10 febbraio – Giornata del ricordo delle vittime delle foibe – Che cosa furono i massacri delle foibe?

 

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10 febbraio – Giornata del ricordo delle vittime delle foibe – Che cosa furono i massacri delle foibe?

 

Che cosa furono i massacri delle foibe

I massacri delle foibe e l’esodo dalmata-giuliano sono una pagina di Storia che per molti anni l’Italia ha voluto dimenticare. Solo di recente la storia è stata riportata a galla e dal 2005 si celebra il «Giorno del Ricordo», in memoria dei quasi ventimila nostri fratelli torturati, assassinati e gettati nelle foibe (le fenditure carsiche usate come discariche) dalle milizie della Jugoslavia di Tito alla fine della seconda guerra mondiale.

La memoria delle vittime delle foibe e degli italiani costretti all’esodo dalle ex province italiane della Venezia Giulia, dell’Istria, di Fiume e della Dalmazia è un tema che ancora divide. Eppure quelle persone meritano, esigono di essere ricordate.

LA FINE DELLA GUERRA. Nel 1943, dopo tre anni di guerra, le cose si erano messe male per l’Italia. Il regime fascista di Mussolini aveva decretato il proprio fallimento con la storica riunione del Gran Consiglio del Fascismo del 25 luglio 1943. Ne erano seguiti lo scioglimento del Partito fascista, la resa dell’8 settembre, lo sfaldamento delle nostre Forze Armate.

Nei Balcani, e particolarmente in Croazia e Slovenia, le due regioni balcaniche confinanti con l’Italia, il crollo dell’esercito italiano aveva fatalmente coinvolto le due capitali, Zagabria (Croazia) e Lubiana (Slovenia).

LA VENDETTA DI TITO. Qui avevano avuto il sopravvento le forze politiche comuniste guidate da Josip Broz, nome di battaglia «Tito», che avevano finalmente sconfitto i famigerati “ustascia” (i fascisti croati agli ordini del dittatore Ante Pavelic che si erano macchiati di atroci crimini), e i non meno odiati “domobranzi”, che non erano fascisti, ma semplicemente ragazzi di leva sloveni, chiamati alle armi da Lubiana a partire dal 1940, allorché la Slovenia era stata incorporata nell’Italia divenendone una provincia autonoma.

La prima ondata di violenza esplose proprio dopo la firma dell’armistizio, l’8 settembre 1943: in Istria e in Dalmazia i partigiani jugoslavi di Tito si vendicarono contro i fascisti che, nell’intervallo tra le due guerre, avevano amministrato questi territori con durezza, imponendo un’italianizzazione forzata e reprimendo e osteggiando le popolazioni slave locali macchiandosi di crimini di inaudita violenza.

Con il crollo del regime – siamo ancora alla fine del 1943 – i fascisti e di conseguenza tutti gli italiani non comunisti vennero considerati nemici del popolo, prima torturati e poi gettati nelle foibe. Morirono, si stima, circa un migliaio di persone. Le prime vittime di una lunga scia di sangue.

Dal 1918 al 1943 la Venezia Giulia e la Dalmazia furono amministrativamente italiane, ma oltre la metà della loro popolazione era composta da sloveni e croati. Durante il fascismo l’italianizzazione venne perseguita seguendo, nelle intenzioni, il modello francese (attraverso una serie di provvedimenti come l’italianizzazione della toponomastica, dei nomi propri e la chiusura di scuole bilingue); nei fatti, il modello fascista. La repressione divenne più crudele durante la guerra, quando ai pestaggi si sostituirono le deportazioni nei campi di concentramento nazisti e le fucilazioni dei partigiani jugoslavi.

Tito e i suoi uomini, fedelissimi di Mosca, infatti, iniziarono la loro battaglia di (ri)conquista di Slovenia e Croazia – di fatto annesse al Terzo Reich – senza fare mistero di volersi impadronire non solo della Dalmazia e della penisola d’Istria (dove c’erano borghi e città con comunità italiane sin dai tempi della Repubblica di Venezia), ma di tutto il Veneto, fino all’Isonzo.

IL FRENO DEI NAZISTI. Fino alla fine di aprile del 1945 i partigiani jugoslavi erano stati tenuti a freno dai tedeschi che avevano dominato Serbia, Croazia e Slovenia con il pugno di ferro dei loro ben noti sistemi (stragi, rappresaglie dieci a uno, paesi incendiati e distrutti).

Ma con il crollo del Terzo Reich nulla ormai poteva più fermare gli uomini di Tito, irreggimentati nel IX Korpus, e la loro polizia segreta, l’OZNA (Odeljenje za Zaštitu NAroda, Dipartimento per la Sicurezza del Popolo). L’obiettivo era l’occupazione dei territori italiani.

Nella primavera del 1945 l’esercito jugoslavo occupò l’Istria (fino ad allora territorio italiano, e dal ’43 della Repubblica Sociale Italiana) e puntò verso Trieste, per riconquistare i territori che, alla fine della prima guerra mondiale, erano stati negati alla Jugoslavia.

LA LIBERAZIONE DEGLI ALLEATI. Non aveva fatto i conti, però, con le truppe alleate che avanzavano dal Sud della nostra penisola, dopo avere superato la Linea Gotica. La prima formazione alleata a liberare Venezia e poi Trieste fu la Divisione Neozelandese del generale Freyberg, l’eroe della battaglia di Cassino, appartenente all’Ottava Armata britannica. Fu una vera e propria gara di velocità.

Gli jugoslavi si impadronirono di Fiume e di tutta l’Istria interna, dando subito inizio a feroci esecuzioni contro gli italiani. Ma non riuscirono ad assicurarsi la preda più ambita: la città, il porto e le fabbriche di Trieste.

Infatti, la Divisione Neozelandese del generale Freyberg entrò nei sobborghi occidentali di Trieste nel tardo pomeriggio del 1° maggio 1945, mentre la città era ancora formalmente in mano ai tedeschi che, asserragliati nella fortezza di San Giusto, si arresero il 2, impedendo in tal modo a Tito di sostenere di aver «preso» Trieste.

La rabbia degli uomini di Tito si scatenò allora contro persone inermi in una saga di sangue degna degli orrori rivoluzionari della Russia del periodo 1917-1919, persone ree solo di essere Italiani e come tali Fasciste..

I NUMERI DELLE VITTIME. Tra il maggio e il giugno del 1945 migliaia di italiani dell’Istria, di Fiume e della Dalmazia furono obbligati a lasciare la loro terra. Altri furono uccisi dai partigiani di Tito, gettati nelle foibe o deportati nei campi sloveni e croati. Secondo alcune fonti le vittime di quei pochi mesi furono tra le quattromila e le seimila, per altre diecimila.

Fin dal dicembre 1945 il premier italiano Alcide De Gasperi presentò agli Alleati «una lista di nomi di 2.500 deportati dalle truppe jugoslave nella Venezia Giulia» ed indicò «in almeno 7.500 il numero degli scomparsi».

In realtà, il numero degli infoibati e dei massacrati nei lager di Tito fu ben superiore a quello temuto da De Gasperi. Le uccisioni di italiani – nel periodo tra il 1943 e il 1947 – furono almeno 20mila; gli esuli italiani costretti a lasciare le loro case almeno 250mila.

COME SI MORIVA NELLE FOIBE. I primi a finire in foiba nel 1945 furono carabinieri, poliziotti e guardie di finanza, nonché i pochi militari fascisti della RSI e i collaborazionisti che non erano riusciti a scappare per tempo (in mancanza di questi, si prendevano le mogli, i figli o i genitori).

Le uccisioni avvenivano in maniera spaventosamente crudele. I condannati venivano legati l’un l’altro con un lungo fil di ferro stretto ai polsi, e schierati sugli argini delle foibe. Quindi si apriva il fuoco trapassando, a raffiche di mitra, non tutto il gruppo, ma soltanto i primi tre o quattro della catena, i quali, precipitando nell’abisso, morti o gravemente feriti, trascinavano con sé gli altri sventurati, condannati così a sopravvivere per giorni sui fondali delle voragini, sui cadaveri dei loro compagni, tra sofferenze inimmaginabili.

Soltanto nella zona triestina, tremila sventurati furono gettati nella foiba di Basovizza e nelle altre foibe del Carso.

Uno dei principali monumenti alle vittime si trova a Basovizza, alle porte di Trieste. Qui è stata trovata una foiba che in realtà era il pozzo di una miniera di carbone che, scavata nella roccia agli inizi del novecento, fu poi abbandonata. Vi sono state gettate almeno 2.500 persone nei 45 giorni dal 1 maggio al 15 giugno 1945.

IL DRAMMA DI FIUME E IL DESTINO DELL’ISTRIA. A Fiume, l’orrore fu tale che la città si spopolò. Interi nuclei familiari raggiunsero l’Italia ben prima che si concludessero le vicende della Conferenza della pace di Parigi (1947), alla quale – come dichiarò Churchill – erano legate le sorti dell’Istria e della Venezia Giulia. Fu una fuga di massa. Entro la fine del 1946, 20.000 persone avevano lasciato la città, abbandonando case, averi, terreni.

LA CONFERENZA DI PACE DI PARIGI. Alla fine del 1946 la questione italo-jugoslava era divenuta per molti un peso che intralciava la soluzione di altre e ancora più importanti questioni: gli Alleati volevano trovare una soluzione per Vienna e Berlino; l’Unione Sovietica doveva sistemare la divisione della Germania. L’Italia era alle prese con la gestione della transizione tra monarchia e repubblica.

In sostanza bisognava determinare dove sarebbe passato il confine tra Italia e Jugoslavia. Gli Stati Uniti, favorevoli all’Italia, proposero una linea che lasciava al nostro Paese gran parte dell’Istria. I sovietici, favorevoli ai comunisti di Tito, proposero un confine che lasciava Trieste e parte di Gorizia alla Jugoslavia. La Francia propose una via di mezzo, molto vicina all’attuale confine, che sembrava anche l’opzione più realistica, non perché rispettava le divisioni linguistiche, ma perché seguiva il confine effettivamente occupato dagli eserciti nei mesi precedenti.

Il dramma delle terre italiane dell’Est si concluse con la firma del trattato di pace di Parigi il 10 febbraio 1947. Alla fine, alla conferenza di Parigi venne deciso che per il confine si sarebbe seguita la linea francese: l’Italia consegnò alla Jugoslavia numerose città e borghi a maggioranza italiana rinunciando per sempre a Zara, alla Dalmazia, alle isole del Quarnaro, a Fiume, all’Istria e a parte della provincia di Gorizia.

L’ESODO. Il trattato di pace di Parigi di fatto regalò alla Jugoslavia il diritto di confiscare tutti i beni dei cittadini italiani, con l’accordo che sarebbero poi stati indennizzati dal governo di Roma.

Questo causò due ingiustizie. Prima di tutto l’esodo forzato delle popolazioni italiane istriane e giuliane che fuggivano a decine di migliaia, abbandonando le loro case e ammassando sui carri trainati dai cavalli le poche masserizie che potevano portare con sé. E, in seguito, il mancato risarcimento.

La stragrande maggioranza degli esuli emigrò in varie parti del mondo cercando una nuova patria: chi in Sud America, chi in Australia, chi in Canada, chi negli Stati Uniti.

INTERESSE POLITICO IN ATTI D’UFFICIO. Tanti riuscirono a sistemarsi faticosamente in Italia, nonostante gli ostacoli dei ministri del partito comunista che – favorevoli alla Jugoslavia – minimizzarono la portata della diaspora.

Emilio Sereni, che ricopriva la determinante carica di ministro per l’Assistenza post-bellica, e sul cui tavolo finivano tutti i rapporti con le domande di esodo e di assistenza provenienti da Pola, da Fiume, dall’Istria e dalla ex Dalmazia italiana, anziché farsene carico e rappresentare all’opinione pubblica la drammaticità della situazione minimizzò la portata del problema.

Rifiutò di ammettere nuovi esuli nei campi profughi di Trieste con la scusa che non c’era più posto e, in una serie di relazioni a De Gasperi, parlò di «fratellanza italo-slovena e italo-croata», sostenne la necessità di scoraggiare le partenze e di costringere gli istriani a rimanere nelle loro terre, affermò che le notizie sulle foibe erano «propaganda reazionaria».

IL GIORNO DEL RICORDO. Come è stato possibile che una simile tragedia sia stata confinata nel regno dell’oblio per quasi sessant’anni? Tanti, infatti, ne erano passati tra quel quadriennio 1943-47 che vide realizzarsi l’orrore delle foibe, e l’auspicato 2004, quando il Parlamento approvò la «legge Menia» (dal nome del deputato triestino Roberto Menia, che l’aveva proposta) sulla istituzione del «Giorno del Ricordo».

La risposta va ricercata in una sorta di tacita complicità, durata decenni, tra le forze politiche centriste e cattoliche da una parte, e quelle di estrema sinistra dall’altra. Fu soltanto dopo il 1989 (con il crollo del muro di Berlino e l’autoestinzione del comunismo sovietico) che nell’impenetrabile diga del silenzio incominciò ad aprirsi qualche crepa.

Il 3 novembre 1991, l’allora presidente della Repubblica Francesco Cossiga si recò in pellegrinaggio alla foiba di Basovizza e, in ginocchio, chiese perdono per un silenzio durato cinquant’anni. Poi arrivò la TV pubblica con la fiction Il cuore nel pozzo interpretata fra gli altri da Beppe Fiorello. Un altro presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro, si era recato, in reverente omaggio ai Caduti, davanti al sacrario di Basovizza l’11 febbraio 1993.

Così, a poco a poco, la coltre di silenzio che, per troppo tempo, era calata sulla tragedia delle terre orientali italiane, divenne sempre più sottile e finalmente tutti abbiamo potuto conoscere quante sofferenze dovettero subìre gli italiani della Venezia Giulia, dell’Istria, di Fiume e della Dalmazia.

Luciano Garibaldi

Alla tragedia delle foibe, l’autore, Luciano Garibaldi, giornalista e storico, ha dedicato, assieme a Rossana Mondoni, quattro libri editi dalle edizioni Solfanelli: «Venti di bufera sul confine orientale», «Nel nome di Norma», dedicato al ricordo di Norma Cossetto, studentessa triestina tra le prime vittime della violenza rossa, «Il testamento di Licia», approfondito dialogo con la sorella di Norma Cossetto, e «Foibe, un conto aperto».

Tratto da: https://www.focus.it/cultura/storia/che-cosa-furono-i-massacri-delle-foibe

Esperimento Sociale – Il Prof razzista attacca studentessa musulmana. La reazioni dei compagni… E se alla fine del video vi scappa la lacrimuccia non vergognatevi: siete ancora umani…!

 

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Esperimento Sociale – Il Prof razzista attacca studentessa musulmana. La reazioni dei compagni… E se alla fine del video vi scappa la lacrimuccia non vergognatevi: siete ancora umani…!

Abbiamo fatto un esperimento sociale al primo giorno di scuola con telecamere nascoste. In tre differenti istituti (un classico, uno scientifico e un tecnico) arriva in classe una nuova compagna, musulmana con il velo integrale. Un nuovo professore, un nostro attore, entra in classe e comincia a deriderla. In un’escalation di battute razziste, xenofobe e islamofobe i ragazzi vengono messi alla prova. Qualcuno difenderà la studentessa islamica dagli attacchi del prof razzista? Una candid camera utile per riflettere sui temi dell’integrazione e dell’accoglienza.

Una produzione Fanpage.it video di Luca Iavarone organizzazione e riprese: Raffaello Durso attori: Pino L’Abbate e Chiara  assistente alla regia: Paola Mirisciotti assistente di produzione: Danilo Zanghi autori: Dario Volpe, Luca Iavarone Si ringraziano presidi e professori degli istituti Genovesi, Leonardo Da Vinci e Di Giacomo per la disponibilità.

Dal cielo un altro grande spettacolo: la superluna del 19 febbraio, sarà la luna piena più grande e spettacolare del 2019…!

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Dal cielo un altro grande spettacolo: la superluna del 19 febbraio, sarà la luna piena più grande e spettacolare del 2019…!

Nonostante sia il mese più corto coi suoi 28 giorni, nel 2019 febbraio ci regalerà un appuntamento da non perdere: la superluna più grande di tutto l’anno.

Un fenomeno che delizierà grandi e piccoli. Il 19 febbraio prossimo ammireremo la luna piena. Quel giorno, il nostro satellite naturale si troverà al perigeo, il punto dell’orbita in cui la distanza dalla Terra è al minimo.

Ciò avviene perché la Luna durante il mese percorre un’orbita ellittica attorno al nostro pianeta, quindi non perfettamente circolare.

Di conseguenza, non si trova sempre alla stessa distanza da noi ma passa da un minimo di 356.410 km, il perigeo, a un massimo di 406.740 km, l’apogeo.

In questo caso sarà, essa il 19 febbraio si troverà ad appena 356.761 km, mentre solitamente la distanza media Terra-luna è di 384.400 km. Anche se lo spazio che ci separa sarà comunque tanto, la luna sarà 27mila km più vicina a noi. In realtà, tra il momento esatto in cui la Luna si trova al perigeo e la fase di Luna Piena vi saranno circa 7 ore.

Cosa vedremo

Il nostro satellite ci apparirà più grande (fino al 7%) e più luminoso (fino al 15%).

“Il consiglio è di fotografare la Superluna e di confrontare l’immagine con altre riprese con la Luna all’apogeo, e quindi con minori dimensioni apparenti” spiega l’Uai.

Febbraio, la luna piena della neve

La luna piena di questo mese è anche definita la Snow Moon (Luna della Neve). Un nome che ha origine dalla tradizione dei nativi americani. In questo periodo infatti si verificano le nevicate più abbondanti. Alcune tribù la chiamavano questa “la Luna della Fame” (Hunger Moon), poiché le pesanti condizioni meteorologiche rendevano la caccia difficile.

Un evento da non perdere visto che la prossima superluna di questa portata si verificherà il 7 aprile 2020.

La vera, grande, unica vincitrice di quest’ultimo Sanremo: Fiorella Mannoia. Come al solito senza peli sulla lingua, la sua canzone “Il Peso del Coraggio” è una appassionata, feroce, potente denuncia contro la disumanità del mondo di oggi. Un pezzo che ci dovrebbe far pensare… se ne siamo ancora capaci…!

 

Fiorella Mannoia

 

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La vera, grande, unica vincitrice di quest’ultimo Sanremo: Fiorella Mannoia. Come al solito senza peli sulla lingua, la sua canzone “Il Peso del Coraggio” è una appassionata, feroce, potente denuncia contro la disumanità del mondo di oggi. Un pezzo che ci dovrebbe far pensare… se ne siamo ancora capaci…!

Come al solito non ha peli sulla lingua Fiorella Mannoia, e mai li ha avuti: con la sua nuova canzone, Il Peso del coraggio, la cantante porta l’attualità e la politica in scena al’Ariston, e incredibilmente funziona: il pubblico in visibilio per la voce e per la carica emotiva di una delle cantanti più amate d’Italia. E ora aspettiamo le critiche, che sicuramente arriveranno, ma ci accontentiamo di aver finalmente visto un bel momento di televisione a Sanremo.

(a fine articolo l’Official Video)
Il peso del Coraggio

Sono questi vuoti d’aria
Questi vuoti di felicità
Queste assurde convinzioni
Tutte queste distrazioni
A farci perdere

Sono come buchi neri
Questi buchi nei pensieri
Si fa finta di niente
Lo facciamo da sempre
Ci si dimentica

Che ognuno ha la sua parte in questa grande scena
Ognuno i suoi diritti
Ognuno la sua schiena
Per sopportare il peso di ogni scelta
Il peso di ogni passo
Il peso del coraggio

E ho capito che non sempre il tempo cura le ferite
Che sono sempre meno le persone amiche
Che non esiste resa senza pentimento
Che quello che mi aspetto è solo quello che pretendo
Ed ho imparato ad accettare che gli affetti tradiscono
Che gli amori anche i più grandi poi finiscono
Che non c’è niente di sbagliato in un perdono
Che se non sbaglio non capisco io chi sono

Sono queste devozioni
Queste manie di superiorità
C’è chi fa ancora la guerra
Chi non conosce vergogna
Chi si dimentica
Che ognuno ha la sua parte in questa grande scena
Che ognuno ha i suoi diritti
Che ognuno ha la sua schiena
Per sopportare il peso di ogni scelta
Il peso di ogni passo
Il peso del coraggio

E ho capito che non serve il tempo alle ferite
Che sono sempre meno le persone unite
Che non esiste azione senza conseguenza
Chi ha torto e chi ha ragione
Quando un bambino muore
Allora stiamo ancora zitti
Che così ci preferiscono
Tutti zitti come cani che obbediscono
Ci vorrebbe più rispetto
Ci vorrebbe più attenzione
Se si parla della vita
Se parliamo di persone

Siamo il silenzio che resta dopo le parole
Siamo la voce che può arrivare dove vuole
Siamo il confine della nostra libertà
Siamo noi l’umanità
Siamo in diritto di cambiare tutto
E di ricominciare, ricominciare

E ognuno gioca la sua parte
In questa grande scena
Ognuno ha i suoi diritti
Ognuno ha la sua schiena
Per sopportare il peso di ogni scelta
Il peso di ogni passo
Il peso del coraggio
Il peso del coraggio.

Fiorella Mannoia

 

Buon compleanno Fabrizio – Oggi 5 febbraio Fabrizio Frizzi avrebbe compiuto 62 anni. Un ricordo…

 

Fabrizio Frizzi

 

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Buon compleanno Fabrizio – Oggi 5 febbraio Fabrizio Frizzi avrebbe compiuto 62 anni. Un ricordo…

Un ricordo per il grande, immenso, simpaticissimo Fabrizio che oggi 5 febbraio avrebbe compiuto 62 anni.

Fabrizio Frizzi, “Il gentiluomo della televisione” è nato a Roma il 5 febbraio 1958. Figlio di Fulvio, noto distributore cinematografico, si diplomò al liceo classico San Giuseppe Calasanzio a Roma e tentò l’Università iscrivendosi alla facoltà di Giurisprudenza. La resa dopo appena quattro esami per fare rotta nel mondo dello spettacolo. Fabrizio inizia la sua carriera da conduttore nel 1980 con piccole parti nei programmi per ragazzi, Barattolo, Tandem e infine, nel 1985, come conduttore in Pane e Marmellata, insieme a Rita Dalla Chiesa che poi sarebbe diventata la sua prima moglie.

“Ci ho messo una vita a capire le donne, il fatto di essere cresciuto in una scuola esclusivamente maschile mi ha fatto certamente ritardare l’apprendimento; poi ho fatto un corso accelerato, adesso che vedo crescere mia figlia la lezione è completa. Le donne hanno un discreto numero di marce in più!”
FABRIZIO FRIZZI

 

Fabrizio che in tutto e per tutto si è ispirato al suo idolo Corrado, nella sua quarantennale carriera ha condotto quiz, varietà e talent show come Miss Italia (che lo vide alla guida per 17 edizioni, di cui 15 consecutive), Europa Europa, I fatti vostri, Scommettiamo che…?, Luna Park, Domenica in, Per tutta la vita…?, Cominciamo bene, Soliti ignoti e L’eredità; ha partecipato come concorrente in programmi di successo come Ballando con le stelle e Tale e quale show e ha recitato nelle due stagioni della fiction Non lasciamoci più. Legato anche a trasmissioni benefiche come la maratona televisiva Telethon, da lui condotta negli anni novanta e poi ripresa ininterrottamente dal 2005 fino al 2016 per 11 edizioni, e La partita del cuore, presentata per 22 edizioni dal 1992 al 2017. Considerato fin dagli anni ottanta uno dei principali volti maschili della Rai, è stato insieme a Pippo Baudo il conduttore con più trasmissioni all’attivo. È stato anche doppiatore e sua è la voce dello Sceriffo Woody nella saga di Toy Story.

“A questa età si entra in un imbuto che restringe l’orizzonte, vedi la vita assottigliarsi, ammesso che la vita continui, si fanno valutazioni importanti sul vivere i rapporti che contano, non disperdi più il tempo, si privilegiano le cose fondamentali.    FABRIZIO FRIZZI

Fabrizio si è spento il 26 marzo del 2018.

Il 6 luglio 2018, la Rai con un comunicato ha deciso di intitolargli gli studi Dear, appunto rinominati “studi televisivi Fabrizio Frizzi”.

Come segno tangibile di riconoscimento da parte di tutti coloro che gli hanno voluto bene, sopra la porta di ingresso dello studio televisivo dove si registra il programma L’eredità è stata affissa la sua maglietta di basket numero 10. Per più di 15 anni, infatti, Frizzi è stato presidente della squadra nazionale artisti di basket, uno sport che ha sempre seguito e promosso.

Buon compleanno, Fabrizio…

Amarcord – Emil, il ragazzo terribile che ha rallegrato la nostra infanzia

 

Emil

 

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Amarcord – Emil, il ragazzo terribile che ha rallegrato la nostra infanzia

Nei pomeriggi della mia infanzia a metà degli anni 70 ricordo che in TV seguivo un bellissimo telefilm dal titolo “Emil”.

Emil era un bambino che aveva più o meno la mia età, viveva a Katthult in una fattoria con i genitori, la sorellina Ida, il garzone Alfred e la serva Lina! C’era anche la vecchia e saggia Tata Marta che andava ad aiutare nella fattoria e spesso raccontava a Emil e Ida storie di folletti!

Emil era un bambino molto vivace e combinava molti guai… era un vero monello! Per scappare alle botte del Babbo si rifugiava nella falegnameria dove passava il tempo a intagliare statuine in legno aspettando che il Babbo si calmasse!

Emil è una serie televisiva per bambini prodotta nei primi anni settanta e tratta da una serie di romanzi dell’autrice svedese Astrid Lindgren, iniziati negli anni sessanta e incentrati sul personaggio di Emil (in svedese Emil i Lönneberga).

La serie è ambientata in una fattoria nei pressi del villaggio di Lönneberga, nella regione dello Småland, tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX secolo.

Il protagonista è Emil Svensson (Jan Ohlsson), un bambino molto vivace e combinaguai tanto da essere chiuso in castigo nella falegnameria della fattoria, dove trascorre il tempo intagliando statuine di legno. Verso la fine della storia, quella che sta per rivelarsi la sua peggiore monelleria si rivela un atto eroico, grazie al quale il ragazzino è completamente riabilitato.

per rinfrecarvi la memoria, ecco il primo episodio… In rete ne potrete trovare altri.

 

 

Un cult: Il Marchese del Grillo – “…Mi dispiace, ma io so’ io …e voi non siete un c….”

 

Marchese del Grillo

 

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Un cult: Il Marchese del Grillo – “…Mi dispiace, ma io so’ io …e voi non siete un c….”

Nella Roma papalina del 1809, il Marchese Onofrio del Grillo è un alto dignitario pontificio alla corte di Papa Pio VII, fa parte della Guardia Nobile a difesa del Santo Padre ed è anche Reggitore del Sacro Soglio. In realtà sono impegni che lo occupano ben poco e il nobile passa le sue giornate nell’ozio più completo, frequentando le bettole e le osterie più malfamate della città, coltivando relazioni amorose clandestine con le popolane, facendo dannare la madre e il resto della sua parentela bigotta e conservatrice.
Il suo passatempo preferito, che lo rende famoso in tutta la città, è fare scherzi di ogni genere ai danni di chiunque: la sua famiglia, i nobili suoi amici, il popolo, gli artigiani che lavorano per lui, perfino il Papa stesso. E quando si caccia in qualche situazione difficile, riesce sempre ad uscirne grazie alle sue conoscenze altolocate. Però le sue burle hanno spesso il sapore della denuncia nei confronti della società corrotta e clientelare, dove il nobile ricco riesce sempre a cavarsela ai danni del popolino ignorante.

Quanno se scherza, bisogna èsse’ seri! (Marchese del Grillo)

Mi dispiace, ma io so’ io e voi non siete un cazzo! – La battuta distintiva del Marchese del Grillo che viene dal sonetto “Li soprani der monno vecchio” del Belli.

Li soprani der monno vecchio di Giuseppe Gioachino Belli


C'era una vorta un Re cche ddar palazzo

mannò ffora a li popoli st'editto:

"Io sò io, e vvoi nun zete un cazzo,

sori vassalli bbugiaroni, e zzitto.

Io fo ddritto lo storto e storto er ddritto:

pòzzo vénneve a ttutti a un tant'er mazzo:

Io, si vve fo impiccà nun ve strapazzo,

ché la vita e la robba Io ve l'affitto.

Chi abbita a sto monno senza er titolo

o dde Papa, o dde Re, o dd'Imperatore,

quello nun pò avé mmai vosce in capitolo!".

Co st'editto annò er Boja per ccuriero,

interroganno tutti in zur tenore;

e arisposeno tutti: "È vvero, è vvero!"

 

traduzione

C'era una volta un Re che dal palazzo

mandò in piazza al popolo quest'editto:

"Io sono io, e voi non siete un cazzo,

signori vassalli invigliacchiti, e silenzio.

Io sono capace di cambiare una cosa da uno stato all'altro e viceversa:

Io vi posso barattare tutti per un nonnulla:

Io se vi faccio impiccare tutti non vi faccio torto,

Visto che Io ho il potere di darvi la vita e quel con cui vivere.

Chi vive in questo mondo senza possedere la carica

o di Papa, o di Monarca o di Imperatore,

colui non potrà mai far sentire la sua voce in pubblico!".

Con tale editto si recò il boia come portavoce,

chiamando all'attenzione tutti quanti a gran voce;

e il popolo intero rispose: "È vero, è vero!"

Vergognoso – Un’altra porcheria made in Spagna – Si chiama la Sokamuturra – toro cordato – Il Toro è legato ad una corda in piazza per fare spettacolo… Tutta la sofferenza dell’animale tra le bestiali risate della gente…

 

Spagna

 

 

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Vergognoso – Un’altra porcheria made in Spagna – Si chiama la Sokamuturra – toro cordato – Il Toro è legato ad una corda in piazza per fare spettacolo… Tutta la sofferenza dell’animale tra le bestiali risate della gente…

Toro legato ad una corda in piazza per fare spettacolo

Si chiama la Sokamuturra, una forma di spettacolo con il toro in piazza, tipica del folklore dei paesi baschi in Spagna. Lo spettacolo consiste nel tenere legato un toro con una corda in una piazza pubblica. Le persone si possono avvicinare per sfidare l’animale.

guarda QUI il video

Purtroppo, questo sfruttamento arcaico del toro, ai fini dell’intrattenimento, che provoca sofferenza, ansia e stress all’animale viene ancora perpetrato nel XXI secolo.

E’ la denuncia che rimbalza sui social con i video pubblicati dal gruppo animalista Libertad Animal Navarra, mostrando l’orrore al quale sono sottoposti i tori che siano giovani esemplari o esemplari adulti.

In un filmato si vede chiaramente i pericoli ai quali sono esposti questi animali. Un giovane toro, un vitellino di pochi mesi scivola ripetutamente sul pavimento bagnato di una piazza, rischiando si spezzarsi un arto, cercando di difendersi dall’invadenza e dalla provocazione di alcune persone.

La scena è stata registrata ad Azpeitia. “Sono incapaci di vedere come soffrono queste creature che imparano preso cosa significa essere maltrattati. Educhiamo all’empatia, al rispetto e all’amore nei riguardi di tutte le creature viventi”, scrive il gruppo animalista, commentando il filmato.

 

A seguire: Sokamuturra 2017 (Elgoibar)

L’inno per chi resiste che Fiorella Mannoia, con molto coraggio, porterà a Sanremo: “Il peso del coraggio”… Fantastico…!

 

Fiorella Mannoia

 

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L’inno per chi resiste che Fiorella Mannoia, con molto coraggio, porterà a Sanremo: “Il peso del coraggio”… Fantastico…!

Questo il testo dell’ultima canzone di Fiorella Mannoia. Un inno di libertà, responsabilità e spreranza.

Il peso del coraggio

Sono questi vuoti d’aria
questi vuoti di felicità
queste assurde convinzioni
tutte queste distrazioni
a farci perdere

Sono come buchi neri
questi buchi nei pensieri
si fa finta di niente
lo facciamo da sempre
ci si dimentica
che ognuno ha la sua parte in questa grande scena
che ognuno ha i suoi diritti
ognuno ha la sua schiena
per sopportare il peso di ogni scelta
il peso di ogni passo, il peso del coraggio

E ho capito che non sempre il tempo cura le ferite
che sono sempre meno le persone amiche
che non esiste resa senza pentimento
che quello che mi aspetto è solo quello che pretendo
ed ho imparato ad accettare che gli affetti tradiscono
che gli amori, anche i più grandi poi finiscono
che non c’è niente di sbagliato in un perdono
che se non sbaglio non capisco io chi sono

Sono queste devozioni
queste manie di superiorità
c’è chi fa ancora la guerra
chi non conosce vergogna
chi si dimentica
che ognuno ha la sua parte in questa grande scena
che ognuno ha i suoi diritti
ognuno ha la sua schiena
per sopportare il peso di ogni scelta
il peso di ogni passo, il peso del coraggio

E ho capito che non serve il tempo alle ferite
che sono sempre meno le persone unite
che non esiste azione senza conseguenza
chi ha torto e chi ha ragione quando un bambino muore
e allora stiamo ancora zitti che così ci preferiscono
tutti zitti come cani che obbediscono
ci vorrebbe più rispetto, ci vorrebbe più attenzione
se si parla della vita, se parliamo di persone

Siamo il silenzio che resta dopo le parole
siamo la voce che può arrivare dove vuole
siamo il confine della nostra libertà
siamo noi l’umanità
siamo in diritto di cambiare tutto e di ricominciare
ricominciare

Ognuno ha in gioco la sua parte in questa grande scena
che ognuno ha i suoi diritti
ognuno ha la sua schiena
per sopportare il peso di ogni scelta
il peso di ogni passo, il peso del coraggio
il peso del coraggio

1° Febbraio 1876 – il giorno della “Memoria corta” – Gli Stati Uniti d’America dichiarano guerra ai Nativi Americani rei di un crimine imperdonabile: nei loro territori c’era l’oro!

 

 

Nativi Americani

 

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1° Febbraio 1876 – il giorno della “Memoria corta” – Gli Stati Uniti d’America dichiarano guerra ai Nativi Americani rei di un crimine imperdonabile: nei loro territori c’era l’oro!

Il 1 febbraio 1876 è una data ancora oggi ignorata o non considerata come dovrebbe dai media e dalle istituzioni ma è il giorno in cui il Ministro degli Interni degli Stati Uniti d’America, dopo la scoperto dell’oro nella zona più importante del territorio Lakota, perché considerato sacro, le Black Hills, decise di perseguitare tutti i Sioux che rifiutarono di trasferirsi nelle riserve. L’ordine di trasferire migliaia di uomini  donne e bambini dal territorio dov’erano arrivò in una stagione dell’anno in cui quelle zone erano innevate e molti indiani erano lontani impegnati nella caccia. L’esercito statunitense non precluse ai minatori l’accesso alle zone di caccia Sioux e attaccò gli indiane che stavano cacciando nella prateria, come loro concesso dai precedenti trattati.

Gli Stati Uniti dichiarano guerra ai Sioux

Il 1 febbraio 1876 il ministro degli Interni degli Stati Uniti d’America dichiarò guerra ai Sioux “ostili”, quelli cioè che non avevano accettato di trasferirsi nelle riserve, dopo che era stato scoperto l’oro nelle Black Hills, il cuore del territorio Lakota.

Come si potevano traferire migliaia di uomini, donne e bambini dalla terra dov’erano nati, in una stagione dell’anno in cui il territorio era coperto di neve? Molti indiani pare neanche ricevettero l’ordine, in quanto impegnati nelle loro attività di caccia, lontano dalla propria residenza.

Quella dichiarazione di guerra del 1 febbraio fu l’inizio del massacro degli Indiani d’America, che culminerà con l’eccidio di Wounded Knee, passato alla storia grazie a canzoni, libri e film. Sul finire del dicembre 1890, la tribù di Miniconjou guidata da Piede Grosso, appresa la notizia dell’assassinio di Toro Seduto, partì dall’accampamento sul torrente Cherry, sperando nella protezione di Nuvola Rossa.

Il 28 dicembre furono intercettati dal Settimo Reggimento, che aveva l’ordine di condurli in un accampamento sul Wounded Knee: 120 uomini e 230 tra donne e bambini furono portati sulla riva del torrente, circondati da due squadroni di cavalleria e trucidati.

“Seppellite il mio cuore a Wounded Knee” di Dee Brown è il libro che ha commosso generazioni di persone e ispirato cantanti di tutte le generazioni e latitudini, fino a Fabrizio De Andrè che compose la canzone “Fiume Sand Creek”, Prince e Luciano Ligabue.

Così racconta il massacro di Wounded Knee: «Brillava il sole in cielo. Ma quando i soldati abbandonarono il campo dopo il loro sporco lavoro, iniziò una forte nevicata. Nella notte arrivò anche il vento. Ci fu una tempesta e il freddo gelido penetrava nelle ossa. Quello che rimase fu un unico immenso cimitero di donne, bambini e neonati che non avevano fatto alcun male se non cercare di scappare via».

I Sioux, che preferiscono chiamarsi Dakota o Lakota, sono la principale tribù degli Stati Uniti, con 25.000 membri. Ora vivono in riserve nei loro antichi territori. Continuare a raccontare la loro storia (pochi giorni fa è stata la Giornata della memoria) è un modo per non dimenticare di cosa è stato capace l’uomo nel corso della storia e fare in modo che episodi simili non si ripetano.