brutta lezione al grande(?) matador Rafaelillo.

 

Pamplona

 

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Le belle notizie che piace darvi: Pamplona, corrida finale, stavolta vince il toro! Brutta lezione al grande(?) matador Rafaelillo.

Non capita spesso ma capita. Durante la corrida organizzata per la festa di San Firminoun toro ha avuto la meglio incornando il suo avversario umano.

A Pamplona, l’ultimo giorno della nota Festa di San Firmino, il divertimento si è fermato nel momento in cui il torero Rafael Rubio è stato incornato dal toro che stava “sfidando” riportando ferite molto gravi. L’uomo è stato immediatamente trasportato in ospedale e operato, le sue condizioni restano molto serie ma non è in pericolo di vita.

Rafaelillo, questo il diminutivo del noto torero, in seguito al combattimento con l’animale ha riportato la rottura dell’emitorace sinistro e fratture multiple alle costole. L’intervento tempestivo dei soccorsi ha impedito al toro inferocito di infliggergli ulteriori colpi.

Di seguito il video di quanto accaduto (evitate di guardarlo se siete particolarmente sensibili o se non state dalla parte del toro).

Sempre a Pamplona, pochi giorni fa, durate la nota corsa dei tori, sono state incornate e calpestate molte persone, alcune delle quali hanno riportato gravi ferite. E’ incredibile come la cultura spagnola permetta ancora squallidi spettacoli e manifestazioni come queste.

Non ci piace vedere uomini massacrati dai tori così come non è affatto giusto che un animale sia umiliato ed ucciso per puro “divertimento” durante uno spettacolo come la corrida o sia costretto ad inseguire uomini in una corsa considerata “tradizionale”.

Nonostante tanti paesi e città della Spagna, negli scorsi anni, abbiano fatto concreti passi avanti per vietare tali barbarie, purtroppo, è sotto gli occhi di tutti, che questi spettacoli in realtà non si stanno affatto fermando.

Quanti toreri dovranno ancora essere incornati prima di capire che è il caso di dire stop a corride e spettacoli similari? E quante povere bestie dovranno ancora essere ammazzate in modo barbaro per consentire a quattro coglioni di godersi il loro schifoso spettacolo?

20 luglio 1893 – La vera storia di Pietro Rigosi, il ferroviere ribelle protagonista de “La Locomotiva”, l’eroe “giovane e bello” della guerra santa dei pezzenti di Francesco Guccini

 

Pietro Rigosi

 

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20 luglio 1893 – La vera storia di Pietro Rigosi, il ferroviere ribelle protagonista de “La Locomotiva”, l’eroe “giovane e bello” della guerra santa dei pezzenti di Francesco Guccini

LA VERA STORIA DI PIETRO RIGOSI, IL FERROVIERE RIBELLE PROTAGONISTA DE “LA LOCOMOTIVA” DI GUCCINI

“Non so quanti anni avesse visto allora, di che colore i suoi capelli,
ma nella fantasia ho l’immagine sua: gli eroi son tutti giovani e belli”.

Invece il protagonista della canzone di Guccini un nome e un cognome preciso ce l’ha: Pietro Rigosi. Sarà lo stesso cantautore a parlarne diverso tempo dopo l’uscita di una delle sue canzoni di maggior successo.. I fatti sono riportati dettagliatamente anche in un articolo del Resto del Carlino il 21 luglio 1893. Giorno 20 il telegrafo della stazione di Bologna aveva trascritto un messaggio proveniente da quella di Poggio Renatico. Il contenuto era chiaro: la locomotiva del treno merci 1343 era stata sganciata dai vagoni e si dirigeva a una velocità di 50 km orari, parecchio per l’epoca, verso il capoluogo senza alcun permesso. Si sollecitavano i colleghi di Bologna e di tutte le stazioni che la precedevano a far transitare il treno su binari sgombri affinché l’azione non provocasse un disastro. A guidare quella “locomotiva impazzita” c’era il ferroviere Pietro Rigosi, classe 1860, sposato e padre di due bambini. Aveva approfittato di una distrazione del macchinista del treno merci per prenderne possesso e poi, facendo fischiare la motrice come un forsennato, lanciarsi al galoppo verso il suicidio. Sì perché l’intento di Rigosi era chiaro: uccidersi. E lo dimostrò quando entrando alle 17 e 10 alla stazione di Bologna e vedendo che era stato deviato su un binario tronco, uscì dalla cabina e si piazzò sul fanale di fronte della locomotiva. Impattò violentemente con i carri merci che si trovavano sulla linea morta. Unico coinvolto nell’incidente, Rigosi ne uscì vivo ma ferito gravemente; perse una gamba e fu segnato da profonde cicatrici al volto. Secondo alcune ricostruzioni il suo obiettivo era un treno di prima classe che in quell’orario stazionava quotidianamente a Bologna.
Tanto la stampa dell’epoca quanto la direzione delle Ferrovie bollò il suo gesto come quello di un matto. Uno squilibrato da pensionare e graziare misericordiosamente. L’azione di Rigosi fu invece, probabilmente, l’eclatante gesto di un ferroviere che più volte aveva dimostrato di mal digerire le durissime condizioni di lavoro e le dure punizioni aziendali riservate a chi non rispettava la ferrea disciplina. Erano anni in cui i macchinisti spalavano quintali di carbone per percorrere pochi chilometri, facevano turni massacranti che li portavano a guidare spesso per più di ventiquattro ore consecutive e avevano una speranza di vita assai breve. Evidentemente quello di Rigosi era un atto estremo che voleva porre l’accento sul mondo dei ferrovieri e, più in generale, dei lavoratori che in quell’Italia di fine ottocento non si vedevano riconosciuti i diritti più elementari.

Cannibali e Re

tratto da:

https://www.facebook.com/cannibaliere/photos/a.989651244486682/1997802613671535/?type=3&theater

20 luglio, una data triste per gli Uomini Liberi – Il 20 luglio 1881 anche Toro Seduto fu costretto ad arrendersi all’arroganza dei visi pallidi…!

 

Toro Seduto

 

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20 luglio, una data triste per gli Uomini Liberi – Il 20 luglio 1881 anche Toro Seduto fu costretto ad arrendersi all’arroganza dei visi pallidi…!

Il 20 luglio 1881 Toro Seduto, il leggendario capo Sioux che guidò l’alleanza dei nativi d’America nella resistenza all’invasione delle Grandi pianure, si arrende all’esercito dei bianchi. Nato intorno al 1831 nei pressi di Grand River, nel Sud Dakota, Toro Seduto (in lingua lakota ‘Tatanka Iyotanka’, ovvero ‘bufalo seduto imbronciato’) non stipulò mai alleanze con i ”visi pallidi” con i quali rifiutò sempre di sottoscrivere qualsiasi trattato, tanto da diventare un simbolo della resistenza dei nativi e da essere eletto nel 1867 capo dell’intera nazione Sioux.

Con la scoperta dell’oro nelle Black Hills, cuore del territorio Sioux e area sacra per molte tribù (dichiarata tra l’altro off limits ai bianchi dal Trattato di Fort Laramie del 1868) le ostilità con i ‘visi pallidi’ s’intensificano, fino a quando, nel 1875, il governo degli Stati Uniti ordina agli indiani di stabilirsi definitivamente nelle riserve, scatenando così la loro reazione. Toro Seduto riunisce le tribù nel suo accampamento sul Rosebud Creek, nel Montana, offrendo preghiere al Grande Spirito e ferendosi le braccia fino a farne sgorgare il sangue in segno di sacrificio.

E’ appunto in occasione di questa cerimonia che ha una visione in cui i soldati degli Stati Uniti cadono dal cielo su un accampamento indiano come cavallette. Spostatisi nella valle del fiume Little Bighorn, i Lakota vengono raggiunti da altri tremila indiani: il 25 giugno 1876 l’accampamento è attaccato dal Settimo cavalleggeri comandato dal generale George Armstrong Custer (come ha appunto previsto Toro Seduto nella sua visione) e la battaglia che segue si risolve in una disfatta per l’esercito degli Stati Uniti, trovatosi inaspettatamente in inferiorità numerica.

La spietata reazione statunitense riduce però allo stremo i nativi, costringendo infine alla resa Toro Seduto, ultimo dei capi Lakota a cedere le armi, appunto il 20 luglio 1881. Raggiunto il suo popolo a Standing Rock nel 1883, due anni più tardi si unisce a Buffalo Bill girando con lui per l’America e l’Europa nel ‘Buffalo Bill Cody’s Wild West Show’, uno spettacolo da circo in cui guadagna 50 dollari alla settimana esibendosi a cavallo e firmando fotografie e gadget per il pubblico dei bianchi.

Tornato in riserva (dove trascorre i suoi giorni in una capanna sul Grand River continuando ad avere due mogli e rifiutando la religione cristiana), viene arrestato come agitatore e ucciso “accidentalmente” il 15 dicembre 1890. Sepolto a Forte Yates, nel 1953 i suoi resti vengono trasferiti a Mobridge, nel Sud Dakota, con una stele di granito a indicare la tomba.

C’è un uomo in prigione. Un uomo condannato per aver difeso il diritto all’acqua del suo popolo contro il potere delle Multinazionali. Alberto Curamil, il leader Mapuche che ha salvato i fiumi… finché ha potuto…!

 

acqua

 

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C’è un uomo in prigione. Un uomo condannato per aver difeso il diritto all’acqua del suo popolo contro il potere delle Multinazionali. Alberto Curamil, il leader Mapuche che ha salvato i fiumi… finché ha potuto…!

Alberto Curamil, il leader Mapuche che ha salvato i fiumi: imprigionato per la lotta alle centrali idroelettriche

È riuscito ad impedire la realizzazione di due centrali idroelettriche che avrebbero sottratto litri e litri d’acqua al suo popolo, i Mapuche, e distrutto un intero ecosistema. Alberto Curamil ha riunito la gente dell’Araucanía, regione sud orientale del Cile, fermando la realizzazione dei progetti sul fiume Cautín nel Cile centrale.

Il corso d’acqua dove dovevano sorgere le centrali è sacro per gli indigeni, ma non è (solo) la questione religiosa ad aver guidato la rivolta: i progetti prevedevano infatti la deviazione ogni giorno di centinaia di milioni di litri di acqua dal fiume, danneggiando un ecosistema critico e aggravando le condizioni di siccità nella regione.

Ma, grazie alla grinta di Curamil e al supporto di un intero popolo, tutto è stato fermato alla fine del 2016 e, anche se due anni dopo è stato arrestato per la presunta partecipazione ad attività criminali e tuttora resta in carcere, l’attivista è stato insignito del Goldman environmental prize, noto anche come ‘Premio Nobel per l’ambiente’, insieme ad altri 5 eroi moderni come Bayarjargal Agvaantseren che ha salvato il leopardo delle nevi.

Il premio è stato ritirato dalla figlia, che in un appassionato discorso ha ricordato come l’unione fa la forza, anche contro potenze che sembrano impossibili da sconfiggere.

“[Il premio] è un incentivo a continuare a credere che un altro mondo sia possibile ma con l’unità e l’impegno collettivo e non con l’individualismo che governa il mondo oggi”.

Una storia di soprusi e povertà

“Il popolo Mapuche – si legge sul sito del premio – è il più numeroso gruppo indigeno del Cile e ritiene foreste, fiumi e animali dei fratelli. Nel diciannovesimo secolo l’esercito cileno invade l’Araucanía, allora terra Mapuche autonoma, e consegna a proprietari privati la terra, che oggi risulta la regione più povera del Cile, con circa un terzo della popolazione che vive al di sotto della soglia di povertà“.

Della sanguinaria dittatura trentennale cilena di Augusto Pinochet resta, tra le altre cose, la privatizzazione delle risorse idriche del Cile: il Paese, nel 1981, ha deciso infatti di eliminare l’acqua come bene comune, consegnando la proprietà di questa risorsa ai migliori offerenti, con effetti terribili soprattutto per i Mapuche, che dipendono dai fiumi per il loro sostentamento e considerano sacre queste acque.

I progetti idroelettrici che rischiano di aggravare la situazione

Come se non bastasse, tra il 2010 e il 2015 la zona vive un terribile periodo di siccità, al culmine del quale il ministro dell’energia cilena annuncia un massiccio piano energetico che include 40 grandi progetti idroelettrici sui fiumi dell’Araucanía: il governo e due società private, la SwissHydro e l’Agrisol, progettano, senza consultare le comunità Mapuche, impianti idroelettrici multimilionari sul fiume Cautín, nel cuore del territorio Mapuche.

Noti rispettivamente come Alto Cautín e Doña Alicia, potrebbero deviare oltre 500 milioni di litri d’acqua al giorno dal fiume Cautín per la produzione di energia, e ridurre così tanto la quantità di acqua che scorre può danneggiare il pesce e altri animali selvatici, minando un intero ecosistema, oltre che aggravando la siccità della zona.

La lotta di Alberto Curamil

In questo contesto nasce e si sviluppa la lotta di Curamil: 45 anni, mapuche indigeno nella regione centrale dell’Araucanía cilena e portavoce per l’Alianza Territorial Mapuche con numerose altre battaglie ambientali nel curriculum, riunisce il suo popolo alla lotta, organizzando una vera e propria resistenza ai progetti idroelettrici.

Ma non solo Mapuche: Curamil invita anche i membri di altre comunità, organizzazioni ambientaliste e accademiche, riuscendo a creare una coalizione numerosa e molto accanita, che mette in campo proteste di strada, marce e blocchi stradali, e d’altra parte chiede consigli ad accademici, professionisti ambientali e ONG sull’impatto ambientale e culturale dei progetti, in modo da poter portare numeri inconfutabili sui danni potenziali per il suo popolo.

In questo modo riesce a lanciare una campagna legale contro i progetti idroelettrici, con la collaborazione di avvocati pro bono che avevano sostenuto anche in passato i gruppi indigeni del Cile. Insieme riescono a dimostrare che il governo cileno aveva violato la stessa legge del Paese, che garantisce il consenso libero, preventivo e informato prima di portare avanti qualsiasi progetto di sviluppo.

E Curamil non si ferma nemmeno davanti alla reazione dei potenti: nel 2014 la polizia infatti lo arresta insieme ad altri due leader Mapuche con l’accusa di condotta disordinata, picchiandolo duramente mentre era sotto custodia e provocandogli gravi ferite sul volto. Secondo quanto riportato sul sito del premio, le forze dell’ordine avrebbero aggredito anche la moglie che all’epoca era incinta.

Vittoria!

Eppure ce l’ha fatta: nel 2016 l’Agenzia per i servizi ambientali del Cile annulla il progetto idro di Alto Cautín, citando l’opposizione pubblica delle comunità, e il terzo tribunale ambientale del Cile stabilisce che anche il progetto idroelettrico di Doña Alicia non poteva andare avanti, osservando che il governo non aveva né consultato i Mapuche né considerato gli impatti ambientali.

Purtroppo due anni dopo, nell’agosto 2018, la polizia cilena arresta nuovamente Curamil per presunta partecipazione ad attività criminali, ma fonti all’unanimità ritengono che l’attivista sia in carcere a causa del suo ruolo nel fermare i progetti idroelettrici: troppi interessi danneggiati meritano una punizione.

Forza Alberto, il Cile e l’ambiente hanno ancora bisogno di te.

 

 

fonte: https://www.greenme.it/vivere/costume-e-societa/31483-alberto-curamil-mapuche

Se incontrate un ragazzo africano non donategli un sorriso – Leggi queste poche righe e rifletti…!

 

ragazzo africano

 

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Se incontrate un ragazzo africano non donategli un sorriso – Leggi queste poche righe e rifletti…!

Se incontrate un ragazzo africano non donategli un sorriso.

Non ne ha bisogno.

Raccontategli invece quello che forse non sa. E non perché è stupido, ma perché non gliel’hanno mai detto.

Raccontategli che la sua terra è la stessa di grandi rivoluzionari come Thomas Sankara, Samora Machel, Agostinho Neto, Patrice Lumumba, Steve Biko, Nelson Mandela.

E chi e perché ha ammazzato molti di loro.

Raccontategli che il petrolio, l’oro, i diamanti, l’uranio e tutte le altre risorse appartengono al popolo africano e non alle multinazionali che le sfruttano.

Raccontategli che se i loro Paesi fossero veramente liberi, indipendenti e sovrani non vivrebbero fame e carestia.

Raccontategli che l’Europa che sognano non esiste. E che per loro, qui, c’è solo miseria, elemosina, accattonaggio, marginalità, sfruttamento, schiavitù.

Raccontategli che non ha bisogno di diventare come noi, ma che esiste un’alternativa. Quella di vivere da uomo libero in una terra che dà pane e lavoro.

Raccontategli che anzichè sognare l’accoglienza dovrebbe sognare l’emancipazione, della sua terra e dei suoi figli.

Raccontategli che il suo nemico non è il disoccupato europeo che chiamate razzista, ma il colonialista che continua a sfruttarlo.

Raccontategli di come il colonialismo sia diverso rispetto a un secolo fa.

E di come, nonostante la decolonizzazione, l’occidente continui a interferire sulla sua vita.

Con le guerre per procura, gli stati fantoccio, i mercanti d’armi e i signori della guerra, le guerre tribali e i genocidi, che seminano morte e disperazione in quei giovani Paesi.

Le multinazionali che, grazie ad accordi con governi compiacenti e amici dell’occidente, ne depredano le risorse lasciando briciole alle popolazioni. ONG e aiuti umanitari che ne fiaccano la volontà.

Che la principale battaglia politica non è aprire i porti e abbattere le frontiere, ma pretendere che i Governi del mondo ricco la smettano di interferire con la vita dei Paesi africani, che azzerino il loro debito e che investano in infrastutture, sanità e istruzione, senza chiedere nulla in cambio. Se non la facoltà di commerciare le risorse in condizioni eque e paritarie.

Che il socialismo non è donare sorrisi con un sms di 2€.

Ma è coscienza e lotta di classe, cooperazione, solidarietà internazionale, sovranità, indipendenza, autodeterminazione dei popoli.

Se gli racconterete tutto questo, il suo sogno non sarà più essere salvato in mezzo al mare per venire qui a raccogliere pomodori.

Ma capirà che l’unica vera salvezza è “emancipare sé stessi dalla schiavitù mentale”, diventando un combattente per la libertà.

Lo cantava anche Bob Marley ma il significato di quei versi, voi frikkettoni, non l’avete ancora capito.

E continuare a non capirlo significa perseverare nel trattarlo come un selvaggio da civilizzare.

Significa farlo restare uno schiavo.

Raccontategli tutto questo e gli avrete fatto il dono più grande di tutti: la coscienza.

Dopo potete tranquillamente sorridergli.

Perché è vostro fratello.

 

fonte: https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-se_incontrate_un_ragazzo_africano/29278_29279/